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Capitolo 21 • L'Altopiano del Fuoco

«Brennan è stata assediata.»

Non appena ci sedemmo in mezzo al bosco lì vicino alle Fauci del Lupo, cominciai a raccontare a Matt quello che era successo.

Non sapevo se era a conoscenza dell'assedio, di quello che era capitato, ma sapevo che sarebbe riuscito a darmi risposte e a calmarmi.

Dopo essermi staccata dal lungo abbraccio con lui, ero corsa da Cesar, infinitamente grata che fosse vivo e vegeto. Solo alla vista di Damian Bennet il mio entusiasmo si era smorzato un po'.

L'ultima volta che avevo avuto un confronto con lui, mi aveva appesa al muro dell'Istituto Omega, fuori controllo.

Non mi piaceva, nemmeno un po'. Ero sicura che si credesse al comando della situazione e io non avevo alcuna intenzione di mettere la mia vita nelle sue mani. Lui non era il Comandante Davis, ma solo una macchinetta programmata a obbedire agli ordini che gli davano dall'alto.

La ragazza che li accompagnava si era presentata educatamente. Si chiamava Frida Tamming ed era una Dominus dell'Aria.

Mentre raccontavo a Matt quello che era successo, feci davvero fatica a parlargli di Rose. Un conto era tenere la preoccupazione e l'ansia per me, un altro era condividerlo con lui. Essere lì da sola con Matt, non sapendo che fine avesse fatto Rose, era una sensazione orribile.

La mano di Matt si serrò sul mio ginocchio, stringendomelo per farmi forza.

«Non so dove sia» mormorai. «Non so che fine abbia fatto. Ma so che posso aggrapparmi alla speranza di rivederla...»

Lo misi al corrente delle mie ultime crisi, raccontandogli di quello che mi aveva detto la Evelyn del futuro. Matt mi ascoltò silenzioso, con la mano che fremeva al suo fianco per il bisogno impellente di riportare quello che gli avevo detto nero su bianco.

Gli tremava l'angolo della bocca e aveva la fronte corrucciata.

«... mi dispiace, Matt» gli dissi con voce rotta. «Pochi giorni fa abbiamo sentito davvero una guardia parlare dell'assedio di Rocys.»

Matt rimase zitto, chiudendo gli occhi come se le mie parole fossero migliaia di aghi. Sentii la sua presa serrarsi ancora di più sul mio ginocchio.

Piccole lacrime silenziose scivolavano lungo le mie guance: non potevo nemmeno immaginare il dolore che doveva provare nello scoprire che il posto in cui era cresciuto non esisteva più, che era ridotto a macerie.

Passarono alcuni minuti prima che trovassi le parole per continuare. Mi aggrappai al suo braccio e abbandonai la testa sulla sua spalla.

«Se davvero possiamo fidarci della me del futuro, Matt, significa che Rose è ancora viva, significa che la ritroveremo.»

«Non ho dubbi che succederà davvero, a questo punto» replicò con voce atona.

Avrei tanto voluto che mi parlasse di quello che provava riguardo alla situazione, che piangesse o che si mettesse ad urlare. Non ero brava a consolare le persone, sopratutto se si impegnavano a nascondere ciò che sentivano davvero.

«Dovremo andare a Fyreris, allora» disse dopo un po'. «Lì scopriremo la verità. E... c'è un altro motivo per cui dovremmo andarci.»

Alzai la testa dalla sua spalla, aggrottando la fronte e incrociando il suo sguardo. Era il suo turno di raccontare quello che gli era successo.

Mi raddrizzai completamente e aspettai che parlasse.

«Quando siamo arrivati, c'era una grande tempesta di sabbia sulla Montagna Spirale» parlò con uno strano tono di voce. «Siamo entrati nel tempio dei Sacerdoti Scarlatti, trovandolo praticamente distrutto. Abbiamo cominciato a esplorare tutte le caverne, innumerevoli caverne per lo più bruciate dal fuoco e rovinate. Abbiamo lasciato Damian e Frida a fare da pali, per sicurezza. Non potevamo rischiare di venire pugnalati alle spalle, anche se le probabilità che qualcuno si avventurasse lì sopra con un tempo del genere erano davvero esigue.»

«Ha davvero accettato di rimanere indietro?» chiesi piano, lanciando uno sguardo verso Bennett, intento ad attizzare un piccolo fuoco.

Il mio sguardo si posò velocemente su Colton. Era appoggiato al tronco di un albero, addormentato. Finalmente si poteva riposare come si deve.

«Sono riuscito a convincerlo. Mi sarebbe stato solo d'intralcio nella mia ricerca» rispose, prendendo un respiro profondo.

Rimase un momento in silenzio, guardandomi con occhi ed espressione strani.

«A un certo punto io e Cesar stavamo esplorando un piccolo corridoio secondario» proseguì lentamente, soppesando bene le parole da dire. «Abbiamo incontrato una persona.»

«Che cosa?» chiesi subito, prima di riformulare meglio la domanda. «Chi? Qualcuno che conosce le Vie del Sole?»

«No, abbiamo incontrato William.»

Alzai le sopracciglia, sgonfiandomi subito come un palloncino. Perchè doveva sempre trovare il modo di entrare nei miei pensieri? Perchè doveva rendermi così difficile dimenticarlo?

Mi sfregai le mani a disagio, sentendo di nuovo di colpo la sensazione della sua pelle contro la mia.

«Come è possibile? E ti ha lasciato andare così?» sussurrai confusa e spaesata.

La mia mente non sembrava capace di elaborare quello che mi aveva appena detto. Come poteva essere lì a parlarmi e non essere invece rilegato in qualche remota prigione reale?

«Era da solo» spiegò. «O meglio, era con una ragazza bionda.»

Mi morsi il labbro e ignorai la fitta al petto.

«Non mi ha attaccato, anche se mi ha appeso al muro, in effetti. Ma dopo abbiamo parlato, Eve. Anche lui sa della seconda parte della profezia.»

Aprii la bocca stupita, senza parole. Mylene mi aveva detto che loro erano gli unici a conoscenza di quella seconda parte.

«Com'è possibile?»

«Non ho indagato» ammise. «Non avevamo tempo da perdere. Ci hanno comunque detto che prima del nostro incontro avevano scoperto una caverna piena di affreschi, che Cesar ha potuto vedere quando la ragazza lo ha accompagnato lì. Erano disegni che riguardavano la Profezia del Sole. Sfiorandoli, William ha sentito una voce che gli diceva di cercare Edvard il Cieco, l'ultima Guida dell'ordine di sacerdoti. Abbiamo trovato dei diari, che ci hanno fatto capire che non era nel tempio al momento del massacro.»

«È ancora vivo?»

«Niente ci vieta di pensarlo» disse. «L'ultima testimonianza sulla sua posizione afferma che era partito per Fyreris.»

Feci una pausa, decidendo che in quel momento non volevo pensare al principe.

«Dicono qualcosa delle Vie del Sole?» mi obbligai a chiedere, invece che indagare su di lui.

«Non ho ancora avuto il tempo di leggerli. Mentre si trovava in viaggio verso Ilyros, William mi ha mandato un messaggio, lasciandomi capire che Brennan era stata attaccata. A quel punto siamo partiti subito verso il paese, nella speranza di incontrare qualcuno di voi. Quando ti ho vista ho creduto seriamente che potesse trattarsi di un miraggio.»

«Io l'ho creduto di te, Matt» deglutii con un piccolo sorriso. «M-Ma perchè Will... perchè era a Kratos, Matt? Perché ha collaborato? Perchè sei qui a parlarmi e non sei finito in una prigione?»

«Lo sai come la penso, Eve.»

Mi guardò eloquentemente. Fu come ritornare a quella sera a Roma, quando Matt aveva insinuato che, forse, William si era lasciato coinvolgere troppo da quello che era successo fra di noi.

Come quella volta non avevo voluto indagare sulla cosa, anche in quel momento fu lo stesso. Anche se ci fossero stati quei sentimenti creduti da Matt, non potevamo stare insieme, era fuori discussione.

Lo dovevo dimenticare, lo stavo dimenticando.

Qualsiasi esso fosse il suo dubbioso comportamento, non potevo permettermi di farmi influenzare da un Dominus con la fiducia vacillante.

«Con tutte le probabilità sta facendo tutto questo per arrivare a imprigionarmi, Matt» replicai. «Non è stupido, sa che collaborare con te significherebbe essere vicino a me. È stato cresciuto per governare un regno, di certo non metterà in gioco il suo futuro da re per tradire suo padre e lavorare con i Ribelli.»

«Non penso che tu abbia ragione, Evelyn. Ma non sarò io a dirti cosa pensare. Non ho più contatti con William da dieci giorni, e non ho intenzione di scrivergli ora che sappiamo che strada prendere.»

«Non possiamo fidarci» convenni. «Perchè dovrebbe rinunciare alla sua corona per una persona che, secondo questa dannata profezia, dovrebbe porre fine alla dinastia dei Cole?»

Matt sospirò e rimase in silenzio, girandosi a guardare il fuoco.

La risposta che avrebbe voluto darmi rimase sospesa nell'aria. Non avevo tempo per i suoi problemi di fedeltà e non avevo bisogno che il suo nome tornasse a invadermi la mente.

Eravamo nemici. Presto sarebbe rinsavito, non avevo dubbi.

Dovevo dimenticarlo.


***


Quella notte fu il primo vero sonno che riuscii a concedermi, anche se con Colton ero riuscita ad addormentarmi.

Mi svegliai dopo qualche ora, sollevata nello scoprire che quello che stavo vedendo fosse solo un brutto incubo. Mi sedetti e notai Cesar Soler, sveglio a fare la guardia.

Era davanti al piccolo falò, con le mani allungate sul fuoco per ammazzare il tempo giocando con lapilli e fiamme.

Sentivo ancora il cuore battere velocemente contro le costole. Quei profondi occhi neri del mio sogno erano ancora impressi nella mia mente, e io avevo ancora addosso la strana e orribile sensazione che mi stessero marchiando il polso con una mezzaluna.

Presi respiri profondi per calmarmi e Cesar si accorse che ero sveglia.

«Tutto bene?» sussurrò, lasciando ricadere le mani sulle ginocchia.

Mi alzai e lo raggiunsi davanti al fuoco, sedendomi di fianco a lui e allungando le mani sulle fiamme per trovare un po' di calore: in quell'ultima settimana avevo sofferto fin troppo freddo.

«Ho avuto solo un incubo» sussurrai, chiudendo gli occhi per il sollievo del caldo.

Non replicò, ricominciando a giocherellare con il fuoco. Quando riaprii le palpebre, lo trovai intento ad avvolgersi la mano con il suo elemento.

«Potrà sembrarti banale come domanda, ma voi Domini del Fuoco non vi bruciate mai?»

«Vedi qualche bruciatura?» fu la sua risposta, mentre le fiamme gli danzavano fra le dita. «Noi Domini del Fuoco siamo immuni al nostro elemento. Come i Domini dell'Acqua riescono a respirare sott'acqua, a noi il fuoco non brucia. Credo che valga anche per quelli come te.»

«Seguendo il ragionamento che hai fatto prima, supponendo che io sia davvero in grado di respirare sott'acqua, no, non dovrebbe» replicai, scuotendo la testa per scacciare il ricordo di quando avevo avuto l'impressione di non avere bisogno di aria mentre nuotavo.

Cesar fece avvicinare automaticamente le fiamme a me, senza arrivare a toccarmi.

«Ho già controllato il fuoco» rivelai. «O meglio, le mie mani hanno solo cominciato a sfrigolare al contatto con la pelle di... di qualcuno.»

Deglutii al ricordo, ma mi rifiutai di lasciare vagare la mente.

«Spesso i bambini cominciano quando sono coinvolti a livello emotivo con qualcosa.»

«Perchè deve essere sempre tutto legato all'emotività?» chiesi.

«Non lo so, ma all'inizio è così» rispose. «Vuoi provare?»

Accennò al falò con la testa.

«Adesso?» chiesi sussurrando.

«Solo le quattro e mezza di notte» replicò. «Se non ti rimetti a dormire non vedo perchè non dovresti provare.»

«Va bene, ma prima voglio chiederti una cosa.»

«Spara.»

«Dove sei nato? La tua famiglia?» domandai. «Non ti ho mai chiesto nulla di te...»

Cesar sorrise piano, come se si aspettasse qualsiasi domanda al di fuori di quelle.

«Ho solo una sorella più grande. Siamo nati entrambi a Lerae, una cittadina distante un'oretta di cavalcata da Fyreris. A Lerae si trova l'Accademia del Ferro, la scuola migliore per chi vuole diventare fabbro. I migliori hanno studiato lì. Mia sorella Isabela e suo marito, assieme alla piccola Gabriella, vivono ancora lì. Non la vedo da tre anni, la sento solo con dei messaggi.»

«Mi dispiace, Cesar.»

«Non dispiacerti. Lei e la sua famiglia stanno bene, questo è l'importante. I miei genitori, invece, sono in uno dei gruppi che hanno raggiunto le montagne di Kylien. Non sono andato con loro per partecipare attivamente alla missione per salvarti. È stata dura convincerli, ma alla fine ho avuto la meglio. Dopotutto, sono maggiorenne già da un po'.»

«Quanti anni hai?»

«Sono nato il venti novembre del 217 Q.E, ovvero nel novantotto.»

«Sei vecchio» esclamai, capendo di averlo sempre considerato un mio coetaneo. «Un'ultima cosa... Come li contate gli anni qua?»

«Il tempo è diviso in ere, che si concludono con avvenimenti che hanno avuto una particolare importanza per la storia del Regno di Elyria. La Quinta Era è iniziata 237 anni fa, quando è stato incoronato il primo re della dinastia Cole in seguito alla Grande Guerra.»

«Capito.»

Annuì, lasciando cadere la conversazione.

«Adesso proviamo» sussurrò con un piccolo sorriso.

Lasciò ricadere le mani sulle ginocchia, chiudendo gli occhi in una posizione che mi ricordava dolorosamente Rose quando si metteva ad ascoltare i venti.

«Il Fuoco e l'Acqua non sono sempre presenti in natura come lo sono l'Aria e la Terra. Anche se l'acqua è decisamente più raggiungibile e più comune del fuoco, entrambi gli elementi possono nascere direttamente da un Dominus adulto e ben addestrato» cominciò a spiegare pazientemente. «Tutti e quattro gli elementi sono dannatamente complicati e hanno nozioni che nemmeno un comune Dominus conosce. Sicuramente, con a malapena due settimane per elemento, sei arrivata a padroneggiare meno del dieci per cento di ogni elemento.»

«Rassicurante.»

«Dobbiamo accontentarci di darti una spolverata generale. Se usciremo vivi da questa storia, avrai tutto il tempo per recuperare.»

Annuii, non riuscendo a pensare al mio futuro lontano. Non dovevo fare progetti, non potevo illudermi.

«Il Fuoco è un elemento volatile: non è materiale come la Terra e l'Acqua. Solitamente, i piccoli Domini del Fuoco cominciano a lavorare sul fuoco già creato, approcciandosi ad abilità più semplici da padroneggiare.»

Allungò le mani sulle fiamme, che cominciarono a muoversi verso di noi come se fossero attratte dalle sue dita. Le comandò affinché si avvolgessero attorno alla sua pelle, fino a coprirgli le braccia. Dopo qualche secondo lasciò che si ritraessero abbandonando il suo corpo.

«Ehm...» disse dopo, girandosi a guardarmi. «Forse per cominciare potresti mettere le mani sul falò.»

Lo guardai come se fosse pazzo. Dopo aver replicato a me stessa che non potevo pensare di comandare l'elemento senza entrarci in contatto, mi voltai verso il fuoco, cercando di trovare il coraggio per fare una cosa che avevo sempre considerato una pazzia.

«È semplice» disse, quasi divertito dal mio risentimento. «Ci metto la mano sul fuoco che non ti farà male.»

Gli lanciai un'occhiataccia, prima di allungare cauta le dita verso il falò.

Sentii il calore forte del fuoco, ma non ritrassi le mani. Proseguii lentamente, non trovando l'insostenibile bruciore che pensavo. Arrivai letteralmente ad avere le fiamme che danzavano attorno alla mia mano tremante.

Il fuoco mi toccava, ma non mi bruciava. Non bruciava affatto.

Mi domandai come avessi fatto a non accorgermene prima.

Era una sensazione strana: era come se toccare quell'elemento mi rinvigorisse, mi facesse sentire più forte. Mi ritrovai a mettere anche l'altra mano nel falò, chiudendo gli occhi per le scariche di energia che mi pervadevano arrivando fino al torace.

«Vedi? Il fuoco uccide e distrugge, ma per te è innocuo.»

Ritrassi le mani, meravigliata.

Non potei fare a meno di ricordare che la mia famiglia materna faceva parte dei Domini del Fuoco. Avevo una sensazione strana: era come se mi sentissi più vicina a quell'elemento in confronto agli altri, come se fosse più parte di me rispetto all'Aria, all'Acqua e alla Terra.

«Ora, vediamo se riesci a comandarlo.»


***


La notte di due giorni dopo valicammo il grande e maestoso Passo di Fyr.

Nonostante non ospitasse alcun forte - fortunatamente aggiungerei - ricordava un po' il passo che avevamo attraversato per raggiungere Athos. Sembrava esserci un ponte a collegare due piccole montagne rocciose di un caldo color terra.

Quella costruzione era dello stesso colore delle montagne, e ospitava una gigantesca statua della dea Fyr con incastonate qua e là pietre preziose dai toni caldi.

La dea del Fuoco era una donna di una bellezza sinistra, pericolosa. Aveva il braccio teso a indicare il suolo su cui stavamo camminavano, come se ci stesse ordinando di fare qualcosa a costo della nostra stessa vita.

Solo quando fummo sotto il ponte potei rivedere una sottile scritta dipinta nella pietra con il nero. Una scritta che risaltava nella notte grazie alla luce delle lune.

Vos kras hotrak en Vokiir saar vasyr sous klave Fyr.

«Che lingua è?» chiesi mentre mi fermavo, socchiudendo gli occhi per capire quello che c'era scritto.

Tutto il gruppo smise di muoversi, alzando il mento per guardare quello che stavo leggendo.

«Voi che entrate nell'Altopiano del Fuoco sarete sempre sotto gli occhi della dea Fyr» tradusse Cesar. «È fyrerisiano, la lingua locale di Pyros.»

«L'Altopiano del Fuoco è totalmente consacrato alla dea Fyr, infatti» disse Matt. «Le leggende dicono che sia stata la sua dimora prima che generasse la sua razza.»

«Grazie per la lezione di storia ma non abbiamo tempo da perdere» fece Bennett. «Ci manca almeno una settimana di cammino e non possiamo rallentare.»

Riprese a fare strada e tutti noi ricominciammo a camminare.

La cosa che mi spaventò di più in assoluto, in quelle ore in cui fummo costretti a passare per la strada principale - per lo più una delle più frequentate di Elyria - furono quei pochi Domini che ci passarono di fianco.

Il mio viso era di nuovo completamente coperto da una cappa e l'unica cosa che ci salvò, vista l'ora della notte in cui stavamo camminando, fu il fatto che le guardie cominciassero a circolare solo a partire dalle prime ore del mattino.

Avevamo deciso di non separarci più, come sarebbe significato fare nel caso avessimo deciso di compiere il viaggio veloce con Colton. A quel punto, io e lui ci saremmo allontanati dagli altri quattro e, chiaramente, era l'ultima cosa che volevo.

Nessuno aveva ribattuto, concordando con me che, nel frattempo, Cesar poteva cominciare a insegnarmi, almeno teoricamente, l'elemento del Fuoco.

Ma non stava andando affatto bene: la sera in cui avevo trovato il coraggio di buttare le mani nel fuoco non ero riuscita a fare nient'altro, così come per le due notti successive. Con tutta la buona forza di volontà che ci potevo mettere, non riuscivo proprio a piegare quell'elemento al mio volere. Era troppo complicato, troppo mentalmente stancante.

Per fortuna Cesar si era rivelato un insegnante paziente. D'altro canto, io ero delusa da me stessa: com'era possibile che, per quanto lo sentissi parte di me, non riuscivo nemmeno a muovere una piccola fiamma?

Per tutta la settimana seguente la situazione rimase la stessa.

Ci pensava l'incredibile bellezza dell'Altopiano del Fuoco a tirarmi su di morale. L'altopiano era una sorta di distesa immensa circondata da diverse catene montuose che si vedevano in lontananza. Sparsi qua e là nell'immenso spiazzo c'erano una marea di vulcani attivi, dai cui versanti colava lava e dai quali crateri fuoriusciva del fumo.

Ero rimasta affascinata, stupita davanti alla grandezza di quei fenomeni naturali. Mi ero sentita insignificante, inutile.

Non c'era praticamente vegetazione, e questo fu un bel cambiamento per me, abituata com'ero ai boschi rigogliosi e giganteschi di Telyn e, in parte, anche di Athos. Sembrava di essere in un deserto privo di sabbia e di dune. Camminavamo su un suolo scuro vulcanico, su cui si depositavano la cenere e la polvere.

Colton mi aveva detto che c'erano leggende che parlavano di draghi, ormai estinti da secoli. La prospettiva che fossero davvero esistiti mi faceva serrare lo stomaco per l'emozione.

A completare il tutto c'era il fiume Lavaeris, completamente pieno di lava, che attraversava mezzo altopiano. Lo avevamo intravisto solo una volta in tutta la nostra attraversata dell'altopiano, ma era stato sufficiente per farmi venire un infarto. Per ovvie ragioni, quel fiume gigantesco rappresentava un reale e presente pericolo di morte per chiunque non fosse un Dominus del Fuoco.

Mi era venuto il dubbio che i Domini del Fuoco potessero immergersi nella lava senza finire carbonizzati.

«No, nemmeno la lava ci uccide» era stata la risposta di Cesar alla mia domanda. «Ma anche per noi fare un bagno nel fiume Lavaeris non è affatto piacevole, anzi... Sopratutto quando i tuoi amici ubriachi ti ci buttano dentro quando non sei in grado di reggerti in piedi per l'alcol. Ti assicuro che la sbronza ti passa di colpo.»

A volte s'intravedevano da lontano delle cittadine e dei piccoli paesi, ma noi ce ne tenevamo sempre alla larga, camminando di notte e riposando di giorno, rimanendo lontani dalle strade nonostante non ci fosse vegetazione a tenerci al sicuro da occhiate indiscrete.

Con il passare dei giorni diventavo sempre più silenziosa: visto lo stato delle cose, avvicinarmi così tanto a una città così grande e piena di guardie mi turbava parecchio. Mi dava pensieri anche il fatto che fosse la città in cui mi madre era morta, la città in cui io ero nata.

«Eccoci» sussurrò piano Colton, quando davanti a noi si ersero le altissime mura della città di Fyreris.

Se quella notte non fosse stata limpida, di sicuro non avremmo visto tutta Fyreris. Nonostante le mura di cristallo nero ci impedissero un po' la vista, si riusciva a vedere la parte settentrionale della città costruita in pendenza, lungo tutto il versante del vulcano più grande e alto di Elyria.

La Montagna Rossa.

In un primo momento, cercando di tirare su il cappuccio il più possibile, il mio sguardo fu attirato dall'enorme vetta del vulcano, da cui usciva del fumo. Solo dopo cominciai a percorrere con gli occhi tutto il suo versante, cominciando a vedere poco dettagliatamente un'infinità di luci in lontananza.

Guardandomi a destra e a sinistra, non riuscivo a vedere la fine delle mura di quella città: era troppo grossa, quasi quanto Boston avrei osato dire. Ero affascinata e così lo erano tutti i miei compagni. Beh, senza contare Cesar che era vissuto poco lontano da lì e Bennett, che sembrava apatico come sempre.

Solo io non mi accorsi del rumore di passi felpati che arrivò dalle nostre spalle.

Quando Colton, di fianco a me, si mise in guardia, mi voltai come tutti gli altri, troppo distratta per capire davvero cosa significasse quel rumore.

«Abbassate le mani, giovani Ribelli» la voce di una donna ci lasciò senza parole. «Non voglio farvi del male. Voglio solo salvare le vostre stupide vite, che mettete così a repentaglio avvicinandovi così tanto alle mura della città nera. Elias Karlsen mi ha contattata, giovani Domini. Sono qui per portarvi dentro Fyreris.»



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