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Capitolo 18 • Fuga

C A P I T O L O  X V I I
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• F u g a •

Da Dominus dell'Aria che si rispetti, mi sarei dovuta immaginare quello che mi sarebbe aspettato. Ma anche allora, ripensandoci, non riuscivo ad immaginare un modo di viaggiare peggiore. Più e più volte, da quando ero arrivata ad Ilyros, mi erano venuti i lacrimoni al solo ripensare a quello che avevo affrontato.

Le immagini confuse di quei dieci giorni d'inferno non abbandonavano mai i miei pensieri e sulle braccia e sulle gambe sentivo ancora il dolore dei tagli che mi ero procurata durante il viaggio, ormai scomparso grazie ai guaritori della caserma della Reggia Azzurra nella quale mi avevano segregata. E grazie al fondamentale intervento di William, dovevo ammetterlo.

I miei ringraziamenti nei suoi confronti iniziavano e finivano lì, sicuramente. Troppe volte nel corso di quegli anni mi ero ritrovata ad odiarlo, per i più svariati motivi, che andavano dai più futili ai più seri. Ma dovevo ammettere che questa volta si era proprio superato. Però non potevo biasimarlo: combattevamo su due fronti opposti ed imprigionarmi era stata l'unica cosa che aveva potuto fare.

Gli dei solo sapevano quello che mi avrebbero riservato le guardie e gli ufficiali non appena mi avessero considerata abbastanza in forma per eseguire un interrogatorio. Non sapevo da quanto stessi pensando e ripensando a come scappare: avevo perso la cognizione del tempo. Non sapevo se Evelyn era stata presa, non sapevo né dove si trovava né con chi era. Non sapevo se era ancora viva...

«Dannazione.» imprecai lanciando un piccolo sassolino che mi stavo rigirando fra le mani contro il muro della cella che avevo davanti.

Era capitato tutto troppo in fretta e ancora allora non riuscivo a capire come avessero potuto trovarci. C'era sicuramente stata qualche spia, ma chi era stato? Davvero molti nomi mi si susseguivano nella mente, ma ragionandoci bene mi sembravano uno meno probabile dell'altro.

In lontananza, sentii il trillo di una campana, che segnava il cambio turno. Se solo avessi saputo ogni quanto suonava, avrei potuto riacquistare la cognizione del tempo e avrei avuto una piccola informazione da aggiungere alle cose che già sapevo: ogni minima cosa poteva aiutarmi.

Per esempio, sapevo già che la guardia che stava presiedendo in quel momento il blocco di celle, disposte a raggiera attorno ad un grande spazio circolare in cui ero io, veniva chiamata Pallido.

Poiché mi trovavo nelle celle destinate ai detenuti di massima sicurezza, non riuscivo a veder nulla di più che le persone che con una fiaccola si avvicinavano alle sbarre, il che era successo ben poche volte. La guardia del blocco rimaneva celata nell'ombra a noi prigionieri e da quello che avevo potuto intuire sedeva al centro dello spazio circolare. Inutile dire che non c'erano finestre.

Ancora una volta, mi ritrovai ad alzarmi con un grande sforzo dal letto di pietra della piccola cella e a raggiungere le sbarre di legno, tenendomi a debita distanza: quello era uno dei blocchi destinati ai Domini dell'Aria e almeno il cinquanta percento di tutto quello spazio era fabbricato con il legno a noi tossico. Il tutto risultava estremamente soffocante.

«Scricciolo.» mi misi subito sull'attenti: era una delle poche volte da quando ero rinchiusa che sentivo qualcuno parlare. «Finalmente il tuo primo, vero turno di guardia?»

La voce di quello che supposi essere proprio Pallido rimbombò in tutte le celle e subito sentii gli altri prigionieri riscuotersi e raggiungere le sbarre proprio come avevo fatto io.

«Sì, ma a differenza tua io sono già consapevole che non dovremmo proferire parola, qui dentro...» quella voce, stizzita e grave, mi fece rabbrividire. «In nove mesi tu avresti dovuto saperlo già da un bel pezzo...»

Seguì un silenzio carico di tensione. Io ero tutta un nervo: ero sicura di aver già sentito quella voce, com'ero sicura di non averla sentita nelle ultime settimane. Era stato prima.

Improvvisamente un urlo assordante squarciò il silenzio ed io mi paralizzai, praticamente sicura che qualche detenuto si fosse avvicinato troppo alle sbarre. Cercai di ignorare i gemiti di dolore di quel prigioniero e spostai la mia attenzione sul confronto fra le due guardie. A sinistra, da dove sentivo sempre entrare e uscire lo scalpitio dei passi, c'era una fiaccola accesa.

«Beh, è un errore da principianti entrare con una fiaccola. Dobbiamo sempre celare i nostri volti...» la voce di Pallido era ferma, ma lasciava comunque trapelare il fatto che stesse cominciando a dubitare della situazione. «Ti sei tradito troppo presto, dov'è Scricciolo? Che ne hai fatto di lui?»

«Lo scoprirai molto presto.»

Nessuno di noi se lo aspettava: la tensione era salita alle stelle quando vedemmo il bagliore fioco della fiamma della fiaccola partire alla velocità della luce e colpire Pallido in pieno viso. Un urlo di dolore rimbombò e noi tutti Domini dell'Aria cominciammo ad avvertire la differenza di ossigeno presente. La fiamma ne aveva sicuramente bruciato molto. Non era una stata una fiaccola: era stata la fiamma di un Dominus del Fuoco. 

Nel blocco in cui ci trovavamo si scatenò il finimondo: urla e grida di dolore per il legno tossico riempirono l'ambiente, impedendomi di capire quello che stava succedendo. Non ci stavo capendo più nulla: com'era possibile che una guardia ne avesse uccisa un'altra? Ci trovavamo nella Caserma Superiore di Ilyros, la caserma numero uno per sicurezza, e potevo scommettere l'osso del collo che non era mai successa una cosa del genere lì dentro.

Altri rumori di passi risuonarono nella confusione ed io pensai amaramente che la breve ed eroica missione di quella guardia, qualsiasi essa fosse, avrebbe visto la sua fine molto presto. Ma quello che successe dopo mi lasciò senza parole: non sentii affatto il rumore di un combattimento, come avevo pensato, bensì cominciai a vedere delle fiaccole muoversi nell'oscurità. Presto fui costretta a socchiudere gli occhi, ormai abituati al buio opprimente della prigione, per proteggerli dalla luce accecante.

Quando riuscii a riaprire gli occhi per vedere effettivamente l'evolversi della situazione, il cuore cominciò a battere forte per l'emozione e per l'ansia. Che quelle persone fossero lì per liberarci? Cominciai davvero a sperare quando vidi le sagome di quei Domini cominciare a muoversi verso le celle.

Il mio entusiasmo si smorzò solo quando vidi le altre persone che erano entrate. O meglio, quando vidi la loro uniforme. Bordeaux e nero: gli inconfondibili colori della Confraternita Oscura. Cominciai a retrocedere piano piano, cercando di non riporre troppa speranza in quella che probabilmente era una missione di salvataggio individuale. I confratelli passavano davanti alle celle senza aprirle, scatenando le urla di rabbia e di supplica dei prigionieri. Stavano cercando qualcuno, non volevano liberarci tutti.

La mia parte razionale mi avrebbe dovuta spingere a mettere in mostra il mio viso, ma in quel momento era fortemente soffocata dalla paura di illudermi troppo. Presto le fiaccole si avvicinarono alla mia cella e il mio cuore cominciò a battere dolorosamente contro la gabbia toracica.

Quando un Dominus del Fuoco illuminò le sbarre della mia cella, mi scoprii a trattenere il fiato. La luce accecante di quella palla di fuoco mi impedì di vedere il viso del confratello che si era fermato. Dall'altra parte delle sbarre sentii una risata soffocata, che mi fece aggrottare le sopracciglia. Solo quando il Dominus spostò la palla di fuoco a lato della sua testa, il suo viso mi fu riconoscibile.

Mi mancò un battito e il mio stomaco si serrò di colpo. Aprii la bocca per parlare, ma la richiusi, rimanendo senza parole.

«Bingo.» il ragazzo sghignazzò, prima di rivolgersi agli altri confratelli, urlando per sovrastare il casino. «È qui! Disattivate i blocchi delle celle e gli incantesimi di protezione!»

Non mi azzardai ad avanzare verso di loro, ancora incredula per la piega inaspettata che aveva preso quella situazione. Il tempo mi sembrò scorrere a rallentatore, mentre cercavo di ritrovare me stessa. Fissai il mio sguardo sul suo solo quando parlò ancora, rivolgendosi a me: «Sinceramente mi aspettavo una faccia più sorpresa da parte tua.».

Non feci in temo a rispondere che una violenta ondata di potere mi travolse, spingendomi contro il muro alle mie spalle. L'incantesimo di protezione si era dissolto nell'aria. Ancora interdetta e restia a muovermi, rimasi a guardare la Confraternita Oscura far di tutto per disintegrare le sbarre della mia prigione.

«Abbiamo ancora un quarto d'ora di tempo prima che si attivi l'allarme, Shaun!» una voce lontana sovrastò le urla dei prigionieri.

«Stai indietro!» la voce risoluta di Shaun Spencer, o qualunque fosse il suo cognome, mi ordinò di fare qualcosa che stavo già facendo.

Solo allora realizzai: a meno che la Confraternita Oscura non lo facesse per tornaconto personale, qualcuno aveva pronunciato il Sacramento Nero per farmi liberare. Non permisi a me stessa di pensarci: quattro palle di fuoco si abbatterono contro il legno di rovere e lo bruciarono, rendendomi libera, fottutamente libera dalle celle più impenetrabili di Elyria.

«Rose, muoviti. Se rimani ancora lì non ne usciremo vivi, nessuno di noi.»

Fu allora che, cogliendo quell'occasione irripetibile e ancora impossibile da pensare, corsi fuori dalla cella, incontro a Shaun e alla Confraternita Oscura. Afferrai in fretta il pugnale che Shaun mi stava porgendo, allontanando risolutamente tutte le domande dalla mia testa.

Sentendomi di colpo meno oppressa dal potere tossico del legno di rovere, cominciai a correre velocemente verso l'uscita, seguendo una consorella alta e slanciata. Non potei preoccuparmi per tutti quei prigionieri che mi stavo lasciando alle spalle: egoisticamente non potevo rischiare di morire per Domini che non conoscevo nemmeno. Quello sarebbe stato più un gesto da Evelyn.

Allontanai anche il pensiero di lei, che mi avrebbe solo distratta dal mio obbiettivo. Non appena uscii dal blocco in cui ero stata imprigionata, le urla supplicanti e disperate degli altri prigionieri si affievolirono, allontanando quel senso di colpa che stavo cercando di ignorare con tutta me stessa.

Forse era solo un sogno, forse da un momento all'altro mi sarei svegliata e mi sarei ritrovata davanti agli occhi il buio soffitto di pietra solcato da venature di rovere di quell'orribile cella. Forse, quello era stato uno scherzo di cattivo gusto degli dei.

Corremmo per un dedalo di corridoi e scalinate, evitando e saltando i corpi svenuti o senza vita delle guardie messe fuori gioco dai confratelli. Non mi diedi il tempo di capire se le avessero uccise tutte.

Mi sembrava troppo bello per essere vero. Ma sopratutto mi sembrava tutto dannatamente troppo facile. Non poteva continuare così, lo sapevo io e lo sapevano i confratelli, che presto, prima di raggiungere il piano terra, sfoderarono tutte le loro armi.

Visto che ero svenuta quando William mi aveva portata dentro la cella, non mi ero resa conto di quanto fossimo sottoterra: dovevamo aver salito non meno di venti scale diverse. Come la prima consorella mise piede nell'ultimo pianerottolo di marmo bianco, il mondo sembrò esplodere. In un primo momento, non riuscii a capire nulla: mi ritrovai nel bel mezzo di un combattimento all'ultimo sangue, in un grande salone d'ingresso.

«L'allarme non funziona, l'allarme non funziona! Qualcuno vada ad avvertire le altre caserme!»

Ma chiunque cercasse di avvicinarsi all'uscita della Caserma Superiore, veniva fermato da membri della Confraternita Oscura, che sembravano moltiplicarsi in continuazione da quanti erano. Ovunque girassi lo sguardo, mi ritrovavo davanti agli occhi un confratello che combatteva con una guardia. Non mancavano di certo Domini a terra, morti o troppo feriti per alzarsi in piedi.

«Muoviti!» non mi ero nemmeno resa conto di essermi fermata.

Sentii Shaun afferrarmi per un braccio e cominciarmi a trascinare in mezzo al combattimento, verso l'uscita. Cercai di fare del mio meglio per evitare attacchi, palle di fuoco, sfere di energia e cose del genere. La terra era smossa da piccole scosse di terremoto, che però non erano abbastanza forti da impedirci di correre. Sicuramente confratelli Domini della Terra stavano cercando di trattenere le scosse di terremoto per non far arrivare altre guardie. A quel punto le nostre sorti sarebbero state segnate.

Eravamo arrivati quasi all'entrata quando sentii un dolore acuto alla schiena, fra le due scapole. Non riuscii a trattenere un urlo, facendo girare Shaun verso di me. Non appena si rese conto che qualcuno era riuscito a ferirmi, evocò una palla di fuoco e la spedì contro quella guardia, che tempestivamente si protesse con uno scudo d'acqua.

Sentii il rivolo di sangue caldo fra le scapole proprio nel momento in cui lo scudo d'acqua si dissolveva al contatto con la palla di fuoco. Strinsi i denti per il dolore alla schiena, mentre la presa di Shaun sul mio braccio si serrava ancora di più. Con la mano libera, continuò a combattere, ma era in svantaggio: l'acqua batteva il fuoco.

Allora, da guerriera che si rispetti, cercai di ignorare il dolore lancinante che ormai cominciava a farsi insostenibile e, con uno slancio, presi alla sprovvista la guardia. Sicuramente non mi reputava in grado di attaccare con quella ferita; come biasimarlo, ero rimasta stupita anche io dal mio gesto. Il pugnale che Shaun mi aveva consegnato recise il collo scoperto di quella guardia impreparata e probabilmente poco addestrata: mai abbassare la guardia, mai.

Feci in tempo solo a vederlo portarsi una mano al collo ormai rosso, scioccato, prima che Shaun ricominciasse a trascinarmi, correndo di gran carriera. Subito, la mia vista si annebbiò al dolore insostenibile del taglio che avevo sulla schiena, ma cercai di farmi forza, ricordandomi che, se non fossi scappata da lì, sarei morta nel giro di pochi secondi.

Shaun ci fece uscire dalla Caserma Superiore. La cosa che mi colpì fu la calma apparente dell'esterno. Era notte e mi stupii di quanto potessi essere felice di vedere il cielo. Inconsciamente avevo temuto di rivederlo solo da prigioniera condannata a morte.

Il confratello continuò a correre e io mi resi conto che ormai eravamo rimasti solo noi due: tutti gli altri erano ancora dentro la caserma, impegnati a trattenere le guardie, probabilmente per darci più tempo. Ad ogni passo che facevo il dolore si faceva sempre più forte. Non mi accorsi nemmeno di stare incespicando e cadendo per terra, sul soffice prato della Collina dell'Imperatore.

La mia guancia si premette contro l'erba e davanti agli occhi, ormai annebbiati, mi si stese davanti una Reggia Azzurra rovesciata su un lato. Era la costruzione più bella e maestosa che avessi mai visto. Infondo, dentro di me, ero felice che quella fosse l'ultima cosa che vedevo prima di morire trafitta da una spada di una guardia.

«Rose!»  la voce di Shaun era ansiosa e urgente. «Alzati.»

Cercai di dirgli che mi dispiaceva, che non avevo mai voluto che morisse per aiutarmi a scappare da morte certa. Provai ad incitarlo a scappare, ma ormai il dolore aveva raggiunto le stelle. Ammirai un'ultima volta la Reggia Azzura, pregando gli dei di allontanare tutto il dolore, prima di cominciare a vorticare nel buio.

***

La schiena bruciava e la testa pulsava terribilmente.

Attorno a me sentivo un grande via vai di gente e raramente qualcuno dire qualcosa che non fossero istruzioni mediche riguardo a quella che supposi essere la mia salute. Anche in quel momento, per quella che mi parve essere la milionesima volta, la voce che avevo sentito più spesso nel mio opprimente dormiveglia, stava spiegando le mie condizioni fisiche.

«Il taglio era profondo, ma non da essere letale. Ma il fatto che fosse legno di rovere ha creato piaghe e bruciature considerevoli  nel taglio. Siamo riusciti a togliere le schegge di legno, ma non sappiamo quando si sveglierà: il suo corpo era già destabilizzato dal viaggio con il velocista da Brennan a Ilyros. Non si può dire che trattino bene i prigionieri, in viaggi del genere. Sopratutto se sono ribelli.»

Cercai di aprire le palpebre, ma mi sembravano così incollate che l'impresa si rivelò impossibile da realizzare. Dovevo svegliarmi, dovevo assolutamente farlo. Dovevo capire dove mi trovassi, ma sopratutto con chi. L'orribile prospettiva di essere in una base della Confraternita Oscura mi attanagliava lo stomaco.

«L'importante è che resti viva. Le altre diecimila corone d'oro del pagamento ci servono.» un'altra voce, femminile, parlò in modo autoritario, che non ammetteva repliche.

«È viva e tale rimarrà, precursore. Non vanificheremo la morte di tutti i confratelli caduti.»

Un'altro scalpitio di passi e la stanza ripiombò nell'assoluto silenzio. Non so quanto passò prima che riuscissi a sbattere le palpebre, probabilmente ero ricaduta in un sonno profondo nel frattempo. Come aprii gli occhi, tirai un sospiro di sollievo nel non riconoscere il soffitto della stanza in cui mi trovavo. Non ero più in cella.

Ce l'avevo fatta, ero miracolosamente scappata.

Mi ritrovai a tossire, storcendo il viso in una smorfia immediatamente dopo. Mi resi conto di qualcosa che mi avvolgeva tutto il torace, mentre una scarica di dolore mi partiva dalla schiena. Di colpo, tutti i ricordi di quella notte mi si riversarono in testa.

«Finalmente ti sei svegliata.»

Non mi ero resa conto di qualcuno seduto ai piedi del mio letto. Storcendo il viso per il dolore di muovermi, mi raddrizzai, appoggiando la schiena sulla testiera del letto. Movimento di cui mi pentii amaramente nello stesso momento in cui il legno duro toccò il mio taglio.

«Aspetta, ti aiuto.» Shaun Spencer si alzò dal mio letto e si apprestò a venirmi in soccorso, prendendo dei cuscini in più e posizionandomeli fra la schiena e la testiera del letto.

Solo allora il mio sguardo si posò davvero su di lui. Sgranai gli occhi quando lo vidi vestito con l'armatura leggera della Confraternita Oscura: almeno la sera prima aveva i vestiti da guardia reale. Sapevo della sua appartenenza alla confraternita, ma era comunque un po' uno shock vederlo così. Non osai immaginare come avesse reagito Evelyn quando lo aveva visto vestiti in quel modo.

«Ti fa male?» mi domandò, prendendo una sedia da un tavolo lì affianco e posizionandosi di fianco a me.

«No.» mentii subito, ottenendo un'occhiata divertita da parte sua.

Shaun era cambiato poco dall'ultima volta che lo avevo visto: portava la barba un po' più lunga, ma i lineamenti erano gli stessi, così come i capelli. Nonostante questo, mi ritrovavo a guardarlo con occhi estremamente diversi: era un membro dell'organizzazione più temuta e pericolosa del Regno di Elyria, era un assassino.

«Sai, a mentire fai schifo. Sopratutto se la tua faccia e le tue smorfie di poco fa ti smentiscono subito.»

«Tentar non nuoce.» replicai, imponendomi di sembrare dura e risoluta sia nel parlare sia con la mia espressione. «Non voglio convenevoli, Spencer. Dimmi perché sono qui e perché mi avete liberata.»

«Vorrai dire salvata da morte certa, giusto?» mi corresse lui, sempre con quel sorriso strano in volto. «Carino da parte tua ringraziarci così.»

«Non voglio ringraziare qualcuno che lo ha fatto solo per tornaconto personale.»

«Mi sembra giusto.» commentò. «Ebbene, Rose Ward, hanno voluto che scappassi dalla Caserma Superiore di Ilyros. Alla Confraternita Oscura è stata solo commissionata la missione.»

«Da chi?» chiesi subito, senza riuscire a trattenermi.

«E io lo verrei a dire a te?» ribatté subito, trattenendo a stento una risata derisoria. «Mai sentito parlare di segreto professionale?»

«Mi sto trattenendo seriamente dall'urlarti contro Spencer. Quindi qualcuno mi ha voluta fuori dalle prigioni, ma perché? Perché solo io e non tutti i prigionieri ribelli?»

«Cosa vuoi che ne sappia io? Non facciamo domande, sopratutto quando il pagamento è davvero consistente. Comunque, non voglio negare quanto il precursore sia felice di avere in una delle sue basi una delle persone più vicine all'ultimo sole.» 

«Una volta anche tu facevi parte delle persone più vicine a lei, Spencer.» ribattei. «È davvero interessante come tu, nel giro di poche settimane, passi dal scopartela a far come se non l'avessi mai conosciuta.»

Shaun non fu preso alla sprovvista dal mio tono di accusa, né dal fatto che io fossi a conoscenza della sua avventura con Evelyn. Anzi, si limitò a guardarmi negli occhi, come se aspettasse che continuassi.

«Sai, una volta non mi dispiacevi.» rivelai, guardandolo fisso negli occhi. «Tu, o almeno così credevo, non volevi uccidere Evelyn come quell'altro.»

«Ho sempre trovato esilarante come tu abbia lottato per tenerla lontana dal principe. Senza dirle la verità, oltretutto. Non mi sembra che il vostro piano sia funzionato molto bene, o sbaglio?»

Non riuscii a non arrossire: aveva ragione, le nostre misure di sicurezza contro William Cole erano sempre state precarie. Non ci eravamo impegnati abbastanza a tenerla lontana dal Dominus meno adatto per lei. Non che Shaun a questo punto fosse meglio: doveva stare lontana pure da lui e dalla sua particolare famiglia.

Senza pensare mi presi la testa fra le mani: chissà dove si trovava Evelyn, che cosa stava facendo. Chissà se era ancora viva, se era riuscita a scappare da Brennan. Non sarei mai riuscita a perdonarmelo: era colpa mia se eravamo andate a quella festa, era colpa mia se era successo qualcosa ad Evelyn.

Cominciò a mancarmi l'aria al pensiero di quello che le poteva essere successo e solo allora mi resi conto di trovarmi sottoterra, molto lontana dall'aria fresca e calmante della superficie. L'ansia cominciò ad aumentare e presto non riuscii a trattenermi dal fare respiri profondi, che mi causavano altre scariche di dolore a causa del taglio.

«D-Dove mi trovo?» mi ritrovai a chiedere, sollevando la testa e girandola, per osservare la stanza.

Mi sentivo in trappola: ero fuggita da una gabbia solo per entrare in un'altra. Shaun si allarmò alzandosi dalla sedia e chinandosi su di me, afferrandomi la spalla con una mano e cercando di calmarmi: «Siamo sotto la capitale, sotto l'impianto fognario.» Cercai di trattenere una risata nervosa, che minacciava di uscire dalla mia bocca fra un respirone e l'altro: «C-Che giorno è? Sapete qualcosa di... di Evelyn?». Shaun, cominciando a guardarsi attorno in cerca di aiuto, mi rispose in fretta: «È il sei novembre e so per certo che Evelyn non è stata catturata. Ora ti devi calmare Rose...».

«Prova tu a c-calmarti quando sei in p-preda ad un probabile attacco d-d'ansia!» ribattei con voce affannata.

A quel punto, senza preavviso, Shaun fece l'unica cosa che gli venne in mente. Allargò le braccia e, stando accuratamente attento ad evitare di toccare il taglio nella schiena, mi abbracciò, prendendomi alla sprovvista. Sgranai gli occhi quando il suo abbraccio si fece più stretto e sentii improvvisamente l'ansia aumentare esponenzialmente.

«C-Che cosa stai facendo?» dissi con voce acuta, sentendo mancarmi l'aria.

«Aspetta...»

Cercai di protestare, ma, poco dopo, inaspettatamente cominciai a calmarmi, accorgendomi di stare piangendo e di stare appoggiando la guancia sul petto muscoloso di Shaun, che continuava ad avvolgermi fra le sue braccia. Il mio respiro cominciò a tornare regolare e ben presto mi ritrovai a chiudere gli occhi, cercando di dare un senso a tutto quello che era successo. Sì, decisamente avevo appena avuto un attacco di panico.

«Sai, a Boston avevo letto che abbracciare strettamente qualcuno in preda all'agitazione aiuta a calmarlo. Una delle poche cose che ho imparato alla facoltà di psicologia. Decisamente, non mi sarei aspettato che mi sarebbe stato utile in circostanze come queste.»

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