Capitolo 36 • Venduta alla causa
Faceva caldo nel deserto.
Gli dèi solo sapevano quanto avrei preferito seguire il resto della mia famiglia a nord, vicino a Terona. Se solo non ci fosse stato l'assedio di Brennan, sarei stata ancora in preda all'invidia per loro che potevano godersi il fresco autunno.
Colton aveva deciso di partire in direzione di Brennan dopo soli due giorni dal nostro arrivo a Lapis. Era lì che eravamo, in quella cittadella marittima che si affacciava sull'omonimo stretto.
Avrei dovuto pregarlo di portarmi via con sé, ma non ero riuscita a chiederglielo.
Così ero rimasta a seguire come ogni altro ribelle gli ordini di mia madre e di Richard Hole.
Se non fosse stato per la mia famiglia, avrei abbandonato i Ribelli molti anni fa. Non mi interessava quale fosse l'alternativa: avrei cominciato a vivere nel Mondo degli Umani senza problemi se quello fosse stato il prezzo da pagare per scappare via.
Ma non potevo ripudiare le persone che mi erano state vicine nei momenti in cui ne avevo avuto più bisogno. Sopratutto non potevo farlo in quel momento, quando non sapevamo che fine avessero fatto mia zia, la sua famiglia e Colton stesso.
Ero seduta sulla sabbia gialla della spiaggia di Lapis, con i piedi immersi nell'acqua fresca in cerca di qualche sollievo dal caldo.
Era quasi sera e avevo appena finito un lungo turno di lavoro alla scuola locale, dove aiutavo l'istruttrice Jacobs a seguire i piccoli Domini dell'Aria che erano nati lì, nella regione del Fuoco.
Non avevo mai immaginato quanto potesse essere frustrante per un piccolo Dominus vivere lontano dalla propria regione: crescere in mezzo a bambini di un altro elemento non era affatto semplice.
Allungai lo sguardo sull'Isola Ferrosa in lontananza: era un'isola molto grande, che si stendeva in due regioni: Pyros e Kylien. Da quel punto, potevo osservare la parte settentrionale, quella della regione del Fuoco.
Lapis e Volcus, la città che si ergeva nell'estremo nord dell'isola, erano collegate da un lungo e imponente ponte bianco. Nel centro, proprio a metà fra le due sponde, ciascun lato del ponte ospitava la testa di una fenice, le cui enormi ali si aprivano fino a toccare le scalinate che scendevano sulle due rive.
Non mi era permesso percorrerlo: ormai da più di un mese la mia vita era scandita da orari fissi, che cominciavo a odiare con tutta me stessa.
Mentre mia madre e Richard Hole, che si trovava proprio in questa cittadina, organizzavano il futuro dell'Ordine assieme ad altri Domini, io e tutti gli altri Ribelli eravamo costretti a vivere come normalissimi abitanti del posto.
Lapis, assieme a Brennan e ad altre quattro o cinque cittadine, era una delle nuove basi dell'Ordine a Elyria. Sembrava che nessuno del posto sospettasse della nostra infiltrazione: i volti più conosciuti, come quelli di mia madre e di Hole, rimanevano sempre nascosti negli enormi sotterranei del piccolo palazzo - se così si poteva chiamare - dello Jarl Thorn. In quel modo ogni singola persona che entrava e usciva da lì poteva essere controllata e mia madre e quel vecchio bastardo erano sempre al sicuro.
Odiavo quell'uomo, odiavo quello che aveva fatto e quello che era. Se non fosse stato per lui, Dylan sarebbe stato ancora qui, se non con me, almeno sarebbe stato vivo.
Ricordavo nei minimi dettagli l'ultima volta che ci avevo parlato, l'ultima volta che ci eravamo baciati, prima che mi trascinassero via dalle prigioni dell'Istituto Zero in cui lo avevano rinchiuso.
Prima che lo scoprissero, gli avevo detto molte volte di non immischiarsi in faccende che non lo riguardavano, di smetterla di incontrarsi con quel misterioso Dominus che vedeva più di una volta a settimana, per discuterete di chissà che cosa.
Lo avevano condannato con l'accusa di aver passato delle informazioni alla Confraternita Oscura, ma io non ero mai venuta a conoscenza di ciò che si fossero detti durante quegli incontri.
«Chantal non rimanere qui con loro, non sono quello che credi» erano state alcune delle sue ultime parole. «Scappa, appena puoi scappa... Ti amo.»
Tirai fuori i piedi dall'acqua, abbracciandomi le ginocchia al petto.
«Chantal.»
Quando la voce di Hector interruppe il silenzio, allontanai dalla mia mente ogni pensiero di Dylan e cancellai dal mio viso qualsiasi espressione.
«Sì?» mi girai a guardare il mio fratellino.
«La mamma ti vuole. È dove sono sempre.»
***
Il sole stava tramontando sulla cittadina di Lapis e sull'omonimo feudo. Camminavo per le vie ciottolate in direzione di quello che gli altri Ribelli chiamavano castello, ma che io consideravo solo una grossa residenza di un nobile di Elyria.
Lapis si affacciava sul mare e si ergeva nel deserto. Mentre procedevo verso il cuore della città, come ogni volta mi sembrò di essere stata trasportata nel bel mezzo del Grande Deserto, lontana da tutto e da tutti.
Le piccole case erano tutte uguali, costruite con arenaria e dai tetti piatti. Lapis sarebbe stata di un unico colore se non fosse stato per qualche alta palma verde e per gli stendardi arancioni.
Lo stemma del feudo di Lapis era una fenice bianca, che ricordava l'enorme ponte.
Arrivai a destinazione e oltrepassai le guardie che presiedevano la porta, entrando nella piccola sala del trono. Tutti chiamavamo trono quella elaborata sedia di legno scuro posta infondo al salone, su una piccola piattaforma rialzata.
Lo oltrepassai e mi diressi verso i sotterranei, dove mia madre e Richard Hole avevano improvvisato la base strategica di quell'insediamento di Ribelli.
Non appena arrivai, li vidi attorno ad un tavolo, su cui era distesa un enorme cartina di Elyria, con pedine viola e azzurri e delle piccole bandiere degli stessi colori.
I viola erano i Ribelli, mentre il colore azzurro indicava i Reali.
«Mamma» attirai la sua attenzione, rifiutandomi di rivolgermi a Hole.
«Oh cara.»
Mia madre piegò la bocca in un sorriso quasi tirato, strano. Lanciò una veloce occhiata al generale, prima di guardarmi.
«Vieni, avvicinati.»
Obbedii, chiedendomi che cosa volessero da me. Non era mai davvero capitato che mia madre richiedesse la mia presenza. Le poche volte che ero scesa lì sotto era stato di mia iniziativa, per andare a trovarla.
Lo avevo fatto raramente, anche perchè non sopportavo di rimanere nella stessa stanza con colui che aveva condannato a morte l'amore della mia vita.
Mia madre sembrava non notare quanto odiassi quell'uomo. Sembrava dimenticare quello che aveva fatto, il perchè fossi caduta in depressione a tal punto di pensare di togliermi la vita. Sembrava dimenticare che Dylan fosse esistito.
«Perchè sono qui?»
«Vorremmo parlarti, tesoro.»
Feci un cenno con la testa, invitandola a parlare.
«Colton ci ha scritto» esordì mia madre non appena le fui di fianco.
«Davvero?» domandai, non riuscendo a contenere la gioia di quella notizia.
«Sì, è a Fyreris con l'ultimo sole. Sono arrivati nel capoluogo due giorni fa. Non sappiamo perchè si siano recati lì, forse l'ultimo sole ha pensato che la sua città natale fosse un buon punto dove continuare la ricerca delle Vie del Sole.»
Come avevano potuto commettere un gesto così stupido? Evelyn Lewis era davvero così poco intelligente da raggiungere una delle città più grandi e piene di guardie di Elyria, trascinando con sé mio fratello, oltretutto?
Quell'errore poteva costare la vita a tutti noi.
«Ma...»
Mia madre non mi fece finire di parlare.
«Sono stati messi in contatto con un sacerdote. Questo sacerdote sembra che abbia richiesto anche la tua presenza.»
Quell'affermazione mi prese alla sprovvista. Come poteva un sacerdote a migliaia di chilometri di distanza anche solo conoscere il mio nome?
«Non credo di aver capito» dissi.
«Siamo dell'idea che il sacerdote possa essere a conoscenza di preziose informazioni sull'imminente guerra» continuò.
Arretrai di un passo, spostando lo sguardo sulla mappa e capendo.
«Volete dichiarare guerra» dissi. «Adesso? È una pazzia, lo sapete. Verremo sterminati tutti, se dichiarerete guerra adesso!»
«Verremo sterminati se rimarremo fermi» replicò Hole, parlando per la prima volta. «Non possiamo rimanere nascosti: è solo questione di tempo prima che ci trovino. La nostra unica possibilità è occupare una grande città il prima possibile.»
«E avete in mente Fyreris? Come pensate di fare?»
Avevo la bocca spalancata dallo stupore: mantenere il contegno che mia madre avrebbe preteso da me si rivelava essere sempre più difficile.
Vidi solo in quel momento la lunga linea viola che partiva da Lapis e, tramite mare, raggiungeva il porto più vicino a Fyreris.
«Volete mandarmi là davvero» dissi, deglutendo.
«Avrai una scorta sempre con te. Dovrai parlare con questo sacerdote e capire quello che vuole» rispose mia madre. «Forse, potrai riuscire a convincerlo della nostra causa. Ci potrebbe dire come muoverci, come entrare nella città nera...»
«Dove sarebbe questo sacerdote?» chiesi socchiudendo gli occhi.
Mia madre esitò e lanciò un'altra veloce occhiata al generale.
Fu lui a rispondere al posto suo.
«Nella Rocca Nera.»
Rimasi in silenzio per qualche secondo.
«Mi stai vendendo alla causa» dissi poi, trattenendomi dall'allungare un dito verso mia madre. «Stai vendendo tua figlia per raggiungere gli scopi dell'Ordine!»
«Non ti succederà nulla, siamo fiduciosi di questa missione.»
«Fiduciosi? Ah allora va bene! State parlando di mandarmi sotto il tetto di un Reggente. Finirò in cella e farò la sua stessa fine.»
Fu come se mia madre si ritraesse. Chiuse leggermente gli occhi, mentre le labbra le diventavano sottili per l'irritazione. Non le avevo mai risposto così, ma d'altra parte lei non aveva mai avanzato proposte, anzi ordini, del genere.
«La decisione è presa, partirai stanotte.»
La voce di Hole non lasciva posto a rifiuti o a contraddizioni.
«Ci scriverai tutti i giorni durante la tua permanenza a Fyreris. Ora ti diremo cosa devi fare.»
Feci per aprire bocca, per ribattere, ma mia madre mi lanciò uno sguardo di fuoco.
«Niente discussioni Chantal. Partirai con gli altri Ribelli. È ora che anche tu cominci a prendere sul serio questa causa.»
***
Ero delusa, delusa da mia madre. Non sapevo come altro descrivere i sentimenti che provavo in una donna che credevo non avrebbe mai sacrificato la propria famiglia per la causa.
Non riuscivo ancora a capacitarmi del fatto che mi stesse mandando in una base nemica con la sola scusa che un sacerdote, ospite di un Reggente, aveva chiesto la mia presenza.
Era stata una spina nel fianco.
Mi trovavo sul veliero che mi avrebbe portata via di lì quando mi feci una promessa, quando la feci a me stessa e a Dylan.
Avrei portato a termine con coraggio e onore il compito che mi avevano dato, gli avrei portato le informazioni che desideravano che ottenessi.
Ma poi me ne sarei andata, sarei andata lontana da loro proprio come mi aveva detto di fare Dylan. Non sarei rimasta a rischiare la vita per una causa in cui nemmeno credevo.
L'Ordine non perseguiva più gli ideali originali, non aveva più l'obiettivo di estirpare un governo tirannico. L'Ordine di Richard Hole voleva il potere.
Alzai la mano per salutare la mia famiglia: guardai mio padre Ian, che come sempre non si era ribellato alla decisione di mia madre, e il mio fratellino Hector, che stava trattenendo le lacrime.
Non piansi, non ne sentii il bisogno. Ora che avevo compiuto diciotto anni non ero altro che una pedina come altri.
Non appena mio padre e mio fratello divennero troppo lontani, mi voltai verso le cabine.
Non potevo avere idea di quello che mi sarebbe aspettato.
***
Quando me lo dissero, quella sera, non ci credetti davvero.
Non appena avevamo raggiunto Fyreris a cavallo, mascherati con le tuniche e armature arancioni tipiche del feudo di Lapi, all'ingresso della città avevamo trovato funzionari del Reggente ad accoglierci.
Solitamente tutte le delegazioni più importanti sbarcavano nel grande e lussuoso porto di Estis, a sud dell'Altopiano del Fuoco, per poi intraprendere quasi una settimana a cavallo o all'interno di lussuose carrozze.
Mia madre e Hole, invece, per motivi di tempo, avevano ricevuto l'ordine del Reggente stesso di farci approdare nel piccolo porto di Yol, un paese sulla costa.
Ci trovavamo nel versante orientale della Montagna Rossa, quello che non si affacciava sulla città nera.
Da lì, avevamo dovuto intraprendere un pericoloso percorso lungo un paio di giorni: il Cammino del Gigante era costantemente attraversato da tempeste di cenere ed era pieno di lupi nordici del Fuoco e di altre creature di Pyros decisamente poco docili.
Avevamo perso un paio di uomini durante il percorso, di notte. I lupi nordici del Fuoco, una particolare specie di canini in grado di bruciare tutto ciò che toccavano, avevano atterrato un cavallo e trascinato nelle caverne la povera guardia, mentre una salamandra delle braci ne aveva morsa un'altra, condannandola a quarantotto ore di agonia con il suo veleno letale, prima di morire.
Di certo, non avevo sentito la mancanza di queste creature quando ero stata in America.
«Signorina Wilson.»
Quando scesi da cavallo, uno dei due uomini attirò subito la mia attenzione.
«So che vorrebbe riposare, dopo un viaggio così insidioso e lungo, ma Lord Blain gradirebbe la sua presenza al ballo di questa sera...»
Sempre all'erta, pronta a captare ogni singolo indizio di inganno, mi ritrovai a seguire i due funzionari all'intero della bellissima città nera.
Non appena facemmo qualche passo però, uno dei due uomini, un giovane Dominus dai capelli color paglia, si girò e allungò lo sguardo dopo di me.
«Loro non possono venire.»
Non potei non irrigidirmi a quelle parole, non potendo fare a meno di girarmi verso tutto il gruppo che mi aveva accompagnata fino a quel momomento.
«Suo fratello è con noi, signorina Wilson.»
L'altro funzionario, un uomo tozzo dai capelli neri, aveva notato la mia reazione sconcertata.
«La condizione affinché la portiamo dentro la Rocca Nera, dove si trovano tutti i suoi amici, è che questi Domini non ci seguano.»
«Fai tutto ciò che ti chiedono di fare finché non hai la certezza assoluta che potrebbe essere un inganno» erano stati gli ordini di Hole.
Valutai in fretta la situazione: consideravo il tutto un chiaro segno di pericolo imminente. Con tutti i film che avevo visto nel Mondo degli Umani, questa mi sembrava la tipica situazione di chi stava per cadere in una trappola.
«Signorina Wilson, le giuriamo sugli dèi e sulla corona che se viene con noi nessuno attenterà alla sua vita, né alla sua libertà.»
A volte, questi giuramenti non valevano.
Come potevo assicurarmi che quei due fossero così fedeli agli dèi e al re da formulare un giuramento valido? Proprio adesso stavano per scortare una Ribelle all'interno di un edificio reale, come potevano essere fedeli alla corona?
Se avessi cominciato a scappare, sarebbe stato peggio: ero veloce, potevo usare il mio elemento per aiutarmi ma ero a Fyreris e non avevo dubbi che fra le guardie potessero esserci anche dei velocisti.
Mi ritrovai a prendere un grosso respiro: ero già in trappola, non avevo scelta che seguirli e sperare nel meglio. Con un cenno di assenso, lanciai un'occhiata eloquente alle guardie che erano con me, cominciando a camminare verso i meandri della città seguendo quei funzionari.
Non potei fare a meno di continuare a valutare la situazione, guardandomi attorno in cerca di qualsiasi cosa potesse aiutarmi: non sapevo di che elementi fossero quei due, né quali fossero le loro capacità. Potevo solo intuire qualcosa, che comunque non era abbastanza.
Quando arrivammo in prossimità della Rocca Nera, l'edificio che spiccava in tutta Fyreris per i suoi muri particolari e per la sua imponenza, i funzionari si fermarono davanti ad un ingresso secondario.
«Oltre a queste porte si troveranno delle cameriere. La aiuteranno a cambiarsi per il ballo.»
Il Dominus che parlava stava anche sorridendo.
Sempre con la convinzione di aver poche possibilità di scampo, in un momento come quello, dovetti costringere me stessa a entrare nel castello.
Se solo fossi stata ancora in America, sarei riuscita a scappare senza problemi. Forse ce l'avrei fatta anche in quel momento, ma qualcosa sembrava dirmi che non dovevo rischiare, che dovevo vedere se mio fratello era davvero con loro.
Speravo solamente di non star commettendo un errore fatale.
***
I miei passi risuonavano in tutto il corridoio con un ritmo ben scandito. I tacchi che mi avevano dato sembravano come dei veri e propri scocchi nel silenzio del ricco corridoio nero e dorato.
La mia mente era nella confusione più totale: anche se nessuno di rilevante conosceva il mio viso, avevo il dubbio che lì dentro qualcuno potesse capire che io non ero una Reale. Stavo cercando di sembrare a mio agio in quel regale e magnifico vestito rosa cipria, ma non potevo contare troppo sul mio autocontrollo in quel caso: finché non avessi trovato mio fratello, sempre che fosse stato lì, non sarei potuta sentirmi realmente a mio agio.
Non ero mai stata vestita né truccata così, come se fossi una nobile, nemmeno al ballo scolastico di fine anno della scorsa primavera.
Ormai erano le otto e mezza di sera e la festa era già inoltrata da un pezzo, ma le cameriere mi avevano assicurato che non ci sarebbe stato problema, che nessuno si sarebbe accorto del mio ritardo.
Non appena arrivai in prossimità del grande salone, la musica leggiadra e delicata mi riempì le orecchie. A presidiare il portone aperto della sala c'erano due guardie, immobili a fissare il vuoto come se fossero state soggiogate.
Entrai.
Centinaia di persone stavano ballando. Ero arrivata nel bel mezzo della festa: i vestiti colorati e magnifici delle donne svolazzavano in tutta la stanza e facevano uno strano contrasto con le uniformi scure degli uomini che guidavano il ballo.
Rimasi meravigliata, non ero mai stata a un ricevimento nobile come quello, sembrava tutto troppo bello, tutto troppo principesco. Era uno dei balli che si sognano quando si è bambine e si crede ancora nel principe azzurro. Era uno di quei balli ai quali non mi sarei mai aspettata di partecipare, né in quella né in qualsiasi altra vita.
Come facevo a non invidiare ogni singola persona per la quale tutto questo era la normalità?
«Chantal... Chantal!»
Mi girai di scatto. Facendosi strada fra la moltitudine di gente, mio fratello mi corse incontro, con un grande sorriso.
Mio fratello mi strinse a sé senza curarsi di essere delicato, irrompendo in una risata liberatoria.
Non appena mi mollò, appoggiò le mani sulle mie guance, come se non credesse che io fossi davvero arrivata sana e salva da lui.
«Finalmente sei qui...» esordì studiandomi il viso. «Sapevo che nostra madre non avrebbe esitato a farti venire...»
Aggrottai la fronte, non riuscendo a capire.
«Che cosa intendi dire?» chiesi appoggiando le mie mani sulle sue braccia.
Colton non esitò a rispondere, ancora incredibilmente contento di avermi lì con lui.
«Quando mi avevano detto che avrei dovuto scriverti non ci avevo creduto: ero appena arrivato in città e la richiesta di Joanne mi sembrava assurda. Ma poi ho capito che il sacerdote stava cercando di reclutare più persone possibili e allora non ho potuto dire di no!»
«Joanne? Il sacerdote? Ma di cosa stai parlando?»
«Edvard non ti dirà nulla riguardo alla Guerra Civile, o almeno, per quando riguarda quello che i Ribelli potrebbero fare per insediarsi a Fyreris.»
«Come lo sai? Come sai che questo è il loro progetto?»
«Lo sa il sacerdote, sembra avere delle abilità premonitrici. Mi ha spiegato che cos'ha in mente di fare. Più tardi Lord Blain lo spiegherà a tutti... È la nostra possibilità per fare del bene Chantal, per evitare che la Guerra Civile distrugga il paese.»
La voce di Colton andò in calando, sembrava quasi bisognoso che io gli credessi.
«Ci sono tutti qui... il Comandante Davis, suo figlio, Evelyn, Cesar... e c'è Rose, Chantal.»
«Rose?» dissi incredula. «Ma come può essere qui? È impossibile...»
«È stato...» esitò leggermente per la prima volta. «È stato Shaun, è qui anche lui.»
Ma che cosa stava succedendo? Non ci stavo capendo più nulla. Mio fratello mi afferrò la mano, sorridendomi di nuovo.
«Vedrai, verrai convinta anche tu.»
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