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Capitolo 23 • Joanne

C A P I T O L O X X I I I
~
• J o a n n e •

«Chi sei?»

La voce di Damian Bennett risultò minacciosa ed estremamente ferma, come sicuramente non lo sarebbe stata la mia se avessi parlato al suo posto. Automaticamente, Colton allungò un braccio, portandomi dietro di lui come per proteggermi da quella donna sola e disarmata.

Solo dopo un po' riuscii a distinguere il suo volto: era una signora di mezza età bionda, con i lineamenti morbidi e le labbra carnose. Vagamente, ebbi l'impressione di averla già incontrata, ma non proferii parola, troppo spaventata che da un momento all'altro spuntassero fuori decine di guardie che ci avrebbero catturati tutti. Portava delle vesti pesanti, per contrastare l'escursione termica che dominava paradossalmente la notte dell'Altopiano del Fuoco.

«Ve l'ho detto.» replicò con voce tagliente. «Elias Karlsen mi ha chiesto di tenere d'occhio la zona, nel caso vi fosse venuta in mente la brillante idea di venire a Fyreris. Come fate ad essere ancora vivi non lo so. Siete stati azzardati, avete messo a rischio la vita dell'ultimo sole e di tutto il Regno di Elyria.»

«Perché dovremmo fidarci di te?» replicò Matt.

«Beh, giovane Davis...» disse la donna e, se Matt non ebbe reazioni particolari, Colton mi spinse ancora più dietro di sé, bloccandomi con il braccio. «Se sei almeno un decimo intelligente come tuo padre, capirai che sarebbe impossibile per voi entrare in città senza finire uccisi, o peggio, imprigionati.»

Quella donna sembrava estremamente calma, nel parlare. Non aveva apparentemente paura di fronteggiare cinque Dominus addestrati, sembrava quasi sicura che l'avremmo ascoltata.

«Dovete decidere voi: sono disarmata e posso usare solo il mio elemento. Voi siete in cinque giovani ragazzi in piena età d'addestramento e l'arma più potente di tutto il regno. Prendere o lasciare giovani ribelli, decidete in fretta.»

Calò il silenzio. Dentro di me prendeva piede la consapevolezza che se avesse voluto attaccarci, quella donna lo avrebbe già fatto. Sicuramente, se fosse stata dalla parte del re, contro di noi, sarebbe stata accompagnata da una marea di guardie. Quella donna non voleva farci del male, lo sapevo, potevo sentirlo.

Allarmando incredibilmente Colton, feci un passo avanti, districandomi dalla sua presa e trovando un grande moto di coraggio prendere piede dentro di me.

«Verremo con te.» annunciai, suscitando subito una mole di proteste da parte dei miei compagni.

«Evelyn, torna indietro.» Colton mi afferrò per il braccio e cercò di tirarmi all'indietro.

Dovetti fare un passo indietro per evitare di cadere. Tutte le voci dei miei compagni, che cominciarono anche ad evocare palle di fuoco e di energia, si sovrapposero, ma io, decisa, urlai per sovrastarli.

«Smettetela!» urlai. «Stiamo facendo troppo casino e attireremo le persone.»

Capendo che avevo ragione, si azzittirono tutti, senza tuttavia abbassare le loro mani, tenendole sempre e comunque in direzione della donna, che ci stava ancora guardando impassibile. Cercando di ritrovare dentro me stessa quell'indole autoritaria che avevo un po' perso, mi ritrovai a parlare: «Credete davvero che se questa donna volesse imprigionarci, sarebbe venuta da sola, senz'armi?».

«Ci sono cose che non capisci, Lewis.» replicò Bennett acido, quasi tentato di lanciare quella palla d'energia contro di me.  «Non sai come funziona questo mondo, non lo capirai mai.»

Improvvisamente, senza darmi il tempo di protestare, lanciò la palla d'energia scintillante contro la donna. Pensando che non si sarebbe difesa per non so quale motivo, allungai il braccio, aprendo la mano in direzione di quella sfera che si stava dirigendo ad una velocità supersonica contro la Dominus. Agii d'impulso. Feci un gesto deciso con la mano, come se volessi deviare qualcosa e, sentendomi tutto il braccio formicolare in modo quasi doloroso, controllai la sfera d'energia di Damian Bennett e le cambiai traiettoria.

Sotto gli sguardi stupiti e increduli di tutti i Domini presenti, la sfera d'energia, diventata di uno strano color nerastro, si schiantò sul terreno, dissolvendosi in una marea di scintille viola scure. Calò il silenzio e tutti, la donna compresa, si voltarono verso di me con le bocche spalancate, dimenticandosi del confronto che stavamo avendo.

Era decisamente una cosa strana: quella palla d'energia trasformata mi aveva ricordato in modo terrificante la sera della crisi della paralisi, quando avevo rischiato di fare esplodere il bagno con William dall'altra parte della porta. Anche se era un momento davvero poco opportuno, mi veniva da ridere al solo ricordare quanto fossi stata preoccupata che Will scoprisse qualcosa sulla mia vera natura.

Per smorzare l'imbarazzo decisamente inopportuno del momento e sentendomi percorrere il braccio da scariche di energia dolorose ma sopportabili, mi ritrovai a parlare: «Non mi interessa, Bennett.» dissi con tutto l'orgoglio che potevo trovare nelle mie parole. «Io non rispondo ai tuoi ordini, sento di potermi fidare di questa donna: se davvero Karlsen le ha scritto, vuol dire che si fida di lei. Ed io mi fido di Karlsen.»

Districandomi ancora una volta dalla presa di Colton, feci un passo avanti, verso Matt, che aveva ancora un'espressione stupita in volto: «Sai quanto me Matt che potrebbe essere la nostra unica possibilità. Le guardie potrebbero passare di qui da un momento all'altro e a quel punto saremmo spacciati.» gli parlai quasi sussurrando, cercando di convincerlo. Era una cosa suicida da fare, ma il mio istinto mi diceva di fare così, di fidarmi di quella donna.

«Ho delle risposte da darvi, giovane Davis. C'è qualcuno all'interno della città che vuole vedervi, tutti quanti. Sarete al sicuro, lo giuro sugli dei.»

A quella sorta di giuramento della Dominus, vidi un'ombra strana passare per gli occhi di Matt. Sembrava stesse quasi per cedere. Vidi quasi a stento Damian afferrare per un braccio il Dominus della Terra, come per farlo ragionare: «Matt per favore, ragiona. Non tutte le persone considerano il giuramento sugli dei così importante e così serio. Possiamo trovare un altro modo per entrare nella città.». Matt rimase qualche secondo in silenzio, senza spostare lo sguardo dal mio.

«La decisione non spetta a noi.» dichiarò infine, spostando lo sguardo su quello di Damian, che intanto lo stava guardando come se fosse pazzo.

«Ci farà uccidere tutti quanti, Davis.» non potei non notare il passaggio all'uso del cognome. «Lei e i suoi poteri oscuri.»

«È la sua decisione Damian.» replicò Matt, con uno sguardo di fuoco, prima di rivolgersi a me. «È tutto nelle tue mani, Evelyn. Prendi la tua decisione.»

***

«Lo sapevo che avresti preso la decisione giusta, Evelyn Lewis.» la donna mi riservò un piccolo sorriso nel tunnel sotterraneo che stavamo percorrendo.

Per il momento il mio istinto non mi aveva ancora tradita: non c'era stata nessuna imboscata, nessun agguato, solo le lamentele continue e persistenti di Damian Bennett. Colton mi camminava praticamente addosso, con fare protettivo. Peccato che in quel tunnel ci fosse un caldo soffocante, al quale sembravano essere immuni solo la donna e Cesar. Anche io sembravo sopportarlo meglio degli altri, sopratutto di Matt e di Damian che erano praticamente sbiancati. Non potei fare a meno di chiedermi quanto più in basso scorresse il magma.

«Spero solo di non dovermi ricredere.» replicai duramente, comunque decisa a non dare troppa confidenza alla donna, che oltretutto non aveva ancora rivelato il suo nome.

«Scoprirai ben presto di non averne il motivo.»

Mi voltai a guardare i miei compagni, che erano tutti imperlati di sudore. Cesar camminava leggermente indietro, come per vivere in solitudine quel momento di ritorno nella città più vicina al suo paese.

«Dove ci stai portando?» chiesi, posando lo sguardo su Colton, che non mi sembrava messo molto meglio degli altri miei compagni.

«Nella mia casa.» rispose. «Per il momento è fuori discussione portarvi da qualsiasi altra parte. Dobbiamo organizzare ogni vostro singolo movimento all'interno della città con la massima cautela: ogni singola persona potrebbe riconoscere la tua faccia e denunciarti alla Caserma Superiore. A quel punto io e i tuoi amici moriremmo e tu saresti portata direttamente ad Ilyros.»

Mi sforzai di allontanare il pensiero, rendendomi conto che con la decisione che avevo preso poche decine di minuti prima mi ero caricata della responsabilità della vita di ogni singolo di loro. Allora, cercando di allontanare il pensiero, continuai a parlare: «Tu sembri sapere tutti i nostri nomi, ma noi non conosciamo il tuo. Chi sei? Come fai a conoscere Karlsen?»

«Karlsen ed io ci conosciamo sin da quando era a capo della Legione Biancospino. Mio marito lo conosceva bene. Quando mi ha scritto, non ho potuto dirgli di no.» rivelò, girandosi a guardare Matt. «Sono stata una ribelle.»

«Quel "sono stata" non è... non è molto convincente.» replicò Matt facendo uno sforzo per affiancarci e per partecipare alla conversazione.

«Dopo il Grande Esilio non ho più avuto contatti con l'Ordine, Davis. Perseguo sempre gli obbiettivi dei ribelli, nel mio piccolo. Ma capirai che non ho potuto fare più di tanto. Non potevo lasciare questo mondo per un altro, non potevo e basta. Non sono stata l'unica ad aver preso questa decisione.»

«Qual è il tuo nome?» chiese in fretta.

«Joanne Allen.» rispose senza problemi.

Matt non replicò, come se fosse impegnato a cercare nei meandri della sua memoria in cerca di qualche nome familiare. Io d'altro canto, non ebbi reazioni particolari, non conoscevo quel nome, ne ero sicura. Ripresi il discorso solo quando mi ricordai che era già metà novembre: avevamo solo un mese e mezzo per fermare questa Caduta, della quale per fortuna si erano arrestati i sintomi. Ormai potevo esserne sicura visto che era più di una settimana che non avevo crisi.

«Hai un piano?» le chiesi subito, provando un'irrefrenabile fretta di fare qualcosa.

«Sì, ho un piano. So chi potrebbe aiutarci, anzi è proprio la persona che desidera parlare con voi. Ma ci vuole tempo, deve aspettare qualcosa. Non so nemmeno io che cosa, ma posso assicurarvi che è affidabile. Lui saprà che cosa fare. Elias mi ha scritto che hai appreso le basi sufficienti per gli elementi dell'aria e della terra, giusto? Dobbiamo procedere con gli altri due.»

«Sul fuoco ci sto già lavorando.» borbottai, sentendomi vagamente in colpa nel non dirle quale fosse la mia reale situazione riguardo a quell'elemento.

«Allora il problema rimane l'acqua.» disse quasi fra se stessa.

«Sì, l'acqua, il ritrovamento di una delle Vie del Sole, un sacerdote disposto a rischiare la vita, l'arrivare viva e libera alla fine di tutto questo... Il tutto in meno di un mese e mezzo. Facilissimo dire.» commentai sarcastica.

La donna si limitò a girare la testa verso di me, guardandomi in modo strano ma senza dire nulla. Dopo un'infinità di tempo, ci ritrovammo davanti ad un grande portone di legno scuro. Mi fermai a pochi metri dalla porta, rimanendo ad osservare Joanne raggiungerla e girarsi verso di noi con la mano sulla maniglia.

«Nessuno entra ed esce da questa abitazione. Chi non se la sente può ripercorrere questo percorso a ritroso e ritrovarsi esattamente fuori dalle mura. Da questo momento dovrete seguire quello che vi dirò, per il mio e per il vostro bene. Non conoscete la città nera come la conosco io: qualsiasi passo falso potrebbe mettere seriamente in pericolo la vita degli altri. Perciò, se non vi ritenete così disponibili, abbiate il coraggio di fare un passo indietro.» esordì, con la voce che rimbombò in tutto l'infinito tunnel. «Ci troviamo sulla Montagna Rossa, lontani dal centro di Fyrersis, ma ciò non ci rende meno sicuri. Avete preso la vostra decisione dunque. Benvenuti.»

***

Sembrava una sorta di albergo. La casa di Joanne era gigantesca, come quella di una persona ricca. Si trattava di una delle case-caverne scavate nella pendice del vulcano e stranamente non faceva quel caldo soffocante che avevamo trovato nel tunnel. In quella casa, visto che da quello che avevo capito era una delle più costose di quel quartiere, c'erano anche straordinariamente le finestre, sul lato della casa che dava sulla grandissima città di Fyreris.

Avevo una marea di domanda in testa, a partire dal perché quella donna avesse un tunnel che percorreva mezza città scavato sotto casa. Che cosa se ne faceva? Le era servito in passato per qualcosa? E perché viveva in una casa così grande da sola? Suo marito era morto?

Non appena mettemmo piede nell'ingresso, due piani più sopra, ci disse dove avremmo potuto riposare e darci una lavata. Quell'ultima espressione mi sembrava ancora impossibile da immaginare. Finalmente potevo farmi una doccia, potevo lavare tutto quello strato di fango che mi ricopriva il corpo da capo a piedi. Io e Frida avemmo camere diverse, ognuna la propria, mentre i maschi dovettero dividersi in coppie e dormire nelle uniche due stanze rimaste.

Io avevo la camera in soffitta, la camera più grande ma anche più nascosta da sguardi indiscreti. Mi ero ritirata subito, decisa a dormire il primo vero sonno tranquillo da quando avevo lasciato Brennan. Mi sembrava essere passata un'eternità da quando mi allenavo con il vecchio e Rose nella piccola radura circondata dagli alti alberi di quel paese di montagna.

Quando aprii la porta di quella stanza, rimasi subito senza parole nel vedere quella che doveva essere sicuramente la camera di una ragazza. Il letto, posto nel lato opposto a quello con l'unica finestra presente, aveva una testata a motivi floreali e la trapunta di un rosa pastello. Mi avvicinai lentamente, vedendo tutto il muro di pietra scuro solcato da delle piccole incisioni, che andavano da parole comprensibili a frasi in qualche lingua a me sconosciuta. Tutta quella parete era completamente incisa, ogni singolo millimetro.

Decisamente, Joanne doveva avere avuto una figlia.

Non mi avvicinai al muro per paura di sporcare la trapunta appoggiandomici con il mio corpo completamente sporco. Mi girai invece attorno, vedendo un grande armadio, una scrivania con degli scaffali pieni di cartacce e fogli di pergamena svolazzanti, una libreria carica di libri e una piccola poltroncina di velluto vicino alla finestra, accuratamente coperta da una lunga tenda bianca.

La cosa che mi mise più gioia, però, fu l'altra porta presente, che sicuramente dava sul bagno. Mi ci fiondai subito, provando la voglia irrefrenabile di buttarmi sotto il getto di acqua così, con ancora quei sudici vestiti addosso. Non so che cosa mi fossi aspettata, ma decisamente mi stupii di trovare un bagno non poi tanto diverso da quello che avevo a Boston. Non erano poi così tanto arretrati come avevo pensato.

Mi svestii subito, in fretta e furia, buttando quei vestiti ripugnanti nel cestino che si trovava di fianco al lavandino, e mi fiondai subito nella doccia, mettendola calda nonostante non avessi freddo. Sentire l'acqua scivolarmi lungo il corpo, portando con sé tutto lo sporco, fu come ritornare a respirare dopo una lunga apnea. Rimasi un sacco di tempo sotto quell'acqua, riscaldata sicuramente dal calore della Montagna Rossa.

Ancora non mi sembrava vero essere sul versante del vulcano più grande del mondo: in altre circostanze sicuramente mi sarei rifiutata di soggiornare in una casa così vicina al magma, con la paura che tutto potesse esplodere da un momento all'altro, ma in quel caso era diverso.

«Una famiglia di Fyreris ci ospitò nella sua casa-caverna, alle pendici della Montagna Rossa...» le parole del signor Davis mi rimbombarono forti e chiare nella testa: mia madre era morta poco lontano da lì ed io avevo cominciato a vivere proprio in quel quartiere particolare. Chissà se Joanne sapeva qualcosa... Forse poteva essere successo lì vicino, forse avrebbe saputo qualcosa che il signor Davis non aveva voluto dirmi.

Uscii dalla doccia con un unico obbiettivo in mente: chiedere a Joanne se sapeva qualcosa. Sicuramente, con quelle domande in testa non sarei riuscita a chiudere occhio. Dovevo togliermi questa curiosità, nonostante avessi il terribile sospetto che tutta questa inopportuna euforia sarebbe stata presto sostituita dallo sconforto nel ricordare che lei era morta per salvarmi.

Solo quando mi avvolsi nell'asciugamano che trovai nelle ante sotto il lavandino mi resi conto di non avere vestiti da mettermi. Rimasi avvolta in quell'asciugamano guardandomi allo specchio cercando di trovare una soluzione alla situazione. Avevo decisamente la cera più brutta di sempre: avevo due occhiaie profondissime e non ero mai stata più pallida di così.

Fu la mia vista a farmi capire di dovermi muovere se volevo beccare Joanne ancora sveglia. Corsi a piedi nudi nella camera, camminando senza pensare verso il grande armadio, che aprii subito, trovandolo pieno di vestiti. Rimasi sconcertata quando non vidi jeans e felpe comode: quello che più si avvicinava alla mia idea di vestire erano dei pantaloni stretti che ricordavano vagamente i leggins e una maglia larga dalle maniche lunghe color rosso cremisi.

Misi la biancheria, che trovai in un cassetto lì vicino, e quei vestiti, prima di correre giù per le scale, evitando per un pelo Colton che usciva da quello che supposi essere il bagno principale della casa con un solo asciugamano a coprirli la vita.

«Ei, dove corri?» mi chiese subito, non ricevendo una mia risposta visto che stavo già scendendo l'altra rampa di scale.

Mi catapultai in quella che indovinai essere la cucina con la speranza che lei non avesse ancora deciso di ritirarsi a dormire. Per fortuna, la trovai seduta al lungo tavolo di vetro, intenta a leggere un giornale e a bersi una tazza di tè come se fosse mattina. Lei venne attirata dalla mia poca delicatezza e alzò gli occhi dal giornale, posandoli su di me con una strana espressione disorientata in volto. Si riscosse in fretta, nascondendo la sua espressione ai miei occhi e esordendo con un educato: «Hai bisogno?».

Dovetti ammettere che mi ritrovai senza parole, nonostante avessi pensato e ripensato a cosa chiederle innumerevoli volte, sotto la doccia. Dopo aver aperto e richiuso qualche volta la bocca senza sapere che cosa fare realmente, mi ritrovai a dire la prima cosa che mi veniva in mente: «Io sono nata in questa zona.». Sapevo di sembrare stupida ai suoi occhi, magari non gliene fregava nulla, ma fu davvero l'unica cosa che riuscii a dire, troppo spaventata dal chiedere direttamente altre cose.

«Lo so.» la sua risposta mi lasciò un po' spiazzata. «Lo sanno tutti qui.»

Mi ritrovai a procedere in avanti, sedendomi senza essere invitata proprio davanti a lei, non curandomi di pensare al fatto che magari potessi disturbarla. Fu come se la mia mente si staccasse dalla mia bocca, che cominciò a parlare di volontà propria: «E tutti sanno dove?».

«Tutti, pochi mesi dopo la tua nascita, videro avanzare... avanzare le truppe ribelli verso quell'abitazione.» sembrava quasi che stesse ritornando con la mente a quel fatidico giorno.

Aveva lo sguardo vacuo, mentre cominciava a raccontare quello che era successo: «Era una fredda mattina di fine febbraio. Tutto era cominciato come al solito e la città cominciava a vivere un'altra, monotona giornata d'inverno. Stavo raggiungendo l'ospedale, dove lavoravo, scendendo la Via del Fabbro. Prima di raggiungere l'ospedale, vidi arrivare i ribelli, nelle loro armature nere contrassegnate dalla banda colorata. Mi chiese cosa fosse successo: la guerra stava diventando già più rovinosa e ogni membro dell'Ordine rischiava di venir ucciso a vista. Ma a quanto pare nessuno di loro venne ucciso dalle guardie reali e arrivarono nell'abitazione dei signori Shade, una delle ultime caverne della Via del Fabbro, vicino alle grandi forge della città, facendo irruzione e non trovando l'ultimo sole.».

«Trovando solo mia madre.»

Joanne si limitò ad annuire, guardandomi finalmente negli occhi. Stavo cercando di mantenere l'autocontrollo, di reprimere le lacrime che minacciavano di sgorgare a fiotti. Dopo un po' di silenzio riprese a parlare: «Le voci sono girate in fretta, la famiglia Shade nascondeva... nascondeva Alya Lewis, Elwyn Davis e i rispettivi figli. Loro avevano detto ai ribelli che sarebbero andati nel mondo degli Umani: nessuno se lo aspettava.». Cercai di non dare a vedere reazioni, particolari: quelle erano le stesse cose che mi aveva detto il Comandante Davis.

«Sai che ne è stato del suo corpo?» mi ritrovai a chiedere con voce piatta, quasi rotta dall'emozione.

«Sì.» rispose, prendendomi alla sprovvista. «Il suo corpo è stato sepolto sulla vetta della Montagna Rossa, di fianco al gigantesco cratere, dove riposano i martiri di guerra.»

«Che cosa?» chiesi con un filo di voce, indignata dalla risposta che mi aveva dato. «Mia madre non è stata una martire!»

Mi alzai dal tavolo, arrabbiata per quello che mi aveva detto. Con la voce che tremava, mi ritrovai a continuare a parlare duramente, quasi come se fosse stata colpa sua: «Mia madre è stata assassinata! Non si è sacrificata per il bene dell'Ordine. Loro... l-loro l'hanno u-uccisa solo perché mi aveva salvata.».

«E credi che io non lo sappia?» ribatté lei aumentando il tono di voce a sua volta, battendo la tazza sul tavolo e alzandosi dalla sedia. «Credi che tutti noi ribelli avessimo voluto che succedesse quello che è successo? Non siamo di certo stati noi a decidere che dovesse essere sepolta con i sacrifici umani di questa miserabile guerra.»

«È una presa in giro.» abbassai di colpo la voce, ritrovandomi quasi a sussurrare. «È stata una fottuta presa in giro.»

«Se fosse stato per me, starebbe riposando fra gli eroi di guerra, Evelyn Lewis.» disse più dolcemente. «Sarebbe sul monte Kos, dall'altra parte dell'altopiano, nella Dimora degli Eroi. Per quel che può valere la mia parola, per me tua madre ha salvato questo mondo, proteggendoti da Richard Hole.»

«O ne ha solo rimandato la distruzione.» replicai, prima di girare sui tacchi e correre su per le scale, decisa a non mostrarle i miei occhi lacrimanti.

***

Solo quando mi sedetti davanti alla finestra di quella soffitta capii come in realtà fosse già l'alba. Troppo sconvolta, senza curarmi del fatto che qualcuno potesse vedere la mia testa dalla finestra, spostai la tenda, ritrovandomi davanti l'intera, gigantesca città di Fyreris illuminata dalla debole e rossastra luce dell'alba.

Era decisamente la città più bella che avessi mai visto: le case tutte addossate, costruite per la maggior parte con del marmo bianco, si stendevano sul suolo scuro, dello stesso colore del terreno della Montagna Rossa. La città era divisa in due dal fiume Lavaeris, che sembrava brillare alle prime luci del sole. In lontananza, riuscivo a vedere un grande anfiteatro, costruito con pietre scure, quasi come fosse l'alter-ego oscuro del Colosseo, quello che sembrava un grande tribunale dello stesso colore e quel castello che tanto aveva tormentato i miei sogni.

La Rocca Nera dominava sulla città di Fyreris quasi come la Montagna Rossa. L'incredibile maestosità di quella costruzione mi faceva quasi paura: lì dentro c'erano sicuramente alcuni dei pezzi grossi di tutto il governo di Elyria. Era un edificio davvero grande, pieno di torri che spiccavano in tutta quella massa di costruzioni. Il suo colore era ancora vivido nella mia mente da quel giorno della visione: nero decorato da una miriade di fili d'oro. Peccato che da quella distanza sembrasse tutto nero come la pece.

«Posso entrare?» la voce di Matt non mi fece distogliere lo sguardo da quella città, né tantomeno ricoprire la finestra con la tenda.

«Sì.»

«Vi ho sentite urlare. Tu e Joanne.» esordì avvicinandosi e lasciandosi ricadere sul pavimento, di fianco a me.

«Nulla di che.» replicai. «Le ho solo chiesto una cosa su mia mamma. Mi ha detto... mi ha detto che è stata sepolta in cima al vulcano. Fra i martiri.»

«Mi dispiace.»

«Anche a me. Sopratutto di non poter andare a trovarla.» ammisi. «Mi sento così dannatamente vicina a lei, Matt, ma non posso nemmeno compiere un passo avanti verso la sua tomba.»

«Ti converrebbe riposare Evelyn. Temo che comincerà un periodo duro, da questo momento.» decise di cambiare argomento.

A quel punto mi voltai verso di lui, vedendolo cambiato e vestito con delle vesti grigie scure. I capelli erano ancora leggermente umidi, ma finalmente puliti e privi di fango. Aveva ripreso anche un po' di colorito da quando eravamo usciti dal tunnel.

«Non sei abituato a tutto questo caldo, eh?» lo presi in giro.

«A Telyn nemmeno in estate viene il caldo che c'era in quel tunnel, Eve.» replicò sorridendo lievemente. «E il Fuoco vince sulla la Terra, lo sanno tutti.»

«Joanne ti ha detto qualcosa?»

«Solo che verso le otto dovrà uscire.» rispose. «Non ha detto nient'altro, ma sembra fiduciosa in questa missione. Forse quel Dominus che ci vuole incontrare sa davvero qualcosa sulle Vie del Sole.»

«Sarebbe la nostra unica speranza, a questo punto.» replicai rivolgendomi verso la finestra. «Non riusciremmo mai a compiere anche solo un metro fuori da questa casa senza ritrovarci una freccia nella gamba o, peggio, in testa.»

«Hai fatto bene ad accettare l'aiuto di questa donna Eve. Già attraversare tutto l'Altopiano del Fuoco così poco prudentemente è stato pericoloso, non voglio pensare come saremmo sopravvissuti da soli una volta dentro alle mura.»

«Eppure non hai mai detto esplicitamente che ti fidavi di lei.»

«Non mi fido di lei, Eve.» mi corresse. «E non mi fido nemmeno adesso, ma so che non ci tradirà. Mi fido del tuo istinto.»

Ripensare al confronto che avevamo avuto con lei fuori dalle mura della città mi fece ripensare a quello che era successo con la palla d'energia di Bennett.

«Matt?» dopo un po' di silenzio mi ritrovai ad attirare ancora la sua attenzione. «Cosa pensi che sia successo prima? Perché la palla d'energia è diventata nera?»

«Non lo so.» la risposta impreparata di Matt mi prese alla sprovvista: era capitato ben poche volte che lui non sapesse quello che stava succedendo. «Non ho mai visto nulla del genere, solo i più bravi Domini della Terra riescono a controllare l'energia degli altri, come hai fatto tu. E sicuramente le sfere d'energia non sono mai diventate nere come quella. È successo qualcosa di strano, qualcosa di cui nessuno dei presenti era a conoscenza, tanto meno Joanne.»

«Credi che sia per la Caduta?»

«Non so se centra con la Caduta in sé, Eve.» replicò con voce grave. «Ma sicuramente centra con la tua natura di Dominus

«C'è qualcosa che non va in me, vero Matt?» gli chiesi girandomi a guardarlo. «Sembro strana anche per i canoni di una Dominus della Luce.»

«Scopriremo perché Eve, te lo prometto.»

Gli rivolsi un piccolo sorriso e lui allungò una mano, stringendomi il braccio come per farmi forza prima di alzarsi da terra, congedandosi dicendo: «Andrò a dormire un po', Eve. Fai lo stesso, ti scongiuro.» Ridacchiai piano, salutandolo con un veloce: «Ci vediamo fra un po' Matt.».

Non appena fu fuori dalla stanza, mi costrinsi ad alzarmi a mia volta, sgranchendomi le gambe e raggiungendo il letto ad una piazza e mezzo dall'altra parte della stanza, accertandomi di ricoprire bene la finestra con la tenda. Non appena toccai il morbido materasso, mi resi conto di quanto mi fosse mancato avere qualcosa di morbido su cui riposare: erano settimane che dormivo per terra. Mi girai subito con la faccia verso il muro, portandomi una mano sotto la guancia e ritrovandomi davanti il muro pieno di incisioni. Sollevai subito l'altra mano, sfiorando il muro e tutte quelle scalfitture.

La figlia di Joanne doveva essere stata una ragazza con la testa fra le nuvole, piena di sogni e di speranze: una di quelle ragazze che avrebbero decorato il proprio armadietto scolastico con foto post-it colorati. Quel muro era un po' lo stesso: c'erano frasi filosofiche, frasi d'amore, cuori, frasi in lingue straniere...

Davanti ai miei occhi c'era un nome, illuminato dalla luce dell'alba che cominciava ad entrare dalla finestra, accompagnato da un piccolo cuore.

Era il nome di una stella che mi ricordavo appartenere alla costellazione dell'aquila, una stella che in astronomia significava coraggio e ambizione.

Altair.

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