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Capitolo 9 • Miniera

Rimasi ferma e in silenzio, non sapendo che cosa fare.

Mi limitai a fissarlo per tutto il tempo che si prese per rifinire la spada.

La mia permanenza a Brennan era già cominciata male, per i miei gusti.

Solo dopo un po' Elias Karlsen ripose gli strumenti e mi fece cenno di seguirlo all'interno della casa scavata dentro alla montagna. Sospirai e gli andai dietro.

Era una piccola casetta semplice e ordinata. Era chiaro che lì dentro vivesse un'unica persona. Mi guardai attorno nel piccolo salotto, ammettendo a me stessa che, almeno, quell'ambiente era davvero accogliente.

Non appena dentro fui subito invasa da un piacevole calore. Nel caminetto di pietra sfrigolavano ancora delle braci calde.

A una prima occhiata non riuscii a vedere nessuna apparecchiatura elettronica, il che mi fece uno strano effetto, abituata com'ero a essere circondata dalla tecnologia del ventunesimo secolo dovunque andassi.

Con un gesto spiccio, il fabbro mi accennò al tavolo di legno, invitandomi a prendere posto. Obbedii, sedendomi su una sedia e cominciando a sfregare le mani congelate.

Il mio occhio cadde subito sui giornali abbandonati sul legno. Curiosa, mentre Karlsen raggiungeva la piccola cucina e cominciava a preparare qualcosa ai fornelli, mi azzardai ad allungare una mano e ad afferrarne uno.

Prima che i miei occhi potessero notare realmente quello che mi stavo trovando davanti, mi ritrovai a parlare ad alta voce.

«Credevo che a Elyria non esistessero apparecchi elettronici al di fuori della corrente» dissi, vedendo di sfuggita una grande foto in bianco e nero nella prima pagina del quotidiano.

Karlsen si girò verso di me, aggrottando la fronte.

«Le macchine fotografiche, assieme alle stamperie, alla corrente e al gas sono una delle poche eccezioni a questa regola...»

Mentre parlava, sempre con lo stesso tono burbero e ruvido, mi irrigidii di colpo.

Solo in quel momento avevo visto davvero l'articolo che occupava tutta la prima pagina. Mi sentii profondamente in colpa verso me stessa, quando capii che le lettere cubitali del titolo mi avevano come trafitto il cuore.

I miei occhi si mossero automaticamente sulla foto al centro della pagina.

William, davanti a quello che supposi essere il castello della capitale, sorrideva leggermente, nei suoi scuri abiti militari. I capelli, più lunghi del solito, gli ricadevano sulla fronte.

Fu, però, la ragazza che gli teneva il braccio a turbarmi. Sorrideva a sua volta, e guardava dritta nell'obiettivo con i suoi occhi sottili. Era una ragazza bellissima, fuori da ogni possibile immaginazione. Non avevo dubbi, lei era la famosa Nyves, la sua promessa sposa.

«Bah.»

Non mi ero nemmeno accorta che il vecchio si era avvicinato di nuovo al tavolo e che mi stava porgendo una tazza fumante.

«Questo matrimonio è davvero una spina nel fianco per il regno.»

Anche se la foto era in bianco e nero, mi sembrava quasi di riuscire a cogliere il colore brillante degli occhi di Will. Era strano vederlo nei panni di erede al trono del regno. Non sembrava nemmeno lui, ma una persona diversa.

Annunciata la data definitiva delle nozze reali. A breve il nostro amato principe ereditario William si unirà in matrimonio alla giovane e nobile Nyves Ryan.

«Solo gli dei sanno quanto quei soldi spesi per la cerimonia potrebbero aiutare la povertà che affligge questo regno» continuò.

Con un grande forza di volontà, presi il giornale e lo girai per nascondere quella foto.

«Quando si sposano?» deglutii, alzando lo sguardo su di lui, che si era seduto dall'altra parte del tavolo.

«Che importanza ha?» replicò scorbutico, prima di portarsi alle labbra un'altra tazza piena di un intruglio sconosciuto.

«Nessuna» risposi, scuotendo la testa e pentendomi che quelle parole fossero uscite dalle mie labbra. «Assolutamente nessuna.»

«Credo l'equinozio di primavera» decise comunque di rispondere alla mia domanda pochi secondi dopo.

Marzo dunque. Mancavano poco meno di cinque mesi. Allontanai ogni pensiero, ogni sensazione tremenda che quell'idea mi provocava.

«Comunque, spostando l'attenzione dagli affari reali che in questo momento ci importano relativamente poco, dobbiamo pensare a come mantenerti al sicuro il più possibile.»

«A cosa servirà?» chiesi sarcastica. «Se la vostra intenzione è quella tenermi confinata in questo paese, non potrò prendere i marchi. E per questa ragione impazzirò.»

«Non essere sciocca» ribatté. «Raggiungerai le Statue Sacre a Eylien.»

«E come farò? Nessuno sa come andarci.»

«Sappiamo da dove partire, piccola vesek» rispose. «Sappiamo dove cominciare la ricerca per le Vie del Sole.»

«Ah sì?» domandai, quasi ironica. «E da dove comincerebbe questa ricerca?»

«Da Kratos, l'isola vulcanica di Pyros. La Montagna Spirale era considerata sacra da quelli della tua specie.»

«E quando comincerebbe?»

«Partono domani» rispose burbero.

«Partono?» ripetei con voce acuta.

Non mi era sfuggito l'uso della terza persona. Ero indignata: si trattava della mia sopravvivenza, perchè il vecchio non aveva detto «partite»? Per quale motivo dovevo rimanere solamente nascosta in quel paese ad aspettare?

«E chi?»

«Il figlio del Comandante, l'accendino vivente sudamericano, una ragazza dai capelli ossigenati e l'Ibrido» rispose, quasi contrariato dal fatto che facessero partire loro e non qualcun altro.

Spalancai la bocca indignata.

Matt?

Matt sarebbe andato via da Brennan? Mi sembrava impossibile rimanere lontana da Matt. Mi sembrava impossibile anche solo pensarlo.

«Quanto stanno via?» domandai con un filo di voce, cercando di convincermi che non era male come sembrava, che Matt non sarebbe rimasto via a lungo.

«Direi poco meno di un mese.»

«Che cosa?» esclamai scioccata, presa alla sprovvista.

«Quasi un mese» ripetè impaziente, guardandomi irritato.

«Ma... Ma M-Matt mi deve aiutare con la Terra» protestai spaesata. «E se anche Cesar va via, chi mi insegnerà a comandare il Fuoco?»

«Per l'elemento della Terra non c'è problema» sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Non ti sei chiesta perchè diavolo ti abbiano assegnata a me?»

«Ehm... certo» risposi guardandolo.

«Essendo stato al comando della Legione Biancospino per vent'anni ed essendo che ho istruito centinaia intere di ragazzi della tua età costretti alle leva militare, hanno pensato che sarei stato perfetto per la tua formazione.»

«Non può essere stato solo per questo» sussurrai piano.

«No, infatti» continuò. «Oltre che a fornirti un'istruzione fisica, sono la persona più adatta a insegnarti ciò che ti serve per sopravvivere alla politica di corte attuata contro di te.»

«E perchè?»

«Perchè oltre a essere stato a capo della Legione Biancospino, sono stato membro del Consiglio del Re per molto tempo, prima che mi dessero il benservito cinque anni fa.»

Alzai le sopracciglia sorpresa. Come aveva fatto un uomo di corte a finire dentro all'Ordine?

Lo guardai attentamente, ma il vecchio era impenetrabile. Sul suo viso non si leggeva nulla, né rancore, né rabbia repressa o malinconia.

«Ma come fai a sapere cosa stanno facendo per catturarmi se non sei più lì da cinque anni?» chiesi.

«Perchè so come lavora la mente di Tiberius Knight, piccola vesek. Gli sono stato vicino per anni e anni» rispose. «E ti consiglio di bere. Non ha lo stesso sapore, da freddo.»

Mi indicò la tazza che mi aveva appoggiato davanti. Fu come se la notassi solo allora, presa com'ero stata dalla conversazione.

Decidendo che non era una gran mossa rifiutare e, chissà mai, offendere il vecchio, la afferrai con la mano e me la avvicinai alle labbra.

Sorseggiai piano, cauta. Rimasi piacevolmente colpita quando sentii quel sapore così buono. Non seppi identificare a che cosa assomigliasse: era un qualcosa di troppo diverso da quello che avevo assaggiato fino a quel momento.

«Che cos'è?» chiesi lentamente, prima di berne ancora.

«Tè della Valle dei Sospiri, direttamente da Neyms» rispose spiccio, prima di riprendere il discorso. «Conosco ogni singola persona di corte, dal più umile servitore ai principi.»

«Conosci William?» non riuscii a trattenermi dal chiedere in un sussurro.

«Se lo conosco?» Il vecchio proruppe in una risata vuota. «Sin da quando era solo un esserino pelle e ossa di sei anni che correva nei corridoi della Reggia Azzurra per scappare dalle grinfie di suo padre e dai suoi doveri di erede.»

Deglutii e rimasi in silenzio.

«Ti sei lasciata sedurre da lui, vero?» Fu strano sentire la sua voce addolcirsi appena.

I suoi occhi si mossero per tutta la mia faccia, come per cercare delle conferme alla sua supposizione.

Non riuscii a trovare le forze per negarlo, per mettere a tacere la vocina insistente dentro la mia testa che continuava a ripetere civettuola «sì, sì, sì, il vecchio ha ragione».

«Non che cambi molto adesso» aggiunse, interpretando il mio silenzio come un assenso. «Ma è importante che tu capisca di non doverti fare influenzare da questa debolezza. Devi metterla da parte. Sarebbe solo causa di problemi che non ci possiamo permettere. Che tu non ti puoi permettere.»

«Lo so» risposi con un sospiro, guardandolo colpevole. «Ma è stata solo una cosa passeggera. Sta già passando, è già passata.»

«Bene» liquidò la questione, recuperando il tono burbero e spiccio che aveva momentaneamente perso. «Durante i prossimi giorni, la mattina lavorerai in miniera e il pomeriggio ti allenerai. Ti chiederai il perchè. È semplice, la mattina ci sono le guardie reali che vengono a controllare il paese: riscossione di tasse, ritiro di documentazione... E, naturalmente, per verificare l'assenza di ribelli.

«Per questo motivo siete tutti sotto copertura e tutti i tuoi compagni dispongono di documenti falsi, nel caso in cui venissero fermati. È comunque poco probabile: tutte le mattine sarete impegnati con lavoro nei campi, nelle miniere, nelle falegnamerie in mezzo al bosco. Le guardie non si sono mai prese la briga di imparare i volti dei veri abitanti di Brennan, non si accorgeranno della differenza. E di certo non conoscono quelli di voi Ribelli... Nessuno tranne...»

«Il mio. Lo so» annuii grave. «Non mi avete dato un documento falso perchè non ce n'è bisogno, giusto?»

«Ogni singola guardia reale conosce il tuo aspetto fisico, infatti. Non servirebbe a nulla un documento falso» rispose. «Concludendo, la mattina ti alzerai presto e raggiungerai le miniere prima che qualsiasi guardia si sia anche solo messa in cammino per Brennan. Il pomeriggio uscirai solo quando anche la più imbranata delle guardie sarà a debita distanza dal paese, chiaro?»

«Chiarissimo.»

«Ora è il momento di coricarsi» disse alzandosi da tavola. «La colazione sarà alle sei e dieci. La tua camera è quella in fondo al corridoio. Ti consiglio di farti una bella dormita: forse sarà una delle poche serene che ti potrai permettere durante la tua permanenza qui, piccola vesek

Avrei voluto dirgli di smettere di chiamarmi così, che se proprio non gli piaceva il mio nome poteva chiamarmi Lewis. Ma in quel momento volevo solo andare a rinchiudermi in camera, sperando di riuscire a non pensare a lui.


***


«In quel cunicolo ci dovrebbe essere solamente Rays, raggiungetela e fatevi dire come fare.»

Stavo già sudando. A differenza della temperatura che avevo trovato una volta uscita dalla casa del vecchio, lì dentro faceva un caldo opprimente.

Non appena arrivata all'ingresso della miniera, nel punto in cui mi aveva indicato Karlsen, ero stata raggiunta da uno dei sovrintendenti dello scavo di argento. Mentre mi spiegava velocemente com'era strutturata la miniera, mi aveva condotta nel cuore della montagna.

Molto, molto lontano dall'entrata.

Nel momento in cui avevo raggiunto il centro della miniera, dove si trovava una gigantesca caverna piena di carrelli e di persone che facevano avanti e indietro, mi mancava già l'aria.

Però, almeno, non avevo sonno. Quella notte mi ero riaddormentata di nuovo come un sasso, nonostante per il mio corpo fosse stata ancora mattina.

E avevo fatto bene, visto che poco dopo due ore Karlsen mi aveva bussato rudemente alla porta di legno dicendomi di alzarmi.

Per fortuna, però, non era stato un risveglio troppo traumatico e, tirando le somme, avevo potuto dire che quella giornata non era partita male.

Ovviamente prima che scoprissi che Matt era già partito, senza salutarmi e senza dire nulla. Da quel momento avevo avuto l'umore sotto i piedi.

Avrebbe dovuto almeno passare a salutarmi, per spiegarmi il vero perchè stesse andando a Kratos.

Ogni volta che pensavo alla sua partenza mi si stringeva lo stomaco: mi sembrava quasi impossibile immaginare di non vedere Matt per così tanto tempo. Da quando lo avevo conosciuto non era trascorso un singolo giorno in cui non lo avessi visto.

Almeno Rose non era partita con lui. A colazione, il vecchio mi aveva detto che l'avrei incontrata quel pomeriggio, alla prima sessione di allenamento. Mi aveva anche detto che era stata assegnata alle stalle del paese.

Alla notizia mi era scappato da ridere. Trovavo molto divertente l'idea che Rose fosse stata buttata in mezzo ai cavalli.

In quel momento stavo camminando in un cunicolo, scavato alle pareti, trascinando il piccone pesante che il sovrintendente mi aveva consegnato.

Mi domandai chi fosse Rays, mentre procedevo cominciando a sentire mancare l'aria. Non appena il suono del piccone che si abbatteva contro la vena di argento rimbombò nel cunicolo, mi pentii di non aver camminato più piano.

Non avevo voglia di incontrare persone, non alle sette di mattina.

Rays si scoprì essere una bassa donna sulla trentina d'anni, con capelli biondi scuri legati in una corta treccia attaccata alla testa. Stava canticchiando qualcosa e io, in quel momento, desiderai di essere in qualsiasi altro posto al di fuori di quello.

Volevo solo stare da sola.

«Mi scusi» esordii controvoglia. «Sono stata assegnata qui.»

La donna si girò subito e mi rivolse un sorriso a trentadue denti.

«Lo sapevo, l'ho visto» disse, facendomi aggrottare la fronte.

«L-L'ha visto?» ripetei confusa.

«Sì» rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «L'ho visto dentro la mia mente.»

Annuii molto lentamente.

Mi avevano mandato dalla pazza. Da una donna tremendamente simile a Sibilla Cooman, l'insegnante incompetente di Divinazione in Harry Potter.

Visto che quella saga, ora al sicuro sotto il letto della camera a casa di Karlsen, era impressa nella mia memoria in ogni singolo dettaglio, mi arrivai comunque a chiedere se non fosse davvero una specie di veggente capace di profetizzare le cose.

Mi avvicinai cauta.

«Lo so cosa stai pensando. Lo pensano tutti qua dentro» disse con allegria. «Ma non mi interessa, io so di possedere questo dono. Non mi importa dell'opinione altrui.»

«Non penso che tu sia pazza» mentii spudoratamente.

«Almeno sei gentile a mentire e a non dirmelo in faccia» mi sorrise. «Devo comunque ammettere che, purtroppo, la mia abilità di chiaroveggenza si limita a queste piccole cose. Come, per esempio, ho visto che il Re, in questo momento, sta viaggiando verso la capitale. Vedi, io lo sapevo già molto tempo fa. Ma ora, visto che tutti lo sanno, nessuno mi crede! Oh tesoro, tranquilla. Il Re non passera per di qui.»

Ero sbiancata al sentire le sue parole.

«Il Re viaggerà con uno dei velieri più veloci di tutto il regno. Un veliero controllato da Domini dell'Acqua e dell'Aria assieme! Comunque, io sono Maxim Rays, ma puoi chiamarmi solo Rays.»

Allungò una mano e io, sorpresa dalla sua gentilezza, gliela strinsi.

«Ora scommetto che tu stia per chiedermi come si usa questo affare» disse alzando con una mano il suo pesantissimo piccone.

«Lo hai...» cominciai a chiedere, prima che mi interrompesse con una risata.

«No tesoro» disse. «Non l'ho visto nella mia mente. Ho capito che lo avresti fatto quando ti ho visto trascinare quel piccone lungo il cunicolo.»


***


Per la pausa pranzo decisi di rimanere lontana da tutti, nascondendomi in un cunicolo. Tenevo fra le mani il mio panino e già quel gesto mi sembrava estremamente faticoso: non ricordavo di aver avuto i muscoli più doloranti di così.

Tenere un piccone fra le mani e usarlo contro la pietra mi avrebbe messa in forma nel giro di qualche settimana. E dei, non erano solo quelli delle braccia a pulsare dolorosamente. Mi sentivo indolenzita dalla testa ai piedi.

Come aveva detto Rays, tenere in mano un piccone è come brandire uno spadone a doppia presa della cavalleria pesante dell'esercito.

In quel momento non invidiavo proprio chi dovesse lavorare a vita in miniera.

Guardai il mio misero panino sentendo già la mancanza di un bel piatto caldo. Chissà come sarebbe stata la cucina a Elyria.

Mentre stavo per addentarne un morso, davanti a me apparve una figura.

Prima di realizzare davvero chi fosse, sbuffai e sospirai allo stesso momento. Almeno la crisi sarebbe arrivata lontano da tutti.

Mentre le tempie cominciavano a pulsare, alzai lo sguardo sulla figura seduta proprio dall'altra parte del cunicolo, appoggiata alla parete e con un braccio appoggiato al ginocchio.

«Devi smetterla di tormentarmi» sussurrai contro la crisi, prendendomi la testa fra le mani.

«Sei davvero sicura di volere che la smetta, principessa?»

Will si raddrizzò contro il cunicolo, piegando la bocca in una smorfia di dolore. Il mio sguardo corse subito al suo petto, coperto però da una maglia scura a maniche lunghe, che mi impediva di vedere la ferita.

È solo una dannatissima visione, mi dissi.

«Invece sì» ribattei acida. «E ti prego, ti scongiuro, fai in modo che tornino i vuoti di memoria e le paralisi. Preferisco di gran lunga impazzire davvero che vedere te anche quando non ci sei.»

Will mi sorrise e io lo guardai torva.

«Sei così bella quando sei arrabbiata.»

Rimasi zitta in attesa che la visione svanisse nell'aria. Continuai a mangiare il mio panino, nel frattempo, desiderando con tutta me stessa che se ne andasse.

Dopo parecchi minuti, però, alzai lo sguardo su di lui, che non aveva accennato ad andarsene.

Maledetto cervello, pensai.

«Perchè sei ancora qui?» sbottai esasperata.

«Non sono io a decidere quando andarmene, principessa» rispose, alzando una mano a massaggiarsi il petto.

Cercai di non guardare in quel punto.

«Beh scommetto che puoi benissimo decidere di alzarti da questo cunicolo e tenerti a debita distanza, nel frattempo» replicai, cercando di non mostrarmi preoccupata alla vista di lui sofferente.

«Credo che sia impossibile, principessa» replicò, quasi con il fiato corto. «È la tua mente a controllarmi.»

«E allora per quale motivo sei apparso tu e... non so... magari qualcuno che non desidero uccidere con tutta me stessa?»

«Non credi nemmeno tu alle tue stesse parole» rise sommessamente. «Per quanto tu ti possa ripetere il contrario, non mi vuoi uccidere. Non lo hai mai voluto fare.»

«Tornate da dove sei venuto, William.»

«Tre giorni fa eri disperata per me, principessa.»

Rimasi un attimo in silenzio.

«Tre giorni fa stavi morendo fra le mie braccia» replicai lentamente, con voce controllata.

William sorrise di nuovo, in silenzio, come se stesse aspettando che continuassi a parlare.

Non lo feci.

Era inutile scagliarsi contro il mio stesso subconscio che tentava di riaprire ferite che stavo cercando con tutta me stessa di cancellare.

Fortunatamente la sua immagine cominciò a tremare, come un ologramma disturbato.

«Ci rivedremo presto» riuscì a dire prima di svanire nell'ombra.

Sospirai sollevata di non averlo più davanti. Sperai vivamente di non dover più assistere a una visione del genere.

Per quale dannato motivo il mio cervello sembrava volermi impedire di dimenticarmi di lui?


***


Quando uscii all'aria aperta, fu come tornare a respirare di nuovo.

Trovai Rose, all'ingresso, con una faccia sconvolta e allo stesso tempo sorridente. La raggiunsi, e subito incominciammo a scendere assieme la stretta stradina che portava al paese.

«Allora Matt è partito» esordii con voce vuota.

«Sì, prima dell'alba.»

«Tu lo hai visto, stamattina?»

«No Eve, l'ho visto solo prima che raggiungessimo le nostre famiglie questa notte.»

«Perchè è dovuto partire proprio lui?» le domandai.

«È intelligente, è bravo... è Matt» rispose, con un piccolo sorriso.

«E tu?»

«Io sono più utile qui» rise sarcastica. «A raccogliere sterco di cavallo e a cercare di non prendere uno zoccolo in faccia.»

«Sono felice che almeno tu sia rimasta, Rose» replicai. «Anche se ti invidio un po': preferirei di gran lunga lavorare alle stalle che in miniera.»

«Lo so Eve, ma...»

«Sì, lo so» la fermai subito. «Il vecchio mi ha spiegato queste misure di sicurezza...»

«A proposito del vecchio» ridacchiò Rose. «Adesso dobbiamo raggiungerlo, in una radura poco fuori dal paese. È ora che tu impari a padroneggiare anche la Terra.»

«Tutto quello che vorrei fare sarebbe una bella e lunga dormita.»

Ero stanca, e la testa ancora pulsava dalla crisi. Stavo valutando se metterla al corrente o meno di quello che avevo visto quandoRose mi precedette, facendomi quasi arrivare a credere che avesse doti di chiaroveggenza come Rays.

«A proposito Eve, oggi non hai avuto nessuna crisi?»

«Ce l'ho avuta» ammisi, cercando di tenere un tono di voce normale. «Ho avuto una visione del Re, da solo e alla scrivania. Nulla di che, un'inutile crisi. Fortunatamente ero da sola quando è arrivata.»

Rose non trovò motivo per non credere alle mie parole, e io mi sentii subito in colpa per non averle detto la verità.

Il mio senso di colpa, però, durò pochi secondi.

«Beh, l'importante è che nessuno ti abbia visto impazzire, svenire o perdere il controllo. E sopratutto che nessuno abbia visto una tua alter-ego assassina.»



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