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Capitolo 4 • Fiducia

«Dobbiamo aspettarlo per forza?»

Io, Gwenyth e non meno di quattro guardie, stavamo aspettando Weston all'ingresso della città di Cilius. Anche quell'eterno ritardatario di mio fratello sarebbe ritornato stabilmente a Ilyros, quindi avremmo fatto il viaggio insieme.

«Sì Gwen» sospirai, guardando l'orario sull'orologio.

A Gwen non andava proprio a genio Weston. La sola compagnia di mio fratello la faceva cadere in una sorta di mutismo selettivo. Le avvolsi un braccio attorno alle spalle, inclinando la testa all'indietro per godermi il calore del sole di Kylien.

Anche se era autunno, nella regione dell'Acqua c'era ancora caldo come se fosse luglio inoltrato, e così sarebbe rimasto fino a novembre. A Kylien, escludendo le zone montuose, il vero inverno, gelido e rigido, non esisteva.

«Se vuoi lo posso minacciare...»

Per un secondo, nella mia mente, passò il ricordo di quando il giorno prima lo avessi minacciato di infilargli la testa fra le rapide del fiume Aeros. Ripercorrere quel momento mi portò a pensare a lei.

Quella notte avevo dormito poco e male: Evelyn aveva continuato a tornare nei miei pensieri. Avevo capito di aver oltrepassato il limite quando, mentre stavo scrivendo a mia sorella, mi era sembrato di aver sentito la sua piccola e fredda mano sfiorarmi la guancia.

«Non so quanto possa funzionare» replicò lei amaramente.

Le rivolsi un'occhiata divertita. Contrariamente a come si sarebbe dovuta vestire, Gwen portava dei corti pantaloni di lino color verde militare, che le lasciavano scoperte le gambe. Quelli e la camicia bianca non troppo coprente la facevano assomigliare a una giovane turista inglese.

Se sua madre l'avesse vista così, probabilmente le sarebbe venuto un infarto.

Adoravo la vena ribelle di Gwen.

A differenza sua, per ragioni formali, ero stato costretto a mettere scuri pantaloni eleganti, camicia e panciotto. Attorno al fianco avevo una spada lunga, forgiata in occasione del mio sedicesimo compleanno. Mi mancava di già la comodità di una semplice felpa e di un paio di pantaloni della tuta.

Le guardie attorno a noi erano incaricate di impedire ai Domini di Cilius di avvicinarsi a noi. Stavo cercando di estraniarmi dalle urla di adulazione, talvolta false, e di richieste di ogni tipo.

Sapevo che la situazione sarebbe solo peggiorata con l'incoronazione: a quel punto non sarei davvero più riuscito a muovermi per il regno senza ritrovarmi centinaia di Domini addosso.

«Ecco vostro fratello, vostra altezza.»

Una delle guardie, una donna dai corti capelli biondi, allungò un dito in direzione di Weston, che, cambiatosi con le vesti da principe, ci stava raggiungendo con calma.

Avremmo compiuto la prima parte del viaggio a cavallo e non in carrozza. Ci saremmo fermati la notte in taverne lungo la strada, durante i tre giorni di cavalcata che ci aspettavano per raggiungere il porto di Lavard.

Arrivò da noi con un grande sorriso, che rivolse prima a me e poi a Gwen, che fece una smorfia districandosi dal mio braccio.

«Fratello» esordì Weston, battendomi una mano sulla spalla, per fortuna delicatamente.

«West» ricambiai con un piccolo sorriso. «Ora che ci siamo tutti direi di partire.»

Mi avviai subito verso le scuderie, che erano appena al di fuori delle mura della città.

«Non capisco perchè ti ostini a rifiutare i viaggi in carrozza» disse Weston, mentre mi affiancava. «Qui a Cilius avranno sicuramente delle belle e comode carrozze su cui...»

«Lo sai che puoi andarti ad affittare una gigantesca carrozza, se vuoi» lo interruppi prima che concludesse. «Ma io non ho intenzione di passare i prossimi tre giorni seduto e adagiato in una casa con le ruote.»

«Certe volte sei proprio strano, fratello.»

Non valse la pena rispondere.

Raggiungemmo la scuderia, pagammo per i cavalli e presto fummo pronti a partire. Quando salii in groppa al cavallo bianco che avevo preso e quando i miei compagni di viaggio furono in sella al loro, ci mettemmo in cammino.

Mi era mancato andare a cavallo. Adoravo la sensazione di leggerezza e di libertà che galoppare mi donava. Non c'era modo migliore per vivere e scoprire il regno di viaggiare in sella a un cavallo.

«Papà mi ha detto che cosa ti è successo» disse Weston, affiancandomi un'altra volta. «Perchè non mi hai detto nulla?»

«Avevo cose più importanti a cui pensare» replicai. «Come il cercare di rimanere in vita, per esempio.»

«O come Evelyn» replicò lui. «Che cosa le hai detto per farti perdonare?»

Presi fiato. Ero preparato: dal momento in cui avevo saputo che Weston avrebbe viaggiato con noi, avevo pensato a cosa rispondere a domande del genere, che sarebbero arrivate sicuramente.

«Sono rimasto in silenzio» risposi. «Bisogna lasciarle stare per un po' per farle calmare. Lo sapresti anche tu se ti fermassi un attimo a riflettere senza fare tutto di fretta. La sarei andato a trovare più tardi se non mi avessero ferito e se non fossi stato sul punto di morire.»

«Quindi non c'è più niente da fare? Non riusciremo a portarla a Elyria?»

«Non lo so» dissi. «Non posso tornare indietro per scoprirlo, avrei vita breve. Ma non credo che fosse davvero innamorata di me. Non è che ti ci sei affezionato, alla fine?»

«Io?» Weston scoppiò in una risata fragorosa. «Mai e poi mai, Evelyn non è il mio tipo.»

Continuammo a parlare per pochi minuti, prima di ricadere in silenzio.

Le ore passarono velocemente, in fin dei conti. Lasciando Weston avanti con le guardie, io e Gwen cominciammo ad aggiornarci a vicenda su quello che era successo in quegli ultimi mesi.

Mi disse di essere stata sia a Telyn, nel suo paese natale, sia a Fyreris prima di dirigersi verso sud e arrivare a Cilius. Mi raccontò delle sue avventure prima che arrivassimo presso una piccola locanda in mezzo al bosco nella quale avremmo fatto una piccola sosta di ristoro.

Dopo pranzo mi distaccai dal gruppo, raggiungendo un grosso albero sulla riva di un laghetto e sdraiandomici sotto per recuperare un po' di forze. Non appena mi buttai all'indietro sull'erba, cominciai senza pensare a muovere delle gocce d'acqua in aria.

Quando mi raddrizzai a sedere, iniziai ad afferrare i sassi che avevo di fianco e a lanciarli sulla superficie del lago, contando quanti salti riuscissi a fargli fare.

«Pensieroso?»

Sentii Gwen avvicinarmisi da dietro. Quando si sedette di fianco a me, mi girai a guardarla. La osservai per qualche minuto, capendo che a lei non sarei riuscito a nascondere nulla di quello che mi passava per la testa.

«È come se dentro di me si combattesse una guerra» le confidai.

Gwen mi guardò rimanendo zitta, in attesa che continuassi.

«Spero che non appena rivedrò mio padre, mi ritornerà in mente quello che è davvero lo scopo originale della mia missione. Spero di ricominciare a pensare a lei solo e unicamente come all'ultimo sole.»

«Devi farlo solo se sei tu a esserne convinto, Will» replicò lei. «Non ti devi imporre di farlo solo perchè è ciò che vuole che pensi tuo padre.»

«Non so che devo fare. In questo momento non so quello che è giusto o che è sbagliato» dissi. «Spero solo che con il tempo tutto mi diventi più chiaro.»

«Non posso e non voglio dirti quello che devi fare. Sappi che ogni cosa che ti sembrerà giusto fare, potrai contare sul mio sostegno.»

Fece una pausa e si avvicinò al mio orecchio, con un piccolo sorriso furbo sulle labbra.

«Anche se questo significa tradire la corona per te» mi sussurrò.

Non potevo fidarmi di nessuno come mi potevo fidare di Gwenyth. Potevo dirle quello che non avevo mai detto e ammesso prima di quel momento.

«Ti ho mi detto di come ho incontrato Juliet?» deglutii, abbassando inevitabilmente la voce.

Ogni volta, ricordare quella ragazza che mi aveva stravolto completamente la vita mi toglieva il respiro.

«Mi hai solo detto che era una Dominus che lavorava come ricercatrice di tesori per la bottega dei suoi genitori.»

«Come sai, quattro anni fa, non appena compii sedici anni, mio padre mi mandò un mese a Kratos, alla Casa Lunga del feudo.»

«Sì, me lo ricordo bene.»

«Un giorno, quando Adrian Logan, il figlio dello Jarl di Kratos - che credo abbia tre o quattro anni in più di noi - mi portò sulla Montagna Spirale, il vulcano dell'isola, per un'escursione. Quando eravamo lì, vidi uscire da una grotta una ragazza dai scuri capelli lunghi fino alle spalle e dai grandi occhi verdi.»

Presi un respiro, prima di continuare. Era da tanto tempo che non pensavo così tanto a lei, che non parlavo così tanto di lei.

«Beh, stava uscendo dalla caverna, appunto. Più precisamente stava scappando da qualcosa. Mi venne addosso e rischiò di farmi cadere giù dalla montagna. Aveva tutti i vestiti bruciati e non appena le chiesi che cosa fosse successo lì dentro, lei si limitò a guardarmi sorpresa e stupita. Se ne andò subito dopo.

«Solo dopo mesi e mesi la rividi a Ilyros in una taverna durante una delle mie solite fughe notturne. Mi disse che mi aveva riconosciuto subito e che, dopo essere scappata da una sorta di fuoco maledetto, vedermi lì su quella montagna era l'ultima cosa che si potesse aspettare. Quella sera ci avevo dato dentro: avevo bevuto molto, troppo vino. I suoi occhi verde smeraldo attirarono i miei. Era seduta sola a un tavolo, circondata da decine di pergamene e manoscritti. Ero ubriaco, ma mi ricordo perfettamente la nostra conversazione. Arrivai da lei ed esordii con un patetico "occhi di smeraldo, mi sembra di averti già incontrata".»

«Sul serio Willie?» Gwen rise sonoramente. «Non ci posso credere.»

«A sedici anni le mie abilità di rimorchio erano quelle di un bambino di sei» replicai con un piccolo sorriso. «Non mi sono mai potuto esercitare a corte. Lì ci sono solamente ragazze che cadono ai miei piedi non appena gli rivolgo un saluto frettoloso.»

«Molto modesto.»

«Comunque, lei quella sera alzò lo sguardo. In viso aveva un'espressione completamente opposta rispetto a quella del nostro primo incontro. Lei si aspettava di trovarmi lì, lei aspettava me. Raccolse tutti i suoi fogli e lì impilò. Mi guardò dritto negli occhi, dicendomi "sapevo che ti avrei trovato qui Figlio del Mare". Mi sedetti al suo tavolo e cominciammo a parlare. Mi disse che effettivamente era venuta lì proprio per incontrare me. Non mi raccontò nulla di sé quella sera.»

«Scommetto che tu, ubriaco, hai fatto esattamente il contrario.»

«Sì, io le ho detto tutto di me. Le chiesi pure se ci saremmo rivisti. Lei mi rispose con un deciso "sicuramente". E così fu: ci rivedemmo un'altra volta, e ancora un'altra volta...»

«Non c'era una notte che rimanevi alla Reggia Azzurra.»

Annuii.

«Mi ricordo che lei sembrava davvero interessata a me. Ma solo dopo scoprii il motivo per cui si era voluta avvicinare a me tanto da venirmi a cercare nella capitale. Mi ricordo del primo bacio che riuscii a darle. Fu una novità per me non essere subito accettato da una ragazza.»

«Per fortuna hai avuto questa bellissima lezione di vita!» commentò Gwen, lanciando a sua volta un sasso nell'acqua.

Quello non continuò a saltare sulla superficie grazie all'abilità di lancio di Gwen. Stava usando i suoi poteri per farlo.

«Mi fa ridere il fatto che le ragazze a cui sei più affezionato sono quelle che non ti venerano come un dio.»

«In effetti... Tu, Juliet, mia sorella...»

«... Evelyn...»

Liquidai la questione Evelyn con un gesto della mano.

«Comunque, dopo un po' di incontri mi disse il motivo per il quale era scappata da quella caverna. Mi rivelò di esserci entrata per conto di un'antica comunità di sacerdoti del dio Seran. Volevano che recuperasse una perla nera dei loro antenati, che guarda caso si vociferava fossero coloro che pronunciarono la Profezia del Sole. Non trovò solo la perla, lì dentro. All'interno della Montagna Spirale scoprì un'intera cittadella abbandonata.»

Gwen continuò ad ascoltarmi, senza più interrompermi. Dalla sua espressione capivo che si stava chiedendo dove volessi arrivare a parare.

«Trovò un sacco di bauli, di affreschi, graffiti... libri e pergamene...» Presi un respiro profondo prima di arrivare al succo del discorso. «In qualche modo scoprì che la Profezia del Sole che tutti conosciamo, è solo una prima parte dell'originale.»

Gwen alzò le sopracciglia, sorpresa.

«Mi disse che non riusciva a spiegarsi, che doveva portarmi in quella grotta per farmi vedere con i miei stessi occhi. Mi fece giurare di non dirlo a nessuno: sarebbe stato pericoloso far trapelare quello che aveva scoperto. Nel caso mio padre lo fosse venuto a sapere, i sacerdoti di Seran, alleati dei Ribelli, lo avrebbero scoperto e avrebbero fatto in modo di depredare tutto prima del nostro arrivo. A quel punto ci sarebbe stato impossibile indagare oltre.

«Juliet era convinta che io fossi coinvolto più di quanto pensassi nella Profezia del Sole. E che il mio compito non potesse essere solo sedurre Evelyn Lewis.»

«Tu?» chiese Gwen con un filo di voce.

«Sì» risposi, ridacchiando piano.

«E anche tu lo credi?»

«Mi fidavo di lei. Mi fido di lei» mormorai guardandola negli occhi. «E per quanto ci abbia pensato e riflettuto, non ho trovato motivi per i quali avesse dovuto mentirmi. Perchè avrebbe dovuto? Che cosa ci avrebbe guadagnato?»

«A Kratos non ci siete più andati, vero?»

«No. Quattro anni fa, questo momento sembrava molto lontano. Rimanemmo a pianificare molto, ma non ci tornammo mai. Pensavamo di avere tempo, pensavo di avere tempo prima che...»

Mi fermai e cominciai a guardare il vuoto. Le parole che concludevano quella frase non sembravano volere uscire.

«... prima che il Generale Hyde vi vedesse insieme in una taverna.»

Ci pensò Gwen a finirla per me.

«Perchè me lo hai detto? Che cos'hai intenzione di fare?»

«Ho intenzione di continuare quello che non abbiamo mai portato a termine io e Liet» risposi, sentendo un groppo in gola. «Glielo devo.»

«Allora non ci resta che partire per Kratos» sospirò Gwen, allungandosi all'indietro e guardandomi con un piccolo sorriso.

Sentii il mio cuore venire invaso da un gigantesco moto di affetto. Sapevo già che avrei contato sul suo appoggio, ma quando la sentii parlare al plurale, mi sentii immediatamente più sollevato.

«Prima dobbiamo andare a casa» dissi. «La settimana seguente potremo salpare con il veliero più veloce di Ilyros e arrivare nel giro di cinque giorni a Kratos. Ci potremo fermare per poco, con la scusa di... non so, magari una missione diplomatica o una visita al feudo.»

«Cosa credi che possa esserci nella seconda parte della profezia?»

Scossi la testa. Questa domanda mi aveva tormentato per tutti e quattro gli anni precedenti. Liet non si era mai sbilanciata, e io non ero stato in grado di trovare una teoria plausibile.

«Non ne ho idea, Gwen» ammisi. «È poco su cui indagare, ne sono consapevole.»

Gwen annuì.

«Dove vai tu vado io Will. Sei l'unica persona che mi vuole davvero bene e che mi accetta per quello che sono.» Mi rivolse un sorriso. «Sei il mio migliore amico, Willie. Il fratello che non ho mai avuto. E lo sarai sempre.»


***


Quella sera, come la precedente, non riuscii a prendere sonno. Ancora una volta la mia mente frullava di pensieri, che mi impedivano di rilassarmi e di cadere in un sonno ristoratore che sicuramente mi avrebbe fatto più che comodo.

Mi ero ritrovato a uscire dalla locanda in cui stavamo passando la notte, per fare un piccolo giro del villaggio, nella speranza che riuscissi a rilassarmi un po'.

Parlare con Gwen di Liet e di quello che era stato il motivo del nostro incontro mi aveva aiutato a non pensare a Evelyn per tutto il giorno. E di questo ne ero davvero contento.

Lo sarei stato molto di più se solo non avessi ricominciato a sentire quella stretta allo stomaco che mi ricordava che Juliet Marshall, il mio primo vero amore, non sarebbe più tornata da me.

Vagai per il villaggio silenzioso e deserto senza una meta precisa. Adoravo la pace della notte, lo avevo sempre fatto. Era una pace che mi sarebbe stata negata per la maggior parte della mia vita. Una solitudine che mi sarei ritrovato a cercare così disperatamente da stare male.

Erano i compromessi che avrei dovuto accettare per abbracciare la mia corona. Lo sapevo, lo avevo sempre saputo, ma questo non significava che mi fossi abituato all'idea.

Mi sedetti sulla riva del ruscello che attraversava il villaggio. Mi ritrovai a guardare il cielo, con tutte le stelle e le tre lune luminose che si riflettevano sull'acqua calma e silenziosa.

Non appena posai lo sguardo davanti a me, i pensieri che mi avevano impedito di prendere sonno si riversarono nella mia testa come un'onda violenta.

Come sarebbe andata a finire questa storia? Il sette dicembre non era affatto lontano e se davvero ciò che pensava Juliet si fosse rivelato vero, in qualche modo sarei stato coinvolto in quello che sarebbe successo.

Ma come?

Per tutto il tempo che avevo passato a Boston, avevo cercato di non pensare a Juliet, di svagarmi per non rimanere solo con il ricordo troppo forte e doloroso di lei. Avevo dimenticato questa storia.

Mi vergognavo per quello.

In un gesto di rabbia e frustrazione improvviso, afferrai un sasso e lo lanciai con rabbia nell'acqua davanti a me.

Dopo qualche secondo rimasi stupito, notando che questo non era affondato come avrebbe dovuto fare. Il sasso, proprio come se lo avessi lanciato come facevo quella mattina, continuò a rimbalzare e a scivolare sulla superficie dell'acqua.

Corrugai la fronte, confuso, e mi rialzai da terra. Allungai lo sguardo, sentendomi mancare un battito quando vidi delle macchie bianche galleggiare nel ruscello e muoversi con la corrente. Era come se il sasso, rimbalzando, avesse lasciato dietro di sé del ghiaccio.

Quando lo notai, rimasi a bocca aperta.

Noi Domini dell'Acqua non eravamo in grado di controllare il ghiaccio.

Era impossibile, eppure ero sicuro di non starmi sbagliando. 


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