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Capitolo 21 • L'Altopiano del Fuoco

C A P I T O L O X X I
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• L ' A l t o p i a n o d e l F u o c o •

«Brennan è stata assediata Matt.» non appena ci sedemmo in quella radura vicino alle Fauci del Lupo, cominciai a raccontare quello che era successo.

Non avevo idea di cosa lui sapesse, ma non potevo farne a meno. Lui sarebbe riuscito a darmi delle risposte e a calmarmi, ne ero praticamente sicura.

Dopo essermi staccata dal lungo abbraccio con Matt, mi ero subito buttata fra le braccia di Cesar Soler, infinitamente contenta di vedere pure lui vivo e vegeto. Quando mi ero staccata pure da lui, il mio entusiasmo si era smorzato un po' quando avevo visto Damian Bennett. L'ultima volta che avevo avuto un confronto con lui era quando mi aveva appesa al muro del corridoio dell'Istituto Omega, in preda ad un'apparente crisi d'identità. Mi ero limitata a guardarlo, abbassando leggermente il mento in un saluto rispettoso.

Non mi piaceva Bennett, nemmeno un po'. Quasi sicuramente avrebbe cercato di prendere il comando della situazione e, ad essere sincera, non mi fidavo a mettere la mia vita nelle sue mani. Lui non capiva la situazione come faceva il Comandante Davis: Bennett era una macchinetta programmata ad obbedire agli ordini che gli davano; non sapevo come avrebbe reagito quando si sarebbe ritrovato a fare lui da capo. Non volevo nemmeno saperlo.

La ragazza bionda che era con loro si era presentata educatamente prima a me che a Colton. Si chiamava Frida Tamming ed era una Dominus dell'Aria; mi ero chiesta perché non avessero mandato a Kratos una squadra con tutti e quattro i tipi di Dominus.

«Io e Rose avevamo deciso di andare al Ballo d'Autunno.» ammisi facendomi piccola piccola. «Non credevamo che la situazione degenerasse così tanto. Ad un certo punto Rose mi ha lasciata da sola, nella penombra di un piccolo parco pieno di alberi. Sono stata raggiunta da Colton Wilson, prima che il grande falò venisse spento da Domini del Fuoco. Un cane mi ha morso il polpaccio, qui vedi... credo che mi rimarrà il segno. Il vecchio Karlsen ci ha salvati. Rose...»

Non riuscii a finire la frase, sentendo una stretta al cuore. Tenere il dolore per Rose per me era un conto, condividerlo con Matt era un altro. Essere da sola con lui, non sapendo che fine avesse fatto Rose, era davvero brutto.

La mano di Matt si serrò sul mio ginocchio, stringendolo non troppo delicatamente per farmi forza. Girando la testa a guardarlo, sussurrai piano: «Non so dov'è Matt. Non so che fine abbia fatto, non so se sia viva. Ma qualcosa la so ed è questo che mi da speranza...». Cominciai a raccontagli tutta la questione delle visioni e sulla Evelyn del futuro. Matt, come sempre, ascoltò attentamente e silenziosamente, con la mano che fremeva sul suo fianco per l'irrefrenabile necessità di prendere appunti.

«... mi dispiace Matt.» avevo la voce rotta nel dirgli che Rocys era stata attaccata. «Pochi giorni fa abbiamo sentito davvero una guardia dirci dell'assedio di Rocys.»

Matt rimase zitto, ma chiuse gli occhi, serrando ancora di più la presa sul mio ginocchio. Piccole silenziose lacrime scivolavano già lungo le mie guance: nonostante non avessi mai avuto una casa vera e propria, potevo quasi immaginare il dolore dello scoprire che il posto in cui ero cresciuta non esisteva più, che era ridotto in cumuli di cenere.

Passarono alcuni minuti prima che parlassimo di nuovo. Mi aggrappai al braccio di Matt, abbandonando la testa sulla sua spalla. Con la voce rotta, mi ritrovai a cercare di tirargli su il morale, facendo appello alle mie scarse abilità consolatorie: «Se davvero possiamo fidarci della Evelyn del futuro, Matt, questo vuol dire che Rose è viva, che la ritroveremo.»

«Non ho dubbi sul fatto che quello che ti sei detta succederà davvero, a questo punto.» replicò con la voce che non lasciava trapelare emozione.

Matt aveva un'espressione imperscrutabile, che mi lasciava impossibilitata a cercare di capire quello che stava provando. Era distrutto, potevo ben immaginarlo, ma sapevo che avrebbe messo da parte quello che provava per evitarci distrazioni. Rocys, Brennan e Taward non sarebbero state le uniche cittadine rase al suolo se non ci fossimo dati una mossa.

«Dovrò uccidere qualcuno, Matt.» replicai per quella che mi parve la milionesima volta. «Dovrò uccidere qualcuno...»

«Dovremo andare a Fyreris allora.» disse, guardando davanti a sé. «Lì scopriremo la verità... E c'è un altro motivo per cui dovremmo andarci.»

Alzai la testa dalla sua spalla, guardandolo aggrottando la fronte: in effetti io gli avevo raccontato quello che ci era successo, ora era il suo turno. Mi raddrizzai completamente, aspettando che cominciasse, avida di sapere che cosa avesse scoperto a Kratos.

«Quando siamo arrivati, c'era una grande tempesta di sabbia, sulla Montagna a Spirale.» cominciò a raccontare con uno strano tono di voce. «Siamo entrati nel tempio dei sacerdoti scarlatti, trovandolo praticamente tutto bruciato. Abbiamo cominciato ad esplorare tutte le caverne. Era gigantesco Eve, era un dedalo di corridoi e di caverne molto grandi, per lo più rovinate e bruciate dal fuoco. Poco dopo l'entrata, avevamo lasciato Damian e Frida a fare da pali, nel caso qualcuno arrivasse e ci vedesse. Non potevamo rischiare di venir pugnalati alle spalle.»

«Ha davvero accettato quello che gli dicevi? Ha davvero accettato di rimanere nelle retrovie?» sussurrai alzando lo sguardo e posandolo su Damian Bennett, che stava attizzando il fuoco.

Mentre Matt rispondeva, posai lo sguardo su Colton, che era seduto contro un albero dall'altra parte della radura con la testa abbandonata sul tronco: finalmente poteva dormire.

«È stata dura ma sono riuscito a convincerlo. Mi sarebbe stato solo d'intralcio nella mia ricerca, lo so io e lo sai tu.» prese un respiro profondo, rimanendo zitto per qualche secondo.

Si girò a guardarmi ed io riposai lo sguardo sul suo. L'espressione strana che aveva avuto prima era ancora più accentuata, ma in quel momento non riuscii proprio ad interpretarla. La brutta sensazione che dalle sue labbra potessero uscire delle parole che mi avrebbero scossa si stava impadronendo di me.

«Ad un certo punto io e Cesar stavamo esplorando un piccolo corridoio laterale.» proseguì lentamente, soppesando bene le parole da scendere. «Abbiamo incontrato una persona, Evelyn.»

«Che cosa?» chiesi subito, prima di riformulare meglio la domanda. «Chi? Qualcuno che conosce le Vie del Sole?»

«No Evelyn, decisamente no. Abbiamo incontrato William.»

Mi sgonfiai subito come un palloncino, sentendo le lacrime che cominciavano già a pungere gli occhi al sentire il suo nome uscire dalle sue labbra. Ero finalmente riuscita a rinchiudere Will in un remoto cassetto della mia mente. Sì, quel cassetto era sempre mezzo aperto a rischiare di rovesciare tutto il suo contenuto fra i miei pensieri come un fiume in piena, ma almeno riuscivo a contenermi un po'. E doveva essere così, dannazione. Anche se quando avevo visto il suo viso e sentito la sua mano attorno alla mia poche decine di minuti prima, sentire questo mi riportava bruscamente alla dura verità su di lui.

«Che cosa?» sussurrai piano. «E sei ancora vivo?»

A quel punto, visto che il mio amico aveva avuto un confronto con il principe ereditario di Elyria, mi sembrava straordinario il fatto che fosse ancora libero e non imprigionato. Non stavo capendo la situazione e la mia mente non mi sembrava capace di elaborare quello che mi stava dicendo in cerca di una spiegazione.

«Era da solo.» spiegò, cercando di parlare velocemente per evitare che fraintendessi qualcosa. «O meglio, era con una ragazza bionda. Erano solo loro due e basta.»

«Ho capito il concetto Matt.» replicai mordendomi il labbro, cercando di non indagare sul chi fosse questa famigerata ragazza bionda.

«Non ci siamo attaccati, anche se lui mi ha appeso al muro, in effetti.» rimase zitto, come se volesse decidere cosa dirmi. «Ma dopo abbiamo parlato, Eve. Anche lui sa della seconda parte della profezia.»

Spalancai la bocca per lo stupore, rimanendo senza parole. Come poteva saperlo? Mylene mi aveva detto che erano gli unici a sapere dell'esistenza della versione integrale della Profezia del Sole. Piano, cercando di riattivare il mio cervello, sussurrai: «Com'è possibile?».

«Non ho indagato.» ammise. «Non avevamo decisamente tempo da perdere. Sta di fatto che loro, prima del nostro incontro, avevano scoperto una caverna piena di graffiti, che Cesar ha potuto vedere quando la ragazza ce lo ha accompagnato. Era la stanza dove hanno pronunciato la Profezia del Sole, Eve. Cole, sfiorando quei graffiti, ha sentito una voce che gli diceva di trovare Edvard il Cieco, l'ultimo precursore dei sacerdoti scarlatti. Dopo, io e lui abbiamo trovato dei diari, che ci hanno fatto capire che il precursore non era dentro il tempio quando è avvenuto il massacro.»

«Può essere ancora vivo, Matt?» chiesi, cercando di ignorare quello che mi aveva detto su William, facendo come se lui non lo avesse mai incontrato.

«A questo punto, nulla lo vieta. L'ultima testimonianza sulla sua posizione dice che era partito per Fyreris.»

«Hai letto quei diari, Matt?» chiesi speranzosa. «Dicono qualcosa sulle Vie del Sole?»

«No. Non ne ho avuto il tempo. Quando trovava in viaggio verso Ilyros, William mi ha inviato un messaggio, lasciandomi implicitamente capire che Brennan era stata attaccata. A quel punto siamo partiti subito, diretti verso il paese, nella vana speranza di incontrare qualcuno di voi. Quando ti ho vista, ho creduto potesse essere un miraggio, Eve.»

«L'ho creduto anche io di te, Matt.» replicai deglutendo. «M-Ma perché William... perché quei due erano a Kratos, Matt? Perché ha collaborato, perché non ti ha imprigionato?»

«Lo sai come la penso, Evelyn.»

Matt mi guardò eloquentemente: fu come ritornare a quella sera a Roma, quando Matt aveva insinuato che, forse, Will era lasciato coinvolgere troppo da quello che era successo fra di noi. Non avevo mai voluto indagare sulla cosa e tanto meno volevo farlo adesso. Non potevamo stare insieme, punto. Io stavo dimenticando lui e lui stava dimenticando me. Qualsiasi esso fosse il suo dubbioso comportamento, non potevo permettermi di farmi influenzare da un Dominus con la fiducia vacillante.

«Con tutte le probabilità sta facendo tutto questo per arrivare a imprigionarmi, Matt.» replicai ragionevolmente. «Non è stupido, sa che collaborare con te significherebbe essere vicino a me. È stato cresciuto per governare un regno, di certo non metterà in gioco il suo futuro da re per tradire suo padre e lavorare con i ribelli.»

«Non credo che tu abbia ragione, Evelyn. Ma non sarò io a dirti cosa devi pensare a riguardo: non ho più contatti con William da praticamente dieci giorni e non ho nessuna intenzione di mandargli un messaggio ora che sappiamo che strada prendere.»

«Non possiamo fidarci di lui, Matt.» convenni. «Perché dovrebbe rinunciare al suo futuro per una persona che porrebbe fine alla dinastia dei Cole?»

Matt sospirò, non rispondendo e girandosi a guardare il fuoco zampillante al centro della radura. La risposta che avrebbe sicuramente voluto darmi rimase sospesa nell'aria. Non avevo tempo per i problemi di fedeltà di William. Non avevo sicuramente bisogno che il problema che portava il suo nome ritornasse irrimediabilmente in cima alla lista. Eravamo nemici, presto sarebbe rinsavito e si sarebbe ricordato per quale fazione parteggiasse, non avevo dubbi.

Dovevo dimenticarlo.

***

Mi svegliai di soprassalto, durante quella notte. Sebbene quella notte in cui Colton era riuscito a calmarmi fossi riuscita ad addormentarmi,  quello era il primo, vero sonno che mi concedevo. Quando avevo aperto gli occhi, sentendomi di colpo alleggerire per aver scoperto che quello che stavo sognando era solo un incubo, avevo visto che era Cesar Soler a fare da guardia, in quel momento.

Si trovava davanti al falò, con le mani allungate sul fuoco a giocherellare con i lapilli e con le fiamme. Mi raddrizzai a sedere, con il cuore che martellava dolorosamente contro il petto. Quei profondi occhi neri del mio sogno erano ancora impressi irrimediabilmente nella mia mente ed io avevo ancora la sensazione che mi stessero marchiando l'interno del polso con una mezza luna. Cercai di ritornare a respirare normalmente mentre Cesar si accorgeva che ero sveglia.

«Tutto bene, Eve?» mi chiese subito, lasciando ricadere le mani e sussurrando per non svegliare gli altri.

Rimanendo in silenzio, mi alzai e lo raggiunsi davanti al fuoco, sedendomi proprio di fianco a lui e allungando le mani sulle fiamme per trovare un po' di calore. Non mi ero accorta di quanto avessi sentito freddo in quei giorni: se quelle corse con Colton avevano un pregio, era proprio il fatto di riscaldarsi correndo; anche se in realtà non era stato il mio corpo a muoversi, il calore di Colton mi riscaldava.

«Ho avuto solo un incubo.» sussurrai, chiudendo gli occhi per il sollievo del caldo.

Non replicò, ricominciando a giocherellare con le alte fiamme del falò. Quando riaprii gli occhi, lo trovai divertirsi ad avvolgersi la mano con il fuoco. Curiosa, mentre ricordavo a me stessa di dover cominciare a maneggiare quell'elemento, gli chiesi: «Potrà essere banale per te, come domanda. Ma voi Dominus del Fuoco non vi bruciate mai?».

«Vedi qualche bruciatura?» fu la sua risposta, mentre le fiamme gli danzavano fra le dita. «Noi Dominus del Fuoco ne siamo immuni. Vedila un po' così: come i Dominus dell'Acqua riescono a respirare nell'acqua, a noi il fuoco non brucia. Non so come funzioni con voi Dominus della Luce, ma credo che se potete controllare questo elemento, per ovvie ragioni non vi brucia.»

«Seguendo il ragionamento che hai fatto prima, supponendo che io sia davvero in grado di respirare sott'acqua, non dovrebbe.» replicai deglutendo al ricordo di quando mi ero buttata dalla voragine delle prigioni dell'Istituto Zero e avevo avuto quella sensazione.

Cesar fece avvicinare automaticamente le fiamme a me, ma senza toccarmi. Non so per quale motivo ebbi il bisogno di dire: «Ho già controllato il fuoco. O meglio, le mie mani hanno cominciato a sfrigolare, bruciando quasi le guance di...». Mi fermai e presi un respiro profondo, rifiutandomi di pensare a lui e alla situazione in cui avevo controllato quell'elemento per la prima volta.

«Spesso i bambini cominciano così, quando sono emotivamente coinvolti in qualcosa.»

«Tutto si gioca sull'emotività alla fine.» sospirai. «È così per ogni elemento. Poteri curativi della mia specie compresi.»

«All'inizio sì.» convenne, girando la testa a guardarmi. «Vuoi provare a cominciare con il fuoco?»

«Adesso?» chiesi quasi incredula, guardandomi attorno come per la paura di poter bruciare tutta quella piccola radura.

«Sono le quattro e mezza di notte.» replicò. «Fra un'ora e mezza gli altri si sveglieranno e dovremo partire per Fyreris.»

«Va bene, ma posso chiederti una cosa, prima?»

«Spara.»

«Dove sei nato, Cesar? Hai fratelli, sorelle? Non ti ho mai chiesto nulla di te...»

Cesar sorrise piano, come se si aspettasse qualsiasi altra domanda al di fuori di quella: «Ho una sorella più grande e basta. Entrambi siamo nati a Lerae, una piccola cittadina distante un'oretta di cavalcata da Fyreris, sempre alle pendici della Montagna Rossa. Ospita l'Accademia del Ferro, che sarebbe l'accademia per i fabbri di tutto il Regno di Elyria. I migliori hanno studiato lì. Mia sorella, Isabella, vive ancora lì con il marito e con la piccola Gabriela. Non la vedo da tre anni, la sento solo via messaggi.».

«Mi dispiace, Cesar.»

«Non dispiacerti, lei e la sua famiglia stanno bene, questo è l'importante. I miei genitori invece sono in uno dei gruppi che hanno raggiunto l'Isola Ferrosa. Non sono andato con loro per partecipare attivamente alla missione per salvarti. È stata dura convincerli, ma alla fine ho avuto la meglio. Dopotutto, sono maggiorenne già da un po'.»

«Quando sei nato?»

«Il venti novembre del novantotto.» rivelò, facendo un piccolo sorrisetto.

«Allora hai due anni in più di me!» esclamai, arrivando a capire di averlo sempre considerato un mio coetaneo.

Lui annuì, lasciando cadere la conversazione e cambiando argomento con un «Adesso a lavoro.» sussurrato e accompagnato da un sorriso. Lasciò ricadere le mani sulle ginocchia, chiudendo gli occhi in una posizione che mi ricordava dolorosamente Rose quando si metteva ad ascoltare i venti.

«Il fuoco e l'acqua non sono sempre presenti in natura come lo sono l'aria e la terra. Anche se l'acqua è decisamente più raggiungibile e più comune del fuoco, entrambi gli elementi riescono a nascere direttamente da un Dominus adulto e ben addestrato.» cominciò a spiegare pazientemente. «Succede anche per i Dominus della Terra, quando evocano sfere d'energia e fronde d'albero. Non so quanto ti abbiano insegnato.»

«Nessuno dei due.» ammisi. «Le nozioni che il vecchio... che Karlsen riteneva sufficienti erano la conoscenza dei materiali che avevo attorno e come generare scosse di terremoto.»

«Beh, tutti e quattro gli elementi sono dannatamente complicati e hanno nozioni che nemmeno un comune Dominus conosce. Sicuramente, con a malapena due settimane per elemento, sei arrivata a padroneggiare meno del dieci per cento di ogni elemento.»

«Rassicurante.»

«Ma è la verità Eve. Non puoi pretendere di raggiungere la formazione di più di dieci anni di Matt, di Rose, di me... Bisognerà accontentarsi: se usciremo vivi da questa storia, avrai tutto il tempo per recuperare.»

Sapevo che aveva ragione, non c'era bisogno che me lo spiegasse. Annuii soltanto, non riuscendo a pensare al mio futuro lontano. Non dovevo fare progetti, non potevo illudermi.

«Allora, il fuoco è il più difficile di tutti gli elementi: non è materiale come la terra e l'acqua, ma non è così semplice come l'aria che, pur essendo immateriale, c'è praticamente sempre e dovunque. Solitamente, i piccoli Dominus del Fuoco cominciano a lavorare sul fuoco già creato, che sono abilità più semplici.»

A quel punto allungò le mani sulle fiamme, che cominciarono a muoversi verso di noi come se fossero attratte dalle sue dita. Piano, cominciò a comandare quelle fiamme affinché avvolgessero le sue dita e gli risalissero lungo le braccia. Dopo pochi secondi, lasciò che le fiamme si ritraessero, abbandonando il suo corpo.

«Ehm...» disse dopo, girandosi a guardarmi. «Forse per cominciare potresti mettere le mani nel fuoco. Non ti farà male...»

Dopo averlo guardato come se fosse pazzo e dopo aver replicato a me stessa che non potevo pensare di comandare l'elemento senza entrarci in contatto, voltai la testa verso il fuoco, cercando di trovare il coraggio per buttare le mani fra le fiamme.

«Puoi farcela Eve.» sembrava quasi divertito dal mio risentimento di buttare le mani del fuoco. «Ci metto la mano sul fuoco che non ti farà male.»

«Hai fatto la battuta, ah ah ah» replicai per nulla divertita, mentre allungavo delicatamente le dita verso il falò.

Il calore, indubbiamente, era aumentato, ma non era una cosa così insostenibile. Così proseguii lentamente, arrivando letteralmente ad avere le fiamme danzanti attorno alla mia mano tremante. Sentivo che il fuoco mi stava toccando, ma non bruciava, non bruciava affatto. Anzi, entrare in contatto in quel modo con quell'elemento mi faceva sentire rinvigorita e rinforzata come se mi stessi ricaricando con l'aria. Presto, mi ritrovai a mettere pure l'altra mano in mezzo al fuoco, chiudendo gli occhi per le scariche di energia che mi pervadevano.

«Vedi? Anche se può distruggere e uccidere, per te il fuoco è innocuo.»

Ritrassi le mani, provando per l'ennesima volta la meraviglia che comandare un elemento mi donava. Quella natura era parte di me, il fuoco era parte di me. La mi famiglia materna apparteneva ai Domini del Fuoco ed in un certo senso sentivo il fuoco come una buona metà di me, anche se nella mia natura di Dominus della Luce i quattro elementi dovevano essere presenti in egual misura.

«Ora, proviamo a vedere se riesci a piegarlo un po' al tuo volere.»

***

La notte di due giorni dopo, valicammo il grande e maestoso Passo di Fyr. Lo stesso passo era uno dei luoghi più maestosi e belli che avessi mai visto: nonostante non ospitasse un forte, i due versanti della montagna che stavamo sorpassando erano collegati da una specie di ponte sospeso, di color nero ebano e ospitante una gigantesca statua della dea Fyr, con incastonate qua e là delle pietre preziose. La dea era raffigurata come una bellezza vendicatrice: con il braccio che indicava il suolo su cui stavamo camminando, sembrava quasi ci stesse ordinando qualcosa, costo la morte. Quando fummo quasi sotto al ponte, riuscii a notare una frase intagliata nel legno, colorata da un sottile strato di color avorio che brillava alla luna, o meglio, alle lune.

Vos kras hotrak en Vokiir saar vasyr sous klave Fyr.

«Che lingua è?» mi ritrovai a chiedere mentre mi fermavo, cercando di capire quello che c'era scritto.

Tutto il gruppo si fermò a sua volta, alzando il mento per vedere quello che avevo letto. Fu Cesar a rispondere, e avrei dovuto aspettarmelo visto che quella era la sua terra natale: «Voi che entrate nell'Altopiano del Fuoco sarete sempre sotto gli occhi della di Fyr.» tradusse. «È Fyresiano, la lingua locale di Pyros.».

«L'Altopiano del Fuoco è totalmente consacrato alla dea Fyr, infatti.» convenne Matt, raddrizzandosi gli occhiali sul naso. «I miti dicono che sia stata la sua dimora prima che creasse la sua razza.»

«Grazie per la lezione di storia ma non abbiamo tempo da perdere.» fece Bennett, schietto e quasi burbero. «Ci manca non meno di una settimana di cammino e non possiamo perderci nemmeno qualche ora.»

Riprese a fare strada e, tutti noi ricominciammo a camminare. La cosa che mi spaventò di più in assoluto, in quelle ore in cui fummo costretti a passare per la strada principale, per lo più una delle più frequentate di Elyria, furono quei pochi Domini che passarono di fianco a noi. Il mio viso era di nuovo completamente coperto e l'unica cosa che ci salvò, vista l'ora della notte in cui stavamo camminando, fu il fatto che le guardie cominciassero a circolare solo a partire dalle prime ore del mattino.

Avevamo deciso di non separarci più, come sarebbe significato fare nel caso avessimo deciso di compiere il viaggio veloce con Colton. A quel punto, io e lui ci saremmo allontanati dagli altri quattro e chiaramente era l'ultima cosa che volevo. Nessuno aveva ribatutto, concordando con me che, nel frattempo, Cesar poteva cominciare ad insegnarmi teoricamente l'elemento del fuoco. L'unica cosa che gli altri non sapevano, era che durante i turni di notte di Cesar rimanevo sveglia anche io a cercare di padroneggiare quell'elemento.

Ma non stava andando affatto bene: la sera in cui avevo trovato il coraggio di buttare le mani nel fuoco non ero riuscita a fare nient'altro, così per le due notti successive. Con tutta la buona forza di volontà che ci potevo mettere, non riuscivo proprio a piegare quell'elemento al mio volere. Era troppo complicato, troppo stancante a livello di concentrazione.

Cesar era un insegnante paziente e non dava a vedere quello che provava realmente, ma io sapevo che in realtà si era aspettato che io facessi un passo avanti. Secondo me era deluso: sicuramente Matt gli aveva raccontato di quanto in fretta avessi imparato a padroneggiare l'aria e forse aveva pensato che avrei fatto gli stessi progressi anche con il suo elemento. Beh, non era stato affatto così. E per tutta la settimana seguente, la situazione rimase invariata.

A migliorare la situazione, era stato l'incredibile bellezza dell'Altopiano del Fuoco: si allontanava parecchio da tutto ciò che mi ero immaginata. Attorno all'incredibile distesa che era l'altopiano si ergevano le altissime montagne che lo circondavano e una marea di vulcani attivi erano sparsi qua e là per tutto l'immenso spiazzo. Non ne avevo mai visto uno e, quando lo vidi per la prima volta, mi fermai con la bocca aperta a fissarlo, sentendomi dannatamente inutile e insignificante davanti ad un fenomeno della natura così particolare.

Nell'Altopiano del fuoco non esisteva vegetazione e fu un bel cambiamento per me che da più di un mese ero abituata allo scenario verde e rigoglioso di Telyn, e a quello di Athos. Sembrava di essere in un deserto privo di dune e di sabbia: il suolo era composto da quella che sembrava una pietra chiara, con un piccolo strato di terra fertile e scura sopra. Decisamente, non mi sarei stupita di trovare draghi giganteschi volare attorno ai crateri dei vulcani, ma secondo quello che mi aveva detto Colton, i draghi erano estinti da secoli. La sola prospettiva che fossero davvero esistiti dei draghi mi faceva serrare lo stomaco per l'emozione.

La cosa che mi aveva lasciata decisamente interdetta, era stato il fiume Lavaeris, il fiume di lava che attraversava mezzo altopiano. Lo avevamo intravisto solo una volta in tutta la nostra attraversata dell'altopiano, ma era stato sufficiente per farmi venire quasi un infarto. Per ovvie ragioni, quel fiume gigantesco rappresentava un reale e presente pericolo di morte per chiunque non fosse un Dominus del Fuoco. Riguardo a questo, mi era venuto il bruttissimo dubbio che i Domini del Fuoco potessero immergersi nella lava senza finire carbonizzati.

«No, nemmeno la lava ci uccide.» era stata la risposta di Cesar. «Ma anche per noi fare un bagno nel fiume Lavaeris non è affatto piacevole, anzi... Sopratutto quando i tuoi amici ubriachi ti ci buttano dentro quando sei anche tu ubriaco. Ti assicuro che la sbronza di passa di colpo.»

Qua e là s'intravedevano da lontano delle cittadine e dei piccoli paesi, ma noi ce ne tenevamo sempre alla larga, camminando di notte e riposando di giorno, rimanendo lontani dalle strade nonostante non ci fosse vegetazione a tenerci al sicuro da occhiate indiscrete.

Con il passare dei giorni, ero diventata sempre più silenziosa: oltre al fatto di essere molto arrabbiata con me stessa per non essere ancora riuscita a padroneggiare quello che a mia impressione era l'elemento più bello e potente di tutti, l'idea di avvicinarmi ad una città così grande e pericolosa mi turbava parecchio. Senza contare il fatto che io, in quella città, ci fossi nata e che mia madre avesse esalato il suo ultimo respiro proprio lì. Chissà dove era stata sepolta...

«Eccoci arrivati.» sussurrò piano Colton, quando davanti a noi si stese l'immensa città di Fyreris.

Se quella notte non fosse stata limpida , non avremmo visto di sicuro la parte settentrionale della città, considerando anche l'ostacolo visivo delle gigantesche mura di cristallo nero: la città era costruita in pendenza, lungo tutto il versante del vulcano più grande di tutto il Regno di Elyria - e probabilmente di tutto il mondo - la Montagna Rossa. Era un versante che a partire dall'essere scosceso e ripido, in fretta cominciava ad avere una pendenza più dolce.

In un primo momento, cercando di tirare su il cappuccio il più possibile, il mio sguardo fu attirato dall'enorme vetta del vulcano, da cui usciva del fumo, e solo dopo il mio sguardo cominciò a percorrere tutto il suo versante, cominciando a vedere poco dettagliatamente una marea di luci in lontananza. Guardandomi a destra e a sinistra, non riuscivo a vedere la fine delle mura di quella città: era troppo grossa, quasi quanto Boston avrei osato dire. Ero affascinata e così lo erano tutti i miei compagni. Beh, senza contare Cesar che era vissuto poco lontano da lì e Damian, che sembrava apatico come sempre.

D'altronde, solo io non mi accorsi del rumore di passi felpati che ci arrivò dalle nostre spalle. Solo quando Colton, di fianco a me, si mosse e si girò, mettendosi subito in guardia, mi voltai a mia volta, troppo distratta per capire la vera realtà di quel rumore.

«Abbassate le mani, giovani ribelli.» la voce adulta e grave di una donna di mezza età ci lasciò tutti senza parole. «Non voglio farvi del male. Voglio solo salvare le vostre stupide vite, che mettete così a repentaglio avvicinandovi così tanto alle mura della città nera. Elias Karlsen mi ha contattata, giovani Domini. Sono qui per portarvi dall'altra parte delle mura.»

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