Capitolo 17 • Latitanti
C A P I T O L O X V I I
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• L a t i t a n t i •
In discesa era sicuramente più facile camminare che in salita; ciò, purtroppo, non voleva dire che la mia ferita fosse lasciata più in pace: i movimenti facevano comunque male.
Avevamo fatto solo qualche metro quando mi vidi allungare un pugnale. Deglutendo per il significato dell'azione del vecchio, lo afferrai e lo infilai nella tasca esageratamente grossa dei miei pantaloni di lino ormai tutti bucati e strappati.
Inutile dire quanto mi sentissi sporca in quei momenti: erano ormai giorni che eravamo in cammino in mezzo alla boscaglia di Telyn e da altrettanto tempo non facevo una doccia che non fosse una veloce rinfrescata nei ruscelli, che erano la nostra unica fonte di acqua potabile per bere. Riguardo al cibo, non ero mai stata più affamata di così: andavamo avanti a bacche e frutti di bosco.
«Come faremo a trovare Matt?» chiesi al vecchio per l'ennesima volta, mentre scendevamo dallo scosceso sentiero della montagna.
Con il sole che continuava a sorgere, piano piano Athos era sempre più visibile, come noi del resto; fu per quello che il vecchio aumentò il passo ed io dovetti riporre tutta la mia attenzione sui miei inaffidabili piedi, che calzavano delle normalissime sneakers a suola liscia, completamente inadatte per la montagna. Colton, del resto, scendeva la montagna con grande leggerezza. La fresca brezza che ci sferzava la faccia sembrava rinvigorirlo sempre di più.
«C'è un motivo per cui io non sono mai andata in montagna.» commentai con il Dominus dell'Aria, con una smorfia di dolore, proprio mentre Karlsen rispondeva alla mia domanda su Matt.
«Lui è andato a Kratos.» disse, girando per l'ennesima volta la testa verso il sole, per capire quanto tempo ancora avessimo prima che le persone cominciassero ad apparire sulla strada. «Gli andrete incontro facendo la sua stessa strada.»
«Che sarebbe?»
«Siamo nella parte meridionale di Athos, caratterizzata dalle Colline Ventose. Da Brennan il gruppo del giovane Davis non ha preso la nostra stessa strada: spacciandosi per mercanti, hanno valicato il Passo dell'Airone, che si trova ad est di Terona e che sbuca proprio sulla città montana di Vashard. In poche parole sono arrivati nella zona centrale di Athos. Non appena abbandonerete i pendii boscosi delle montagne, non lo nego, sarà pericoloso. Correrete lungo il Fiume delle Anime, prima di arrivare al porto nel quale è sbarcato Matt, nella regione di Pyros. Dovete solo sperare d'incontrarlo lungo il tragitto...»
«Oltre che sperare che faccia quel tragitto.» commentai io. «Se non lo troveremo?»
«Andrete a nord, verso l'Altopiano del Fuoco. Ho alcuni persone affidabili lì, le contatterò per voi e dopo ci rincontreremo lì.» disse. «Non temere, Davis sa badare al fatto suo, lo incontrerete.»
Dopotutto aveva ragione: perché preoccuparsi adesso se prima, quando eravamo ancora a Brennan, non avevamo il minimo timore che non sarebbero tornati? Presi un respiro profondo e lasciai cadere la conversazione, diventando risoluta nel camminare: dovevamo muoverci in fretta, aveva ragione lui. Così strinsi i denti per ignorare il dolore e aumentai il passo, affiancando Karlsen.
Con la foschia mattutina che cominciava a salire, il panorama che avevo potuto vedere non appena avevamo superato Forte Ombroso divenne meno nitido ed io, nonostante desiderassi con tutta me stessa ammirare le meraviglie di quell'isola che era parte di me, fui costretta ad arrendermi, rivolgendo la mia attenzione solo sul percorso che dovevamo percorrere. Forse, con l'inoltrarsi della mattinata, le colline che aveva citato il vecchio, mi sarebbero state visibili.
Non stavamo nemmeno camminando da dieci minuti quando Karlsen disse: «Stiamo perdendo tempo nell'allenamento, Lewis. Mentre cammini, prova a prendere confidenza con la terra: sentila attraverso i tuoi piedi e magari, se ti riesce, dopo prova ad allargare la tua sfera d'influenza sull'elemento.». In un primo momento lo guardai con tanto d'occhi: oltre che cercare di non rotolare giù dal pendio della montagna che stavamo scendendo, dovevo anche cercare di esercitarmi?
Capii solo dopo che avevamo davvero i tempi contati: ottobre era praticamente finito e così aveva fatto uno dei tre mesi che avevo a disposizione prima di cadere. Ormai i sintomi della caduta, quindi le crisi, si stavano facendo più radi: era da due giorni abbondanti che non ne avevo una.
«Come faremo se avrò una crisi mentre stiamo camminando?» chiesi stancamente, temendo che la prossima potesse essere imminente.
«Non ho portato con me le previsioni di Davis, non ci ho pensato e non ne ho avuto il tempo.» ammise. «E non lo so, improvviserete.»
Annuii, mentre con la mente mi sforzavo di estraniarmi da tutto ciò che non fosse la terra che avevo sotto i piedi. Ero sicura che una Evelyn di pochi mesi prima si sarebbe sentita ammirata nel vedere quanto stessi camminando in quei giorni, probabilmente avevo fatto più chilometri a piedi che in tutta la mia vita.
Camminammo tutta la mattina, ininterrottamente, scendendo la montagna ed arrivando solo intorno al mezzogiorno infondo, dove ci aspettavano strade decisamente più dolci. Per fortuna, avevamo fatto bene a coprirci con dei mantelli: lungo la discesa avevamo incontrato abbastanza commercianti da farmi dubitare che qualcuno di essi potesse essere in effetti un comandante dell'esercito. Di certo non erano mancate delle guardie che salivano per raggiungere Telyn; inutile dire che ad ogni loro passaggio mi ritrovavo con qualche mese di vita in meno per l'ansia.
Se le facce di Karlsen e di Colton erano coperte solo in parte, la cappa che mi salvava da sguardi letali mi ricopriva praticamente tutto il viso, perciò io non potei ammirare ciò che mi circondava, ma allo stesso modo concentrarmi sull'elemento della terra divenne molto facile, nei momenti in cui non sentivo arrivare qualcuno, sia chiaro.
Nessuno dei tre si azzardò a parlare, ma ad un certo punto l'idea che Karlsen mi stesse dando istruzioni sull'allenamento comunicandomelo con la terra che ci circondava prese sempre più campo dentro di me: avvertivo come dei cambiamenti improvvisi, che non erano sempre diversi, ma erano gli stessi due che si ripetevano di continuo e ormai ero riuscita ad interpretarli.
Quando ormai la mia attenzione sviava su qualcos'altro, sentivo una forte scossa di energia, come se fosse di avvertimento; mentre quando sentivo di stare andando bene, percepivo un' altra scossa, più lieve, come se lui mi stesse invitando a continuare.
Se all'inizio tutta questa pantomima poteva sembrarmi stancante, nel giro di poche ore ero riuscita a farmi un'idea del territorio che mi circondava nonostante non potessi vederlo con i miei occhi. A volte, riuscivo quasi a sentire le diverse nature della terra, magari in alcuni punti c'era più roccia, in altri qualche strano metallo... ma era troppo presto per sapere se stavo svalvolando per la stanchezza o se effettivamente stavo cominciando a prendere più confidenza con l'elemento.
In ogni caso, la mia mente e il mio corpo trovarono sollievo solo quando ci fermammo intorno a mezzogiorno e mezza, quando ormai stavamo attraversando il fitto bosco da molte ore. Ci sedemmo in quella che Karlsen chiamò la Radura Radici; non ci volle molto per capire il perché di quel nome: non c'era uno spiazzo di erba e di terra privo di alberi, ma c'era come un pavimento di radici, alcune più grandi altre più piccole, che aveva impedito la nascita di altri sempreverdi.
Non appena seduta su una delle radici più grandi feci per afferrare il cappuccio che mi copriva il viso, come aveva fatto Karlsen del resto, ma lui mi fermò subito: «No, non siamo gli unici a conoscenza di questa radura. Non sappiamo chi potrebbe venire qui.».
«Quindi in sostanza devo mangiare con un pezzo di stoffa tirato giù fino al mento?» chiesi sospirando.
«Misure di sicurezza estremamente necessarie.» replicò. «Ora vado a cercare qualche bacca e qualche frutto di bosco, non vi muovete.»
Come se ne avessimo potuta avere la possibilità: sicuramente il vecchio avrebbe controllato con il suo potere anche da distanza. Non appena lo sentii scomparire fra gli alberi, mi tirai un po' più in su la cappa che mi celava il viso per vedere quello che mi circondava. Inutile dire che non mi sarei mai aspettata di vedere un posto del genere: quegli alberi erano i più grossi che avessi mai visto, con un tronco che era quasi il doppio di un albero normale. Quasi riuscivo a sentire l'energia vitale che sprigionavano quei sempreverdi giganteschi.
Di colpo la radura attorno a me mutò: tutto ciò che avevo attorno cominciò a tremare come una proiezione olografica piena di interferenze. Improvvisamente calò la notte ed io fui invasa dalla brutta sensazione di dover svenire da un momento all'altro. Ma, come la prima volta che mi era successo di avere una crisi del genere, non svenni.
Per fortuna, in tutto questo, Colton si era sdraiato con la schiena appoggiata ad un albero e aveva chiuso gli occhi, deciso a riposarsi.
Alzai lo sguardo, aspettandomi di vedere qualcosa o qualcuno apparire all'improvviso. Non mi sbagliai e presto, dal limitare della radura, davanti a me, vidi farsi avanti al bagliore della luna quattro, alte figure.
«Dobbiamo raccogliere tutto ciò che ci è utile...» la chiara e inconfondibile voce di Matt risuonò come amplificata in tutta la Radura Radici. «Il resto dovremo bruciarlo...»
«Abbiamo un vantaggio di qualche chilometro Matt, ma abbiamo meno di tre minuti per levare le tende. Siamo ad Athos, la grande maggioranza delle guardie è un Dominus dell'Aria in grado di essere qui in quaranta secondi...»
«Hai ragione Rose...»
I quattro ragazzi, i cui volti da quella distanza rimanevano sfocati, cominciarono ad entrare nella radura, che solo ora scoprii essere piena di zaini e con un falò nel centro che sfrigolava nella notte. Si divisero, cominciando a raccogliere tutte le cose più importanti per loro.
Io ero come paralizzata: la sensazione di svenimento non mi aveva ancora abbandonata e il fatto di trovare un raccordo fra la visione della Rocca Nera occupava la mia mente. Tanto presa alla sprovvista com'ero non mi accorsi nemmeno che uno dei quattro si era avvicinato a me. O meglio, una dei quattro, una che non era Rose.
Ero io.
Sgranando gli occhi, vidi che si trovava a meno di venti centimetri di distanza da me e stava frugando attorno al posto in cui mi trovavo io. L'altra me portava i capelli più lunghi di come li avevo adesso e raccolti in due trecce spettinate che mi svolazzavano a pochi millimetri dal naso.
«Cazzo ma dove l'ho messo...» parlò agitata, mentre Matt urlava nello stesso momento: «Evelyn muoviti! Dobbiamo andarcene adesso...»
«Eccolo! Aha!»
L'altra Evelyn si bloccò di colpo, come se si fosse ricordata solo allora una cosa. Così lentamente da farmi venire l'angoscia per lei, si voltò proprio verso di me, con gli occhi frenetici come per cercare qualcosa. Aprì più volte la bocca per parlare, come se non sapesse cosa dire, poi, quando dalla sua bocca uscirono dei suoni, rimasi a dir poco senza parole: «Ehm... ehm... vai a Fyreris.» disse agitata guardando con la coda dell'occhio come per vedere se qualcuno si stesse avvicinando. «Non raggiungere Phyr. Troverai Matt, te lo assicuro, pure Rose e anche...»
«Evelyn ma che stai facendo? Saranno qui a momenti!» Matt urlò interrompendola per un secondo.
«Beh, non importa adesso. Ascoltami: ti verrà da ignorare questa crisi, anche subito dopo che sarà finita. Ma ti prego, è la cosa giusta da fare.» parlava freneticamente ed io facevo quasi fatica a seguirla. «A Fyreris succederanno tante cose, troppe cose. Saprai che è la cosa giusta da fare fra pochi giorni, quando sentirai da una guardia che Rocys è stata assediata dalle truppe del re. Sii forte quando...»
Un'esplosione sovrastò quello che stava dicendo e lei fu costretta a girarsi, correndo verso il centro della radura, dove quella che supposi essere la sagoma di Matt stava prendendo un grosso pezzo di legno da terra, lo stava infiammando con il fuoco del falò e stava letteralmente incendiando tutta la radura. Come i quattro ragazzi scapparono, la luce inondò il mio campo visivo e tutto ritornò alla normalità. Con il cuore a mille, feci solo in tempo a tirarmi giù il cappuccio prima che Karlsen tornasse con le mani piene di bacche e frutti di bosco.
Prima che potesse anche solo parlare, sicura di essere di nuovo febbricitante, esordii con voce tremante: «Vecchio, prima di mangiare ti devo dire una cosa.».
***
«Molto interessante, davvero.» fu il commento del vecchio. «Quindi cosa credi che sia? Un avvertimento dal futuro?»
Dentro di me stava ritornando vivido e nitido il ricordo della stessa identica conversazione avuta con Matt a pranzo, dopo la crisi di quella mattina. Io speravo, speravo con tutta me stessa che non quella crisi non fosse davvero il futuro, perché ciò che avevo visto la prima volta era troppo difficile da accettare: non potevo uccidere qualcuno a cui tenevo, non potevo nemmeno prenderne in considerazione l'idea. Così, sussurrando spaventata all'idea, gli risposi: «Spero vivamente di no.».
«Per quale motivo? C'è qualcosa che non mi hai detto, vero?»
«Avevo avuto un'altra visione del genere, ad ottobre. Mi trovavo alla... mi sembra che si chiami Rocca Nera... e mi sono vista uscire da un portone in una specie di cortiletto interno. Ero con un ragazzo, e quando ho parlato con lui ho detto una cosa del tipo io non posso ucciderti...» mi tremava la voce al ricordo.
«Lo scopriremo, o meglio lo scoprirete, fra pochi giorni.» replicò grave, dopo un po' di silenzio. «Ma non possiamo non considerare il fatto che quest'ultima visione ti abbia suggerito di andare a Fyreris, dove guarda caso è eretta la Rocca Nera... Hai sentito tutto ragazzo?»
Mi presi il viso fra le mani, mentre quella terribile prospettiva diventava sempre più concreta dentro di me. Non riuscivo a non pensarci e ben presto nella mia mente si susseguirono le immagini di me stessa che uccideva una delle persone a me care: io che uccidevo Matt, io che uccidevo Cesar... 'Potrei anche non conoscerlo ancora...' pensai quasi come se fosse una consolazione, prima di ricordarmi che comunque avrei tenuto a quel ragazzo tanto da essere disperata.
«Non pensarci adesso.» disse il vecchio dolcemente, in una rara dimostrazione di affetto. «Ora tu e Wilson dovete partire.»
«C-Come?» mi ritrovai a dire, presa alla sprovvista.
«Fra due giorni è novembre. Uno dei tuoi preziosi mesi se n'è andato. Devi raggiungere Matt e le informazioni che ha ottenuto.» allungò una mano, afferrò la mia è mi alzò in piedi. «Se sentirò qualcosa riguardo ad una distruzione di Rocys mi muoverò verso Fyreris, in caso contrario, qui ho una probabile tabella di marcia delle mie tappe. In questo modo potrete mandarmi un messaggio. Fatelo solo solo in casi urgenti. Non possiamo sapere se verrò catturato. Farò la vostra stessa strada.»
Mi ritrovai ad annuire, sapendo di non avere scelta. Sentii vagamente Colton avvicinarmisi e io dovetti ammettere a me stessa di non essere affatto pronta a lasciare il vecchio.
«Evelyn, ogni minuto è prezioso.» fece Colton, appoggiandomi una mano sulla spalla. «Dobbiamo andare.»
«Sì, sì, solo un attimo...»
Senza preavviso, mi slanciai in avanti, facendo ricadere la mano di Colton. Aprii le braccia e abbracciai il vecchio, presa da un moto di gratitudine per tutto quello che aveva fatto e che stava facendo. Elias Karlsen era burbero, rigido, perennemente diffidente verso tutti, ma era un uomo d'onore, che era stato pronto a morire e ad essere catalogato traditore pur di difendermi. Il vecchio fu preso alla sprovvista da quel mio gesto d'affetto, ma presto, mi avvolse a sua volta con le sue braccia.
«Mi mancherai vecchio.» borbottai contro il suo petto, sperando vivamente che quella non fosse l'ultima volta in cui lo vedevo.
«Ci rivedremo ragazza.» replicò lui, distanziandosi da me e appoggiandomi le mani sulle spalle. «Vedi di non farti uccidere.»
Quel suo tono burbero mi fece ridacchiare. Feci un passo indietro, mentre mi giravo verso Colton, in attesa che mi spiegasse come avremmo affrontato il viaggio. Non ne avevo la minima idea e, sinceramente, avevo paura di scoprirlo.
«Non sarà affatto piacevole.» esordì non appena incrociai il suo sguardo.
«Sì, questo lo hai già detto.» replicai, mentre lo vedevo infilarsi un pugnale nello stivale.
«È bene ricordartelo.» disse, prima di girarsi e darmi le spalle.
Allungò le mani dietro di sé come per invitarmi a salire sulla sua groppa ed io irruppi quasi in una risata derisoria: «Stai scherzando?». Colton sbuffò e così fece il vecchio: «Come pensavi di fare, altrimenti?» disse il primo con voce seccata. «Vuoi essere trascinata per terra ad una velocità supersonica?». Mordendomi il labbro e toccandomi inevitabilmente la collana che avevo al collo per assicurarmi che ci fosse ancora, mi vidi costretta a prendere la rincorsa e a salire sulla groppa di Colton. Lo mi afferrò per le cosce ed io avvolsi le mie braccia attorno al suo collo.
«Vedi di non farmi cadere.» lo avvertii subito.
«Sono allenato a fare questo genere di cose.» replicò ridacchiando, mentre faceva un saltellino per posizionarmi meglio. «È ora.»
«La strada la sai ragazzo. E qui c'è il foglio con le mie tappe. Solo in situazioni estremamente urgenti.» porse un foglio a Colton, che se lo infilò in tasca. «Che gli dei siano con voi.»
Non feci in tempo a salutare il vecchio: Colton era già partito. La velocità della partenza mi colse totalmente alla sprovvista, tanto che mi ritrovai ad aggrapparmi a Colton come un koala. Lo sentii cominciare ad aumentare la velocità e il mio stomaco cominciò a risentirne dopo solo due minuti di corsa.
Decisamente sarebbe stato un viaggio devastante.
***
Colton corse ininterrottamente per le tre ore successive, quando si fermò per riprendere fiato e per riposarsi una mezz'oretta prima di ripartire. Era stato decisamente la peggiore corsa che avessi mai fatto.
Non appena scivolai letteralmente via dalla groppa di Colton, con la testa che girava in modo impressionante e così frastornata da non capire più nulla, corsi barcollando all'argine del ruscello che avevamo raggiunto e mi ci chinai, cercando di rimanere in piedi. Provai a resistere, ma non ce la feci: il mio corpo rigettò tutto quello che avevo mangiato quella mattina.
«Evelyn!» Colton subito mi poso una mano sulla schiena, spostandomi i capelli da davanti al viso e legandomeli con un laccio.
Quando fui sicura di non vomitare più, mi raddrizzai, venendo subito invasa da un forte giramento di testa che mi costrinse a fare un passo avanti e ad appoggiarmi a Colton, che sembrava davvero mortificato.
«Non lo auguro a nessuno un viaggio del genere.» disse dispiaciuto. «Solitamente i velocisti che trasportano prigionieri non si fermano dopo sole tre ore e non li trattano come ho fatto adesso io con te.»
«Intendi che non li aiutano a vomitare?» replicai sarcastica, mentre mi ricaricavo con l'aria che avevo attorno.
«Divertente davvero.» disse rimanendo a guardarmi assorbire tutta quell'aria. «Idratati un po', fra dieci minuti dovremo ripartire.»
Contrassi la faccia in una smorfia. Risalire sulla sua groppa era l'ultima cosa che avrei voluto fare. A quel punto avrei preferito svenire.
Per i due giorni seguenti, questa devastante routine si ripetè. Tutto era uguale, ad eccezione di un piccolo particola: più il tempo andava avanti, più aumentavano le probabilità che quella notizia dell'attacco di Rocys arrivasse da una persona inaspettata. C'è anche da dire che, più il tempo passava, anche la speranza che quella crisi fosse stata solamente un brutto e cattivo scherzo diventava sempre più forte.
Esattamente due giorni dopo quella crisi, Colton aveva deciso di fermarsi lungo il Fiume delle Anime, in una zona scoperta, ma, a detta sua, davvero poco frequentata. Ci trovavamo dopo le due città gemelle di Farear e Farearis, divise solamente dal fiume che stavamo percorrendo. Avevamo perso un po' di ore di corsa per aggirare i due grandi centri abitati, ovviamente per sicurezza personale, ma comunque c'eravamo presi quella piccola sosta per riposare un po' sotto il cielo annuvolato che minacciava la pioggia che ad Elyria non avevo ancora visto.
Erano circa le sei di pomeriggio e dopo poco meno di tre ore saremmo dovuti ripartire per la nostra meta, qualunque essa sarebbe stata. Il fiume, in quel punto, scorreva un paio di metri al di sotto del livello della strada, per fortuna spostata rispetto a dov'eravamo. Potevamo però sentire il suono assordante dei carri che passavano e certe volte pure qualche frase detta a voce troppo alta dalle persone che camminavano o che andavano a cavallo.
Dopo la quarta sosta il mio corpo si era leggermente abituato, risparmiandomi dal rigettare in continuazione tutto quel poco che avevo nello stomaco. Ma il viaggio era lo stesso devastante ed io, ogni volta che ci fermavamo, sia per piccole soste che per lunghe come quella, mi sdraiavo per terra e chiudevo gli occhi, sperando di dormire un pochetto.
Mi sdraiai sulla sabbia di fianco a Colton, che aveva gli occhi chiusi. Probabilmente, o almeno così speravo, non stava dormendo davvero. Forse stava controllando con il suo elemento che non ci fosse nessuno di particolare attorno a noi. Quella volta, io non riuscii ad addormentarmi, come invece avrei dovuto fare.
«Colton?» esordii, cercando di capire se era effettivamente sveglio.
«Mhmm.» mugolò per far capire di essere sveglio.
«Hai sentito mentre raccontavo a Karlsen della mia visione, vero?»
«Sì.» ammise, aprendo gli occhi e ritrovandomi seduta a guardarlo dall'alto.
«Se la visione succederà davvero, incontrerò di nuovo Rose.» mi ritrovai a dire, cercando di aggrapparmi a questa piccola speranza. «Ma questo significherebbe che devo uccidere un ragazzo a cui tengo.»
Al sentir nominare la cugina, Colton si raddrizzò a sua volta e mi guardò intensamente negli occhi, cercando il modo migliore di affrontare la conversazione.
«Sei molto legata a lei, vero?» fu quello che chiese cautamente, cercando di nascondere la preoccupazione che lo attanagliava.
Mi ritrovai ad annuire, pentendomi subito di aver intrapreso quella conversazione. Avevo già i lucciconi agli occhi.
«Mi distrugge non sapere che fine ha fatto. Non sapere dov'è, se è viva o morta... Non potrei mai perdonarmelo. Se non avessi accettato di andare alla festa...»
«Evelyn, Eve.» mi interruppe subito, allungando una mano e posandomela sul braccio per tranquillizzarmi, visto che ormai ero irrotta in singhiozzi. «Se foste rimaste nelle abitazioni, sareste state molto lontane dall'uscita della città. Non avresti avuto il tempo di scappare. Non sai se Rose è stata presa, ma sicuramente ha avuto più possibilità di scappare dalla piazza che dalle caverne.»
Non risposi, cercando di contenermi. Tutto ciò che stavo trattenendo riguardo a Rose stava minacciando di uscire come un fiume in piena.
Colton riuscì a calmarmi e verso le otto e mezza di sera eravamo di nuovo in cammino, o meglio in corsa, dopo aver certamente mangiucchiato qualche bacca e qualche frutto. Il cielo si era caricato ben bene di acqua e ormai potevo scommettere che si sarebbe messo a piovere di lì a qualche minuto; in lontananza si cominciavano a sentire i rombi dei tuoni.
Colton non volle fermarsi nemmeno quando quelle che erano cominciate come piccole gocce si trasformarono in delle specie di piccoli gavettoni d'acqua. In meno di tre minuti eravamo bagnata dalla testa ai piedi e in meno di cinque tutti i miei pantaloni erano ricoperti da uno strato di fango. La nostra routine proseguì nello stesso identico modo e addirittura Colton, nella pausa successiva, mi sembrò contento di quelle condizioni meteo.
«Nessuno a parte qualche caso disperato come il nostro si avventurerà in questa bufera!» aveva quasi esultato.
«Nessuno a parte noi rischierebbe di prendere una broncopolmonite con il novanta per cento delle probabilità che accada!» gli avevo urlato in risposta, sovrastando la bufera di pioggia; se solo avessi saputo come comandare l'acqua o se Colton fosse stato un Dominus dell'Acqua...
La bufera continuò solo per metà giornata e per fortuna, quando Colton si decise a farci fermare per un tempo superiore a dieci minuti, solo la fanghiglia per terra poté disturbare il nostro riposo.
Nelle quarantotto ore seguenti, l'ansia che quella visione potesse davvero rappresentare il futuro si era affievolita e quel giorno, il tre novembre, eravamo giunti alle pendici del Monte Ago. Quella era la montagna che ospitava il Passo dell'Alce, un passo che divideva l'Altopiano del Fuoco da tutto il resto della regione di Pyros.
Era notte fonda quando attraversammo il confine, segnato anche lì a una grossa e lunga linea bianca, segnata probabilmente con della vernice. Stavamo continuando a costeggiare il fiume, percorrendo sempre lo stesso sentiero. Ora però attorno a noi non c'era la vallata, ma c'erano i monti: da una parte la catena montuosa dei Whitefire e dall'altra quella del Blackfire, che ospitava appunto il Monte Ago. Procedevamo velocemente, in direzione del porto ed io mi stavo chiedendo il perché non avessimo ancora incontrato Matt: gli era successo qualcosa? Era stato catturato? E Rose? Rose che fine aveva fatto?
Colton era sicuro che, vista la strada principale dall'altra parte del fiume, non avremmo incontrato nessuna persona da quel lato del Fiume delle Anime, dove il percorso da seguire era costituito da uno stretto sentiero creato negli anni dal continuò passare delle poche persone che preferivano non camminare nella confusione.
A quel punto, dopo aver aggirato città principali come quelle gemelle, come Meriord - dove non avevo potuto non ricordare l'idromele che a detta di Rose era il più buono di Elyria con una stretta al cuore - e come Vashard indenni, credevo che io e Colton fossimo salvaguardati da un qualcosa di divino, che ci proteggeva da tutte le occhiate indesiderate.
Fu quello il nostro errore: in un momento di pura e sana camminata ristoratrice, abbassammo la guardia e non notammo le due persone talmente fuori di testa da camminare nel nostro stesso, estremamente buio e sicuramente pericoloso sentiero. Vedemmo solo troppo tardi l'inconfondibile bagliore di due torce.
Per la prima volta fui io più reattiva, visto che Colton camminava a testa bassa, probabilmente riflettendo su qualcosa. Si girò solo quando mi bloccai di colpo, producendo un rumoroso suono con la ghiaia che aveva sostituito la sabbia parecchi chilometri prima.
Mi guardò negli occhi, quasi si stesse chiedendo se fossi impazzita. Ma per la prima volta ero sicura di quello che facevo. Sì, ero nervosa ed esattamente impaurita che potessero trattarsi di due guardie, ma anche estremamente vigile e consapevole del rischio della situazione. Sfilai subito il pugnale che Karlsen mi aveva dato e mi misi in guardia, indicandogli con un cenno le due piccole e ancora lontane fiamme.
Lui si mise subito sull'attenti, afferrandomi forse fin troppo forte per i miei gusti il braccio e trascinandomi senza alcun minimo ripensamento proprio dentro al Fiume delle Anime.
«Colton! Ma sei impazzito?» sbottai sottovoce, non appena l'acqua gelida mi arrivò sotto il ginocchio.
«Sono in due.»
«Ma dai...»
Continuò a retrocedere nel fiume, ignorando le mie proteste. Presto cominciai a tremare per il freddo, emettendo piccole nuvole di vapore dalla bocca. Intanto le due persone si stavano avvicinando sempre di più, pericolosamente. Solo quando fummo immersi nell'acqua fino al mento e solo quando Colton mi avvolse con le sue braccia per farmi stare ferma riuscii a captare qualche sprazzo di conversazione.
«Non ci posso ancora credere che si sia aperta una voragine nella strada che collega Estis e Fyreris» era una voce giovane femminile. «Non posso credere che ci vogliano più di due giorni perché i Domini della Terra intervengano... E poi scusami eh, proprio quando dobbiamo passare noi si apre una voragine? Non abbiamo nemmeno mai percorso questa strada per andare al Passo dell'Alce, sei sicuro che sia quella giusta? Secondo me no... stiamo camminando su della ghiaia...»
Pochi passi ancora e i due volti sarebbero stati alla portata della mia vista. Ero terrorizzata: nonostante quelle fossero solo due giovani guardie, l'essere stati presi così alla sprovvista e la prospettiva di essere beccati nel bel mezzo del Fiume delle Anime da due non ribelli mi spaventava parecchio. Nessuno sano di mente non avrebbe fatto domande nel vedere due persone immerse nel gelido fiume in autunno e sopratutto di notte.
La guardia maschio si fermò e lesse subito quel messaggio. Fui grata che non si fossero girati nella nostra direzione. Continuai a pregare che continuassero a darci le spalle, mentre sentivo forti e chiare le parole contenute in quel messaggio.
«Tormund, volevo informarti di un'altra vittoria contro i ribelli prima che lo facessero altri.» cominciò a leggere il ragazzo. «La Caserma Superiore di Terona ha avuto un'altra soffiata. Rocys è sotto assedio. Rocys è caduta.»
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