Capitolo 26 • Non sono una principessa
C A P I T O L O X V I
~
• N o n s o n o u n a p r i n c i p e s s a •
«Hai combinato un casino, Will.» la mattina successiva alla nostra partenza, Gwen entrò nella mia cabina con una busta sigillata dall'aspetto molto pesante.
Non ebbi reazioni particolari: era stata solo questione di ore prima che qualche funzionario del regno o addirittura mio padre stesso mi mandasse una lettera per informarmi riguardo a quello che era accaduto. L'unica cosa che non sapevano e che mai avrebbero dovuto scoprire era che era stata colpa mia se Rose Ward era riuscita a scappare.
Verso le due di quella notte, Shaun Spencer mi aveva inviato un messaggio assicurandomi che la missione era andata a buon fine. Naturalmente, non si era risparmiato di dirmi come avrei potuto saldare il mio debito, nella stessa Fyreris.
«Non ho tempo per pentirmi Gwen.» ribattei stiracchiandomi.
Mi trovavo seduto su una poltrona a leggere uno dei tomi sull'arte della guerra che mio padre mi aveva comprato per il mio ventesimo compleanno e presto fui raggiunto da Gwen, che si sedette sul bracciolo di velluto rosso, lanciandomi in grembo la busta.
«Non la leggerò adesso.» dissi in fretta, non trovando dentro di me la voglia di farlo.
«Problemi tuoi.» scrollò le spalle.
Quel giorno aveva i capelli raccolti in una coda alta, ancora umida a causa della doccia che aveva appena fatto. Aveva addosso un vestito leggero color rosa cipria, anche se in mezzo al mare le correnti cominciavano a diventare fredde. Nel giro di poche settimane l'intero Regno di Elyria sarebbe stato investito da una grande ondata di freddo, anche se comunque posti come il sud di Kylien e l'Altopiano del Fuoco ne avrebbero risentito di meno.
«Oggi hai intenzione di passare tutta la giornata qui dentro?» chiese con sguardo severo. «Proprio come ieri? Ci metteremo due settimane piene ad arrivare a Fyreris, Will, potremo fare qualcosa di utile!»
«Che cosa consideri utile da fare in una barca? Non c'è nulla, Gwen. Possiamo parlare, leggere, dormire...»
«Sei noioso.» sbuffò lei, alzandosi dalla poltroncina, sbattendosi le mani sulle guance e buttandosi di peso sul mio comodo letto.
«I viaggi nel mondo degli Umani sono meglio.» ribattei, sospirando. «Lì esistono cellulari con bella musica da ascoltare, mezzi di trasporto che ti fanno durare il viaggio al massimo un giorno, tecnologie di ogni tipo...»
«Non credo che il mondo degli Umani sia così figo Will.» sbuffò lei, rannicchiandosi abbracciando un cuscino e appoggiandovi la guancia.
«Credimi Gwen, mi stupisce il fatto che tu non muoia dalla voglia di vederlo. È pieno di cose che ti piacerebbero. Forse, un giorno ti ci potrò portare...»
«Sempre che tuo padre te lo permetta.»
«Un giorno sarò re. Non dovrò più seguire gli ordini di nessuno.» non appena pronunciai queste parole, una strana scarica mi percorse la mano sinistra, quella con cui non stavo tenendo il libro.
Cercai di non fare smorfie particolari: ormai erano tre giorni che avevo quelle scosse. Da quando ero svenuto nel bel mezzo di Ilyros, il braccio sinistro veniva percorso da scariche di freddo. Mi stava succedendo qualcosa, me lo sentivo, ma stavo cercando di tenere questo problema per me. Ero quasi sicuro che centrasse qualcosa con la profezia e su quello che aveva scoperto Juliet. Contrassi le dita involontariamente, per cercare di limitare il dolore che quella scossa di freddo mi aveva causato.
«Cos'hai alla mano?» Gwen però se ne accorse, raddrizzandosi e guardandomi con occhi severi. «E non dire che non è niente perché mi sono accorta che continui a contrarla in modo strano. Non è normale quello che ti sta succedendo...»
«Gwen tranquilla non...» non feci in tempo a finire la frase che lei si alzò di scatto, afferrandomi subito la mano e ritraendola di colpo.
«Sei congelato William!» esclamò con la bocca aperta, guardandomi come se fosse colpa mia. «Di nuovo! Non è normale e tu lo sai: nessun Dominus dell'Acqua è nato con il potere di controllare il ghiaccio!»
«Non è un problema che ci debba riguardare adesso, Gwen.» replicai fermamente, ritraendo la mano fredda dentro la manica della maglione nero che avevo indosso. «Abbiamo troppo a cui pensare e sicuramente noi due da soli non riusciremmo a trovare una risposta a questa stranezza.»
«Come puoi considerarla solo una stranezza?» ribatté incredula. «Ti vorrei ricordare che sei svenuto l'altra sera. Eri freddo come un morto Will!»
«Sono vivo, sto bene e finché non ci sarà davvero da preoccuparsi, è inutile farlo.» chiusi l'argomento. «Non parliamone più Gwen. Adesso... che cos'è che avevi intenzione di fare?»
«Sei irrecuperabile Will!» sbuffò sonoramente, con il tono incredulo ed esasperato tipico di chi parlava con chi non lo voleva ascoltare.
Mossi ancora la mano dentro la manica del maglione, non potendo comunque mentire a me stesso: quella scossa era stata più forte delle precedenti. Sapevo che c'era qualcosa che non andava, non c'era bisogno che me lo dicesse Gwen. Mi alzai dalla poltrona, deciso a distrarci da quel problema.
«Dai andiamo a prendere un po' d'aria.»
***
Eravamo arrivati nel porto di Estis poco meno settimana dopo, e da lì avevano dovuto proseguire a cavallo per altri sei giorni, accompagnati da un piccolo gruppo di guardie. Avevo lottato per far sì che non ci seguisse un corteo di dieci guardie, che avrebbe solo attirato attenzione. Nonostante mio padre avesse dato l'ordine di farmi accompagnare solo da tre o quattro guardie, tutti i soldati che ci avevano accompagnati in nave, avevano smaniato per essere portati con noi a Fyreris.
Erano passati davvero molti anni dall'ultima volta che avevo attraversato l'Altopiano del Fuoco. Ci ero stato quattro o cinque volte, e tutte esclusivamente per accompagnare mio padre in visita alla famiglia Blain, quella reggente di Pyros. Lungo il viaggio di solito ci fermavamo in importanti città come Flamares, ma quella volta avevamo dovuto rimanere più discreto. Le notti che avevano trascorso nell'altopiano, le avevamo passate in remote taverne lontane dalla strada principale.
All'alba di un grigio lunedì annuvolato, le mura della grande città di Fyreris ci furono davanti. Tirai un sospiro di sollievo: finalmente quel viaggio era finito. Al mio fianco, Gwen sospirò emozionata: «È sempre stata una delle mie città preferite. Non mi dispiacerà affatto passare qui un po' di tempo.». Proseguimmo fino alla grande entrata della città, dove per fortuna non trovammo un corteo ad accoglierci: era meglio limitare qualsiasi convenevole inutile per destare meno attenzione sulla mia presenza in città. Anche se avevo pochi dubbi sul fatto che presto o tardi la voce sul mio arrivo si sarebbe diffusa in tutta Fyreris.
«Da questo momento potete andare.» congedai le guardie con tono autoritario. «Saremo al sicuro dentro la città: non c'è motivo che rimaniate con noi, attirereste troppa attenzione.»
Loro non replicarono e, congedandosi con parole di augurio e di rispetto, fecero dietrofront e uscirono nuovamente dall'entrata alla città, dirigendosi di nuovo verso l'imbarcazione reale ormeggiata ad Estis che li avrebbe riportati indietro fino ad Ilyros.
«E adesso che si fa?» fece Gwen scendendo da cavallo e guardandosi attorno, trovando la piazza dell'entrata in città quasi deserta. «Allora cosa vuoi fare per prima cosa? Seguire od infrangere gli ordini di tuo padre?»
«Smettila.» le dissi subito, scendendo da cavallo a mia volta. «Dobbiamo lasciare questi cavalli nella stalla.»
Gwen annuì, rimanendo in silenzio, e cominciò a dirigersi verso l'enorme stalla interna alla città, che si trovava proprio in quella piazza, sulla nostra destra. La seguii immediatamente, tenendo strette le redini del cavallo che mi aveva portato fino a qui. Fortunatamente entrambi i cavalli erano natii della regione del fuoco, così gli stallieri li avrebbero accettati più volentieri dalle mani di Gwen. Non sarei entrato nella stalla: meno gente mi vedeva meglio era.
A pochi metri dall'entrata di quella costruzione di legno chiaro, fuori dalla quale si vedevano già quattro o cinque cavalli di qualsiasi manto, porsi le redini del mio cavallo alla mia amica, che procedette fino alla porta, alla quale bussò. Io nel frattempo mi andai a sedere in una panchina a ridosso delle mura nere, sentendomi lo sguardo delle guardie dell'ingresso della città addosso, nonostante sapessi che quelle avessero ricevuto l'ordine di non divulgare la notizia della mia presenza in città. Non che sarebbe servito a molto: sicuramente presto tutti lo avrebbero saputo.
Non appena abbandonai la schiena contro le mura nere, mi misi a guardare la strada principale che partiva da quella piazza e che si immergeva nel vivo del Quartiere di Saturno, nel quale ci trovavamo in quel momento. Quel quartiere era uno dei pochi ad essere ancora completamente pianeggiante: la maggior parte della città si sviluppava sui versanti più o meno ripidi della Montagna Rossa. Come ogni Dominus dell'Acqua che mettesse piede nell'Altopiano del Fuoco, mi sentivo in qualche modo potente: il mio elemento vinceva quello del fuoco.
«Rivelate le vostre identità.» la voce di una delle guardie all'ingresso attirò la mia attenzione.
Subito mi girai verso l'ingresso della città, vagamente curioso: erano davvero pochi quelli che entravano nelle città all'alba del mattino. Da quella posizione non riuscivo a vedere i Domini che chiedevano di entrare a Fyreris: riuscivo solo a vedere le guardie. Io, visto che ero il principe ereditario del regno, ero esentato dal controllo sempre più fitto che mio padre stava imponendo agli ingressi e alle uscite dalle città, ma praticamente chiunque non fosse membro di famiglie reggenti o della famiglia reale stessa doveva rivelare la propria identità e offrire un valido motivo per entrare.
«Sono Lord Karlsen, ex comandante della Legione Biancospino, e lui, Isaac Podmore, è uno dei braccianti dei miei possedimenti nel feudo di Terona. Sono qui per riscuotere un debito riguardo alla vendita di una delle mie terre.»
Alzai subito le sopracciglia, non riuscendo a non spalancare la bocca per lo stupore. Elias Karlsen chiedeva di entrare a Fyreris? Alle cinque del mattino e proprio nel momento in cui anche io arrivavo in città? Mi alzai di scatto dalla panchina, preso completamente alla sprovvista: dall'ultima volta che avevo sentito parlare di Karlsen erano passati anni.
Elias Karlsen era stato membro del Consiglio del Re e ne faceva ancora parte quando io avevo cominciato a seguire le riunioni. Il suo viso severo e burbero era ancora ben impresso nella mia mente. Prima che mio padre lo allontanasse da corte, dichiarando pubblicamente che ormai aveva svolto il suo lavoro e che aveva il permesso di ritirarsi a vita privata, lo vedevo sempre fra i corridoi della Reggia Azzurra, vestito nella sua armatura da generale di legione.
Non potevo scordarmi di come lui avesse cercato di aiutarmi, in alcuni periodi della mia vita: lui erano uno dei pochi a sapere sempre quello che succedeva, sembrava avere un altro paio di occhi. L'anche solo immaginare quell'uomo, che da piccolo mi sembrava incutere timore, un latifondista mi faceva quasi scoppiare a ridere. Mentre sentivo Gwen ritornare quasi saltellando, mi scoprii a non volere che quell'uomo ci vedesse.
«Lord Karlsen? Non sarete mica uno degli ex membri del Consiglio del Re?» fece l'altra guardia quasi entusiasta, ottenendo uno sguardo severo da quella che aveva parlato prima.
«Ora sono solo un uomo comune.» replicò Lord Karlsen. «Un uomo come altri che chiede di entrare nella città nera.»
«Allora dove andiamo?» Gwen parlò a voce fin troppo alta per i miei gusti.
Mi ritrovai a girarmi velocemente verso di lei, zittendola e afferrandole una mano. In fretta, guardandomi indietro verso le guardie, cominciai a trascinarla più nell'ombra, di fianco alla stalla dove aveva appena lasciato i cavalli. Da lì avremmo potuto tenere sotto occhio la situazione e avremmo potuto capire quando uscire senza il pericolo che vedesse la nostra faccia. Non avevo voglia di dover affrontare quell'uomo in quel momento.
«Ei ma che stai facendo...?» esclamò Gwen dopo un paio di passi che avevamo percorso.
«Stai zitta.» mi limitai a dire, trascinandola nell'oscurità e girandomi di nuovo verso l'ingresso della città non appena ci fermammo di fianco alla stalla.
«Isaac Podmore? Non ho mai sentito questo nome, ma non dovrei stupirmi, lei è solo un povero bracciante. Lord Karlsen, non c'è motivo per cui non possiate entrare in città: sarete il benvenuto dentro alla città di Fyreris.»
«Lord Karlsen?» sussurrò piano Gwen, incredula quanto me di sentire quel nome.
Mi limitai ad annuire nell'oscurità mentre Elias Karlsen entrava nella città, seguito da questo fantomatico bracciante. Non appena percorsero pochi metri, però, mi accorsi di un piccolo particolare: io conoscevo quel viso seminascosto da una cappa grigia da povero. Certo che questi controlli da parte delle guardie non erano così efficaci se un Ribelle poteva entrare così facilmente in città.
Il viso era inconfondibile: mi ricordavo di averlo visto un paio di volte durante la mia permanenza a Boston. I tratti erano inconfondibilmente simili a quelli del figlio e anche da quella distanza non potevo non riconoscerlo: era Elwyn Davis il bracciante che si faceva chiamare Isacc Podmore. Che cavolo ci faceva uno dei comandanti dei Ribelli assieme ad un ex consigliere che in teoria aveva giurato piena fedeltà alla corona?
I due erano a cavallo, ma fortunatamente non li lasciarono nella stalla come invece avevamo fatto noi: ma entrarono nella strada principale, diretti chissà dove. Solo dopo un po' di minuti, durante i quali ci assicurammo di poter uscire allo scoperto senza il pericolo di incontrarli faccia a faccia, Gwen parlò, lentamente: «Il consigliere Karlsen... Non lo vedevo da così tanto tempo...»
Deglutii senza rispondere, cercando di dare un senso a quello che avevo appena visto. Non mi venivano in mente altre spiegazioni possibili riguardo al perché Karlsen si trovasse con Elwyn Davis se non quella che sembrava urlarmi che il vecchio consigliere era un ribelle. Ma da quanto? Da quanto Elias Karlsen intratteneva rapporti con ribelli e li aiutava ad infiltrarsi in uno dei capoluoghi del regno?
«Perché ci siamo nascosti Will?» chiese piano lei, ancora sussurrando per non so quale ragione.
«Credimi, ho fatto bene a seguire il mio istinto Gwen.» mi limitai a replicare in un primo momento, appoggiandomi al muro di legno della stalla. «O forse no, visto che adesso il mio dovere da principe mi dovrebbe obbligare a rincorrerli per fermarli e per catturarli.»
«Che cosa intendi dire?»
«Lord Karlsen era con uno dei comandanti dei Ribelli, Gwen. Era con il Comandante Davis, il padre di Matt.»
Seguì per un po' il silenzio. Io mi sentivo la persona più traditrice di tutto il regno. Ma che cosa mi stava succedendo? Perché tutto quello che facevo era contro il mio obbiettivo di fermare l'organizzazione che minacciava il mio stesso regno, la mia stessa corona? La frase che Gwen disse poco dopo, riassumeva tutto quello che stavo provando in quel momento: «Dei Will, ma che stiamo facendo?».
***
«Potremmo finire al ceppo Will. Potresti perdere il tuo futuro continuando a fare così...» dieci minuti dopo, Gwen stava ancora cercando di capire il mio comportamento. «Gli obbiettivi generali dei Ribelli potrebbero sembrare onorevoli, oggettivamente parlando, ma vorrei ricordarti che vogliono spodestare la tua famiglia dal comando di Elyria...»
«I Ribelli sono una minaccia per tutto il popolo.» risposi fermamente e sinceramente. «Stanno minacciando seriamente la pace del regno: non mi stupirei se tra poco mio padre dichiarasse aperta una vera e propria guerra civile...»
«E su questo sono d'accordo con te.» ribatté quasi esasperata. «Ma allora perché non hai catturato uno dei Domini a capo dei Ribelli? Hai idea di che enorme passo avanti sarebbe stato nella guerra contro di loro? Fai ancora in tempo a denunciarlo alle autorità, Will...»
«Ah sì?» ribattei quasi incredulo per quella domanda. «E che cosa dovrei dirgli? "Scusate, c'è uno dei ribelli più importanti e pericolosi all'interno della città, ma sono stato troppo indeciso sulla sua cattura e me lo sono fatto scappare. Ah sì, dimenticavo: vi do l'ordine di non dire a nessuno che io l'ho visto...". Ma per favore Gwen, che cavolo di idea darei di me? Mio padre lo verrebbe comunque a sapere. E so cosa stai pensando, ma se ci andassi tu da sola comunque mio padre verrebbe a sapere che l'ho visto anche io. È improponibile Gwen.»
«Ma perché non l'hai catturato? Perché?»
«Non lo so.» risposi sinceramente. «Ma se Elwyn Davis era con lui, significa che probabilmente anche Lord Karlsen era a Brennan: Matt si trovava in quel paese, ricordi? Perché due latitanti di Brennan dovrebbero recarsi a Fyreris?»
Le risposte a queste domande rimasero sospese nell'aria mentre ci inoltravamo sempre di più nel Quartiere di Saturno. Ignorai il commento di Gwen, cercando di concentrarmi sul caldo e comodo letto che mi aspettava a destinazione: «Allora alla fine hai deciso di infrangere gli ordini di tuo padre. Andando anche contro la legge stessa. Questa volta ti sei proprio superato Will.»
Mano a mano che procedevamo nella città, sempre più finestre si accendevano: Fyreris stava cominciando a svegliarsi e i primi Domini si stavano preparando ad andare a lavoro. Superammo anche diverse piazze, piene di bancarelle coperte con dei teli che aspettavano solamente i propri proprietari per dar via ai numerosi mercati che vivacizzavano le mattine di qualsiasi paese o città che fosse.
Decidemmo di comune accordo di fermarci a fare una specie di colazione in una taverna, visto che non ci sembrava il caso di presentarci alle sei di mattina davanti al grande portone dorato. Entrammo nella prima che trovammo, che si chiamava Taverna del Gioiello della Sera. Era praticamente vuota, fuorché alcuni Domini di mezz'età troppo ubriachi che si erano addormentati sui tavoli e la giovane signora che faceva da cameriera, intenta ad asciugare dei bicchieri.
Dopo aver ricevuto sguardi ammirati e increduli dalla Dominus, eravamo riusciti ad ordinare la colazione. Ci sedemmo in un tavolo appartato in uno degli angoli della piccola taverna. Mangiammo e bevemmo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri e circa un'ora e mezza dopo uscimmo dalla taverna, calcolando che comunque non ci avremmo messo meno di mezz'ora prima di arrivare a destinazione.
Quando uscimmo, ci trovammo davanti una città decisamente diversa: la vita quotidiana dei Domini fyreriani era cominciata e le strade si stavano già popolando delle centinaia di persone che si dirigevano a lavoro e delle decine e decine di bambini che raggiungevano la propria scuola. Giustamente, se avessi voluto davvero tenere celata la mia presenza in città, me ne sarei fregato dell'orario e avrei raggiunto la nostra destinazione quando ancora le strade erano deserte.
Ma comunque ormai il danno era fatto e non ci rimaneva altro che scegliere strade secondarie da percorrere, cercando di limitare le persone che avrebbero visto la mia faccia. Dopo aver attraversato non meno di quattro quartieri della città, raggiungemmo la nostra destinazione, nel nord-ovest dell'immensa Fyreris. Avevamo anche attraversato il meraviglioso fiume Lavaeris, presso il quale Gwen si era divertita a lanciare dentro la lava una piccola sfera di acqua, che si era subito vaporizzata.
«Credi che succederebbe la stessa cosa se ci buttasi dentro un po' di acqua congelata con i tuoi strani poteri?» non aveva potuto fare a meno di commentare.
Non appena i grandi muri neri e dorati ci furono davanti, non potei fare a meno di notare che ogni volta che vedevo la Rocca Nera mi sembrava sempre più maestosa. Certo, non aveva nulla a che fare con la grandiosità della spettacolare Reggia Azzurra, ma il contrasto che il fondo nero aveva con i ricami color oro era mozzafiato.
Non appena le guardie dell'ingresso ci videro arrivare, si inchinarono e fecero per suonare le enormi trombe che avevano con loro. Per fortuna agii in fretta, dicendo fermamente: «Vi ringrazio, ma non c'è alcun bisogno di annunciare la nostra presenza, lord...». Così, evitando per un pelo di annunciare a tutta la città il mio arrivo, varcammo la prima cinta muraria, entrando nel cortile che ospitava l'immenso portone dorato. Raggiungemmo le guardie che presidiavano l'ingresso effettivo al castello camminando lentamente.
«Vostra altezza.» non appena salimmo gli scalini, quelle guardie si inchinarono in fretta, prima di rialzarsi. «Lord Blain è stato avvertito del vostro arrivo, a momenti dovrebbe essere qui.»
Mio padre si era assicurato che durante quelle settimane dormissimo ospiti della famiglia reggente di Pyros, dichiarando che mai un erede avrebbe dovuto soggiornare in posti che non fossero adatti a un reale. E perciò in quel momento io e Gwen stavamo aspettando che il reggente ci ricevesse. Dovemmo aspettare davvero poco: nel giro di qualche minuto il portone sì aprì, rivelando il reggente e sua moglie.
S'inchinarono al mio cospetto, mantenendo il capo chino in segno di rispetto. Decisamente dovevo riabituarmi al fatto che ogni singola persona del regno s'inchinasse alla mia vista: un mese era decisamente poco per contrastare anni interi in cui le persone sconosciute al massimo mi riservavano un'occhiata per il mio bell'aspetto.
«Vostra altezza, è un'onore potervi ospitare.» mi accolse Lord Blain non appena si raddrizzò.
Lord Blain era un uomo sulla sessantina con ordinati capelli biondi, chiarissimi. Era sempre stato un bell'uomo, ma dovevo ammettere che era davvero cambiato dall'ultima volta che lo avevo visto: le rughe cominciavano a vedersi e la barba lunga gli conferiva un aspetto decisamente diverso. Loreline Blain, invece, era sempre una bella donna dall'aspetto giovanile. Aveva circa una quindicina di anni in meno del marito e si trattava della sua seconda moglie, madre dei sui ultimi quattro figli. Aveva i capelli scuri e due occhi azzurri ghiaccio davvero particolari. Il reggente portava il mantello rosso bordeaux che simboleggiava la regione del fuoco e sua moglie invece un lungo abito sfarzoso dello stesso colore.
«È un onore per noi essere accolti nella vostra casa, Lord.» ribattei educatamente, mentre al mio fianco Gwen, essendo di rango minore rispetto alla famiglia Blain, s'inchinava. «Lei è Lady Gwyneth Avon, la mia accompagnatrice.»
«Onorata di fare la vostra conoscenza.» replicò la mia amica, prima che Lord Blain parlasse di nuovo.
«Allora, vorrete sicuramente raggiungere i vostri appartamenti e riposarvi. Un servitore vi accompagnerà nelle vostre stanze. I vostri effetti personali sono già stati recapitati qui due giorni fa da servitori che vi hanno preceduto nel viaggio. Troverete tutto nelle vostre stanze. Potrete usufruire della nostra ospitalità per tutto il tempo che vi occorre. Più tardi ci sarebbero alcune persone che desidererebbero incontrarvi, altezza.»
«Certo.» replicai senza dare troppo peso alla questione. «E non c'è bisogno che qualcuno mi accompagni, è la solita stanza di sempre, giusto? Al contrario Gwenyth avrebbe bisogno di qualcuno che le mostrasse il castello.»
«Non c'è problema.» ribatté Bryant Blaine. «Mia moglie potrà mostrarvi la Rocca Nera prima che vi riposiate, Lady. Così riuscirete ad orientarvi nel castello.»
«Vi ringrazio, Lord.»
«Ci vediamo dopo Gwen. Abbiamo bisogno di riposare un po', più tardi ti verrò a cercare.» mi congedai da lei, stringendole delicatamente il braccio.
Lei annuì subito, mentre Lady Blain le rivolgeva un sorriso educato. Stringendo la mano di Lord Blain, mi congedai da loro: «Vogliate scusarmi, ma è stato un viaggio lungo. Ho bisogno di recuperare un po' di energie.»
«Fate come se foste a casa vostra altezza.» ribatté l'uomo.
A quel punto, mentre Gwen cominciava a seguire Lady Blain, cercando a disagio di mantenere un comportamento decoroso, cominciai a salire l'enorme scalinata dorata di quel maestoso ingresso. Trattenni a stento un piccolo sorriso nel vedere quanto Gwen cercasse di sembrare delicata ed educata: forse stava rimpiangendo tutti gli insegnamenti che si era rifiutata di imparare dalla sua famiglia.
Nonostante fossero passati anni e anni dall'ultima volta che avevo messo piede nella Rocca Nera, ricordavo perfettamente il percorso che dovevo fare per raggiungere gli appartamenti destinati agli ospiti. Percorsi un dedalo di corridoi pieni di arazzi e di quadri, che non erano cambiati di una virgola dall'ultima volta che li avevo visti, non potendo fare a meno di osservare dalle grandi finestre d'oro la città che si stendeva attorno alla Rocca Nera. Più salivo di piano, più il panorama diventava mozzafiato.
Arrivai nell'ala destinata agli ospiti sbadigliando sonoramente: l'unica cosa che volevo in quel momento era buttarmi di peso su un letto che non avesse il materasso duro come gli ultimi cinque su cui avevo dormito. Avevo bisogno di un gran sonno ristoratore, che potesse mettere ordine nella mia testa.
«Sil? Siiiil?» non appena svoltai l'angolo del corridoio in cui si trovava la stanza a me destinata, la voce acuta di una bambina rimbombò fra le pareti nere e dorate.
Allungando lo sguardo, vidi una bambina dai capelli castani acconciati in boccoli e dal vestito sfarzoso color rosso acceso bussare insistentemente ad una porta, continuando a chiamare un certo Sil.
«Lo so che sei lì dentro. Una vera principessa non dorme fino a quest'ora!»
Sicuramente, se avesse continuato ad urlare in quel modo per un altro po', mi sarei alterato. Erano le otto di mattina, cosa c'era da urlare a così gran voce? Continuai a camminare in avanti, fermandomi solo quando la porta alla quale stava bussando la bambina si aprì.
«Non sono una principessa.»
Il mondo sembrò cadermi addosso.
Non appena la porta fu aperta del tutto, mi apparve davanti, in tutto il suo disordine mattutino. Al mio cuore mancò un battito appena la ragazza sulla soglia abbassò lo sguardo temporalesco su quella bambina determinata.
Quello doveva essere un miraggio: era impossibile che fosse lì davvero, fra le mura della casa di una delle famiglie più influenti e importanti del Regno di Elyria. No, quello era decisamente un sogno crudele.
Ma sembrava così realistico... i capelli erano arruffati, segno che quella notte non se li era legati e il viso,come sempre struccato, lasciava intendere quanto male e poco avesse dormito. La lussuosa camicia da notte che portava sembrava così inadatta per lei che mi sembrò davvero di avere una sorta di illusione.
Ero paralizzato, non riuscivo a muovermi, né a parlare per assicurarmi di stare impazzendo. Era come se tutto si stesse muovendo a rallentatore, come se gli dei volessero che non perdessi nessun particolare di quello che stava capitando.
«Ancora con questa storia?» anche la voce era la stessa e in quel momento esprimeva tutta la sua volontà di tornare nel mondo dei sogni. «Non devo imparare il galateo, né qualsiasi altro...»
Evidentemente con la coda dell'occhio si era accorta della presenza di una terza persona nel corridoio. Lasciò la frase a metà, girandosi lentamente verso la mia direzione. La sua faccia si contrasse subito in un'espressione che esprimeva tutta la sorpresa e l'incredulità che stavo provando anche io: gli occhi grigi che tanto mi affascinavano e la bocca, così soffice e carnosa, erano spalancati.
Anche la bambina si voltò in fretta, e sul suo viso apparve un'espressione strana, quasi da maestrina. Dando un buffetto sulla mano abbandonata lungo il fianco di Evelyn Lewis, chinò il capo, si afferrò la gonna e si inchinò graziosamente, accompagnando il tutto con un teatrale «Vostra altezza.». Dopo, nonostante né io né la ragazza la stessimo considerando, troppo scioccati e persi negli occhi l'uno dell'altra, si rivolse ad Evelyn con voce acuta: «Visto, così farebbe una vera principessa.»
«Principessa...» non potei fare a meno di ripetere con voce gutturale, cercando di fare ripartire il cervello in tilt.
«William?» fece piano, spostando lo sguardo sulla bambina come per assicurarsi che anche lei mi vedesse.
Decisamente, per l'ennesima, dannatissima volta, eravamo fottuti.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro