Capitolo 15 • Frontiera
Mi svegliai di soprassalto con la fronte madida di sudore e la coscia che pulsava così dolorosamente da farmi venire le lacrime agli occhi.
Mi raddrizzai e appoggiai la schiena al tronco di un albero lì affianco, piegando la bocca in una smorfia di dolore al trascinare la gamba.
Era notte e faceva un freddo siderale. Non potevamo accendere un fuoco, non quando i boschi in cui ci trovavamo stavano venendo setacciati da capo a piedi. Sarebbe stato come urlare alle guardie il posto in cui ci trovavamo.
Girai lo sguardo attorno e vidi che il vecchio era sveglio, accucciato accanto a Colton. Aveva la mano aperta sul terreno.
Colton stava dormendo, ma il suo sonno era tormentato: sul volto aveva un'espressione corrucciata, segno che probabilmente sentiva dolore anche in quel momento. Non avevo idea in che condizioni fosse, di che ferita avesse riportato. Mi chiesi solo se saremo riusciti a portarcelo dietro, qualunque sarebbe stata la nostra destinazione.
«Cosa stai facendo?» chiesi a Karlsen, battendo i denti.
Il vecchio alzò una mano per zittirmi, per dirmi di aspettare. Solo pochi minuti dopo si alzò da terra e si girò verso di me.
«Sto cercando di isolare la radura da qualsiasi Dominus della Terra che cerchi di trovarci» spiegò. «Ma comunque rimane il problema dei Domini dell'Aria e dell'Acqua. Contro quelli non ci posso fare nulla e non credo che nemmeno tu sia in grado di isolarci da loro. Il ragazzo, oltretutto, non mi sembra nelle condizioni.»
«Domini dell'Acqua?»
«Possono percepire la componente corporea dell'acqua in un organismo vivente. Fortunatamente solo da una distanza abbastanza corta.»
Annuii come segno che avevo capito, mentre Karlsen si avvicinava.
«Che ore sono?» domandai piano.
Non avevo ancora idea di quello che avremmo fatto ora che il Re aveva trovato i Ribelli di Brennan. Non sapevo se gli ostaggi avrebbero parlato. Se avrebbero detto alle guardie tutto quello che sapevano dell'Ordine.
«C'è qualcuno in giro?» mi ritrovai a chiedere, cercando inevitabilmente qualcuno con lo sguardo.
«No, non ancora.»
«Quel non ancora non è molto rassicurante» commentai posando lo sguardo sulla gamba fasciata.
Il vecchio mugolò in risposta, mentre si chinava a sua volta sulla mia ferita, sfiorandola con le dita. Mi irrigidii immediatamente, paurosa che il contatto potesse rinnovare il dolore.
Lanciai un'occhiata eloquente al fabbro.
«Non riesci a guarirtelo?» mi chiese di nuovo.
In risposta, allungai la mano sulla coscia, aprendola e cercando di ricordare quello che era successo con William non una, ma ben due volte. Concentrai tutta la mia mente sul desiderio profondo che provavo perchè dal mio palmo si sprigionasse l'ormai familiare filo d'oro.
Provai e riprovai, ma non uscì niente, né sentii il solito e ormai formicolio al di sotto della pelle.
«Niente?» chiese anche il vecchio, leggermente irritato.
Scossi la testa, sapendo perchè non riuscissi a evocare l'incantesimo di guarigione.
«Non sono sufficientemente coinvolta a livello emotivo» spiegai delusa e arrabbiata con me stessa. «Non ci riesco, per quanto possa desiderare di curarmi quella ferita non ne sono in grado. Non ancora.»
Mi sentii in colpa nei confronti della mia persona: come potevo curare così facilmente un nemico e non essere in grado di fare nulla su me stessa?
«Dobbiamo muoverci, allora» ribatté, senza sforzarsi di nascondere il tono contrariato. «Potrebbe infettarsi. Sia la tua ferita che quella del tuo amico potrebbero farlo.»
Quella frase diceva tutto. Se si fosse infettata, non avrei avuto solo il dolore fisico della carne aperta. Avrei potuto cominciare a stare male, a delirare. Nel peggiore dei casi sarei potuta anche morire.
Non sapevo con cosa fosse stata a contatto la ferita, ormai sporca di terriccio, e nemmeno avevo il coraggio di valutare l'entità del danno.
Lo guardai con occhi spaventati.
«Come facciamo?»
«Conosco una persona» rispose, mentre si girava e cominciava a raccogliere quelle due cose che si era portato dietro. «Sarà discreta. Vive a Rocys.»
«Rocys?» ripetei aggrottando la fronte. «Ma è un centro abitato, ci saranno le guardie del Re, persone fedeli a lui...»
Probabilmente sapevano che la famiglia del signor Davis era originaria di quel paese e, se così era davvero, avrebbero di sicuro messo delle guardie a presiedere il posto.
Poteva rivelarsi un suicidio, ma sapevo tanto quanto lui che dovevamo fare qualcosa in fretta e che non potevamo rimanere lì per sempre.
«A meno che tu non trovi un modo per sbloccare i tuoi poteri a breve, è la migliore prospettiva che abbiamo. Forse l'unica.»
Feci per rialzarmi, ma subito il vecchio mi fermò allungando una mano.
«Non sei in grado di camminare, credevo che questo fosse chiaro.»
Lo guardai intensamente, capendo già quello che aveva in mente.
«Non ti salirò in groppa un'altra volta, vecchio» dissi subito, squadrandolo da capo a piedi.
Mi era già sembrato troppo strano che potesse reggere il mio peso quando eravamo scappati da Brennan.
«La mia schiena sta meglio della tua, piccola vesek» ribatté stizzito. «Quindi decidi: vuoi morire qui per dissanguamento o setticemia oppure smettere di fare la bambina e mettere da parte l'orgoglio?»
Deglutii e mi ritrovai ad annuire, cedendo.
***
In qualche modo Colton riuscì a camminare.
Durante tutta la durata del viaggio verso Rocys era rimasto silenzioso, con la faccia corrugata e la fronte imperlata di sudore. Non volevo nemmeno immaginare in che condizione fosse l'ustione che aveva sulla schiena.
Ma le alternative che Karlsen aveva proposto a me valevano anche per lui.
La febbre arrivò poche ore prima di arrivare nel paese natale di Matt. Cominciai ad avere i brividi, a sudare nonostante ci fosse tutt'altro che caldo.
Cominciai a farneticare.
Secondo quello che mi aveva detto il vecchio, saremmo arrivati a Rocys dopo mezza giornata di cammino. Nel momento in cui me lo aveva detto avevo rimpianto decisamente le automobili e lo sviluppo del Mondo degli Umani.
«Vecchio» lo chiamai, mentre il bosco fitto di conifere continuava a girarmi attorno. «Rose è stata presa? William ha preso Rose?»
Eravamo in salita e, quando Karlsen mi rispose, si sentì tutta la sua fatica.
«Giuro che se chiedi queste cose un'altra volta ti butto giù dal burrone.»
Non mi ricordavo di averlo già domandato, ma evidentemente doveva essere così. Volevo informazioni su Rose, ma ne volevo anche su Will. Mi ero ritrovata a immaginare che ci fosse lui al posto del vecchio a portarmi in salvo.
Proprio come un principe con la sua amata in pericolo.
Stavo ancora pensando a questa immagine quando Karlsen, senza alcun preavviso, mi lasciò a terra senza molte cerimonie. Non mi ero nemmeno accorta che la salita fosse finita.
«Aspettate qui» ci disse prima che, senza darci il tempo di ribattere, se ne andasse scomparendo dentro il bosco.
Colton si lasciò cadere di peso affianco a me, con il dolore stampato in viso. Si appoggiò su un lato e chiuse immediatamente gli occhi.
Nello stesso momento in cui il fabbro scomparve in mezzo al bosco, alla febbre si aggiunse ormai la ricorrente crisi.
Fra un battito di ciglia e l'altro, al margine del mio campo visivo apparve una persona, apparve William.
La febbre e i pensieri che avevo appena avuto mi impedirono di cominciare a urlare per la frustrazione.
«Hai freddo, principessa?»
Ci fu un'altra cosa che fece la febbre: non mi fece riconoscere la crisi. Mi impedì di ragionare e di capire l'ovvio. Mi impedì di vedere William per quello che era.
«Will...» mi ritrovai a sussurrare, voltandomi di scatto verso di lui. «Non puoi essere qui...»
I miei occhi si mossero frenetici sul suo viso. Mi ritrovai a cercare di memorizzare il suo viso, sicura che da un momento all'altro se ne sarebbe dovuto andare via di lì.
Guardai le sue folte sopracciglia, gli occhi d'oro splendenti, il naso dritto e le labbra carnose. Vidi i suoi zigomi, tanto affilati da sembrare quasi taglienti, i capelli scuri che gli ricadevano spettinati sulla fronte. E ancora la linea del collo, i muscoli delle sue braccia e quello del petto.
«Dovresti sapere per quale motivo sono qui» esordì, rivolgendomi un'occhiata. «Ma credo che per la tua ferita...»
Alzò una mano e mi sfiorò il viso, facendomi rabbrividire. In quel momento mi scordai di tutto, mi scordai della ferita, di Karlsen e di tutto quello che non fosse William Cole.
Non riuscii a maledirmi per la reazione che avevo appena avuto. Ringraziai solamente ogni dio esistente per avermelo portato lì.
«Come sei arrivato qui?» mormorai, non riuscendo a capacitarmene.
«Mi ci hai portato tu, principessa» mi sorrise, mentre allungava un braccio e mi cingeva le spalle.
«Evelyn, che cosa...?» la voce debole di Colton mi risultò lontana e sommessa.
Come poteva esser lì? Sentivo il contatto del suo braccio contro le mie spalle, riuscivo a riconoscere ogni singola sfumatura del suo aspetto, ogni singolo capello ribelle e ogni singola pagliuzza scura nelle sue iridi.
Mi abbandonai contro di lui, bisognosa di toccarlo con ogni centimetro del mio corpo.
Erano passate tre settimane dall'ultima volta che lo avevo visto, dall'ultima volta che lo avevo toccato davvero. Tre settimane in cui avevo cercato di non pensare a lui, in cui avevo cercato di dimenticarlo e in cui avevo cercato di obbligarmi a odiarlo.
Appoggiai la mano sul suo petto e la testa sulla sua spalla.
«Dormi piccolo sole» mi sussurrò all'orecchio, lasciandomi un piccolo bacio sulla tempia.
Ma come potevo dormire ora che lo avevo ritrovato? Ora che eravamo di nuovo insieme? Era impossibile: dormire sarebbe stata l'ultima cosa che avrei fatto.
«Sono loro» una voce lontana interruppe il silenzio che si era creato.
Sbuffai irritata e alzai lo sguardo su Will, per vedere se avesse sentito anche lui. La sua figura cominciò a tremare e io strabuzzai gli occhi, spingendo leggermente contro il suo petto per raddrizzarmi e per assicurarmi di non stare impazzendo.
Improvvisamente, Will mi rivolse un'occhiata di scuse e scomparve nel nulla.
Spalancai gli occhi, troppo sconvolta. Sentii un principio di panico, mentre fissavo il punto in cui era sparito.
«Ha un brutto morso sulla coscia destra. È già febbricitante» la voce di Karlsen si fece più forte. «E lui... lui ha una bruciatura sulla schiena.»
«Perfetto.»
A rispondergli fu una voce femminile.
Mi accorsi che si erano avvicinati solo quando quella donna mi appoggiò una mano sulla ferita, facendomi sussultare e storcere il viso per il dolore.
Mi girai così velocemente verso di lei che rischiai di farmi male al collo. La fulminai con lo sguardo, ma lei non se ne accorse mentre si chinava sulla ferita.
I lunghi capelli lisci corvini mi sfioravano la gamba.
Era una donna sulla cinquantina. Arrivai a stabilire che si tingesse i capelli: era innaturale un nero così lucido, sopratutto a quell'età.
«Dov'è William?» chiesi sull'orlo del pianto, guardandola come se potesse darmi una spiegazione.
Se ne era andato per colpa sua e per colpa di Karlsen.
«William?» domandò confusa.
«Sta farneticando» intervenne il fabbro, con voce burbera e sbrigativa. «Come ti ho detto è febbricitante.»
Karlsen mi rivolse un'occhiata di fuoco, invitandomi a rimanere in silenzio. Non gli diedi retta.
«Dove se ne è andato?» continuai lamentandomi e guardandomi attorno. «Lo avete fatto andare via voi.»
«Ora farà male» disse la donna ignorandomi, come se si stesse rivolgendo più a Karlsen che a me.
La prima cosa che vidi fu un'accecante luce verde, che mi fece socchiudere gli occhi. Feci per protestare, ma, non appena il filo color bottiglia che era sprigionato dal palmo della sua mano entrò in contatto con la ferita, il dolore esplose.
La mia vista si annebbiò immediatamente e mi ritrovai a lanciare un urlo, che costrinse Karlsen a tapparmi la bocca con la sua mano.
Era un'agonia indescrivibile, che non avevo mai creduto di poter provare. Quell'incantesimo mi penetrò nel taglio aperto e si mosse come un bisturi che raschiava via lo sporco della ferita.
Strinsi i denti e le guance si riempirono subito di lacrime copiose.
Non so per quanto durò quella specie di intervento. So solo che, alla fine, quella donna sprigionò un'altra luce verde, che però lenì il dolore.
«La febbre passerà fra poche ore, Elias» la sentii vagamente, mentre Karlsen mi toglieva la mano da davanti la bocca.
Mi accorsi troppo tardi che quello che aveva fatto la donna mi aveva recato una stanchezza immensa. Doveva aver fatto un incantesimo con i poteri soporiferi.
«William...»
Provai a chiedere un'altra volta dove si trovasse il principe, ma l'oscurità mi portò via con sé.
***
«Evelyn.»
Qualcuno mi stava chiamando.
Rotolai su un fianco, ignorando la voce che cominciava a farsi sempre più insistente. Fui costretta ad aprire gli occhi solo quando cominciarono a scuotermi energicamente.
Battei piano le palpebre, ritrovando Colton Wilson chino su di me.
Mi raddrizzai, frastornata, socchiudendo gli occhi per la fastidiosa luce accecante.
«Dove siamo? C-Che ore sono?»
«Siamo nei boschi attorno a Rocys» rispose la voce del vecchio. «Ma dobbiamo muoverci. Come ho già spiegato al ragazzo dobbiamo avviarci verso la strada che sta percorrendo il giovane Davis. È l'unico modo per sapere che cos'ha scoperto e, quindi, l'unico modo per sapere che strada seguire per evitare la tua Caduta.»
«Ma... a piedi ci metteremmo troppo» protestai, sentendo una fitta di panico quando mi resi conto di che giorno fosse. «È praticamente novembre.»
«Infatti» replicò. «È per questo che ho salvato il ragazzo.»
«Grazie tante» commentò Colton, avvicinandosi.
«Raggiungeremo tutti e tre la frontiera per Athos, e dopo Colton ti farà proseguire nella strada verso Phyr.»
«Non capisco» dissi. «Perchè tu non verrai?»
Capii in quel momento che la prospettiva di separarmi dal vecchio fabbro mi spaventava parecchio. Era lui che doveva dirmi cosa fare, lui sapeva tutto di tutti.
«Ormai avranno potuto capire che sono alleato dei Ribelli» disse. «Quello che io devo fare per sfuggire ai controlli è allontanarmi il più possibile da Brennan e oltrepassare la frontiera. Tu, invece, non hai tempo. Wilson riuscirà a farti raggiungere il giovane Davis nel giro di una settimana, al massimo.»
«Ma come?»
«Sono un velocista» rispose lui deglutendo, con tono grave e vagamente dispiaciuto. «Sono stato addestrato per compiere lunghe distanze a una velocità incredibile senza stancarmi eccessivamente. Mi hanno insegnato a correre più veloce di qualsiasi Dominus dell'Aria.»
«Ah.»
«Non sarà piacevole» disse subito, mettendo le mani avanti. «Non sarà affatto piacevole.»
«Ma è necessario» lo interruppe Karlsen. «C'è in gioco la tua vita, ragazza, e quella di...»
«Quella di tutto il Regno di Elyria, lo so» conclusi per lui. «Perciò, dobbiamo fare in fretta, giusto?»
Li guardai uno per volta, cercando di aggrapparmi a quel pensiero.
«Andiamo.»
***
«Sono stanca.»
Due giorni e mezzo più tardi, nonostante ormai fosse notte, il vecchio ci stava facendo camminare su e giù per le altissime montagne di Telyn.
Non vidi particolari panorami, che sicuramente offriva quel paesaggio. Karlsen aveva preso misure di sicurezza drastiche, per cui dovevamo camminare di notte e nel bosco più fitto.
Avevo una paura pazzesca di quello che avremmo potuto trovare: fra cinghiali e grossi lupi non sapevo quali fossero peggio. Il vecchio, però, sembrava convinto che nessuno ci avrebbe disturbati.
Mentre l'ennesima salita cominciava, mi ritrovai a lamentarmi di nuovo.
«Vecchio, la gamba mi fa male.»
Nonostante l'incantesimo di quella guaritrice, di cui Karlsen non aveva ancora rivelato il nome, mi avesse salvato la gamba, mi sentivo incredibilmente affaticata. Sapevo che avrei potuto camminare ancora per qualche mezz'ora, ma volevo dormire e la scusa migliore che riuscissi a trovare era quella della gamba.
«Se ti facesse male saresti a terra a contorcerti per il dolore. Cammina.»
Ero rimasta impressionata dalla resistenza di quel vecchio fabbro. Da quando eravamo ripartiti da Rocys non si era fermato un attimo che non fosse il tempo per lasciarci riposare.
Non mi ero presa la briga di indagare se lui, quando crollavamo per la stanchezza, si concedesse qualche momento per recuperare le energie.
«Dove stiamo andando, di preciso?» domandai sbuffando, capendo che dovevo ancora chiedere sforzi alla mia povera gamba.
In quei giorni l'ansia mi stava mangiando viva. Non sapevo nulla di nessuno: non avevo idea di dove potessero trovarsi Rose, Matt e il signor Davis. Non sapevo nemmeno se fossero ancora vivi.
«Quanto ci manca al confine con... Athos, giusto?»
«Fra un'oretta abbondante arriveremo» replicò.
«Scommetto che sarà un'oretta abbondante di salita» commentai fra me e me.
Così camminammo ancora e ancora. Solo dopo quasi due ore - che ci erano state vendute come un'oretta abbondante dal vecchio - la salita del bosco divenne più dolce, trasformandosi gradualmente in uno spiazzo.
Purtroppo per noi, gli alberi cominciarono a farsi più radi. Dovevamo sperare di non incontrare nessuno alla frontiera, che non ci fosse nessuna guardia di controllo.
Non avevo potuto avere idea di quello che avrei visto non appena il passo mi si presentasse davanti agli occhi. C'era una grandissima costruzione in pietra e legno scuro, che si ergeva proprio sul confine, in uno spazio che sembrava essere stato scavato nelle montagne altissime.
Guardandomi attorno, anche se era ancora buio, potei ben capire che per noi era impossibile scalare le montagne, erano troppo scoscese.
Ma Karlsen era o non era un Dominus della Terra? Non poteva forse modificare il terreno?
«Ma scusa, non possiamo...» cominciai, ma subito il vecchio allungò una mano per zittirmi.
«Se avessimo avuto più tempo, di certo non saremmo passati di qui. Ma noi non abbiamo più tempo. Queste sono le Montagne del Ladro, e sono state incantate millenni fa. Non si possono cercare di superare con i nostri poteri di Domini: arrivati a metà della salita il controllo sulla roccia cesserebbe e noi precipiteremmo verso morte violenta.»
«Ah.»
Perchè deve essere tutto così difficile?, pensai amareggiata.
«E quindi come pensi di fare, vecchio?» gli domandai, non vedendo soluzioni.
Per quanto mi volessi sforzare di non perdere la speranza così presto, mi sembrava che la strada fosse già irrimediabilmente bloccata.
«Dentro ci sono sia Domini dell'Aria che della Terra. Questo è il confine fra le due regioni...» stava riflettendo ad alta voce, ripetendo un piano che probabilmente nella sua testa era stato pensato e ripensato parecchie volte. «Però sono le tre di notte, solo pochi saranno svegli.»
Lo vidi frugare nella saccoccia che portava perennemente attaccata alla cintura. In quelle due settimane abbondanti passate a casa con lui non mi ero mai chiesta che cosa potesse contenere.
«Un po' di questa dovrebbe metterli tutti al tappeto» continuò, estraendo un barattolo pieno di quella che sembrava semplice cenere.
«Valeriana ridotta in granelli» disse Colton, riconoscendo la polvere e rispondendo alla mia domanda silenziosa.
«Sì, combinata a radici di salice e un incantesimo sedativo. Miscela estremamente rara e illegale, quanto incredibilmente efficace. Sono troppi per poter combattere e non mi sembra il caso di attirare l'attenzione di chi ci sta cercando su questo passo. Il ragazzo potrà fare in modo di guidare questa polvere dentro e fuori Forte Ombroso, in modo da addormentarli tutti.»
Karlsen porse il barattolo a Colton, che lo guardò confuso.
«Io non posso farlo» dichiarò, ottenendo un'occhiataccia da parte del vecchio. «Se c'è una cosa che non so fare è questo. Sono anni che non mi esercito con questo tipo di cose, e ora sono troppo abituato con i poteri da velocista per essere in grado di compiere una cosa così delicata e precisa. E...»
«Va bene, basta» lo interruppe Karlsen, irritato. «Allora dovrai farlo tu, piccola vesek.»
«Io?» dissi incredula, guardando Colton come se stesse scherzando. «Potrai essere negato quanto vuoi, ma mai quanto una Dominus che si allena da poco meno che un mese!»
«Un Dominus potentissimo che ha molte più possibilità di me» ribatté.
«È assurdo.»
«Ce la puoi fare Lewis. Ce la devi fare.»
Poteva funzionare, gli davo ragione. Ma non mi sentivo ancora così a mio agio con l'elemento dell'Aria per poter anche solo pensare di controllarlo a quella distanza.
Deglutii e non mi azzardai ad alzare lo sguardo verso il vecchio. Lui credeva in me, non si aspettava un fallimento. O almeno, questo era quello che sembrava.
Se non ce la faccio, ti arrangerai da solo, vecchio, pensai prendendo un respiro profondo. Ce la posso fare, non posso condannarmi da sola adesso.
«D'accordo» mi ritrovai a dire. «Ci proverò. Ma se fallirò sarà colpa di Colton sono un Dominus dell'Aria ma non riesco a comandare l'aria.»
«Io so comandare...» cominciò a ribattere, offeso, ma il vecchio lo interruppe subito.
«Ci riuscirai. Rendi Rose orgogliosa di te» disse, con la sua solita voce burbera.
Non volevo pensare a lei in quel momento. Pensare a lei mi avrebbe costretta a cercare di darmi risposte che in realtà non volevo vigliaccamente avere.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime al solo pensiero della mia migliore amica.
Solo quando la mano del vecchio si posò sulla mia spalla, in un gesto stranamente di conforto, presi un altro respiro profondo e feci un passo in avanti.
Karlsen mi condusse fino al punto sicuro più vicino al forte.
«È il tuo momento, Evelyn.»
Era la prima volta che si rivolgeva a me usando il mio nome.
Cercai di calmarmi e di estraniarmi dal mondo intero, per avere la mente libera da qualsiasi pensiero che mi turbasse: libera dal pensiero di Rose, di Matt, della mia gamba e di qualsiasi altra cosa.
«Cerca di non far finire a terra anche noi» disse con leggerezza, come se non dubitasse di me. «Tappatevi il naso.»
Nel frattempo avevo già cominciato a prendere coscienza delle correnti che avevo attorno. Le sentivo come prolungamenti del mio corpo, delle mie braccia.
Karlsen stappò la bottiglietta e, dopo essersi chiuso il naso con la mano ed essersi assicurato che noi facessimo lo stesso, liberò un po' di quella polvere nell'aria, inclinando la bottiglietta.
Comandai subito l'aria perchè trasportasse quei granelli minuscoli che già cominciavano a disperdersi in modo disordinato. Tutti e tre trattenemmo inevitabilmente il fiato.
Mi concentrai come mai avevo fatto prima di allora per qualcosa.
Percepii quella sostanza, circondata dai minuscoli atomi delle molecole dell'aria, muoversi lentamente, sempre più avanti.
Sentii, come se lo provassi sulla mia pelle, Forte Ombroso avvicinarsi velocemente. Con la mia mente lo stavo raggiungendo proprio come stava facendo la valeriana.
Non mi ero accorta nemmeno di essere tornata a respirare, dopo essermi tolta la mano dal naso. Ben presto, però, mi ritrovai a corto di ossigeno.
Finalmente sentii l'elemento sbattere contro un ostacolo: il legno del forte. Senza riuscire a trattenere un piccolo sorriso affaticato, spostai la sostanza soporifera fino a qualsiasi apertura. Con calma, così che i Domini dell'Aria non potessero percepire qualche intrusione con l'elemento.
Quando la valeriana fu dentro Forte Ombroso, feci un ultimo sforzo, disperdendo quella sostanza in tutto l'edificio. Avevo la fronte madida di sudore e cominciavo a sentire le forze venir meno.
Pochi minuti dopo il mio controllo sull'aria cessò improvvisamente e io, a corto di forze, mi ritrovai a barcollare. Colton allungò subito un braccio, afferrandomi per la spalla e sorreggendomi.
«Dovrebbe aver fatto effetto» mormorai.
«Ti chiederei di guardare dalle aperture di vedetta, ma non credo che tu ne abbia le forze» disse Karlsen, ottenendo da me un'occhiata confusa. «Puoi amplificare anche la vista con l'elemento dell'Aria, ma solo i Domini più potenti ne sono in grado. O quelli più allenati.»
Lanciò una veloce occhiata da Colton, che ricambiò vagamente offeso.
Karlsen mi tenne stretta per un braccio, per sorreggermi, mentre cominciava a muoversi verso il confine fra la regione della Terra e la regione dell'Aria.
Il suo sguardo era vigile e attento a ogni minimo movimento attorno a noi. Mentre il mio, d'altro canto, praticamente era come se non esistesse.
Non appena ci trovammo sotto la grande costruzione sospesa fra i due versanti, mi ritrovai a fare un piccolo sorriso. Non c'erano urla, non sentivo dare ordini e non udivo il suono sibilante di frecce appena scoccate.
Attorno a noi regnava il più completo silenzio.
Superammo Forte Ombroso. Avevo il cuore a mille per l'ansia che avevo accumulato e per la mancanza di energie che quello che avevo appena fatto mi aveva causato.
I miei occhi fissi a terra videro una spessa linea rossa, disegnata proprio nella metà dell'ampio spiazzo che ospitava il confine.
Ecco, eravamo ad Athos.
Ci lasciammo alle spalle la pietra e il legno del forte. Rimasi quasi senza fiato quando davanti a me si stese un panorama meraviglioso.
Se il versante di Telyn era praticamente tutto boscoso, da quella parte i boschi erano più radi. Nel buio della notte, ci ritrovammo davanti una gigantesca vallata, piena di colline e di centri abitati visibili grazie della luce elettrica.
Sembrava di essere in cima ad un aereo, dal quale si poteva vedere tutto.
Sicuramente, se non fosse stato per il vecchio, più ragionevole di me, sarei rimasta lì ad aspettare l'alba, ad aspettare il sole che avrebbe illuminato piano piano tutta Elyria.
Però i miei piedi si mossero. Karlsen aveva ragione e io sentivo quasi i suoi pensieri uscirgli dalla testa: Athos era sicuramente più pericolosa della coperta e boscosa Telyn.
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