Capitolo 3 • Partenza
C A P I T O L O I I I
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• P a r t e n z a •
Sinceramente, non capii bene come Matt e Rose fossero riusciti a scappare da quei morti viventi e a raggiungermi in quell'aula vuota, mentre ero ancora al telefono con Cesar Soler.
Rose aveva lanciato uno strillo nel vedermi così ricoperta di sangue e non si era soffermata al pensare che, se ero al telefono in piedi e per niente barcollante, forse quel sangue non era mio. Matt come al solito prima di parlare aveva valutato bene la situazione, capendo in fretta.
Quando avevo detto ad entrambi, dopo che mi ebbero assicurato di aver rispedito nella voragine tutti i resuscitati, che William era stato ferito da Wynter Sullivan, sorprendentemente mi avevano creduto subito.
Da lì, si erano messi in moto una serie di eventi che mi avevano portata lì, in camera mia, a riempire uno zaino con lo stretto necessario per partire. Era sera e tutto l'Ordine stava evacuando gli Istituti, cercando di salvare più cose possibili dall'imminente invasione.
Matt lo aveva chiamato piano Gamma e me lo aveva spiegato molto velocemente. Il concetto chiave era: l'Ordine deve tornare ad Elyria. Ora che la nostra unica protezione era caduta, dovevano accelerare i tempi per prepararci ad un'imminente guerra civile e dovevano cercare di convincere più gente possibile dei loro obbiettivi contro il re. Ma sopratutto, i bambini avevano bisogno di ricevere il loro marchio.
C'era solo un problema per il ritorno, dopotutto. Tutti i passaggi per l'America erano sotto strettissimo controllo delle truppe del re, perciò erano da escludere. Matt aveva spiegato che potevamo contare sui passaggi sotto il controllo degli alleati dell'Ordine: quelli europei di Roma, di Lisbona e di Praga.
Perciò dovevano partire, dividendoci in tre gruppi e passare un po' per volta dai passaggi, per non creare troppa attenzione. Da quello che mi aveva spiegato, c'erano quattro passaggi per Elyria per ogni continente. Ognuno dei quattro passaggi portava in una sola città di Elyria e quasi sicuramente il re non credeva che noi fossimo stati avvertiti perciò credeva di coglierci direttamente in America.
In poche parole, William ci aveva salvato il culo.
Io sarei partita con il gruppo diretto per Roma, quello del Comandante Davis. Avevano deciso di portarmi nella città più lontana dalla capitale che potessimo raggiungere con i passaggi: Terona. Da lì, io e la famiglia di Matt, più quella di Rose saremmo stati ospitati in un piccolo villaggio sulle montagne che circondavano Terona che si chiamava Brennan.
Il problema fondamentale di tutto ciò, sarebbe stato il mio aspetto fisico, che tutti conoscevano. Così, avevo pensato che magari mi sarei dovuta sottoporre ad un incantesimo che avrebbe modificato il mio aspetto, ma Matt aveva detto che non esisteva nulla del genere. Però mi aveva assicurato che a Brennan erano tutti membri dell'Ordine e lì sarei rimasta al sicuro.
Ora, mentre riempivo lo zaino che mi aveva dato Rose, non credevo ancora che sarei andata via di lì e che sarei andata ad Elyria. Mi sembrava impossibile e un suicidio sopratutto.
Che lo volessi ammettere o meno, mi sarebbe mancata Boston. E anche questa casa. Non potevo nemmeno credere che mi toccasse lasciare in quella stanza tutte le mie cose. Tutti i miei vestiti, i miei ricordi. Tutti i miei fantomatici scatoloni che mi avevano accompagnato per questi diciassette anni di vita...
Dopo che ebbi infilato nello zaino un cambio, il mio telefono, che comunque non mi sarebbe servito più di tanto, i miei preziosissimi libri di Harry Potter - mi rifiutavo di non portarmeli dietro, anche se la sacca cominciava a pesare davvero tanto - e un paio di foto, lo richiusi e mi buttai a pancia in su sul letto.
Rose mi sarebbe passata a prendere alle otto di quella sera, due ore prima che il nostro aereo last minute per Roma partisse. Gli Spencer sarebbero andati a cena fuori e, probabilmente, quella sarebbe stata l'ultima volta che gli avrei visti.
Beh, Shaun forse no visto che era un Dominus anche lui... Pensare a Shaun mi fece pensare automaticamente anche a Mylene, la zia che non sapevo di avere; con le mani raccolsi dal mio petto il ciondolo che mi aveva regalato.
Evelyn Wright? No, suonava male. Anche se mio nonno si chiamava così, il mio cognome era Lewis, come quello di mia madre. Chissà se immaginava che le cose sarebbero andate così... Non lo avrei mai saputo.
Sospirai, non riuscendo a non pensare a William. A ripensare a quello che mi aveva detto quella mattina mi sarebbe venuto da piangere se avessi avuto ancora delle lacrime da versare.
Lo odiavo in quel momento. Davvero tanto. Ma comunque il ricordo di lui moribondo, mi faceva passare quell'odio per quei due minuti in cui la preoccupazione per lui occupava tutti i miei pensieri. Chissà dove lo avevano portato quelle guardie. Era ancora a Boston?
Non me ne doveva importare. Lui aveva detto chiaro e tondo che mi aveva presa per il culo per tutto questo tempo. Basta, capitolo chiuso. Eravamo solo due nemici, in fondo. Due nemici a cui non gli importava dell'altro.
Lasciai ricadere il ciondolo sul mio petto, ripromettendo a me stessa che, se mai me lo sarei ritrovata di nuovo davanti, lo avrei fatto a pezzi con le mie mani. Che si tenesse quella Nyves, a me non poteva fregarmene di meno. Aveva chiarito bene il concetto che non gliene fregava di me, perché allora io dovevo fregarmene di lui?
Per non parlare di quella Juliet. «Dopotutto è grazie a te che il mio cuore batte, no?» William era innamorato di questa fantomatica Juliet, perciò io dovevo placare quella mia parte menefreghista e masochista che continuava a far saltare alla mia mente il suo nome.
Bussarono alla porta ed io, stando su a sedere, non potei non pensare al fatto che quella sarebbe stata l'ultima volta che qualcuno di quella famiglia mi sarebbe venuto ma dire che stavano per uscire a cena.
«Avanti.»
Era Bella Spencer. Notai che aveva una fasciatura al braccio; sicuramente si era ferita durante il terremoto che c'era stato quella mattina a scuola. La scuola era stata dichiarata inagibile, per via della grandissima voragine nel bel mezzo di un corridoio principale che aveva causato grandissimo scalpore in tutto lo stato del Massachusetts.
«Noi usciamo Lewis.» disse ed io per poco non riuscii a risponderle.
«Ci vediamo dopo, Bella.» le risposi educata.
Senza un'altra parola, Bella richiuse la porta e scese le scale. Tempo dieci secondi e la porta di riapriva di nuovo: era Shaun.
«Ho parlato con Chantal.» mi disse, entrando dentro la stanza e richiudendosi la porta alle spalle. «È vero?»
Aprii la bocca per parlare molte volte, senza trovare le parole per dire quello che volevo. Anche Shaun, per quanto potesse essere misterioso e riservato, mi sarebbe mancato. Alla fine mi limitai ad annuire, evitando il suo sguardo che intanto si era posato anche sul mio zaino, abbandonato ai piedi del letto.
«Non ci posso ancora credere.» disse passandosi una mano sulla faccia come per lavare via qualcosa.
Un gesto così simile a quello che faceva William...
«Nemmeno io.» ammisi, mentre Shaun attraversava la stanza e si sedeva di fianco a me.
«Mi mancherà averti qua attorno, lo sai?»
«Perché, tu rimarrai?» gli chiesi corrugando la fronte; sinceramente non mi aspettavo che dopo la mia partenza sarebbe rimasto qui.
«Beh, ho delle faccende da sistemare.» disse. «Ma arriverà anche per me il momento di tornare ad Elyria.»
«Mylene? Dove si trova?» gli chiesi, non sapendo che cosa dire.
«Beh, era venuta a Boston solo per parlare con te. Lei abita ad Elyria, nel Santuario della Confraternita. È lei che comanda. Comunque anche lei sa che raggiungerai presto Elyria e approva le misure prese dall'Ordine nel farlo. Se vorrai parlarle, potrai mandarle un messaggio di fuoco.»
«E come scusa?» gli chiesi non capendo.
«Abbiamo i nostri metodi ad Elyria per mandare dei messaggi veloci, visto anche che sennò con i messaggeri ci si metterebbero molto per recapitare una lettera. Basta scrivere il messaggio su della carta, su della pergamena e roba così e dopo usare il proprio elemento per inviarlo. Rose Ward ti insegnerà sicuramente come si fa. Invialo a me il messaggio. Rose saprà dove inviarlo.»
«Va bene Shaun.» gli dissi solamente.
«Shaun, ti vuoi muovere?» le urla di Bella lo interruppero prima che potesse replicare.
«Ci rivedremo, Evelyn.» disse alzandosi.
Mi alzai a mia volta, improvvisamente triste. Sapevo che quello non era un addio, ma un arrivederci, ma salutarlo così mi riempiva comunque di una profondissima tristezza. Senza dargli alcun preavviso, mi sporsi e lo abbracciai. Lui, preso alla sprovvista, rimase un attimo fermo, stupito da quel gesto di affetto, ma poi ricambiò l'abbraccio, stringendomi stretta.
«Devo andare, prima che piombi qui qualcuno.» disse dopo, staccandosi da me. «Se hai qualche problema, scrivi Evelyn. Fai attenzione.»
Annuii, rimanendo a guardarlo mentre usciva dalla mia stanza per un'ultima volta. Poi mi rimisi a sedere, rimanendo ad ascoltare la loro macchina allontanarsi.
Sì, anche se detestavo gli Spencer, decisamente mi sarebbe mancata Boston.
***
«Cavolo Eve, ma che cosa ci hai messo qui dentro?»
Mi strinsi nelle spalle, sorridendo timidamente ad una Rose che alzava il mio zaino per appoggiarlo sul nastro trasportatore del check-in dell'aeroporto.
«Tutta la saga di Harry Potter.» ammisi non appena il mio zaino si cominciò a muovere, ottenendo un'occhiata piena di rimprovero. «Non ho mai viaggiato senza di loro e questa non sarà di certo la prima volta.»
«Credi davvero che sopravviveranno i tuoi amati libri nel posto dove stiamo andando?» mi sibilò piano, mentre mi consegnavano il biglietto e mentre Rose mi trascinava nel gruppetto che si era formato attorno al signor Davis: il primo dei cinque gruppi a partire per l'Italia.
«La speranza è l'ultima a morire.»
Lasciare la casa degli Spencer si era rivelato più duro di quanto mi aspettassi. Dentro di me sapevo che quel viaggio sarebbe significato un addio alla mia vita normale. E c'era anche un piccolo problema. Quel giorno non avevo ancora avuto una crisi e di certo averla in aereo non era la situazione migliore.
«Ancora niente?» mi chiese il signor Davis, non appena lo avemmo raggiunto.
Scossi la testa, mentre l'ansia cominciava a salire. Come avrei fatto a nascondere una crisi davanti ad almeno trenta Ribelli?
«L'imbarco c'è fra un'ora.» annunciò Davis quando anche Matt, l'ultimo ad aver fatto il check-in, ci raggiunse. «Fra quaranta minuti ci ritroviamo davanti al gate.»
Senza darmi il tempo di dire o fare qualcosa, Rose aveva già preso me e Matt per mano e ci stava trascinando per l'aeroporto. La lasciai fare, capendo che stava virando verso Starbucks.
«Ho una grande voglia di mangiare.» disse per spiegarsi, quando ci mise a fare la fila.
Quando tutti e tre avemmo preso la nostra cena e raggiunto uno dei tantissimi tavoli vuoti lì davanti - a quest'ora l'aeroporto sembrava quasi vuoto - ci mettemmo a mangiare, in silenzio.
Si respirava una grande tensione nell'aria: sia io che Matt, che Rose stavamo pensando a quello che ci avrebbe atteso. Durante il viaggio da casa mia all'aeroporto, Rose mi aveva spiegato che io a Terona, due giorni dopo, sarei dovuta arrivare imbacuccata da capo a piedi. Sicuramente lì c'erano delle guardie reali come soldati della città.
Poi mi aveva detto che, in quei due giorni a Roma, Matt avrebbe cominciato ad insegnarmi a controllare la Terra. Ormai dell'aria avevo appreso i fondamenti e bisognava assolutamente accelerare i tempi.
Non potei fare a meno di notare le occhiate che Rose mi lanciava ogni dieci secondi. Probabilmente si aspettava di vedermi svenire da un momento all'altro. La cosa, dopo un po', cominciò a darmi fastidio.
«Te lo dirò se mi sento per svenire, ok?» le dissi irritata. «Sono angoscianti le tue continue occhiate...»
«Evelyn, sei innamorata di William?» mi chiese così su due piedi, prendendomi decisamente alla sprovvista.
«Che cosa?» chiesi, mentre pure Matt rivolgeva un'occhiata all'amica, non capendo perché avesse tirato fuori in quel momento quell'argomento.
«William.» disse, ignorando le occhiate di Matt. «Sei innamorata di lui?»
«Perché me lo chiedi adesso?» dissi aggrottando le sopracciglia, prima di addentare con noncuranza il mio panino.
«Stamattina non mi sembrava il caso.» disse, senza un minimo di delicatezza. «Visto che eri una fontana vivente e che venti minuti dopo ti abbiamo ritrovata coperta di sangue da capo a piedi.»
La studiai per un attimo. Sembrava strana e decisamente calma nel parlare di questo argomento. Nemmeno Matt sembrava convinto dalla situazione e disse: «Perché lo stai chiedendo, Rose...», proprio nel momento in cui anche parlavo.
«Non voglio parlare di William.» replicai mentre l'immagine di lui disteso a terra nella sua pozza di sangue mi riempiva di nuovo la mente e mi faceva rabbrividire.
«Lo sto chiedendo perché credo che lei provi qualcosa per lui.» disse subito a Matt.
«Non è vero.» dissi, forse un po' troppo in fretta. «E a dire il vero più che parlare di lui, in questo momento mi interessa più capire perché tu me ne stia parlando così tranquillamente...»
«Perché il suo comportamento non mi convince.» disse. «Prima ti fa piangere come una fontana dicendoti chissà quali cose poi dopo ti dice di scappare. Questo è chiaramente tradimento alla corona.»
Lo avevo pensato anche io, ma non mi ero mai fermata a cercare di darmi delle risposte. Non volevo pensare a lui, nemmeno un questo momento. Feci per dirlo a Rose, ma lei mi interruppe.
«E quindi sono qui a chiederti se c'è qualcosa fra di voi.» disse, continuando a fare come se quell'argomento fosse la cosa più normale del mondo.
«Non c'è nulla fra di noi.» dissi, guardandola intensamente. «Lo ha ben chiarito stamattina ed io me ne sono fatta una ragione, non che ne fossi innamorata prima che avesse la bella idea di farsi trovare a parlare con Weston della loro allegra e bella famigliola.»
«Sono contenta di sentirlo.» disse poi, mentre Matt continuava a guardarla stranito. «Che cosa c'è Matt?»
«Niente.» rispose lui. «E scusami Eve se te lo chiedo, ma quel sangue che avevi addosso era di William?»
Almeno lui sembrava il solito di sempre. Mi ritrovai ad annuire, mentre rabbrividivo al ricordo del suo sangue che mi ricopriva quasi ogni centimetro di pelle.
«Sì, e secondo me è un miracolo che sia ancora vivo» dissi. «Sempre che lo sia ancora. Aveva una profonda ferita al petto e non riesco nemmeno ad immaginare quanto sangue abbia perso... Aveva la febbre era pallido e prima che riuscissi a svegliarlo sembrava morto...»
«Lo hai guarito, per caso?» chiese Rose, un po' più bruscamente di quanto avrebbe fatto prima.
«Certo, mica potevo lasciarlo lì a morire!» dissi quasi incredula che me lo avesse chiesto. «Ma non sono riuscita a guarirlo del tutto: solo a fermare l'emorragia... Non so nemmeno se quella specie di incantesimo abbia retto...»
«Beh, nessun guaritore normale credo che avesse potuto fare meglio di quanto tu abbia fatto. Certe ferite, quelle gravi, non si riescono a guarire con la magia. È un miracolo che tu sia riuscita a guarirlo con i tuoi poteri visto tutto il sangue che c'era in giro...»
«Miracolo da Figli del Sole.» commentò Rose, facendo annuire Matt.
Cadde il silenzio per un po' ed io non potei non pensare a Will. Ce l'aveva fatta? Era ancora vivo? La sua voce continuava a rimbombarmi nelle orecchie e non poterono ritornarmi in mente anche quello che aveva detto quando mi aveva chiamato Juliet.
«Posso chiedervi una cosa?» gli dissi ad entrambi. «Conoscete qualche Juliet?»
Sia Matt che Rose corrugarono la fronte, riscuotendo si dai loro pensieri. Gli rivolsi un'occhiata speranzosa, mentre però entrambi scuotevano la testa.
«No, non che io mi ricordi, perché?» mi chiese Matt.
«Quando sono riuscita a svegliarlo, William delirava. Mi aveva scambiato per una certa Juliet, sembrava essere innamorato di questa ragazza...»
Si rivolsero un'occhiata interrogativa, ma ritornarono un'altra volta a scuotermi la testa.
«Non sei gelosa, vero?» mi chiese Rose, sorseggiando il suo tè.
«Rose, smettila.» disse subito Matt.
«No, Rose.» feci invece io, sospirando per l'esasperazione. «Non ne sono innamorata.»
***
Mentre l'aereo si alzava in volo, rimasi attaccata per tutto il tempo al finestrino. Salutare così l'America, quella che era stata la mia casa per diciassette anni della mia vita, era una cosa molto malinconica.
Con la musica nelle orecchie, rimasi a guardare Boston farsi sempre più piccola sotto di me. Chissà come avrebbero reagito l'indomani gli Spencer quando non mi avrebbero ritrovata nel letto. Chissà come avrebbe gestito la situazione Shaun.
Sorrisi all'idea che gli Spencer dovessero rispondere alla mia fuga improvvisa da casa loro. Forse non avrebbero nemmeno visto i soldi che gli aspettavano per avermi ospitata in quei quattro mesi.
Sarebbe stato un viaggio davvero lungo, così, mentre l'aereo cominciava ad attraversare l'oceano, cercai di addormentarmi un po'. Avevo sempre desiderato visitare l'Italia, ma sicuramente non in circostanze come queste. Magari sarei riuscita a convincere il signor Davis a farmi fare un giro per la città eterna.
Quando chiusi le palpebre, però, vidi solo gli occhi color oro di William. Forse aveva già incontrato quella Nyves, forse aveva già detto al padre tutte le cose che aveva scoperto su di me.
Non so per quanto rimasi ad osservare il colore dei suoi occhi che brillava nelle mie palpebre chiuse, prima di vorticare nel buio.
***
Mi ritrovavo in una stanza completamente di legno, priva di finestre. Mi guardai attorno, accorgendomi di lui troppo tardi.
Will era sdraiato sul letto, con la schiena appoggiata contro la testiera, a scrivere una lettera appoggiandosi alle sue ginocchia.
Vidi che il suo petto era circondato da una fasciatura bianca stretta, segno del fatto che dei guaritori lo avessero finalmente curato. I suoi capelli erano scompigliati, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno. Le guance avevano ripreso un po' di colore dall'ultima volta che lo avevo visto, cinereo e pallido. Mentre scriveva così sulla carta, guardando in basso, sembrava che le sue lunghe ciglia riuscissero ad arrivare a toccare i suoi zigomi affilati.
«William.» lo chiamai, cercando di attirare la sua attenzione.
Lo guardai speranzosa nel fatto che si accorgesse di me, che alzasse lo sguardo e mi vedesse, sorridendomi come se le parole che mi tormentavano non fossero mai uscite dalle sue labbra. Ma lui continuò a scrivere, passandosi ogni tanto una mano nei capelli.
E allora mi resi conto di potermi muovere nella stanza, cosa che non avevo mai fatto di mia spontanea volontà in una di quelle visioni. Perché sapevo che quello non era solo un sogno. Tutto era troppo nitido per esserlo. Sembrava tutto troppo reale.
Mi avvicinai a lui, sedendomi ci di fianco nel letto e sentendolo così vicino che per poco non mi sembrò di essere davvero lì con lui, di poterlo toccare e di poterlo baciare, facendo finta che fossimo solo due normalissimi ragazzi come quella volta che avevamo riso insieme nella mia camera, dopo che Bella era uscita dalla mia camera.
Alzai una mano per toccargli la guancia, ma non ci riuscii. La mia mano, come se fosse fatta di aria colorata, trapassò la sua pelle, così mi limitai a sfiorarla. Rimasi quasi stupita nel vederlo alzare la mano, corrugare la fronte e sfiorare la sua guancia proprio come stavo facendo io. Sembrava quasi che lui potesse sentirmi. Allungai lo sguardo sulla lettera che stava scrivendo.
Cara Cecily,
so bene che se scrivo a nostro padre e tu sei con lui e non ricevi anche tu una lettera da parte mia, ti arrabbi con me e cominci a strillare non appena mi vedi. Perciò ecco qui il tuo fratello più grande a scriverti una lunga lettera. Ci vedremo fra poche settimane, ma so che sei molto impaziente di sentire notizie di come ho cercato di avvicinarmi all'ultimo sole e sopratutto, di come ho cercato di venire ferito per la gioia di nostro padre.
Entrambi siamo cresciuti con sentire le storie di quanto sia grande, potente, maestoso e regale l'ultimo sole. E dalle numerose illustrazioni abbiamo sempre visto - o almeno io e Weston lo abbiamo sempre notato - quanto sia bella, delicata, guerriera e senza scrupoli.
Beh, bella lo è davvero, questo devo ammetterlo. Credo che - ora so che sarai felice di ricevere qualche gossip dal tuo fratellone - tutti i ragazzi di Elyria cadrebbero ai suoi piedi. Weston pure, anche se poi l'ha tradita con una normalissima ragazza Umana. Non dirgli che te l'ho detto sennò mi fa fuori, prima lui poi nostro padre. Riguardo alle altre caratteristiche, non potrebbe essere più diversa da come la descrivono. Delicatezza in primis. Non credo di aver mai visto una ragazza meno delicata in vita mia. Te lo giuro, nemmeno Gwen.
È molto divertente, sì quello sì, ma almeno per il momento è tutto fuori che guerriera e senza scrupoli. È molto intelligente però.
In effetti siete molto simili, anche se tu sei la persona più delicata e composta che io conosca. Siete però entrambe testarde, sicuramente litighereste dopo appena venti minuti dopo che vi siete incontrate.
Però, tutto questo non ha importanza, visto che fra poco non sarà più nemmeno lei.
Sicuramente la domanda che ti passa per la testa è: sei riuscito a farla innamorare di te?
Non lo so, è adesso non so se riusciremo a scoprirlo, visto quello che è successo con i Ribelli non credo che potrò ritornare in quel mondo tanto presto, non trovi?
E tu come stai lì a Steros? Ti sei abituata al freddo?
Ci vediamo fra poco Cece, ti aspetto a casa,
Will
Sorrisi quando lessi la lettera. William mi aveva descritta in poche parole come un'imbranata, ma andava bene lo stesso.
Will richiuse la lettera, la tenne sospesa con una mano e con l'altra evocò dell'acqua che la circondò. Rimasi stupita quando vidi la pergamena evaporare nell'aria come aveva fatto l'acqua.
«Evelyn.»
Sentii la voce di Rose chiamarmi, ma io non volevo svegliarmi. Volevo rimanere lì con lui un altro po', anche se non potevo né parlargli né toccarlo.
«Evelyn...»
L'immagine di Will sfocò nella mia mente ed io mi ritrovai ad aprire lentamente gli occhi, ritrovandomi l'aereo pieno di luce. Non capii bene che cosa stesse succedendo, mentre sentivo le persone muoversi nell'aereo.
«Davvero, sono stupita dalla tua capacità di dormire interrottamente per otto ore e quaranta di aereo.» mi disse la voce di Rose, mentre posavo lo sguardo su di lei. «Siamo arrivati. Benvenuta in Italia, Eve.»
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