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Capitolo 37 • Il Figlio del Gelo

C A P I T O L O X X X V I I
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• I l F i g l i o d e l G e l o •

«Io non so ballare.» dissi subito, mentre Will cominciava a tirarmi verso di sé.

Non sapevo cosa fare, ero stata completamente presa alla sprovvista da questa richiesta. Mentre dovevo inevitabilmente procedere in avanti verso di lui, Will sorrise, alzando lo sguardo oltre la mia spalla, su Rose: «Entro venti minuti sarà di nuovo qui, Rosie.» disse con quella vena irritante che mi aveva fatto alzare gli occhi al cielo molte volte a Boston. «Un ballo non ha mai ucciso nessuno.». Non mi voltai a guardare la sua reazione, sentendo solo Matt dirle tranquillamente: «Andiamo Rose, ad Eve non succederà nulla.».

Alzai gli occhi al cielo: non sembrava cambiato nulla, Rose si comportava ancora come se il solo contatto con Will potesse uccidermi. Mentre Will cominciava a retrocedere all'indietro, portandomi con sé, mi ritrovai ancora ad opporre una debole e inutile resistenza: «Non so ballare Will, ti inciamperò addosso e cadremo entrambi nel giro di venti secondi.».

Con la sua solita vena orgogliosa che riusciva a tirare fuori in momenti imbarazzanti come quello, disse: «Sono bravo abbastanza per tutti e due.». Trattenni a stento uno sbuffo, mentre si fermava in mezzo ad altre coppie che avevano già cominciato a svolazzare per la stanza. Non potei non guardarlo con un'espressione quasi inorridita: e se qualcuno ci avesse visti insieme? un conto era essere nella stessa stanza, un conto era ballare pubblicamente davanti a centinaia di Domini.

«William...» feci subito, non appena mi afferrò la vita con la mano sinistra, continuando a stringermi la mia con la destra. «E se qualcuno ci vedesse e parlasse? Tu ti devi sposare, un conto è sapere che l'erede si trova sotto lo stesso tetto dell'ultimo sole, un altro è farsi vedere ballare con lei.»

«Chiunque sia entrato in questa stanza ha giurato di rimanere in silenzio, di non parlare di ciò che è successo qua dentro a costo della morte. Non ci sono Ribelli o Reali qua dentro, Evelyn. Siamo tutti dalla stessa parte.»

Non potei non lanciargli un'occhiataccia eloquente. Sapeva il significato, non ne avevo dubbi: lui non sarebbe rimasto lì ancora per molto. In quel momento, tutto quel ballo e quella cosa che stavamo facendo noi due, ancora non definita, senza nome, mi sembrarono una grandissima presa in giro.

Io mi stavo prendendo in giro da sola.

«Viviamo questa serata come se fossimo ancora a Boston e tu non sapessi ancora chi sono in realtà.» cominciò a muoversi più velocemente, cominciando a guidare un vero e proprio ballo.

Come quella serata passata a casa sua, mi ritrovai a seguire il ballo senza difficoltà, muovendomi delicatamente e spontaneamente come non avevo mai fatto. Stringendo di più la mia mano, prima di farmi fare una piroetta degna di ogni principessa, Will si chinò su di me, sussurrandomi all'orecchio: «Ce l'hai nel sangue, non puoi non saper ballare.». Per fortuna potevo dare la colpa del mio rossore al caldo che c'era in quella stanza e al ballo stesso: perché doveva essere sempre così dannatamente difficile?

Ben presto le occhiate della gente cominciai ad ignorarle, completamente e assolutamente presa dal principe: il mio cuore stava per entrare in tachicardia e la mia mente sembrava fusa. Come potevo anche solo pensare di poter rimanere lontana da lui senza cadere ai suoi piedi? Ero proprio come tutte le altre ragazzine di Boston, non ero immune al suo fascino. Quasi quasi potevo anche dire di esserne più influenzata delle altre, purtroppo.

«A che cosa stai pensando?» mi chiese dopo un po', mentre ballavamo girando e piroettando fra le altre coppie.

«Niente.» dissi in fretta, prima di arrossire di nuovo, maledicendomi subito per averlo fatto.

«Perché i tuoi "niente" sono sempre così poco credibili?» rise prima di farmi fare un'altra piroetta e attirarmi di nuovo a sé.

Alzai gli occhi sui suoi, ritrovandomi a pensare a tutto quello che avrei voluto dirgli in quel momento. Avrei potuto dire tante di quelle cose che il mio cervello sembrava per esplodere. Dalla mia bocca, sarebbero potute uscire parole che non avevo nemmeno trovato il coraggio di dire a me stessa.

Di colpo, lui cambiò espressione. Venni presa alla sprovvista e il mio cervello si svuotò immediatamente di tutti quei pensieri. Allarmata, non riuscii a muovere più i piedi, rischiando effettivamente di inciampare nei suoi che si muovevano ancora. Non appena recuperai l'equilibrio anche Will si fermò, abbassando in fretta lo sguardo su di me.

«Che cosa c'è? Che cos'hai?» chiesi subito afferrandogli il braccio come per farlo riscuotere.

«Potremmo andare adesso.»

«Dove?» chiesi in un primo momento, aggrottando la fronte, ma subito dopo lo capii dal suo sguardo.

Non potei fare a meno di sorridere, rimproverandomi per non averci pensato prima. Edvard il Cieco, sicuramente, non era venuto al ballo. Non riuscivo ad immaginarmi quel vecchio sacerdote lì in mezzo a tutta quella gente, non riuscivo proprio. Ricambiando lo sguardo di Will, mi ritrovai a chiedere: «Sarà nella stessa stanza di sempre?».

«Tanto vale provarci.» rispose, prendendomi di nuovo per mano e cominciando a farsi strada fra le coppie danzanti. «Ora potrebbe essere la nostra unica occasione di parlargli senza che qualcuno se ne accorga.»

Concordavo con lui: se proprio volevamo avere delle risposte, dovevamo andarle a cercare proprio in quel momento che tutto il castello era rinchiuso in quella bellissima sala da ballo. Non potei fare a meno di girarmi a guardare se qualcuno stesse notando la nostra specie di fuga da quella festa: indubbiamente tutti gli sguardi erano girati verso di noi, ma per me l'importante era che nessuno dei miei amici se ne accorgesse.

Quando uscimmo dalla stanza, Will ci fece accelerare il passo e io non mi lamentai, continuando a guardarmi all'indietro. Le guardie che presidiavano l'ingresso della sala da ballo continuarono a fissare il muro davanti a loro come se nemmeno si fossero accorti di noi. Il rumore delle mie scarpe con quella sorta di tacchetto risuonò per tutto il corridoio, mentre io e Will svoltavamo l'angolo correndo. Non appena ci lasciammo il corridoio di quella sala alle spalle cominciammo a rallentare l'andatura, comunque sostenuta.

«Se non si trova lì, dove altro potremmo trovarlo?» mi ritrovai a chiedergli sentendo il corpetto del vestito troppo stretto per il piccolo sforzo di quella corsa.

«Non ne ho idea, ma mi è sembrato troppo debole per compiere anche solo per alzarsi da quella poltrona.» replicò lui guidandoci esperto verso la sala consigliare nella quale alloggiava il vecchio. «Lascia parlare me Evelyn, sono più pratico in queste cose.»

Non replicai, sapendo in cuor mio che, nel caso la situazione mi fosse sfuggita di mano, non sarei riuscita a tenere a freno la mia lingua. Passammo per corridoi che non avevo mai percorso, alle quali pareti erano appesi arazzi di ogni tipo e riquadri di scene di guerra.

«Ci siamo quasi.» quando Will disse questa frase, stavamo percorrendo un corridoio che sbucava in quello della sala del trono.

Io, curiosa anche in quella situazione, non potei fare a meno di guardarmi intorno, notando con una fitta al cuore che stavamo percorrendo un corridoio pieno di quadri di nobili e di reggenti di Fyreris. Mi fermai di colpo con un «Will!» concitato, strattonandolo per il braccio.

«E se Altair Blain fosse in uno di questi quadri? Potrei assicurarmi che si trattava proprio del ragazzo della visione!» Will alzò gli occhi al cielo, sbuffando e ricominciando a camminare in fretta.

Feci per protestare prima che si fermasse di nuovo, davanti a un dipinto: «Sì eccolo qui Eve, ma adesso non abbiamo il tempo di pensarci, potrai guardare il suo viso più tardi. Abbiamo i minuti contati.». Chiedendomi perché non mi avesse avvertito del suo ritratto nel momento in cui eravamo entrati nel corridoio, riuscii a riservare un'occhiata veloce a quello che senza dubbio era un ritratto nobiliare, prima che Will ricominciasse a trascinarmi.

Era indubbiamente lo stesso Al della visione che avevo avuto a Boston: biondo, dagli occhi azzurri, ed estremamente bello. Aveva i lineamenti di un misto morbido e affilato: aveva un che di altero, un'espressione e un portamento che avevo associato alle persone troppo orgogliose e piene di sé.

Mentre ancora pensavo alla possibilità che potesse essere mio padre, chiedendomi giustamente, come mi aveva fatto notare Will, come facessi ad essere nata da due persone bionde e con gli occhi completamente diversi dai miei, eravamo entrati nella deserta, buia e silenziosa sala del trono. La attraversammo di gran carriera, diretti a quella porta aperta che dava sulla sala consigliare, dalla quale proveniva un bagliore rossastro di fuoco.

Non appena Will, rallentando, arrivò sulla soglia di quella porta, non riuscii a sobbalzare quando sentii la voce inquietante e grave del sacerdote rimbombare come se fosse stata amplificata da giganteschi stereo.

«Vi stavo aspettando.» esordì e io non potei fare a meno di stringere più forte la mano di Will, cercando di riprendermi dallo spavento che quel sacerdote mi aveva fatto prendere.

Will, più composto di me, avanzò lentamente nella stanza, trovando il sacerdote seduto rivolto verso di noi sulla stessa poltrona di sempre. Con il cuore che batteva all'impazzata per l'emozione che stavo provando per la speranza di ricevere delle risposte alle mie domande, mi distanziai leggermente da Will, cercando di calmarmi e di riprendere fiato.

«Ci dispiace disturbarvi, fratello, ma...»

«Ma volevate delle risposte.» fratello Edvard concluse la frase per Will, continuando a guardare fisso nel vuoto nella nostra direzione. «Siete venuti a cercarmi per questo.»

Aprii la bocca per rispondere, ma Will mi strinse più forte la mano come per ricordarmi di dover stare zitta. Cercai di rimanere in silenzio, finché potevo era meglio rispettare quello che mi aveva detto di fare Will. Il principe riprese a parlare come se si fosse aspettato quella situazione: «Sì è proprio così, ci sono troppe cose che non riusciamo a spiegarci, e che ci aiuterebbero nella lotta contro la sua Caduta.»

«Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, gli dei vogliono che io vi spieghi la verità...» sembrava quasi che stesse parlando fra sé. «Prima che io spiri, ci sono proprio delle cose che dovreste sapere.»

***

Io e Will avevamo preso delle sedie dal tavolo ovale attorno al quale si compievano le riunioni e le avevamo portate davanti al vecchio, sedendoci in attesa di spiegazioni. Io ero agitata e ci stavo mettendo tutta me stessa per non cominciare ad urlare e a chiedere una domanda dopo l'altra ininterrottamente, mentre Will aveva uno sguardo indecifrabile.

Vedendo che Edvard il Cieco non accennava a cominciare a parlare, Will non poté non porre la prima domanda di quella conversazione. Di certo non mi sarei aspettata che sarebbe stata quella, immaginando di partire subito dalla mia famiglia.

«Perché quando mi trovavo nel vostro santuario, nella Montagna Spirale ho sentito una voce che mi diceva di cercare proprio voi?»

«Dovevamo trovare un pretesto per farti raggiungere la città di Fyreris senza che catturassi l'ultimo sole alla sola sua vista.» rispose il sacerdote tranquillamente. «Il dio del sole ci aveva riferito che con un piccolo incentivo saresti arrivato e avresti stipulato un patto con il reggente e con l'ultimo sole stesso.»

«Non capisco...» cominciai subito, ma Will mi sovrastò con la sua voce: «E perché avevate bisogno proprio di me? C'entrano qualcosa i graffiti che ci sono disegnati sulle pareti del tempio?»

Io ero tutto orecchi: ora la questione sulla profezia aveva preso il posto prioritario delle verità sui miei genitori. Lui doveva sapere la profezia, doveva saperla per forza. Will si protese in avanti, appoggiando i gomiti sulle sue ginocchia e guardando Edvard in un modo straordinariamente intenso.

«I graffiti non sono stati completati, ma Juliet Marshall aveva ragione, tu c'entri tutto con la seconda parte della profezia.»

Mi girai in fretta verso Will, non potendo non ricordare quella volta che lo avevo trovato praticamente morto sul pavimento della scuola di Boston. Lì aveva nominato una certa Juliet, scambiandomi nel delirio per questa ragazza che aveva amato, prima che la giustiziassero per chissà quale motivo. Will si era irrigidito di colpo, ma continuava a guardare il sacerdote.

«E che cosa sarebbe questa profezia? Voi la conoscete, giusto?» visto il silenzio di Will, mi costrinsi a parlare cautamente, girandomi verso il sacerdote sentendomi sgonfiata come un palloncino per il fatto che quella ragazza fosse saltata fuori in quella conversazione.

«Prima che io ve la enunci, dovete sapere delle altre cose. Voi siete venuti da me perché avete supposto che il giovane Altair Blain potesse essere il tuo padre naturale.» questa volta fui io ad irrigidirmi.

Seguirono pochi secondi di silenzio, che a me parvero durare un'eternità: quelle parole non sembravano voler uscire dalle sue labbra. Io volevo sapere, non riuscivo più ad aspettare. Feci per irrompere in un fiume di domande, ma Will mi posò una mano sul ginocchio, invitandomi di nuovo a stare zitta.

«Lord Blain trovò il bambino durante una buia serata di inverno, nel 198° anno della Qunta Era, poco meno di quarant'anni fa, sulle rive del fiume Lavaeris mentre tornava da una caccia notturna a certe creature che infestavano alcuni villaggi. Con il bambino non trovò nient'altro che una consunta copertina di lana, sulla quale era ricamato un lungo nome: Altair Sirio Muphrid.»

«Sono nomi di stelle...» William ripeté la stessa cosa dell'altra volta ed io mi ritrovai ad alzare di nuovo gli occhi al cielo: chi se ne importava del significato dei nomi e della loro origine.

«Will questo lo hai già detto, ma non vedo come possa riguardarci...»

«Invece fa capire molte cose questo piccolo dettaglio, e Lord Blain lo aveva capito, ma non ha mai voluto rivelarle a qualcuno che non fosse sua moglie.» continuò il sacerdote lentamente. «I Figli del Sole erano soliti dare i nomi delle stelle ai nuovi neonati. Era un loro tratto distintivo.»

Seguì il silenzio. Io ero senza parole, e Will doveva essere lo stesso. Il mio cervello stava lavorando talmente velocemente che di colpo la mia mente si riversò di verità, dolorose tanto quanto plausibili. Con la mano tremante, sicura di stare per dare di matto, alzai piano una mano, afferrandomi il lungo ciuffo di capelli scuri.

Come se volessi assicurarmi davvero del colore dei miei capelli, li guardai, temendo con tutta me stessa che Edvard il Cieco potesse dire proprio quello che avevo supposto. Non riuscii a non balbettare, mentre temevo di potermi sentire male da un momento all'altro: «A-Allora lui era... lui era d-davvero m-mio padre. Ma io non...» non riuscii a finire la frase, nauseata.

La presa di Will si serrò di più sul mio ginocchio. Con la coda dell'occhio lo vidi girarsi verso di me, con una faccia incredula e profondamente dispiaciuta: anche lui aveva capito. Il sacerdote, però, riprese a raccontare: «Decise di crescerlo come se fosse figlio suo, con la prima moglie, che lo amò sopra ogni altra cosa. Ebbe i migliori insegnanti per tutti e quattro gli elementi e a sette anni fece il giro di tutti i maggiori templi di Elyria per ricevere i quattro marchi.»

«Ma il Marchio del Sole?» chiese Will piano. «Non esiste statua nelle quattro regioni che possa conferire questo marchio.»

«Per chi è cresciuto senza utilizzare i poteri di un Dominus della Luce questo marchio non è fondamentale.» rispose il sacerdote. «Quando aveva circa diciannove anni conobbe Alya Lewis in cima alla Montagna Rossa, il posto in cui entrambi si ritiravano per riflettere e per stare un po' da soli. Da lì si innamorarono l'uno dell'altra. Cominciarono a vedersi regolarmente e ben presto questi incontri si evolsero in fughe da Fyreris, anche in città americane, come Boston.»

«Ma com'è possibile? Non si può andare e tornare a Boston in giornata, come hanno fatto a non accorgersene?»

«Quando cominciarono a farlo, la Caduta di Altair era già inoltrata. È stata una caduta molto lunga quella di Altair, strana. È proseguita per due anni, durante i quali, secondo quello che ci hanno rivelato gli dei, il giovane è stato come una sorta di Dominus dell'Ombra che conservava ancora certi tratti... umani. Tutto ciò è successo proprio per la concomitanza della mancanza del Marchio del Sole e della predisposizione del ceppo della sua famiglia di origine alle cadute.» continuò. «Se esteriormente Altair rispettava fedelmente le caratteristiche di un Dominus della Luce, dentro era già caduto.»

Stavo per vomitare, non avevo dubbi. Eccolo spiegato il perché della mia Caduta singolare, del colore dei miei capelli e dei miei occhi e il fatto che mia madre non avesse mai voluto rivelare l'identità di mio padre. Tutto coincideva e tutti i pezzi del puzzle si stavano incastrando perfettamente gli uni con gli altri.

«Evelyn Lewis è l'unico esemplare mai esistito di ibrido fra Dominus della Luce e Dominus dell'Ombra.»

Contrassi il viso, come se quelle parole mi avessero colpita direttamente in faccia. Mi stava per mancare l'aria: alla fine ero un ibrido? Era questa la spiegazione di tutto ciò che mi stava capitando? Il fatto che fossi una sorta di scherzo della natura?

«Un ibrido unico, che può comunque generare prole poiché sostanzialmente i Dominus dell'Ombra sono pure Dominus della Luce e che una volta superata la Caduta non deve temere più ricadute come i Mezzosangue normali.»

Mi stava mancando l'aria: quello era decisamente troppo da sopportare. Come potevo fidarmi anche solo di me stessa? Ero davvero una macchina assassina.

Ma la parte peggiore doveva ancora arrivare.

«E ciò fa dell'ultimo sole il Dominus più potente che sia mai esistito. Un Dominus che se dovesse cadere, sarebbe il doppio più potente di un normale Dominus dell'Ombra, l'arma di distruzione di massa più potente che sia mai esistita.»

Ero troppo sconvolta anche solo per dare di matto: ogni parola del sacerdote era una coltellata al petto, ognuna più profonda dell'altra. Mi girava la testa e mi sembrava quasi di assistere alla scena dall'alto, come se fossi fuori dal mio stesso corpo. La mano di Will era ancora stretta sul mio ginocchio come per farmi forza, ma io ormai non sentivo nemmeno più quella.

«E che fine ha fatto?» chiese Will.

Non so che cosa mi portò a rispondere: nonostante tutto la mia mente sembrava non aver mai lavorato così velocemente come in quel momento: «È vivo.» risposi cercando di trattenere dei conati di vomito. «E sta progettando un'invasione di massa, vero? Vuol sottomettere tutti e governare su tutto il mondo, pure su quello degli umani, depurandolo da... da tutti gli indegni.».

Will si girò a guardarmi, confuso. Allora io, cercando di contenermi, continuai a spiegare: «Ho avuto tante crisi, tante visioni che riguardavano un uomo con i capelli neri come la pece e gli occhi dello stesso colore e... e il fatto che... che A-Adam e tutti gli a-altri siano r-resuscitati dal m-mondo dei morti non lasciano dubbi. Non era tuo p-padre quello delle visioni... era m-mio padre.». Non potevo nascondergli di Adama proprio adesso, era giusto che sapesse.

«Adam?» chiese infatti non capendo.

Non potei trattenere un singhiozzo, mentre mi ritrovavo a parlare come un fiume in piena: «Eravamo a scuola quando abbiamo visto C-Chantal e A-Adam... e Adam combattere n-nel cortile sul retro. Io R-Rose e Matt li abbiamo inseguiti e abbiamo combattuto contro di lui. E-era troppo forte per noi quattro, c-c'era qualcosa c-che non andava in lui. Ho dovuto farlo...» adesso le lacrime mi stavano scendendo copiose lungo le guance. «L'ho colpito alla g-gola con u-una freccia, dove c-c'era una macchia n-nera. M-Ma dopo, nonostante gli avessi colpito l-la carotide, è stato c-come se resuscitasse... mi dispiace, Will...»

Will non ci stava capendo più niente. La presa sul mio ginocchio si allentò, mentre confuso e disorientato Will si rigirava verso il sacerdote, cercando di mantenere la calma. Probabilmente era per tutta quella mole d'informazioni che non era già impazzito: «Perciò questa alleanza non è soltanto contro la Guerra Civile, giusto? Una seconda Grande Guerra sta per abbattersi su Elyria?».

«Sì, è così.» continuò il sacerdote. « E non è tutto: se non fermeremo la Caduta e ciò che verrà dopo moriremo tutti, dal primo all'ultimo: nessuno sarà risparmiato dalla furia dell'ultima luna.»

«C-Ciò che verrà dopo?» feci incredula, quasi supplicante che non ci dicesse nient'altro. «Che cosa intendete?»

«E verrà l'ultima luna, portando buio e freddo sulla grande patria, prosciugando ogni forma di luce e felicità. L'ultimo sole sarà la nostra unica salvezza, nato il settimo giorno dell'ultimo mese del 219º anno della Quinta Era. L'unico che riuscirà ad estirpare l'oscurità dal mondo o a farla prevalere. L'unico a riportare al trono i veri eredi.» quando il sacerdote finì di enunciare la prima parte della profezia, non potei fare a meno di trattenere il fiato.  «Ma il Figlio del Gelo è un ostacolo, un'ostacolo per la salvezza del mondo che andrà superato, quando l'oscurità comincerà a pervadere l'ultimo sole. Quando questa raggiungerà il suo cuore, l'ultimo sole cesserà di vivere, condannando la grande patria alla distruzione. La spada di cristallo nero segnerà la sua decisione.»

«No... no...»

Cominciai a scuotere la testa come febbricitante, aggrappandomi vanamente all'ultima speranza che quello fosse un grande scherzo o un lungo incubo. Non poteva essere William il ragazzo di quella visione, non poteva essere davvero lui. Non potei non alzarmi dalla sedia in fretta, cominciando a fare dei respironi in cerca di ossigeno: mi sentivo dentro una gabbia, dentro una trappola dalla quale potevo uscire solamente uccidendo il ragazzo che, nonostante tutte le negazioni che facevo a me stessa, amavo.

Non osai abbassare lo sguardo sulla faccia di Will: come potevo anche solo rivolgergli uno sguardo sapendo come sarebbe andata a finire questa storia? Quando parlò di nuovo, aveva la voce rotta e non più ferma e risoluta come al solito: «E quindi tutto quello che mi sta succedendo è per via della profezia?» chiese piano, evitando a sua volta il mio sguardo. «Che cosa sono io? Che cosa mi sta succedendo?».

«Il venti giugno del 217° Q.E. gli dei hanno scelto un bambino, un bambino nato sotto la protezione e sotto la guida degli dei del mare, Ocian, e dell'aria, Arys. Questo neonato avrebbe avuto un potere unico, nato dall'unione degli elementi dell'acqua e dell'aria, quello del ghiaccio. Come tale, puoi creare e comandare l'elemento straordinario del ghiaccio e puoi trasportari dovunque tu voglia nel momento che preferisci...»

Ma io non stavo già più ascoltando: non avrebbe avuto senso la questione del problema di William se dopo la Caduta avrei dovuto ucciderlo in cambio della vita di ogni singolo cittadino di questo pianeta. Non so per quanti minuti Will e il sacerdote parlarono prima che decidessi di muovermi, non riuscendo a sopportare la situazione.

Non potei fare a meno di cominciare a correre lontano da lì, provando l'opprimente bisogno di prendere un po' d'aria. Dentro di me sapevo già dove sarei andata: da lì il cortile interno della Rocca Nera era facilmente raggiungibile. Passarono solo pochi secondi prima che Will mi corresse dietro, chiamandomi ad alta voce: «Evelyn, Evelyn!». Ma io imperterrita scesi le scalinate, non curandomi di andare piano per il pericolo di inciampare.

Spalancai il portone di legno scuro con tutte e due le braccia, venendo subito investita da una folata di aria fresca. Avevo le guance bagnate e il cuore che mi martellava dolorosamente contro il petto.

«Evelyn, fermati!» questa volta la voce di Will era chiara e forte, non sommessa come l'altra volta che l'avevo sentita.

Dopo aver avanzato un po' nel freddo cortiletto interno, mi girai verso di lui di scatto, guardandolo raggiungermi con occhi tristi e indecifrabili. Le parole che uscirono dalla mia bocca sembrarono aver vita propria: mi sembrava ancora di stare assistere dall'esterno a questa conversazione.

«Ti rendi conto di come dovrà finire questa storia?»

«Troveremo una soluzione.» Will continuò ad avvicinarsi, raggiungendomi e fermandosi davanti a me, guardandomi negli occhi come se quella questione riguardasse solo me e non lui.

«Non esistono soluzioni! Non posso ucciderti... Non posso farlo.»

«Non lo sai questo, Evelyn.» Will con voce e sguardo sempre indecifrabili, mi afferrò il gomito con la sua mano, costringendomi a guardarlo. «Questa è la parola di un vecchio sacerdote, le profezie non vanno prese alla lettera...»

Mentre dai miei occhi continuavano a scendere lacrime copiose, afferrai a mia volta il suo braccio, stringendolo come per farmi forza prima di abbassare lo sguardo a terra: «Come puoi essere così calmo...» piansi sottovoce. «Come puoi non dare di matto con tutto quello che hai scoperto...».

«Credi che io non voglia spaccare tutto quello che c'è qui intorno? Credi davvero che non provi la voglia di partire alla ricerca di quel sacerdote che ha pronunciato al profezia e strangolarlo con le mie stesse mani, sempre che non sia proprio Edvard il Cieco?» la voce di Will era rotta e roca. «Ma non può finire così, gli dei non possono volerlo davvero dopo tutto ciò che ci hanno fatto. Ci sarà una soluzione...»

Si fermò un attimo, prendendo un forte respiro e deglutendo prima di concludere: «E, nel caso non la trovassimo, ti permetterei di uccidermi mille volte se questo può salvarti.».

Alzai piano lo sguardo verso di lui, sentendo una nuova ondata di lacrime scendermi dagli occhi. Io, allo stesso modo, avrei preferito mille volte uccidermi che uccidere lui stesso: potevo sembrare egoista, incurante delle conseguenze che sarebbero arrivate qualora non lo avessi ucciso, ma la sola prospettiva di trafiggerlo, di strappargli la vita dal corpo, bastava ad uccidere anche me.

«Se ci lasciamo andare non troveremo mai questa soluzione che ci potrebbe essere, principessa.» la voce di Will era bassa e dolce, sicuramente stava cercando di nascondere il tono preoccupato, disperato e irato che avrebbe esternato un in altre circostanze. «Dobbiamo essere forti l'uno per l'altra, dobbiamo sfruttare questi ultimi giorni di Edvard il Cieco per informarci di più a riguardo.»

William si chinò appoggiando la sua fronte alla mia e io mi ritrovai a chiudere gli occhi, piangendo ininterrottamente senza riuscire a smettere.

«Sii forte quando...» ma certo, la Evelyn di quell'altra visione si riferiva a questo. Tutti mi dicevano di essere forte, ma come potevo anche solo pensarlo? Nessuno poteva essere forte davanti a questo, per quanto cercasse di nasconderlo come stava facendo Will. Lui era devastato e sconvolto tanto quanto me, se non di più, stava solo cercando di nasconderlo ai miei occhi.

Perché gli dei non ci lasciavano in pace?

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