Capitolo 19 • Le Fauci del Lupo
C A P I T O L O X I X
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• L e F a u c i d e l L u p o •
Al mio cuore mancò un battito. Rocys, vicino alla quale ci eravamo fermati una settimana prima, era sotto assedio. Con la visione non mi era venuta in mente l'idea che, forse, le guardie del re fossero sulle nostre tracce. E se la Dominus che aveva guarito me e Colton avesse parlato? Se le guardie avessero saputo che eravamo stati a Rocys?
Non mi accorsi nemmeno che le guardie avevano ricominciato a camminare finché Colton non cominciò ad allentare la presa su di me, cominciando a camminare verso la riva del Fiume delle Anime. Procedette lentamente, assicurandosi che le guardie fossero a distanza di sicurezza prima di farci uscire dall'acqua gelida.
«N-No, no, non può e-essere vero.» sussurrai subito, non appena le braccia di Colton smisero di avvolgermi.
Battevo i denti per il freddo glaciale e, dalla mia bocca uscivano delle piccole nuvolette di vapore. Stavo tremando e mi chiesi il perché Colton non lo stesse facendo: era così resistente al freddo? Ma quando parlò, anche la sua voce risultò tremante: «N-Non è che per caso sai usare il fuoco per r-riscaldarci?».
Scossi la testa energicamente, mentre tutte le orribili verità legate a quello che avevo sentito mi piombavano addosso come frecce letali. Con un verso di sconforto mi lasciai ricadere sulla soffice sabbia della riva del fiume, prendendomi il viso fra le mani.
«D-Dovrò uccidere... q-qualcuno...» mugolai disperata. «Qualcuno a c-cui tengo. Verremo inseguiti e non s-so se sopravviveremo a-all'inseguimento.»
Colton si lasciò ricadere di fianco a me, avvolgendosi le ginocchia con le braccia per cercare di placare il freddo. Aveva un'espressione seria, mentre parlava, cercando di tirarmi su il morale.
«Almeno rivedrai Rose.» deglutì, battendomi maldestramente una mano sulla schiena bagnata. «La r-rivedrai viva.»
Quello era vero e, dei, mi consolava un sacco. Ma lo sconforto per l'assedio di Rocys e per quello che avrei visto alla Rocca Nera mi devastava.
«Sai cosa v-vuol dire questo?» ribattei girandomi a guardarlo. «Che dovremo s-seguire il consiglio della E-Evelyn della c-crisi. Dovremo andare a F-Fyreris, dove guarda caso si trova la R-Rocca Nera. Dove s-scoprirò chi devo uccidere.»
Continuò con le pacche sulle spalle, in un primo momento, senza dire qualcosa. Solo dopo pochi minuti parlò: «C-Cosa ti ha detto l-la Evelyn del f-futuro?». Mi girai a guardarlo, cercando di capire il perché di quella domanda. Piano, cercando di allontanare il freddo che mi offuscava la mente, risposi: «Mi ha detto che a Fyreris succederanno t-tante cose. C-Che incontrerò sia M-Matt che R-Rose e che dovrò essere forte. N-Non mi ha detto q-quando, non ne ha avuto il t-tempo.». Rabbrividii per il freddo e desiderai con tutta me stessa di raggiungere un fuoco, al più presto.
«Ecco. Ha detto che devi e-essere forte. Sicuramente s-si trattava di quello.»
Aveva ragione. Mi stupii di come avrei affrontato la cosa: in quella visione non sembravo così devastata come mi sarei immaginata in quel momento. Ma io mi conoscevo bene: probabilmente la Evelyn del futuro si era chiusa in se stessa, racchiudendo dentro di sé tutto il dolore che sapere quella cosa le aveva arrecato.
Cercai di allontanare da me tutti questi pensieri: non ci dovevo pensare adesso. Me lo dovevo, dovevo concedere a me stessa il dubbio di stare fraintendendo tutto. Magari le due visioni non erano collegate come sembravano. C'erano molti, troppi fattori che mi portavano a pensare che quella scena alla Rocca Nera sarebbe successa davvero, ma perché preoccuparsi prima del tempo?
Lasciai ricadere la testa tremante all'indietro e aprii gli occhi, verso il cielo limpido di quella notte. Non avevo mai visto qualcosa del genere: in ogni posto in cui ero stata, in cui avevo vissuto, c'era troppo inquinamento luminoso per vedere qualsiasi stella non fosse quella più luminosa del cielo. Qui, lontana da tutti i centri abitati, sopra di me si stendeva il cielo più bello che avessi mai visto: c'erano un'infinità di costellazioni. Le stelle avevano diversi colori, oltre al bianco e la luna non era una, bensì erano tre.
«M-Ma come è possibile?» balbettai, strabuzzando gli occhi, praticamente sicura di stare avendo un'allucinazione.
Colton buttò la testa indietro a sua volta, cercando di reprimere i tremori del corpo. Un lieve sorriso gli passò sul viso e io mi ritrovai a guardarlo, in attesa che parlasse.
«Le Tre Lune di Elyria: Pyropus, Adamas e Margarita.»
«C-Che lingua è?» mi ritrovai a chiedere, sdraiandomi sulla sabbia, sperando debolmente che il contatto con il terreno mi desse un po' di calore.
«Latino. I loro nomi significano rispettivamente rubino, diamante e perla. Margarita, la più grossa, è la stessa luna del mondo degli Umani. Le altre sue sono visibili solo ad Elyria.»
Le tre lune erano allineate e disposte in ordine di grandezza. Attorno a quelle si stendeva un gigantesco letto di stelle. Chiusi gli occhi, cercando di fare ordine nella mia testa. Sotto un cielo così grande mi sentivo minuscola, insignificante. Non riuscivo nemmeno ad immaginare di dover portare sulle spalle il peso della salvezza di tutti i Domini di Elyria. Era troppo. Mi chiesi come avessi fatto a non accorgermene prima.
«S-Sai Evelyn...» Colton cercò di attirare la mia attenzione. «D-dovremmo cominciare ad incamminarci.»
«E come p-pensi di poter camminare in q-questa situazione?» replicai, girando la testa per guardarlo, vedendo che anche lui si era sdraiato.
«Dobbiamo m-muoverci se non v-vogliamo morire assiderati.»
«Esagerato.» ribattei, cominciando a strisciare sulla sabbia per avvicinarmi a lui. «Non faremmo nemmeno un p-passo che cadremmo per terra, a tremare come due p-persone in piena crisi epilettica.»
«E s-sarei io l'esagerato. C-Che stai facendo?»
Senza dargli il tempo di protestare, mi ero posizionata nell'incavo della sua spalla, avvolgendogli il torace con un braccio, nella speranza che la vicinanza fra i due corpi ci concedesse un po' di calore. Lui capì il mio obbiettivo e avvolse il mio corpo con le sue braccia. Non era un abbraccio, era un gesto bisognoso, che poteva giovare a entrambi.
«Bella i-idea.»
«Quando non sono s-suicide, le mie sono sempre b-belle idee.»
***
Per fortuna, non avevamo permesso al freddo di farci addormentare. Non sapevamo quali conseguenze ci sarebbero state nel caso qualcuno ci trovasse sulla riva del fiume. Le probabilità che ci trovasse un Ribelle invece che un Dominus dalla parte del re erano meno di zero.
Dopo un'altra giornata di corsa, non appena era calata la notte, ci eravamo concessi un paio di ore per riposare all'altezza della piccola foce di uno degli affluenti del Fiume delle Anime. Come la notte precedente, ci sdraiamo sulla sabbia, sulla riva del torrente. Rimanemmo zitti, ognuno perso nei propri pensieri.
Era passata un'altra giornata senza incontrare Matt e ogni ora che passava sentivo salire l'ansia sempre di più. Non avevo dubbi: non sarei riuscita a dormire per quelle poche ore. Il mio corpo chiedeva pietà: fra l'irritazione dovuta alla sabbia nelle braccia e nelle gambe, il freddo che c'era durante la notte è durante il giorno e le corse con il velocista mi stupii di riuscire ancora a tenere aperti gli occhi.
Ma la verità è che non riuscivo a dormire. Avevo paura che qualcuno potesse attaccarci, che qualcuno potesse scoprirci. E, come se non bastasse, la mia mente era sempre tormentata da una marea di pensieri che mi rendevano impossibile riposare.
Colton, d'altro canto, riusciva a dormire come un angioletto, con i muscoli rilassati. Girai la testa per osservarlo, invidiandolo molto: anch'io avrei voluto essere così calma e affrontare tutto come stava facendo lui. Ma ero troppo agitata, troppo preoccupata e dannatamente troppo scossa da tutto quello che era successo.
«Perché mi stai fissando?» Colton aprì un occhio.
«Come fai a dormire?» replicai, raddrizzandomi a sedere e portandomi le ginocchia al petto, abbracciandomele.
Mi sembrava ancora di sentire il freddo dell'acqua dentro le mie ossa. Oltretutto eravamo a nord del regno e di notte le temperature scendevamo molto. Noi avevamo solo dei miseri stracci rovinati addosso. Non avevo potuto fare a meno di chiedermi quando sarebbe arrivata la febbre, ma forse era solo il sangue di Dominus che ci evitava l'assideramento. L'unica cosa che contrastava un po' il freddo era quella sorta di calore che la terra di Pyros sembrava emanare.
«Io non dormo nel vero senso della parola.» disse. «È più un sonno leggero, ho tutti i sensi pronti ad afferrare ogni singolo movimento, ogni singolo motivo di preoccupazione.»
Non risposi, girando la testa verso la foce del torrente, da cui proveniva l'unico rumore presente a parte le nostre voci. Quella sera, purtroppo, il cielo era coperto dalle nuvole, che probabilmente si stavano caricando di pioggia. Sentii a stento Colton alzarsi a sedere.
«Devi provare a rilassarti. Cerca di non pensare a...»
«A cosa?» mi girai a guardarlo, appoggiando la testa sulle ginocchia.
«A tutto.» concluse, sospirando. «Lo so che è difficile, dannatamente difficile. Ma il tuo corpo non reggerà ancora per molto questo ritmo. Da quanto non dormi?»
Mi prese alla sprovvista. In effetti, non mi ricordavo l'ultima volta che avevo dormito. Distolsi lo sguardo da lui, cercando di ricordare l'ultimo sonno ristoratore che avevo fatto. Doveva essere quando ero svenuta, a Rocys. Da allora quei pochi sonni che avevo avuto erano stati pieni di incubi e decisamente poco ristoratori. Tenendo fisso lo sguardo nell'acqua davanti a me, risposi mentendo: «Non lo so.».
«Evelyn, lo so che lo sai.»
Rimasi un attimo in silenzio, arrivando a capire che non sarebbe cambiato più di tanto dirglielo o non dirglielo. Prendendo un respiro profondo, dissi la verità: «Da quando sono svenuta.Da quel momento non ho mai dormito davvero.».
«Si vede dalle tue occhiaie.» replicò, alzando una mano, allungandola e accarezzando con il dito sotto i miei occhi, proprio dove spuntavano quelle ombre scure quando il mio corpo mi chiedeva pietà.
Mi rivoltai a guardarlo un'altra volta, sorridendo lievemente al ricordo di tutte le mattine in cui mettevo il correttore, uno dei miei amici più fedeli durante tutto l'anno scolastico. Non osavo immaginare come fossero queste occhiaie: non avevo mai spinto il mio corpo così oltre, dovevo avere come delle macchie nere sotto i miei occhi grigi.
Del resto, non potevo nemmeno immaginare in che condizioni fosse tutto il resto del mio corpo. Chissà in che condizioni erano i miei capelli: erano legati in una coda disordinata di ciuffi tutti arruffati, non venivano lavati da più di una settimana e sicuramente erano pieni di sabbia e terra. Dovevo essere un disastro nei miei pantaloni strappati e nella mia camicia di lino bianca ormai resa marrone dal fango. Colton non poteva considerarsi molto più fortunato: oltre ai capelli corti più decenti dei miei e a occhiaie appena accennate, la sua situazione era la stessa.
«Purtroppo le mie occhiaie mi tradiscono sempre. Sopratutto se non sono coperte da una consistente quantità di correttore.» ribattei continuando a sorridere lievemente.
«Dovresti provare a dormire un po', lo sai? Non so quanti altri viaggi veloci potresti sopportare.»
«Non ce la faccio.» ammisi. «Appena chiudo gli occhi mi esplodono nella mente le immagini della visione, quelle dell'attacco di Brennan...»
Lui rimase in silenzio per un attimo, guardandomi negli occhi. Solo dopo pochi minuti parlò, e la sua voce risultò comprensiva e vagamente dolce: «Sdraiati Evelyn. Non chiuderò gli occhi, rimarrò sveglio e controllerò che non ci sia nessuno. Fidati di me, sarai al sicuro.». Sospirai, capendo dal suo sguardo risoluto di non aver altra scelta. Mi lasciai ricadere all'indietro un'altra volta, allungando le gambe sulla sabbia prima di girarmi su un fianco, verso di lui.
«Ti racconterò una storia.» fece, non appena chiusi gli occhi. «Si racconta ai bambini che hanno gli incubi.»
Annuii, portandomi una mano sotto ala guancia. Come se non fosse la prima volta che gli capitava una cosa del genere, cominciò a raccontare: «C'era una volta un piccolo... Dominus della Luce...». Non potei fare a meno di ridacchiare: «Sul serio? Ma ce l'avete tanto con noi Domini della Luce?». Anche lui ridacchiò: «Si dice la specie di Dominus del bambino in questione Evelyn.»
«Meno male, avevo paura fosse una vostra ossessione.»
«Oh, è davvero una nostra ossessione quella di voi Figli del Sole.»
«Rassicurante.»
«Allora, c'era una volta una piccola Dominus della Luce che non riusciva a dormire...»
***
Riuscii incredibilmente a dormire, quella notte. Colton si stava rivelando più apprensivo di quanto mi fossi aspettata: per lui dovevo essere solo una sconosciuta, una ragazza che doveva portare sana e salva da un suo amico. Ma non mi stava trattando come se fossi solo un testimone da passare a qualcun altro, mi stava trattando come un'amica, anche se mi conosceva solo da poco più di una settimana.
Molte volte, durante quei giorni, mi ero chiesta come potesse essere fratello di Chantal Wilson: mi sembrava davvero impossibile, anche se non potevo dimenticare il giorno che l'avevo vista all'Istituto Zero. Non potevo dimenticare quanto mi fosse sembrata devastata. Non trovai la forza di chiedere il perché a Colton.
Ormai il mio corpo si era abituato a quelle corse sfrenate a velocità supersonica e le poche cose che mangiavo riuscivo a tenermele nello stomaco. Tirando le somme, dovevo aver perso perso durante quella dura settimana abbondante da latitante. Ma non sentivo nemmeno la fame: avevo lo stomaco chiuso dall'ansia di non sapere che fine avessero fatto i miei amici. L'unica cosa che mi consolava era quello che mi aveva detto la Evelyn del futuro riguardo a loro.
Quello era il quattro novembre. Erano passati esattamente tre giorni da quando avevo saputo dell'assedio di Rocys. Da quel momento, non avevamo ricevuto altre notizie, di nessun tipo. Colton era stato talmente bravo da evitare le strade principali, nascondendoci da qualsiasi Dominus. Però, avevamo sempre la strada sott'occhio per essere in grado di vedere Matt qualora passasse. Solo di notte, quando ci concedevamo di camminare e di abbandonare le corse veloci, la percorrevamo, sperando vivamente di incontrare Matt durante quelle poche ore.
La notte di quella domenica annuvolata e fredda avevo uno strano presentimento. La prossima crisi si stava facendo aspettare e inconsapevolmente quello era uno dei problemi che si stavano aggiungendo alla lista delle mie ansie. Colton, non abituato alle mie crisi ricorrenti, non sembrava ricordarsi di quel mio piccolo problema. Che fosse arrivato quel periodo in cui le crisi si sarebbero arrestate?
«Dove ci troviamo?» chiesi, consapevole che ogni giorno in più che passava aumentavano le probabilità che a Matt e agli altri fosse successo qualcosa.
«Stiamo per arrivare alle Fauci del Lupo, il punto in cui il Fiume delle Anime si biforca in due fiumi secondari.» il suo tono di voce faceva capire che c'era qualcos'altro che avrebbe voluto dire.
Anche se rimase zitto, seppi ciò che aveva deciso di omettere: se non avessimo incontrato Matt allora, sarebbe significato che non stava percorrendo quella strada. Mi rifiutavo di pensare al fatto che fosse potuto cadere in mani nemiche. Era Matt, era troppo intelligente anche solo per prendere in considerazione l'idea. Rimasi zitta, mentre in lontananza cominciavo a sentire il rumore inconfondibile di cascate. Di grandi, gigantesche cascate.
Rimasi a bocca aperta quando, da lontano, vidi la strada cominciare a curvare e quando mi accorsi del terreno che cominciava ad inclinarsi sensibilmente. Non riuscii a trattenere un sospiro di meraviglia: «Sono come le cascate del Niagara?». Colton rise, muovendo la mano come per dire 'dai, vai a vedere'. Non valutando i rischi e sentendomi autorizzata dal suo invito, cominciai a correre freneticamente giù dal sentiero, seguendo la curva che assumeva allontanandosi dalle cascate.
Correre così, senza essere aggrappata a qualcuno e senza raggiungere velocità supersoniche, mi faceva sentire libera. Era un sacco di tempo che non lo facevo. Le ultime corse che avevo fatto erano sempre state caratterizzate da una frenetica urgenza di sopravvivenza.
Come mi ritrovai all'altezza delle cascate, mi girai verso destra, cercando di vedere tutta quella meraviglia. Il vapore che usciva dalle cascate era molto e l'aria aveva preso un colorito biancastro. Solo quando raggiunsi metà della discesa riuscii a vedere: il fiume si divideva in due cascate gigantesche, che cadevano per metri e metri fino a raggiungere il letto dei due nuovi torrenti che prendevano vita dal Fiume delle Anime. Non avevo dubbi: avrebbe fatto un effetto decisamente migliore con i colori e i profumi della primavera, o anche solo con il cielo limpido che quella sera non c'era. Ma era comunque una delle cose più belle che avevo visto.
Lasciandomi scappare un urlo di felicità, ricominciai a correre giù per la discesa, arrivando finalmente in fondo, nel terreno pianeggiante. Avevo il fiatone, ma non stavo così bene da settimane. Era incredibile che effetto mi potesse fare un panorama del genere.
E fu allora che me ne ricordai: quella era la mia terra, io ero nata a Pyros, in una città non molto lontana da lì. Mia madre era cresciuta nella Terra del Fuoco e sicuramente, non avevo dubbi a riguardo, era stata lì, almeno una volta. Chissà, forse anche con il Comandante Davis. Per la prima, vera volta da quando ero arrivata ad Elyria, provai una sensazione strana. Cominciavo a sentirmi davvero parte di quel mondo assurdo e magnifico. Elyria era la mia patria tanto quanto lo era di Colton, di Matt, di Rose.
Tutta quell'euforia fu smorzata quando venni colpita da un giramento di testa. Era stato troppo bello per essere vero: le crisi non si erano fermate, ne stava arrivando una proprio in quel momento. L'aria abbandonò quel residuo di color biancastro che aveva all'inizio della discesa e prese uno strano colorito lievemente dorato, completamente innaturale.
Non avevo mai provato una sensazione del genere: mi sentivo estraniata da tutto, come se fossi in una realtà ultraterrena. Mi sentivo leggera, leggera come una piuma pronta ad essere trasportata via dalla prima debole corrente d'aria che la colpisce. Non successe nulla di eclatante, ma dentro di me sentii cambiare qualcosa: per la prima volta da molto tempo mi sentivo di potercela fare, sentivo che quella missione non era poi così suicida come pensassi. Forse, quando tutto quella strana sensazione sarebbe finita, la realtà mi sarebbe ripiombata addosso come un masso pesante.
Improvvisamente, nella mia mente passò un'immagine fugace. Rimasi interdetta quando, chiudendo gli occhi, mi ritrovai davanti il mare. Era come se fossi stata trasportata in un luogo completamente diverso da quello in cui mi trovavo. Girando la testa, potevo osservare la situazione come se davvero mi trovassi lì.
Avevo i piedi nudi, mi trovavo sul bagnasciuga di un mare freddo e pulito, limpido. Alzando lo sguardo, in lontananza potevo vedere la costa di un'altra terra e, spostandolo più a destra, potevo vedere un lungo e imponente ponte bianco che collegava quella specie di isola con il posto in cui mi trovavo. Solo poco dopo mi accorsi di stare tenendo qualcuno per mano.
Non potei non riconoscere la persona che avevo di fianco dalla sua mano, resa ruvida e callosa dal fatto che era un combattente. Con una stretta al cuore, posai lo sguardo sulla sua faccia. Aveva un'espressione fiduciosa, fiera e dannatamente risoluta. Lo stomaco mi si serrò quando lo vidi fare un cenno di assenso con la testa, come se volesse dire 'pronta?'. Non feci in tempo a dire o a fare qualcosa che il mio corpo decise di muoversi da solo, seguendo il suo. I nostri piedi si mossero veloci nell'acqua e ben presto ci tuffammo.
Con il cuore a mille, mentre un'impressione di freddo mi pervadeva, mi ritrovai ad aprire gli occhi. La sensazione di potenza e di infallibilità che avevo provato prima mi aveva abbandonata in fretta e io mi sentivo svuotata, depressa come se mi avessero tolto la mia droga. Infondo era così che mi ero sentita: drogata.
Cercando di reprimere le lacrime di frustrazione per quello che avevo visto, mi girai, dando le spalle a quelle cascate che avevano scatenato la crisi. Mi accorsi a stento di stare alzando una mano per asciugarmi le lacrime che stavano scivolando sulle mie guance. Cercai un punto fisso nello spazio, verso il buio dentro il quale spariva il sentiero che dovevamo percorrere. Chissà quanto ci avrebbe messo Colton a scendere: avrei fatto in tempo a nascondergli traccia del mio pianto?
Improvvisamente nell'oscurità sentii muovere qualcosa. Serrai gli occhi, sbigottita e presa totalmente alla sprovvista. Era stata solo una mia sensazione? Avevo sentito male? Cercai di convincermi di questo, ma presto quel rumore inconfondibile di passi divenne più forte. Solo in un secondo momento vidi delle fiaccole.
Stavolta, però, non c'era nessun Colton reattivo a trascinarmi dentro alle gelide acque del fiume.
Mi girai velocemente verso il sentiero che avevo appena sceso, sperando vivamente che Colton fosse vicino a me, a prendere in mano a situazione. Ma lui non c'era, evidentemente e stupidamente se l'era presa molto comoda.
Mi accorsi tardi dell'orribile verità: questa volte, le fiaccole che si illuminavano in lontananza erano quattro. Sarei dovuta scappare, ma il mio corpo sembrava aver perso ogni funzionalità motoria. L'unica cosa che feci fu prendere dalla mia cintura il pugnale che mi aveva dato il vecchio giorni prima.
«Dobbiamo fermarci, conosco una radura qui vicino alle Fauci de Lupo. Potremmo accamparci qui. Non mi sembra il caso di continuare: siamo tutti sfiniti e privi di energie. Dobbiamo riposare, farò io il primo turno di guardia.» quando la voce acuta di una ragazza risuonò nel silenzio della notte, capii che erano troppo vicini per scappare.
Avevo perso tempo prezioso e ormai ero spacciata. Erano quattro Domini, sarebbero sicuramente riusciti a fermare la mia fuga.
Rischiai di lasciarmi sfuggire un urlo acuto quando sentii afferrarmi per la bocca e per la pancia all'improvviso. Spalancai gli occhi, ma riuscii a soffocare l'urlo che minacciava di uscire dalla mia bocca solo quando capii che si trattava di Colton.
In quel momento, non mi sarei mai aspettata di sentire la sua voce rispondere a quella ragazza. Sentii un gigantesco e pesantissimo peso abbandonarmi le spalle e per poco non mi misi a piangere per la gioia.
«Raggiungiamo prima le Fauci del Lupo, dobbiamo riempire le borracce d'acqua.»
Quando lo sentii parlare, non riuscii a non far partire un calcio contro il ginocchio destro di Colton. Dovevo correre da lui, dovevo farlo assolutamente. Colton, preso alla sprovvista, allentò la presa e io riuscii a divincolarmi da lui, cominciando a correre come una forsennata, con le lacrime, ora di gioia, agli occhi.
Corsi verso di lui, in quello che agli occhi di Colton poteva sembrare un gesto suicida. Ma era tutt'altro che suicida, era come se stessi correndo incontro alla mia sanità mentale: una preoccupazione del genere in meno significava davvero molto per me.
Loro mi videro solo quando fui a poco più di cinque metri di distanza. Una fiaccola cadde a terra, rischiando di far prendere fuoco tutta l'erba secca della regione del fuoco. Sarebbe successo se non fosse stato per il reattivo Dominus del Fuoco che chiudeva quel quartetto.
Annullai le distanze con il mio migliore amico con uno grande slancio. Gettai le braccia al suo collo e lo abbracciai forte, come se non lo vedessi da anni. Scoppiai a piangere sulla sua spalla, mentre lui, preso totalmente alla sprovvista, ricambiava l'abbraccio stringendomi forte a sé, così strettamente come se non avesse più intenzione di lasciarmi andare.
«Sei qui, sei qui...» ripetei contro la sua spalla, fra un singhiozzo e l'altro.
Matt aumentò la stretta. Mi sembrava di essere tornata a Boston, a quando la mia vita poteva ancora considerarsi relativamente normale. Sentii Colton arrivare a stento, da quanto ero presa da quell'abbraccio fraterno con il giovane Dominus della Terra.
«Sono qui Eve.»
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