Capitolo 26 • Non sono una principessa
«Hai combinato un casino, Willie.»
La mattina successiva alla nostra partenza, Gwen entrò nella mia cabina con una busta sigillata in mano, dall'aspetto molto pesante.
Non ne fui sorpreso: era solo questione di poche ore prima che qualcuno mi informasse di quello che era accaduto. Non sapevano, e non avrebbero mai dovuto sapere, che era stata a causa mia se la ribelle Rose Ward era riuscita a scappare.
Verso le due di quella notte, Shaun Spencer mi aveva scritto per assicurarmi che la missione era andata a buon fine. Naturalmente, mi aveva detto dove avrei potuto saldare il mio debito nella stessa Fyreris.
«Non ho tempo per pentirmene. E farlo non avrebbe senso, a questo punto» replicai, stiracchiandomi all'indietro.
Stavo leggendo un libro sull'arte della guerra quando Gwen mi raggiunse alla poltrona in cui ero seduto e mi lanciò la busta in grembo.
«Non la leggerò ora, non ne ho proprio voglia.»
«Problemi tuoi» scrollò le spalle.
«Oggi hai intenzione di passare tutta la giornata qui dentro?» chiese con sguardo severo. «Proprio come ieri? Ci metteremo due settimane piene ad arrivare a Fyreris, Will, potremo fare qualcosa di utile!»
«Cosa pensi che ci possa essere di utile da fare in una barca? Non c'è nulla. Possiamo solo parlare, leggere, dormire...»
«Sei noioso» sbuffò lei, battendosi le mani sulle cosce e buttandosi di peso sul mio letto.
In quel momento sentii una scossa al braccio, che mi costrinse a muoverlo. Cercai di non farlo vedere a Gwen e di non lasciarmi scappare qualche smorfia.
Da quando ero svenuto nel bel mezzo di Ilyros, il braccio sinistro veniva percorso da fastidiose scariche di freddo. Sapevo che mi stava succedendo qualcosa, e temevo che quel qualcosa centrasse con la profezia e con quello che aveva scoperto Juliet.
Gwen se ne accorse, e subito si raddrizzò sul letto.
«Cos'hai alla mano?» domandò, guardandomi interrogativa. «E non mi rispondere "niente" perchè non ci credo. Mi sono accorta che continui a muoverla in modo strano. E non è normale.»
«Gwen tranquilla non...» non feci in tempo a finire la frase che lei si alzò di scatto, afferrandomi subito la mano e ritraendola di colpo.
«Sei congelato William!» esclamò con la bocca aperta, guardandomi come se fosse colpa mia. «Di nuovo! Non è normale e tu lo sai: nessun Dominus dell'Acqua è nato con il potere di controllare il ghiaccio!»
«Non è un problema che ci debba riguardare adesso, Gwen» replicai, ritraendo la mano fredda dentro la manica della maglione nero. «Abbiamo troppo a cui pensare e sicuramente noi due da soli non riusciremmo a trovare una risposta a questa stranezza.»
«Come puoi considerarla solo una stranezza?» ribatté incredula. «Ti vorrei ricordare che sei svenuto l'altra sera. Eri freddo come un morto Will!»
«Sono vivo, sto bene e finché non ci sarà davvero da preoccuparsi, è inutile farlo» chiusi l'argomento. «Non parliamone più Gwen. Adesso... che cos'è che avevi intenzione di fare?»
«Sul serio?» sbuffò sonoramente, con il tono incredulo ed esasperato di chi parlava con chi non lo voleva ascoltare.
Mossi ancora la mano dentro la manica del maglione, non potendo comunque mentire a me stesso: quella scossa era stata più forte delle precedenti. Mi alzai dalla poltrona, deciso a distrarmi da quel problema.
«Dai andiamo a prendere un po' d'aria.»
***
Arrivammo nel porto di Estis poco meno di una settimana dopo. Da lì proseguimmo a cavallo per altri sei giorni, accompagnati da qualche guardia.
Mi ero impuntato per far sì che non ci seguisse un corteo di dieci Domini. Avremmo solo attirato attenzioni inutili. Nonostante mio padre avesse dato l'ordine di farmi accompagnare solo da tre o quattro guardie, tutti i soldati che erano arrivati con noi in nave avevano smaniato per seguirci a Fyreris.
Erano passati davvero molti anni dall'ultima volta che avevo attraversato l'Altopiano del Fuoco. Ci ero stato quattro o cinque volte, e tutte esclusivamente per accompagnare mio padre in visita alla famiglia Blain, la reggente di Pyros.
All'alba di un grigio lunedì annuvolato, le mura della grande città di Fyreris ci furono davanti. Tirai un sospiro di sollievo: finalmente quel lungo viaggio era finito.
Al mio fianco, Gwen sospirò emozionata.
«È sempre stata una delle mie città preferite. Non mi dispiacerà affatto passare qui un po' di tempo.»
Proseguimmo fino alla grande entrata meridionale della città nera. Non c'erano altro che due guardie a presidiare l'ingresso, ma sapevo che ben presto la notizia del mio arrivo in città si sarebbe sparsa anche se non era mai stata annunciata.
«Da questo momento potete andare» congedai le guardie con tono autoritario. «Saremo al sicuro dentro la città. Non c'è motivo che rimaniate con noi, attirereste troppa attenzione.»
Loro non replicarono e, congedandosi con parole di augurio e di rispetto, girarono sui tacchi e si allontanarono, dirigendosi di nuovo verso l'imbarcazione reale ormeggiata a Estis che li avrebbe riportati indietro fino a Ilyros.
«E adesso che si fa?» fece Gwen scendendo da cavallo e guardandosi attorno, trovando la piazza che ospitava l'entrata deserta. «Allora cosa vuoi fare per prima cosa? Seguire o infrangere gli ordini di tuo padre?»
«Smettila» le dissi subito, scendendo da cavallo a mia volta. «Dobbiamo lasciare questi cavalli nella stalla.»
Gwen annuì, rimanendo in silenzio. Cominciò a dirigersi verso l'enorme stalla, che si trovava proprio in quella piazza, sulla nostra destra. La seguii, tenendo strette le redini del cavallo che mi aveva portato fino a lì.
Fortunatamente entrambi i cavalli erano natii della regione del fuoco, così gli stallieri li avrebbero accettati più che volentieri dalle mani di Gwen. Non sarei entrato nella stalla: meno gente mi vedeva meglio era.
A pochi metri dall'entrata di quella costruzione di legno chiaro, fuori dalla quale si vedevano già quattro o cinque cavalli, porsi le redini del mio cavallo alla mia amica, che procedette fino alla porta, dove bussò.
Io nel frattempo mi andai a sedere in una panchina a ridosso delle mura nere, sentendomi lo sguardo delle guardie dell'ingresso della città addosso. Sapevo che avevano ricevuto dal loro Reggente l'ordine di non divulgare la notizia della mia presenza in città, ma, come ho detto, non ero molto fiducioso a riguardo.
Non appena abbandonai la schiena contro le mura nere, mi misi a guardare la strada principale che partiva da quella piazza e che si immergeva nel vivo del Quartiere di Saturno. Quel quartiere era uno dei pochi ad essere ancora completamente pianeggiante: la maggior parte della città si sviluppava sui versanti più o meno ripidi della Montagna Rossa.
«Rivelate le vostre identità» la voce di una delle guardie all'ingresso attirò la mia attenzione.
Subito mi girai, vagamente curioso. Da quella posizione non riuscivo a vedere i Domini che chiedevano di entrare a Fyreris: riuscivo solo a vedere le guardie.
Io, essendo il principe ereditario del regno, ero esentato dal controllo sempre più fitto che mio padre stava imponendo agli ingressi e alle uscite dalle città. Ma chiunque non fosse membro di famiglie reggenti o della famiglia reale stessa doveva rivelare la propria identità e offrire un valido motivo per entrare.
«Sono Lord Karlsen, ex comandante della Legione Biancospino, e lui, Isaac Podmore, è uno dei braccianti dei miei possedimenti nel Feudo di Terona. Sono qui per riscuotere un debito riguardo alla vendita di una delle mie terre.»
Sentii subito una forte stretta allo stomaco. Stupito, incredulo, mi alzai di scatto dalla panchina.
Come poteva essere lì? E come mai chiedeva di entrare proprio in quel momento, all'alba del mattino?
Erano passati anni da quando avevo sentito parlare di lui, da quando se ne era andato dalla Reggia Azzurra.
Elias Karlsen era stato un membro del Consiglio del Re per molto, molto tempo. Ricordavo bene il suo viso burbero e serio come se lo avessi visto per l'ultima volta il giorno prima, e non anni fa.
Prima che mio padre lo allontanasse da corte, dichiarando pubblicamente che ormai aveva svolto il suo lavoro e che aveva il permesso di ritirarsi a vita privata, Karlsen era stato una presenza costante a palazzo.
Non potevo scordarmi di come avesse cercato di aiutarmi. Era stato la figura paterna a cui avevo fatto riferimento per anni interi della mia infanzia e della mia adolescenza.
Era diventato un latifondista? La sola idea mi faceva scoppiare a ridere.
Sentii Gwen ritornare quasi saltellando, e scoprii improvvisamente di non voler affatto che quell'uomo ci vedesse.
Mi ritrovai a girarmi velocemente verso di lei, zittendola e afferrandole una mano. In fretta, guardandomi indietro verso le guardie, cominciai a trascinarla più nell'ombra, di fianco alla stalla dove aveva appena lasciato i cavalli. Da lì avremmo potuto tenere sotto occhio la situazione e avremmo potuto capire quando uscire senza il pericolo che vedesse la nostra faccia.
«Ei ma che stai facendo...?» esclamò Gwen dopo un paio di passi che avevamo percorso.
«Stai zitta» mi limitai a dire, trascinandola nell'oscurità e girandomi di nuovo verso l'ingresso della città non appena ci fermammo di fianco alla stalla.
«Isaac Podmore? Non ho mai sentito questo nome. Forse non dovrei stupirmi, sei un semplice bracciante, giusto? Lord Karlsen, non c'è motivo per cui non possiate entrare in città: siete il benvenuto dentro alla città di Fyreris.»
«Lord Karlsen?» sussurrò piano Gwen, incredula quanto me di sentire quel nome.
Mi limitai ad annuire nell'oscurità mentre Elias Karlsen entrava nella città, seguito da quel bracciante.
Percorsero qualche metro all'interno di Fyreris e improvvisamente i loro volti mi furono visibili.
Conoscevo quel viso seminascosto dalle povere vesti di bracciante. Non avevo dubbi di chi fosse.
Storsi la bocca in una smorfia: dopotutto questi controlli non erano molto efficaci. Anzi, non lo erano per niente se un Ribelle riusciva a entrare così facilmente in un capoluogo di regione.
Il suo volto era inconfondibile. Lo avevo visto solo un paio di volte a Boston, ma lo ricordavo bene. I tratti erano inconfondibilmente simili a quelli del figlio e anche da quella distanza non potevo non riconoscerlo.
Quel bracciante che si faceva chiamare Isaac Podmore era in realtà Elwyn Davis.
Cosa diavolo ci faceva un ex consigliere, sempre stato al servizio della sua patria e della sua corona, assieme a uno dei Ribelli più importanti dell'Ordine?
I due erano a cavallo, ma non li lasciarono nella stalla come invece avevamo fatto noi: entrarono nella strada principale, diretti chissà dove. Solo dopo un po' di minuti, durante i quali ci assicurammo di poter uscire allo scoperto senza il pericolo di incontrarli faccia a faccia, Gwen parlò, lentamente.
«Il consigliere Karlsen... Non lo vedevo da così tanto tempo...»
Deglutii senza rispondere, cercando di dare un senso a quello che avevo appena visto.
Non mi venivano in mente altre spiegazioni possibili riguardo al perché Karlsen si trovasse con Elwyn Davis se non quella che designava il vecchio consigliere come un Ribelle.
Ma da quanto? Da quanto Elias Karlsen intratteneva rapporti con i Ribelli e li aiutava a infiltrarsi in uno dei capoluoghi del regno?
«Perché ci siamo nascosti Will?» chiese piano lei, ancora sussurrando per non so quale ragione.
«Credimi, ho fatto bene a seguire il mio istinto Gwen» mi limitai a replicare in un primo momento, appoggiandomi al muro di legno della stalla. «O forse no, visto che adesso il mio dovere da principe mi dovrebbe obbligare a rincorrerli per fermarli e per catturarli.»
«Che cosa intendi dire?»
«Lord Karlsen era con uno dei comandanti dei Ribelli, Gwen. Era con il Comandante Davis, il padre di Matt.»
Seguì per un po' il silenzio. In quel momento mi sentivo davvero un traditore del regno al pari dei Ribelli stessi.
Che cosa mi stava succedendo? Perché tutto quello che facevo era contro il mio obbiettivo di fermare l'organizzazione che minacciava il mio stesso regno, la mia stessa corona?
La frase che Gwen disse poco dopo, riassumeva tutto quello che stavo provando in quel momento.
«Dèi Will, ma che stiamo facendo?»
***
«Potremmo finire al ceppo Will. Potresti perdere il tuo futuro continuando a fare così...»
Dieci minuti dopo, Gwen stava ancora cercando di capire il mio comportamento.
«Gli obbiettivi dei Ribelli potrebbero sembrare onorevoli, oggettivamente parlando, ma vorrei ricordarti che vogliono spodestare la tua famiglia dal comando di Elyria...»
«I Ribelli sono una minaccia» replicai. «Stanno minando alla precaria pace in cui ci troviamo. Non mi stupirei se tra poco mio padre dichiarasse aperta una vera e propria guerra civile...»
«E su questo sono d'accordo con te» ribatté, esasperata. «Ma allora perché non hai catturato uno dei Domini a capo? Hai idea di che enorme passo avanti sarebbe stato nella guerra contro di loro? Fai ancora in tempo a denunciarlo alle autorità, Will...»
«Ah sì?» ribattei, quasi incredulo per quella domanda. «E che cosa dovrei dirgli? "Scusate, c'è uno dei Ribelli più importanti e pericolosi all'interno della città, ma sono stato troppo indeciso sulla sua cattura e me lo sono fatto scappare. Ah sì, dimenticavo: vi do l'ordine di non dire a nessuno che io l'ho visto...". Ma per favore Gwen, che cavolo di idea darei? Mio padre lo verrebbe comunque a sapere. È improponibile Gwen.»
«Ma perché non l'hai catturato? Perché?»
«Non lo so» risposi sincero. «Ma se Elwyn Davis era con lui, significa che probabilmente anche Lord Karlsen era a Brennan: Matt si trovava in quel paese, ricordi? Perché due latitanti di Brennan dovrebbero recarsi a Fyreris?»
Le risposte a queste domande rimasero sospese nell'aria mentre ci inoltravamo sempre di più nel Quartiere di Saturno. Ignorai il commento di Gwen, cercando di concentrarmi sul caldo e comodo letto che mi aspettava a destinazione.
«Allora alla fine hai deciso di infrangere gli ordini di tuo padre. Andando anche contro la legge stessa. Questa volta ti sei proprio superato Will.»
Mano a mano che procedevamo nella città, sempre più finestre si accendevano: Fyreris stava cominciando a svegliarsi e i primi Domini si stavano preparando per andare a lavoro. Superammo anche diverse piazze, piene di bancarelle coperte con dei teli che aspettavano solamente i propri proprietari per due visa ai numerosi mercati.
Decidemmo di comune accordo di fermarci a fare una specie di colazione in una taverna, visto che non ci sembrava il caso di presentarci alle sei di mattina davanti al grande portone dorato.
Entrammo nella prima che trovammo, che si chiamava Taverna del Gioiello della Sera. Era praticamente vuota, fuorché alcuni Domini di mezz'età troppo ubriachi che si erano addormentati sui tavoli e la giovane signora che faceva da cameriera, intenta ad asciugare dei bicchieri.
Dopo aver ricevuto sguardi increduli dalla Dominus, eravamo riusciti a ordinare la colazione. Ci sedemmo in un tavolo appartato in uno degli angoli della piccola taverna. Mangiammo e bevemmo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Circa un'ora e mezza dopo uscimmo dalla taverna, calcolando che comunque non ci avremmo messo meno di mezz'ora prima di arrivare a destinazione.
Quando fummo fuori, ci trovammo davanti una città decisamente diversa: la vita quotidiana dei Domini fyrerisiani era cominciata e le strade si stavano già popolando delle centinaia di persone che si dirigevano a lavoro e delle decine e decine di bambini che raggiungevano la propria scuola.
Percorremmo strade secondarie, cercando di limitare le persone che avrebbero visto la mia faccia. Dopo aver attraversato non meno di quattro quartieri della città, raggiungemmo la nostra destinazione, nel nord-ovest dell'immensa Fyreris. Avevamo anche attraversato il meraviglioso fiume Lavaeris, dove Gwen si era divertita a lanciare dentro la lava una piccola sfera di acqua, che si era subito vaporizzata.
«Credi che succederebbe la stessa cosa se ci buttasi dentro un po' di acqua congelata con i tuoi strani poteri?» non si era trattenuta dal commentare.
Non appena i grandi muri neri e dorati ci furono davanti, non potei fare a meno di notare che ogni volta che vedevo la Rocca Nera mi sembrava sempre più maestosa. Certo, non aveva nulla a che fare con la grandiosità della spettacolare Reggia Azzurra, ma il contrasto che il fondo nero aveva con i ricami color oro era mozzafiato.
Non appena le guardie dell'ingresso ci videro arrivare, si inchinarono. Varcammo la prima cinta muraria, entrando nel cortile che ospitava l'immenso portone dorato.
«Vostra altezza.» Non appena salimmo gli scalini, le guardie che presidiavano il portone si inchinarono in fretta, prima di rialzarsi. «Lord Blain è stato avvertito del vostro arrivo, a momenti dovrebbe essere qui.»
Mio padre si era assicurato che durante quelle settimane dormissimo ospiti della famiglia reggente di Pyros, dichiarando che mai un erede avrebbe dovuto soggiornare in posti che non fossero adatti a un reale.
E perciò in quel momento io e Gwen stavamo aspettando che il Reggente ci ricevesse. Dovemmo aspettare davvero poco: nel giro di qualche minuto il portone sì aprì, rivelando il Reggente e sua moglie.
S'inchinarono al mio cospetto, mantenendo il capo chino in segno di rispetto. Dal mio rientro da Boston, non ero ancora riuscito a riabituarmi all'idea che chiunque mi vedesse dovesse inchinarsi.
«Vostra altezza, è un'onore potervi ospitare» mi accolse Lord Blain non appena si raddrizzò.
Lord Blain era un uomo sulla sessantina con ordinati capelli biondi, chiarissimi. Era sempre stato un bell'uomo, ma dovevo ammettere che era davvero cambiato dall'ultima volta che lo avevo visto: le rughe cominciavano a vedersi su tutta la faccia.
Loreline Blain, invece, era sempre una bella donna dall'aspetto giovanile. Aveva circa una ventina di anni in meno del marito. Era la sua seconda moglie del Reggente, madre dei sui ultimi quattro figli. Aveva i capelli scuri e due occhi azzurri ghiaccio davvero particolari.
Il Reggente portava il mantello rosso bordeaux che simboleggiava la Regione del Fuoco e sua moglie un lungo abito sfarzoso dello stesso colore.
«È un onore per noi essere accolti nella vostra casa, Lord» ribattei educatamente, mentre al mio fianco Gwen, essendo di rango minore rispetto alla famiglia Blain, s'inchinava. «Lei è Lady Gwyneth Avon, la mia accompagnatrice.»
«Onorata di fare la vostra conoscenza» replicò la mia amica, prima che Lord Blain parlasse di nuovo.
«Allora, vorrete sicuramente raggiungere i vostri appartamenti e riposarvi. Un servitore vi accompagnerà nelle vostre stanze. I vostri effetti personali sono già stati recapitati qui due giorni fa da servitori che vi hanno preceduto nel viaggio. Troverete tutto nelle vostre stanze. Potrete usufruire della nostra ospitalità per tutto il tempo che vi occorre. Più tardi ci sarebbero alcune persone che desidererebbero incontrarvi, altezza.»
«Certo» replicai senza dare troppo peso alla questione. «E non c'è bisogno che qualcuno mi accompagni, è la solita stanza di sempre, giusto? Al contrario Gwenyth avrebbe bisogno di qualcuno che le mostrasse il castello.»
«Non c'è problema» ribatté Lord Blain. «Mia moglie potrà mostrarvi la Rocca Nera prima che vi riposiate, Lady. Così riuscirete a orientarvi nel castello.»
«Vi ringrazio, Lord.»
«Ci vediamo dopo Gwen. Abbiamo bisogno di riposare un po', più tardi ti verrò a cercare» mi congedai da lei, stringendole delicatamente il braccio.
Lei annuì subito, mentre Lady Blain le rivolgeva un sorriso educato. Stringendo la mano di Lord Blain, mi congedai da loro.
«Vogliate scusarmi, ma è stato un viaggio lungo. Ho bisogno di recuperare un po' di energie.»
«Fate come se foste a casa vostra, altezza.»
A quel punto, mentre Gwen cominciava a seguire Lady Blain, cercando a disagio di mantenere un comportamento decoroso, cominciai a salire l'enorme scalinata dorata di quel maestoso ingresso. Trattenni a stento un piccolo sorriso nel vedere quanto Gwen cercasse di sembrare delicata ed educata: forse stava rimpiangendo tutti gli insegnamenti che si era rifiutata di imparare dalla sua famiglia.
Nonostante fossero passati anni e anni dall'ultima volta che avevo messo piede nella Rocca Nera, ricordavo perfettamente il percorso che dovevo fare per raggiungere gli appartamenti destinati agli ospiti. Percorsi un dedalo di corridoi pieni di arazzi e di quadri, non potendo fare a meno di osservare dalle grandi finestre dorate la città che si stendeva attorno alla Rocca Nera. Più salivo di piano, più il panorama diventava mozzafiato.
Arrivai nell'ala destinata agli ospiti sbadigliando sonoramente: l'unica cosa che volevo in quel momento era buttarmi di peso su un letto che non avesse il materasso duro come gli ultimi cinque su cui avevo dormito. Avevo bisogno di un gran sonno ristoratore, che potesse mettere ordine nella mia testa.
«Sil? Siiiil?»
Non appena svoltai l'angolo del corridoio in cui si trovava la stanza a me destinata, la voce acuta di una bambina rimbombò fra le pareti nere.
Allungando lo sguardo, vidi una piccola Dominus dai capelli castani acconciati in boccoli e dal vestito sfarzoso di un arancione caldo bussare insistentemente a una porta, continuando a chiamare un certo Sil.
«Lo so che sei lì dentro. Una vera principessa non dorme fino a quest'ora!»
Ero un po' irritato. Erano le otto di mattina, cosa c'era da urlare a gran voce? Continuai a camminare in avanti, fermandomi solo quando la porta alla quale stava bussando la bambina si aprì.
«Non sono una principessa.»
Il mondo mi cadde improvvisamente addosso.
Mi apparve davanti in tutto il suo disordine mattutine.
Doveva essere un sogno, probabilmente mi stavo solo immaginando i temporaleschi occhi della ragazza sulla soglia che si abbassavano sulla bambina.
Come poteva essere lì? Dentro alle quattro mura di una delle famiglie più importanti e potenti di tutto il regno?
Non poteva essere altro che un sogno decisamente crudele.
Dèi, ma sembrava così realistico.
Aveva i capelli arruffati, segno che quella notte non se li era legati. Gli occhi erano socchiusi, stanchi, proprio come se si fosse appena svegliata. Due occhiaie profondissime suggerivano quanto male stesse dormendo.
L'elaborata camicia da notte che portava sembrava così inadatta per lei che mi sembrò davvero di avere una sorta di illusione.
Ero paralizzato, non riuscivo a muovermi, né a parlare. Era come se tutto si stesse muovendo a rallentatore, come se gli dèi volessero che non perdessi nessun particolare di quello che stava capitando.
«Ancora con questa storia?» sospirò. «Non devo imparare il galateo, né qualsiasi altro...»
La voce era esattamente la stessa che ricordavo. E in quel momento esprimeva tutta la sua volontà di ritornare nel mondo dei sogni.
Lasciò la frase a metà, accorgendosi della presenza di una terza persona nel corridoio. Si girò lentamente nella mia direzione, contraendo il viso in un'espressione scioccata. Gli occhi grigi e la bocca erano spalancati.
Anche la bambina si voltò in fretta, e sul suo viso apparve un'espressione strana, da maestrina. Dando un piccolo schiaffetto sulla mano abbandonata lungo il fianco di Evelyn Lewis, chinò il capo, si afferrò la gonna e si inchinò graziosamente, accompagnando il tutto con un teatrale «vostra altezza».
Né io né la ragazza l'ascoltammo, troppo sconvolti e impegnati a guardarci.
«Visto, così farebbe una vera principessa» fece con voce acuta.
«Principessa...» non potei fare a meno di ripetere con voce gutturale, cercando di fare ripartire il cervello in tilt.
«William?» fece piano, spostando lo sguardo sulla bambina come per assicurarsi che anche lei mi vedesse.
Decisamente, per l'ennesima, dannatissima volta, eravamo fottuti.
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