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Capitolo 11 • Giglio

Due settimane dopo mi ritenevo soddisfatta dei progressi che avevo fatto per lasciare lontani dalla mia mente pensieri riguardarti William.

Ebbi solo altre sei crisi, tutte uguali e completante inutili. Erano state tutti sogni notturni ed era stato grazie all'assenza di crisi giornaliere che ero arrivata a catalogare quelle visioni come tali.

Continuavo a vedere nel sonno una grande porta circolare di pietra scura, scalfita da bassorilievi tribali. Rimanevo a guardarla semplicemente, finché non mi svegliavo.

Ne avevo parlato con Rose, ma lei, come me, non riusciva a capire che cosa avremmo potuto farcene di queste visioni.

Le mie giornate avevano preso un ritmo costante, che si ripeteva quotidianamente: la mattina ero in miniera, il pomeriggio mi allenavo e la sera andavo a letto subito dopo cena, troppo stanca per fare qualsiasi altra cosa.

Matt mi aveva mandato un solo messaggio tramite suo padre. Diceva solamente di essere enormemente dispiaciuto per il fatto di non avermi potuta salutare e di non avermi potuto spiegare quello che avrebbe fatto a Kratos.

Ero riuscita a mettermi il cuore in pace solo quando mi aveva promesso di tenermi aggiornata qualora avesse scoperto qualcosa.

«Appoggia una mano sul terreno... così... ecco.»

Karlsen si era rivelato un allenatore pretenzioso, molto più serio di quanto non lo fossero stati Matt e Rose messi insieme.

Dopo due sole settimane di allenamenti, però, cominciavo ad avere già abbastanza confidenza con l'elemento della Terra.

Quello era un elemento estremamente diverso da quello dell'Aria. Era solido, materiale, e molto più difficile da capire. Era un qualcosa di molto più versatile, ma aveva un limite che l'Aria non aveva.

I Domini della Terra dovevano spesso e volentieri rifarsi alla natura che avevano attorno e usare i propri poteri partendo da quella. Solo i migliori, con anni di allenamento alle spalle o con particolari talenti innati, riuscivano a evocare dal nulla fronde di alberi e radici.

Durante quell'ultima settimana Karlsen mi aveva insegnato a creare piccole piante e a evocare piccole radici dal terreno della radura in cui ci allenavamo.

«Arrivare a padroneggiare questo elemento significa essere tutt'uno con la natura. Vuol dire essere la natura» aveva detto il vecchio all'inizio dell'allenamento.

Avevo così capito che essere un Dominus della Terra voleva dire applicare il proprio potere non solo al mondo vegetale. Erano davvero rari, ma esistevano Domini capaci di estendere il proprio potere a qualche animale selvatico.

In quel momento Karlsen mi stava aiutando a entrare in contatto con la natura vegetale che avevo attorno, perché imparassi a sfruttarla per estendere i miei organi di senso al di fuori del mio corpo.

Appoggiai quindi la mano sul terreno reso umido dalla pioggia di quella mattina.

«Chiudi gli occhi, senti la terra attorno e sotto di te. Libera la mente da ogni preoccupazione e da ogni pensiero che non riguardi la ricerca di Rose» mi diede istruzioni camminandomi attorno. «Cerca di capire dove si trovi. Non con la vista, non con l'udito. Ma solo e unicamente grazie all'elemento.»

Cercai di fare come mi stava chiedendo il vecchio, ma nel momento in cui mi sforzai di liberare la mente successe l'ultima cosa che desideravo che accadesse.

«Ci rivediamo principessa.»

Non provai nessun mal di testa, nessun dolore acuto che mi trafiggeva le tempie. Fu solo la sua voce a farmi capire di stare avendo una crisi proprio in quel momento.

Trasalii, imprecando nella mia mente. Non aprii gli occhi, non potevo affrontare la sua faccia in un momento meno opportuno come quello.

Sarebbe stato molto più difficile concentrami, adesso.

Respirai a fondo, prima che riprovassi con poche speranze a focalizzarmi di nuovo sull'esercizio che Karlsen mi stava chiedendo di fare. Non mi era ancora capitato di non portare a termine quello che il vecchio cercava di insegnarmi, non avevo ancora realmente scoperto quanto potesse essere impaziente.

«Cerca di estraniarti da tutto. Siete solo tu e la natura» disse il fabbro con voce calma e profondo.

In quel preciso istante il William-crisi decise di parlare di nuovo.

«Lo sai che non è molto educato ignorare le persone?»

Concentrati, concentrati, concentrati, provai a ripetermi.

Ma con tutta la mia buona volontà e nonostante non lo stessi ancora vedendo, non riuscii a farlo. Me lo sentivo di fianco, sentivo la sua presenza come se lui fosse davvero fisicamente lì.

Riuscii vagamente ad avvertire una piccola scarica proveniente dal terreno, prima di risentire la sua voce.

«Purtroppo non sono mai riuscito ad apprezzare questo elemento» continuava William. «Come potrai avere modo di scoprire, l'Acqua si rivela essere molto più affascinante...»

«Allora?» La voce di Karlsen si sovrappose a quella di William

Fu in quel momento che capii che non sarei riuscita a concludere alcunché.

«Non ci riesco» sarebbero dovute essere le parole giuste da pronunciare. Purtroppo il mio orgoglio mi impediva di farlo: speravo che sarebbe bastato che William scomparisse perché potessi concentrarmi davvero.

Deglutii e mi feci forza, provando di nuovo a instaurare un contatto con la natura. Sapevo di stare provando invano. La voce di Will continuava a rimbombarmi nelle orecchie, rendendomi quasi impossibile ascoltare Karlsen, che mi stava chiedendo perchè non stessi facendo nulla.

«Che cavolo ti prende, piccola vesek?» sbottò il vecchio.

«Basta» quasi urlai, alzandomi in piedi e aprendo gli occhi di colpo.

Lo vidi subito, accovacciato proprio di fianco a dove mi trovavo pochi secondi prima. Distolsi lo sguardo affannata, girandolo verso Karlsen, che mi stava guardando irritato con le sopracciglia sollevate.

Rose uscii di corsa dal suo nascondiglio.

«Che cosa è successo?» esclamò subito, posando gli occhi prima sul vecchio e poi su di me.

«Oh Rosie, eccoti!» fece la visione, alzandosi con uno slancio e raggiungendo la mia amica, che ovviamente non poteva vederlo.

Chiusi gli occhi cercando di mantenere la calma.

«Non riesco a svuotare la mente» annunciai a entrambi, guardando negli occhi il fabbro e non azzardandomi a posare lo sguardo su Will, di fianco a Rose.

«E come fai a farlo quando c'è uno come me nei paraggi?»

Il vecchio mi squadrò il viso, e così fece Rose. Mentre la voce di Will continuava a rimbombare nella radura senza sosta, il vecchio fabbro indovinò quello che stava succedendo.

«Hai una crisi.»

Rose fece per aprire la bocca ma rimase in silenzio, guardandomi come per invitarmi ad ammetterlo.

«L'ho già detto che non è educato chiamare le persone crisi? Ho molti nomi, sapete?»

«Sì» replicai a Karlsen. «Hai ragione.»

«Cosa stai vedendo?» chiese subito Rose, guardandosi attorno come se potesse vedere anche lei la crisi.

Rimasi zitta, non trovando il coraggio di ammetterlo. Posai involontariamente lo sguardo su William, che stava seguendo la conversazione con le braccia incrociate e un sorriso sbilenco. Mi fece l'occhiolino e io lo guardai male.

Rose si accorse che non stavo guardando lei ma un punto lì vicino.

«Evelyn?» mi chiamò piano. «Chi c'è qui di fianco a me?»

«Nessuno» risposi, proprio mentre il vecchio prendeva parola a sua volta.

«Qualcuno di cui non ne vuole ammettere la presenza.»

«Chi vi dice che è qualcuno e non qualcosa?» sospirai stancamente.

«Questa tua domanda conferma il fatto che sia qualcuno e non qualcosa» replicò il fabbro. «Perché non hai detto di avere una crisi? Chi stai vedendo?»

«Perchè devo dirlo? Che differenza fa?» domandai quasi supplicante.

Con la coda dell'occhio vidi che sul volto di Will aveva preso vita un'espressione quasi triste, compassionevole.

È solo frutto della mia immaginazione.

«Ogni singolo dettaglio di questa Caduta è importante, piccola vesek» sbottò il vecchio, alzando la voce. «Non sei un Dominus della Luce qualsiasi, sei l'ultima Dominus della Luce e nulla nella tua Caduta è normale. Inutile negarlo, sappiamo tutti che c'è qualcosa di strano in te.»

Vedendo che rimanevo in silenzio, Karlsen continuò.

«Vedi il principe William.»

Quell'affermazione non mi colse impreparata. Ricordavo fin troppo bene la conversazione avuta la notte del mio arrivo a Brennan.

«È vero?» domandò Rose, guardandomi contrariata.

«Hai visto? È questo il nome giusto» commentò il William-crisi. «Prendi appunti, principessa.»

«Sì, è vero» rispose Karlsen al posto mio. «Ora, finché il nostro futuro Re non decide di andarsene dalla sua testa, non possiamo fare nulla.»

Rose sbuffò e io la guardai torva. Non era lei che era costretta a sentire e a vedere la persona con cui in quel momento volevo avere meno a che fare.

Girai sui tacchi e mi andai a sedere su un vecchio tronco tagliato che faceva da panca. Mi sentii gli sguardi di tutti i presenti, reali o frutto della mia immaginazione, addosso.

Karlsen fu il primo ad avvicinarsi.

«Sta facendo qualcosa di particolare?» domandò con la sua solita voce burbera e profonda.

«Chi?» replicai stupidamente, alzando la testa.

«Il principe William» rispose, senza riuscire a nascondere un po' di irritazione.

«No» dissi stanca. «Commenta solo tutto che che diciamo. Non dice nulla di che.»

«Okay» fece sedendosi di fianco a me. «Allora dovremo solo aspettare che se ne vada.»

«Qualche idea per mandarlo via?»

«Non sono un Dominus della Luce, piccola vesek» mi disse. «Ammetto però che mi piacerebbe poter vedere anche io il principe per potergli dire due parole.»

«Una chiacchierata a suon di pugni e calci, consigliere?» replicò Will, avvicinandosi. «Si da il caso che io in questo momento sia solo un essere incorporeo.»

Chiusi gli occhi per non vederlo e rabbrividii quando lo sentii sedersi accanto a me, dall'altra parte rispetto a dove si trovava Karlsen. Sobbalzai quando la sua mano si appoggiò sul mio ginocchio.

Meno male che eri solo un essere incorporeo, pensai.

«Cerca di allontanarlo dalla tua mente» disse Karlsen, accorgendosi della mia reazione. «Ricorda a te stessa che è solo uno scherzo della tua mente, che lui non è davvero qui.»

«Allora, consigliere Karlsen, desideri picchiarmi?»

Per qualche strana ragione sentii il bisogno di mettere al corrente Karlsen di quello che William stava dicendo.

«Ti sta chiedendo se lo vuoi picchiare» mi ritrovai a dire, ridacchiando incredula quando finii di pronunciare quelle parole.

«No, per niente» replicò. «Vorrei solo parlargli per capire che uomo è diventato.»

Mi chiesi cosa intendesse dire Karlsen con quelle parole. Purtroppo l'arrivo di Rose mi fece dimenticare le parole che erano uscite dalla sua bocca.

«Eve puoi dire a quell'essere che spero che il giorno del suo matrimonio piova?» esordì, cercando di sdrammatizzare.

Parlai prima che la voce di William potesse farsi sentire.

«Sai Rose, non credo che la pioggia sia un problema nella capitale della regione dell'Acqua.»

Suscitai una piccola risata di Will, che strinse automaticamente la presa sul mio ginocchio. Lo vidi con la coda dell'occhio chinarsi su di me.

«Sai per caso leggermi nella mente, principessa?» mi sussurrò all'orecchio.

Sentivo il suo alito caldo sul collo e, non appena pronunciò l'ultima parola, scattai in piedi allontanandomi da quel grosso tronco.

«Non riesco a mandarlo via» dichiarai girandomi verso di loro con il cuore che batteva all'impazzata.

«Allora dovremo aspettare che lo faccia da solo» disse il vecchio. «Nel frattempo direi di annullare la lezione di oggi. Non si può lavorare così.»

Annuii immediatamente, consapevole che se anche Will fosse andato via in quel momento la mia mente sarebbe stata troppo occupata dal pensiero di lui per concentrarsi.

«Torno alla forgia. Alle sette c'è la cena.»

Detto questo, il vecchio si allontanò lasciandoci sole con il William-crisi.

Rose fece per parlare, ma in quel momento vedemmo un piccolo pezzettino di terreno muoversi. Mi misi subito sull'attenti: l'ultima volta che qualcosa era uscito da terra, questo qualcosa si era rivelato essere una marea di cadaveri ambulanti.

Will alzò le sopracciglia e Rose si tranquillizzò inspiegabilmente.

Rimasi stupita nel vedere sbocciare dalla terra un fiore.

E rimasi inorridita quando vidi quel piccolo germoglio diventare un giglio bianco. Era l'ultimo fiore che mi aspettavo di vedere sbocciare ai miei piedi.

Il tatuaggio che Will aveva nel polso mi saltò subito alla mente.

«No...»

Non appena il fiore si aprì del tutto e smise di crescere, agii d'impulso e, presa da un moto d'ira e dal pensiero che mi avesse in qualche modo trovata, calciai il fiore, rompendolo e sradicandolo da terra.

«Evelyn» Rose fece un balzo in avanti e mi afferrò un braccio, trascinandomi all'indietro, lontana da quel fiore ormai rovinato. «Poteva essere un messaggio!»

«Certo che è un messaggio!» esclamai. «È un giglio Rose! Il giglio della famiglia reale.»

Rose non trovò parole da dire, allentando la presa sul mio braccio.

Sfruttando quel momento, mi liberai con uno strattone da lei. Mi avventai contro la crisi, che stava seguendo il tutto con occhi stranamente dispiaciuti.

Le mie mani serrate a pugno si scontrarono contro il suo petto. Feci in tempo a sentire un piccolo sospiro prima che lui si dissolvesse nel nulla.

«Non credi che ci abbiano trovato, vero?» chiese Rose, guardandomi preoccupata.

«Perchè ci avrebbero avvertito del loro arrivo?» domandai con il fiatone.

Rose fece un sospiro di sollievo e si avvicinò cauta a quel giglio che io non riuscivo nemmeno a guardare. Si chinò in cerca di un biglietto, di un indizio che potesse suggerirci chi fosse stato effettivamente a mandarci il messaggio.

«Non penso che un qualsiasi membro della famiglia reale mi manderebbe un messaggio del genere rischiando di farmi scappare dal posto in cui mi trovo. Potrebbe essere solo uno scherzo privo di allegria» le dissi, cercando di convincere sopratutto me stessa della cosa.

«Non lo so, Eve» disse scuotendo la testa. «Nemmeno io credo che avvertirebbero il loro arrivo con un fiore invece che colpirti di sorpresa. Ma chi è stato a mandarcelo? Come ha fatto a sapere che ci trovavamo qua?»

Sospirai sconfortata, prendendomi il labbro fra i denti. Capii che non potevo rimanere tutto il giorno a pensare a quello che era successo.

Presi un respiro profondo e decisi che il modo migliore per staccare la testa era allenarmi.

In passato aveva funzionato.

«Nasconditi Rose» le dissi. «Proverò a trovarti.»


***


«Stufato?»

Annuii e il vecchio fabbro mi allungò la ciotola di legno fumante.

Da quando avevo detto a Rose di continuare con l'allenamento, non avevo avuto particolarmente voglia di parlare.

Ero riuscita solo alla fine a individuarla in mezzo agli alberi, ma in quel momento non avevo voglia di mettere il vecchio al corrente, nonostante sapessi che avrei dovuto farlo.

Il vecchio, per fortuna, non fece domande. Così, un quarto d'ora più tardi mi chiusi dentro la piccola camera, buttandomi di peso sul letto a pancia in su.

Mesi fa, se mi avessero detto quello che avrei dovuto affrontare, sarei scoppiata a ridere. Mesi fa, oltretutto, avrei trovato normale quella monotonia.

Invece, in quel momento, la trovavo estremamente opprimente.

Avevo immaginato in modo decisamente diverso il rientro a Elyria: avevo immaginato una grande avventura alla ricerca dei segreti della mia vita, della profezia.

Avventura che in effetti stava avendo atto, ma senza di me.

Dovevo essere là con loro. Non me ne importava della taglia sulla mia testa. Non me ne importava del fatto che ogni singolo cittadino avesse l'ordine di catturarmi alla mia sola vista.

Dovevo essere là con loro.

Mi alzai di scatto dal letto e raggiunsi la porta.

Non appena serrai la mano sulla maniglia, mi misi a ridere per l'idea che mi era passata per la testa. Non potevo scappare, non sapevo dove andare e non potevo lasciare Rose, il signor Davis e tutte le persone che credevano in me e nel mio buon senso.

Solo altre due settimane, ricordai a me stessa. Al massimo venti giorni e Matt sarà qui a raccontarmi tutto.

Fu quel pensiero che mi permise di addormentarmi, quella sera.


***


«Matt ha già esplorato la caverna» mi annunciò Rose il giorno dopo, quando la trovai all'uscita della miniera. «Non sa però quando rientrerà a Brennan.»

Capii che Rose era inquieta per qualcosa: si stava mangiando le unghie e camminava così velocemente che facevo sempre più fatica a starle dietro.

«Speriamo che ritorni il più presto possibile» le dissi, non riuscendo a non chiedermi il perché non mi avesse scritto personalmente.

«Stasera c'è una festa del paese» saltò su cambiando argomento tutto d'un tratto. «Si chiama Ballo d'Autunno, e si festeggia sempre l'ultimo giovedì del mese di ottobre. Festeggia tutto il paese, noi incluse.»

La guardai stranita, presa alla sprovvista da quell'annuncio.

«Ci saranno sicuramente delle guardie reali per mantenere l'ordine» replicai.

«Mi sono informata» disse. «Lo Jarl non è stato informato di nessuna truppa ausiliaria.»

«Ma se venissero lo stesso?»

«È quello che pensa il vecchio. E lo Jarl... e il signor Davis» ammise con un sorriso di scuse. «Il signor Davis ha ordinato a tutti noi di rimanere chiusi nelle case e di non andarci per nessun motivo.»

«Perchè me lo stai dicendo, allora?» chiesi, nonostante già sapessi la risposta. «Ti ricordo cos'è successo l'ultima volta che siamo andate a una festa alla quale non dovevamo partecipare?»

«Evelyn...» fece. «L'altra volta eri stata tu a supplicarmi e adesso lo farò io con te. Scommetto che sei in astinenza da alcol tanto quanto lo sono io adesso!»

«In realtà l'alcol non mi manca molto» dissi provando una certa soddisfazione nel pronunciare quelle parole con così tanta convinzione. «Mi fa fare cose di cui mi pento.»

Aggrottai la fronte cercando di non lasciare entrare nella mia mente i ricordi delle ultime sbronze che avevo avuto.

«E che tipo di alcol avete a Elyria?» le chiesi ridacchiando.

«Vino, idromele e birra principalmente. Poi anche il resto, come nel Mondo degli Umani. Meno frequentemente, ma ci sono anche quelli... Tu dovresti assaggiare l'idromele di Meriord, è il migliore di Athos, se non di tutta Elyria...»

Mi guardava con occhi talmente tanto supplicanti che dovetti cedere.

«Giuro Rose che se succede qualcosa che non dovrebbe succedere ti uccido con le mie stesse mani.»


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