Capitolo 36 • Ambasciatrice
C A P I T O L O X X X V I
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• A m b a s c i a t r i c e •
Faceva caldo lì nel deserto, dannatamente caldo. Avrei di gran lunga preferito seguire mia zia e la sua famiglia a nord, vicino a Terona. Se solo non ci fosse stato l'assedio di Brennan, sarei stata ancora profondamente irritata dal fatto che non fossi andata con loro.
Quando Colton, mio fratello, aveva deciso di partire in direzione del paesello, appena dopo soli due giorni in cui era rimasto con noi a Lapis, quella cittadina marittima che si affacciava sull'omonimo stretto, lo avevo pregato di portarlo con me.
In teoria ero maggiorenne e perfettamente in grado di seguirlo di mia volontà, senza aver bisogno del permesso di nessuno, ma in pratica, come ogni altro Ribelle, dovevo rispettare gli ordini di mia madre e, a mio malgrado, di Hole.
L'unica cosa che mi teneva legata ancora ai Ribelli era la mia famiglia: come avrei potuto ripudiarli così, dopo tutto quello che avevano fatto per me? La risposta era semplice, ora più che mai non potevo farlo: non sapevamo che fine avessero fatto mia zia e la sua famiglia, né tantomeno di che fine avesse fatto Colton, che non ci aveva fatto avere sue notizie da quando era partito.
In quel momento ero seduta sulla sabbia gialla della spiaggia di Lapis, con i piedi immersi nell'acqua fredda, a riposarmi. Era quasi sera e avevo appena finito un turno di lavoro particolarmente lungo alla scuola elementare locale, dove aiutavo l'istruttrice Jacobs a seguire i piccoli Domini dell'Aria che erano nati lì, nella regione del fuoco.
Non avevo mai immaginato quanto potesse essere frustrante per un bambino vivere lontano dalla propria regione: crescere in mezzo a bambini di un elemento diverso poteva essere molto dura per loro.
Mi misi a guardare l'Isola Ferrosa in lontananza: era un'isola molto grande, che si divideva per tue regioni, Pyros e Kylien. Da quel punto, potevo osservare la parte settentrionale, che apparteneva alla regione del fuoco.
Lapis e Volcus, la città che si ergeva nella punta settentrionale dell'isola, erano collegati da un lungo e imponente ponte bianco, che riportava una marea di bassorilievi sulla sua superficie. Nel centro, proprio a metà fra le due sponde, ciascun lato del ponte ospitava un prolungamento, la testa di una fenice, le cui enormi ali si aprivano fino a toccare le due sponde.
Non mi era permesso percorrere il lungo ponte: ormai da più di un mese la mia vita era scandita da orari regolari, che stavi cominciando ad odiare con tutta me stessa.
Mentre mia madre e Richard Hole, che si trovava proprio in questa cittadina, organizzavano il futuro dell'Ordine assieme ad altri funzionari, io e tutti gli altri Ribelli eravamo costretti a vivere come normalissimi Domini del posto.
Lapis, assieme a Brennan e ad altre quattro o cinque cittadine, era una delle nuove basi nascoste a Elyria. Nessuno sospettava della nostra infiltrazione: i volti più conosciuti, come quelli di mia madre e di Hole, rimanevano sempre nascosti negli enormi sotterranei del piccolo palazzo, se così si poteva chiamare, dello Jarl Torhn. In quel modo ogni singola persona che entrava ed usciva da lì poteva essere controllata e mia madre e quel vecchio bastardo erano sempre al sicuro.
Hole...
Odiavo quell'uomo, odiavo quello che aveva fatto e quello che era. Se non fosse stato per lui, Dylan sarebbe stato ancora lì, se non con me, almeno sarebbe stato vivo.
Come ogni volta che pensavo a lui, dovetti costringere me stessa a non piangere al suo ricordo, lui non avrebbe voluto così. Ricordavo nei minimi dettagli l'ultima volta che ci avevi parlato, l'ultima volta che ci eravamo baciati, prima che mi portassero via dalle prigioni dell'Istituto Zero in cui lo avevano rinchiuso.
Prima che lo scoprissero, gli avevo detto molte volte di non immischiarsi in faccende che non gli riguardavano, di smetterla di incontrarsi con un misterioso Dominus che vedeva più di una volta a settimana per discuterete di chissà che cosa.
Lo avevano condannato con l'accusa di aver passato delle informazioni alla Confraternita Oscura, ma io non ero mai venuta a conoscenza di ciò che si fossero detti durante quegli incontri.
«Chantal non rimanere qui con loro, non hanno in mente quello che dicono di voler fare.» erano state alcune delle sue ultime parole. «Scappa, appena puoi scappa. Vogliono costruire lo stesso identico regno dei Cole, solo che con un'oligarchia al potere invece che una monarchia... Ti amo.»
Tirai fuori i piedi dall'acqua, abbracciandomi le ginocchia al petto e imprimendo l'immagine di lui ancora vivida nella mia mente: mai e poi mai avrei voluto dimenticare il suo viso, il suo bellissimo viso.
«Chantal.» quando la voce di Hector, mio fratello minore, interruppe il silenzio, allontanai dalla mia mente ogni pensiero di Dylan.
«Sì?» mi girai a guardarlo ricoprendomi di nuovo di quella maschera che portavo quasi ventiquattr'ore su ventiquattro.
«La mamma ti vuole. È dove sono sempre.»
***
Mentre il sole tramontava su Lapis e su tutto l'omonimo feudo, camminavo per le vie ciottolate della città. Non avevo mai visto una città così, ero abituata alle grandi metropoli d'America o ai paesi ventosi di Athos, ognuno con la sua peculiarità che lo caratterizzava.
Qui, senza contare la parte di città che si stendeva sulla riva, sembrava di essere nel bel mezzo del Grande Deserto, lontani da tutto e da tutti. Le case erano fatte di arenaria e avevano i tetti piatti. Era tutto un ammasso dello stesso colore, del colore della sabbia. Gli unici colori erano dati dalle alte palme che si trovavano qua e là e dagli stendardi del feudo, di colore arancione con una grande fenice bianca che richiamava l'antico ponte.
Quando arrivai a quello che gli altri definivano palazzo, ma che io consideravo una sorta di casa nobiliare abbastanza grande, passai di fianco alle guardie, che portavano una fascia di riconoscimento arancione su tutto il torace, ed entrai.
Come tutte le altre abitazioni degli Jarl, la prima sala era proprio quella del piccolo trono - che consisteva in una sorta di sedia con cuscini di stoffa, particolarmente elaborata - che si trovava in fondo, in una piattaforma rialzata.
Passai oltre al trono e alle sedie che lo affiancavano, procedendo in direzione del corridoio che mi avrebbe portato alle scale che scendevano ai sotterranei. Scesi le scale accendendo le luci per via del buio.
Dopo aver percorso gli ormai familiari corridoi dei sotterranei, arrivai nella stanza che era diventata una sorta di una sala delle strategie per mia madre, per Hole e per altri Domini.
Non appena arrivai, la figura altera di mia madre apparve nel mio campo visivo: si trovava chiamata sul tavolo, dove era stesa un'enorme mappa di Elyria con frecce e punti viola e azzurri.
«Mamma.» attirai la sua attenzione, spostando lo sguardo su Hole, lì vicino a lei, prima di distoglierlo subito, quasi nauseata dalla sua vista.
«Oh Chantal.» il viso di mia madre, come sempre del resto, si illuminò alla mia vista. «Vieni, avvicinati.»
Mi chiesi che cosa volessero da me: in quei giorni ero io a dovere andare a cercare mia madre per passare un po' di tempo con lei, non era lei che richiedeva la mia presenza, sopratutto sapendo quanto fossi riluttante a rimanere nella stessa stanza dell'assassino del Dominus che avevo amato più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Spesso e volentieri mia madre faceva finta di non notarlo, di non notare l'odio che provavo per lui e per quello che aveva fatto: molte volte, anche durante il periodo più buio della mia vita, mi era sembrato che a mia madre dimenticasse il vero perché del mio malessere.
A volte, sembrava dimenticare, o comunque fare di tutto per farlo, Dylan e quello che gli era successo, dandomi l'impressione che volesse quasi giustificare il comportamento di Hole. O comunque, che non lo ritenesse responsabile di quello che era capitato.
Piano, sentendo il battito del cuore accelerare ma regolarizzandolo come avevo imparato a fare, mi avvicinai all'enorme tavolo, obbedientemente.
Non potei fare a meno di lanciare un'occhiata a quella mappa, cercando di capire cosa tutte quelle frecce e quei punti stessero a significare. Non avevo dubbi: i pochi cerchi viola erano le basi dei Ribelli, mentre tutta la moltitudine di quelle azzurre erano quelle dei Reali.
«Perché sono qui?» chiesi quando alzai lo sguardo su mia madre. «Perché mi avete chiamata?»
«Tesoro.» la voce di mia madre non faceva trapelare nulla, come sempre. «Noi vorremmo parlarti.»
Mi dovetti trattenere dal non lanciarle uno sguardo di fuoco, sicura che dopo ne avrebbe trovato il pretesto per rimproverarmi di questo piccolo gesto. Era una di quelle madri che pretendevano il rispetto assoluto davanti ad altre persone ed io di certo mi comportavo per fare in modo di rispettare questa cosa.
«Colton ha mandato un messaggio.» esordì mia madre non appena fui di fianco al tavolo.
«Davvero?» feci subito alzando le sopracciglia: ancora non capivo perché avesse dovuto dirmelo davanti a quell'essere.
«Sì, si trova a Fyreris, l'ha raggiunta con l'ultimo sole un paio di giorni fa.» continuò. «Non sappiamo perché possano esserci andati, Colton non lo ha detto. Crediamo solo che l'ultimo sole possa aver sentito il richiamo della sua patria.»
Non potei non ripetermi per l'ennesima volta che forse Evelyn Lewis era davvero stupida come avevo pensato. Andare in una delle quattro città più abitate, grandi e importanti di Elyria era un suicidio, il più stupido e senza senso errore che avesse potuto commettere.
Un errore, che poteva costarci la vita.
«Ma...» mia madre non mi fece finire di parlare.
«Sono stati messi in contatto con un certo sacerdote, che richiede la loro presenza. Ma non è tutto: questo sacerdote, che Colton crede essere il più potente e saggio che esista al mondo, ha chiesto anche la tua presenza.»
Aggrottai la fronte: «Non credo di capire.» dissi subito, chiedendomi come un sacerdote a migliaia di chilometri di distanza potesse conoscere anche solo il mio nome. «Io? Ma cosa centro io?».
«Crediamo che possa avere delle informazioni importanti sull'imminente guerra.» continuò mia madre, facendomi arretrare di un passo.
Non potei fare a meno di posare lo sguardo sulla mappa, capendo davvero quello che avevano intenzione di fare: «Volete dichiarare guerra. Volete dichiarare guerra adesso? È una pazzia, verremo sterminati tutti!».
«Non parlare di cose che non capisci, ragazzina.» Hole parlò per la prima volta: la sua voce era grave, minacciosa e lenta come sempre. «Moriremo se rimarremo fermi. L'unica nostra possibilità è occupare una grande città.»
«E voi vorreste occupare Fyreris? E come pensate di fare? Questa prospettiva mi sembra impossibile!» non appena posai di nuovo lo sguardo sulla mappa e vidi la lunga linea viola che partiva da dove ci trovavamo e arrivava nel porto più vicino a Fyreris, non potei fare a meno di guardare incredula mia madre. «Volete usarmi come ambasciatore? Mamma...»
«Avrai sempre una scorta con te tesoro. Devi parlare con questo sacerdote e capire che cosa vuole. Se è davvero come dice Colton e se riusciamo a convincerlo, potrà dirci come muoverci, come entrare a Fyreris...»
«E dove si troverebbe questo sacerdote?» chiesi cercando di non balbettare: io non balbettavo, non me lo potevo permettere davanti a loro.
Mia madre esitò, spostando lo sguardo da me a Hole come se fosse restia a dirlo. Alla fine, il vecchio rispose al posto suo: «Nella Rocca Nera.». Spalancai la bocca e aggrottai la fronte: come poteva mia madre pensare davvero di mandarmi in uno dei quattro castelli reali di Elyria?
«Mi stai vendendo alla causa.» quando mi rivolsi a lei, non potei fare a meno di riservarle uno sguardo ferito, incredulo. «Stai vendendo tua figlia per raggiungere gli scopi dei Ribelli!»
«Non ti succederà nulla, Chantal. Siamo fiduciosi che il sacerdote accoglierà le nostre richieste...»
«Fiduciosi? Ah, allora siamo a posto!» non potevo crederci, stava dicendo sul serio. «State parlando di mandarmi sotto il tetto di un reggente, finirò in carcere e farò la sua stessa fine!»
Fu come se mia madre si ritraesse. Chiuse leggermente gli occhi, mentre le labbra le diventavano sottili per l'irritazione che stava provando nei miei confronti. Non le avevo mai risposto così, ma d'altra parte lei non aveva mai avanzato proposte, anzi ordini, del genere.
«La decisione è presa, partirai stanotte.» la voce di Hole non lasciva posto a rifiuti o a contraddizioni. «Ci scriverai tutti i giorni della tua permanenza a Fyreris. Ora ti diremo cosa devi fare.»
Feci per aprire bocca per ribattere, ma mia madre mi lanciò uno sguardo di fuoco: «Niente discussioni Chantal. Partirai con gli altri Ribelli. È ora che anche tu cominci a prendere sul serio questa causa.».
***
Con tutti coloro che poteva mandare, con tutto quello che mi poteva dire, lei aveva scelto proprio quello. Non riuscivo ad immaginare una cosa peggiore di mandare la propria figlia nella base nemica utilizzando l'insensata scusa che un sacerdote, che si trovava sotto l'ala di protezione di un reggente, aveva chiesto la mia presenza.
Avevo sempre creduto che mia madre non avrebbe mai messo al primo posta la causa dei Ribelli, invece che la sua famiglia. Questa era stata una spina nel fianco. Mentre il veloce veliero si allontanava dalla costa di Lapis, alzai il mento orgogliosamente.
Avrei portato a termine il mio compito, con orgoglio e coraggio, portando a mia madre e a Hole tutte le informazioni di cui avevano bisogno. Ma dopo quello me ne sarei andata, avrei fatto quello che mi aveva suggerito Dylan.
Non sarei rimasta lì a rischiare la mia vita per una causa in cui non credevo nemmeno. Se solo l'Ordine avesse continuato a perseguire gli ideali di un tempo, quella sarebbe stata una questione diversa. Non aveva senso combattere per estirpare un governo che sarebbe stato sostituito da uno praticamente uguale.
E sopratutto, ora come ora, non aveva senso rimanere in una famiglia che non si faceva scrupoli a mandarmi in prima linea di attacco. Cercai di trattenere le lacrime mentre la mia famiglia, ovvero Hector e mio padre Ian, mi salutava da riva.
Alzai la mano per salutarli a mia volta: se non lo facevo per mio padre, che come sempre si era sottomesso alla volontà di mia madre, lo facevo per il mio innocente e ingenuo fratellino.
Questi erano i Ribelli: sacrificavano tutto per la causa, i figli inclusi. Non me lo sarei mai aspettata da loro, forse erano così soggiogati dall'Ordine da non vedere il vero pericolo nel mandarmi nella Rocca Nera.
Nonostante tutto mi veniva da ridere, ma, dopotutto, ora che avevo compiuto diciott'anni, non ero altro che l'ennesima pedina, l'ennesimo soldato di questa guerra.
Non appena Hector e mio padre divennero troppo lontani, mi girai verso le cabine. Camminai lentamente, guardandomi attorno per assaporare per l'ultima volta ogni singolo dettaglio di quel paesaggio marittimo e desertico: chissà se lo avrei rivisto.
L'unica cosa che mi stava aiutando, in quel momento, era la speranza di rivedere mio fratello Colton.
Non potevo avere idea di quello che mi sarebbe aspettato.
***
Quando me lo dissero, quella sera, non ci credetti davvero.
Non appena avevamo raggiunto Fyreris a cavallo, mascherati come degli ambasciatori ufficiali della cittadina di Lapis, perciò con armature e tuniche con richiami arancioni, avevamo trovato alcuni funzionari del reggente ad aspettarci all'ingresso settentrionale della città.
Come sempre, ero riuscita a nascondere quello che pensavo e provavo davvero, calandomi in modo pressoché perfetto nella parte di una giovane aspirante ambasciatrice, nonostante sapessi che usualmente le ambasciate venivano accolte all'ingresso meridionale della città.
Solitamente tutte le delegazioni più importanti sbarcavano nel grande e lussuoso porto di Estis, a sud dell'Altopiano del Fuoco, per poi intraprendere quasi una settimana a cavallo o all'interno di lussuose carrozze.
Mia madre e Hole, invece, per motivi di tempo, avevamo ricevuto l'ordine del reggente stesso di farmi approdare nel piccolo porto di Yol, un paese sulla costa del versante della Montagna Rossa che non si affacciava alla città nera.
Da lì, avevamo solamente dovuto intraprendere un pericoloso e poco ospitale di un paio di giorni: il Cammino del Gigante, come si chiamava quel sentiero che circondava la Montagna Rossa, era costantemente attraversato da tempeste di cenere ed era pieno di lupi nordici del fuoco e di altre creature di Pyros decisamente poco docili.
Avevamo perso un paio di uomini durante il percorso, di notte. I lupi nordici del fuoco, una particolare specie di canini in grado di bruciare tutto ciò che toccavano, avevano atterrato un cavallo e trascinato nelle caverne la povera guardia, mentre una salamandra delle braci ne aveva morsa un'altra, condannandola a quarantotto ore di agonia con il suo veleno letale, prima di morire.
Di certo, non avevo sentito la mancanza di queste creature quando ero stata in America.
Quando arrivammo all'ingresso settentrionale della città, quella sera, mi ritrovai a fare in grande sospiro di sollievo: di certo avrei fatto di tutto per evitare quel sentiero in futuro.
«Signorina Wilson.» quando scesi da cavallo, uno dei due uomini attirò subito la mia attenzione. «So che vorrebbe riposare, dopo un viaggio così insidioso e lungo, ma Lord Blain gradirebbe la sua presenza al ballo di questa sera...»
Mi trattenni a stento dal non irrompere con un «Che cosa?» incredulo. Dovevo sempre mantenere una certa compostezza, così mi era stato insegnato. Sempre all'erta, pronta a captare ogni singolo indizio di inganno, mi ritrovai a seguire i due funzionari all'intero della bellissima città nera.
Non appena facemmo qualche passo però, uno dei due uomini, un giovane Dominus dai capelli color paglia, si girò e allungò lo sguardo oltre di me.
«Loro non possono venire.»
Non potei non irrigidirmi a quelle parole, non potendo fare a meno di girarmi verso tutto il gruppo che mi aveva accompagnata con sguardo indecifrabile. Stava scherzando? Come poteva credere che sarei davvero andata con loro da sola?
«Suo fratello è con noi, signorina Wilson.» l'altro funzionario, un uomo tozzo dai capelli neri, aveva notato la mia reazione. «La condizione affinché la portiamo dentro la Rocca Nera, dove si trovano tutti i suoi amici, è che questi Domini non ci seguano.»
«Fai tutto ciò che ti chiedono di fare finché non hai la certezza assoluta che potrebbe essere un inganno.» erano stati gli ordini di Hole.
Valutai in fretta la situazione: di certo io consideravo il tutto un chiaro segno di pericolo imminente. Con tutti i film che avevo visto nel Mondo degli Umani, questa mi sembrava la tipica situazione di chi stava per cadere in una trappola.
«Signorina Wilson, le giuriamo sugli dei e sulla corona che se viene con noi non si attenterà alla sua vita, né alla sua libertà.»
A volte, questi giuramenti non valevano. Come potevo assicurarmi che quei due fossero così fedeli agli dei e al re da formulare un giuramento valido? Proprio adesso stavano per scortare una Ribelle all'interno di un edificio reale, come potevano essere fedeli alla corona?
Se avessi cominciato a scappare, sarebbe stato peggio: ero veloce, potevo usare il mio elemento per aiutarmi ma ero a Fyreris e non avevo dubbi che fra le guardie potessero esserci anche dei velocisti.
Mi ritrovai a prendere un grosso respiro: ero già in trappola, non avevo scelta che seguirli e sperare nel meglio. Con un cenno di assenso, lanciai un'occhiata eloquente alle guardie che erano con me, cominciando a camminare verso i meandri della città seguendo quei funzionari.
Non potei fare a meno di continuare a valutare la situazione, guardandomi attorno in cerca di qualsiasi cosa potesse aiutarmi: non sapevo di che elementi fossero quei due, né quali fossero le loro capacità. Potevo solo intuire qualcosa, che comunque non era abbastanza.
Quando arrivammo in prossimità della bellissima Rocca Nera, l'edificio che spiccava in tutta Fyreris per i suoi muri particolari e per la sua imponenza, i funzionari si fermarono davanti ad un ingresso secondario.
«Oltre a queste porte si troveranno delle cameriere. La aiuteranno a cambiarsi e a rendersi bella per il ballo.» il Dominus che parlava stava anche sorridendo.
Sempre con la convinzione di aver poche possibilità di scampo, in un momento come quello, dovetti costringere me stessa ad entrare nel castello.
Se solo fossi stata ancora in America, sarei riuscita a scappare senza problemi. Forse ce l'avrei fatta anche in quel momento, ma qualcosa sembrava dirmi che non dovevo rischiare, che dovevo vedere se mio fratello era davvero con loro.
Speravo solamente di non star commettendo un errore fatale.
***
I miei passi risuonavano in tutto il corridoio con un ritmo ben scandito. I tacchi che mi avevano dato sembravano come dei veri e propri scocchi nel silenzio del ricco e adornato corridoio nero e dorato.
La mia mente era nella confusione più totale: anche se nessuno di rilevante conosceva il mio viso, avevo il dubbio che lì dentro qualcuno potesse capire che io non ero una Reale. Stavo cercando con tutta me stessa di sembrare a mio agio in quel regale e magnifico vestito rosa cipria, ma non potevo contare troppo sul mio autocontrollo in quel caso: finché non avessi trovato mio fratello, sempre che fosse stato lì, non sarei potuta sentirmi realmente a mio agio.
Non ero mai stata vestita né truccata così, come se fossi una nobile, nemmeno al ballo scolastico di fine anno della scorsa primavera. Così sembravo una vera e propria nobile. Ci avevano messo non meno di un'ora e mezza per prepararmi e, secondo le cameriere, era stato un record.
Ormai erano le otto e mezza di sera e la festa era già inoltrata da un pezzo, ma le cameriere mi avevano assicurato che non ci sarebbe stato problema, che nessuno si sarebbe accorto del mio ritardo. Ma io non avevo voluto ascoltare realmente quello che mi avevano detto, dubitando di tutto ciò che sentivo.
Non appena arrivai in prossimità del grande salone, la musica leggiadra e delicata mi riempì le orecchie. A presidiare il portone aperto della sala c'erano due guardie, immobili a fissare il vuoto come se fossero state soggiogate.
Non mi permisi di temere che non mi facessero passare: se lo temevo dentro di me, allora in qualche modo, se pur impercettibilmente, il mio corpo avrebbe dimostrato quel timore. Alzando il mento orgogliosamente, entrai nella sala.
Centinaia di persone stavano ballando. Ero arrivata nel bel mezzo della: i vestiti colorati e magnifici delle donne svolazzavano in tutta la stanza e facevano uno strano contrasto con le uniformi scure degli uomini che guidavano il ballo.
Rimasi meravigliata, non ero mai stata ad un ricevimento nobile come quello, sembrava tutto troppo bello, tutto troppo principesco. Era uno dei balli che si sognano quando si è bambine e si crede ancora nel principe azzurro. Era uno di quei balli ai quali non mi sarei mai aspettata di partecipare, né in questa né in qualsiasi altra vita.
Ma cavolo, come facevo a non invidiare ogni singola persona per la quale tutto questo era la normalità?
«Chantal... Chantal!»
Mi girai di scatto, da tanto che ero presa dalla stanza e dalla meraviglia di quel ballo, mi ero quasi dimenticata del perché mi trovassi lì. Facendosi strada fra la moltitudine di gente, mio fratello mi corse in contro, con un grande sorriso.
Mandando a quel pese tutte le buone maniere e tutto il contegno, cominciai a corrergli incontro, buttandomi fra le sue braccia. Mio fratello mi strinse a sé senza curarsi di essere delicato, irrompendo in una risata liberatoria.
Non appena mi mollò, appoggiò le mani sulle mie guance, come se non credesse che io fossi davvero arrivata sana e salva da lui: «Finalmente sei qui...» esordì studiandomi il viso. «Sapevo che nostra madre non avrebbe esitato a farti venire...».
Aggrottai la fronte, non riuscendo a capire: «Che cosa intendi dire?» chiesi appoggiando le mie mani sulle sue braccia. Colton non esitò a rispondere, ancora incredibilmente contento di avermi lì con lui: «Quando mi avevano detto che avrei dovuto scriverti non ci avevo creduto: ero appena arrivato in città e la richiesta di Joanne mi sembrava assurda. Ma poi ho capito che il sacerdote stava cercando di reclutare più persone possibili e allora non ho potuto dire di no!».
«Joanne? Il sacerdote? Ma di cosa stai parlando?»
«Edvard non ti dirà nulla riguardo alla Guerra Civile, o almeno, per quando riguarda quello che i Ribelli potrebbero fare per insediarsi a Fyreris.»
«Come lo sai? Come sai che questo è il loro progetto?»
«Lo sa il sacerdote, sembra avere delle abilità premonitrici. Mi ha spiegato che cos'ha in mente di fare, dopo Lord Blain lo spiegherà a tutti... È la nostra possibilità per fare del bene Chantal, per evitare che la Guerra Civile distrugga il paese.» la voce di Colton andò in calando, sembrava quasi bisognoso che io gli credessi. «Ci sono tutti qui... il Comandante Davis, suo figlio, Evelyn, Cesar... e c'è Rose, Chantal.»
«Rose?» aggrottai la fronte incredula. «Ma come può essere qui? È impossibile...»
«È stato...» esitò leggermente per la prima volta. «È stato Shaun, è qui anche lui.»
Ma che cosa stava succedendo? Non ci stavo capendo più nulla. Mio fratello mi afferrò la mano, sorridendomi di nuovo: «Vedrai, verrai convinta anche tu.».
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