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Capitolo 10 • Tempio

Il vento mi sferzava la faccia e mi scompigliava i capelli.

Mi trovavo a prua del gigantesco veliero che ci avrebbe portati a Kratos. In lontananza riuscivo già a scorgere l'alta colonna di fumo che usciva dal cratere centrale della Montagna Spirale.

Mi stavo già riempiendo da capo a piedi di fuliggine e cenere.

L'unica cosa a cui riuscissi a pensare e a sperare era di non tornare a casa a mani vuote.

Gwen appoggiò le mani sulla ringhiera di legno, guardando davanti a sé.

«Troveremo qualcosa, sono fiduciosa» disse.

Mi voltai verso di lei, ancora grato che fosse venuta con me in questa missione al buio.

Non sapevo che cosa avrei dovuto cercare e non sapevo se avrei messo in pericolo le nostre vite. Sapevo solamente dell'esistenza di quella caverna e di quei graffiti di cui mi aveva parlato Juliet.

«Smettila Will. Lo fai sempre quando pensi troppo.»

Non mi ero nemmeno accorto di aver fatto alzare una colonna d'acqua dal mare e di averla condotta fino alla mia mano. Ci bagnò le mani, proprio mentre Gwen mi dava un piccolo schiaffo per farmi smettere.

Sentii Gwen irrigidirsi al contatto con la mia mano. La coprì subito con la sua, lasciandosi sfuggire un'imprecazione sommessa.

Mi girai confuso a guardarla, mentre la ritraeva di scatto.

Solo in quel momento il controllo che stavo esercitando sull'acqua cessò. Mentre contraevo le dita, mi accorsi di avere entrambe le mani intorpidite.

Fredde, di un freddo glaciale.

Confuso, vidi a stento Gwen che si afferrava la mano con l'altra, come per scaldarla. Era quasi fine ottobre, l'acqua cominciava a essere fredda, ma non così tanto. Non in una zona vulcanica, piena di sorgenti termali e incandescenti.

Gwen mi afferrò di nuovo freneticamente, come per assicurarsi di non essersi sbagliata. Era sbigottita, probabilmente più di me.

«Non è normale» mormorò, mentre si rigirava la mia mano fra le sue come per studiarla. «Che cos'hai fatto?»

«Io niente...»

Mi fulminò con lo sguardo.

«William, non ho mai visto nessuno controllare la temperatura dell'acqua a meno che non fosse un Ibrido» disse disorientata.

Mi guardò dritta negli occhi e io mi ritrovai a raccontarle quello che era successo al ruscello quella notte, quando avevo lanciato una pietra sulla superficie dell'acqua.

«E prima che tu possa chiedermelo» continuai con voce atona, «sono un Dominus dell'Acqua al cento per cento.»

«Io non...»

«Sì Gwen, l'hai pensato. Come ho pensato anche io, del resto, che mia madre avesse avuto la bella idea di tradire mio padre con un Dominus dell'Aria. Ma è impossibile, assomiglio troppo a lui e mia madre... Mia madre lo ama troppo per tradirlo. Lo ama troppo anche solo per non riuscire a vedere quello che succede a suo figlio.»

«Qualunque cosa sia, Will, non è qualcosa che il popolo, la corte o qualsiasi altra persona debba sapere» decretò lentamente. «Quando avremo finito con questa storia penseremo a questo... problema.»

«Sempre che queste due cose non siano collegate» commentai in un sussurro, contraendo di nuovo la mano.

Gwen non mi sentì.


***


Ero nascosto sotto una cappa di tessuto scuro e spesso. Nonostante il caldo asfissiante, dovevo proteggere la mia pelle dalle ceneri e dalle polveri che uscivano dal vulcano.

E, sopratutto, nessuno doveva anche solo pensare che sarei andato su quella montagna. Anche se con quelle condizioni era poco probabile che qualcuno si avventurasse fin lì, dovevo essere sicuro di non essere visto da nessuno.

Avevamo lasciato la barca, ancorata a largo dell'isola, con una scialuppa. Approdammo in una piccola baia lontana dal centro abitato che dava il nome all'isola.

Secondo le cartine che avevamo preso dalla biblioteca della Reggia Azzurra, da lì saliva uno stretto sentiero che si sarebbe unito a quello principale.

Con la bufera di cenere che imperversava sull'isola, io e Gwen non avemmo modo di parlare. Ci mettemmo quasi quaranta minuti per arrivare al sentiero principale, per fortuna privo di qualsiasi forma di vita che non fossero insetti nascosti sotto la sabbia chiara.

Ci volle un'altra ora e mezza abbondante prima di arrivare in prossimità della caverna.

Soprappensiero com'ero e con la testa piena del ricordo della prima volta che, proprio lì, avevo visto Liet, mi accorsi a stento delle due persone che si trovavano davanti all'entrata.

Imprecai mentalmente, afferrando Gwen per un polso e trascinandola dietro una grande roccia.

Mi sporsi cauto da quella, socchiudendo gli occhi per cercare di vedere meglio in mezzo alla bufera. Nonostante la scarsa visibilità, capii subito chi mi stessi trovando davanti, anche se non indossavano una fascia di riconoscimento e se non erano visi familiari.

«Ribelli» sussurrai, cercando di capire per quale motivo potessero essere lì.

«Sarebbe meglio tornare un'altra volta» sussurrò Gwen. «Domani, forse...»

«No» replicai. «Siamo due contro due e sappiamo entrambi che siamo due ottimi combattenti. Vale la pena sconfiggere anche solo loro due, nonostante all'interno ce ne saranno sicuramente degli altri.»

Mi chiesi nuovamente perchè fossero lì durante una giornata di tempesta come quella. Non ci sarebbe dovuto essere nessuno con quel tempo, sopratutto non ci sarebbero dovuti essere Ribelli.

Capii che avevano sfruttato il fatto che nessuno si sarebbe avventurato su per la Montagna Spirale.

Nessuno tranne noi.

«Come pensi di fare?»

Non avevamo tempo per mettere in piedi un piano. E non avevamo tempo per ritornare alla barca. Avremmo solo perso ore preziose.

Mi presi un paio di minuti per valutare bene gli avversari. Uno dei due era basso, mingherlino: questo significava veloce, debole e imprevedibile. L'altro era proprio il contrario, un alto ammasso di ossa e di muscoli. Potente e probabilmente molto lento.

«Tu pensa al piccolo, io penso all'altro» risposi, continuando a valutare la situazione.

Lì erano solo due, ma non potevo sapere quanti sarebbero stati dentro. Sarebbero potuti essere solo due, come avrebbero potuto essere dieci.

Estrassi dallo stivale un pugnale lungo e affilato.

«Quando lo lancerò, attaccheremo. Stordiamoli, facciamogli perdere conoscenza, ma non uccidiamoli. Un colpo in testa abbastanza forte dovrebbe essere abbastanza.»

«Agli ordini» disse con un sorrisino, afferrando dalla sua cintura una spada corta e evocando una piccola sfera di acqua che si riempì subito di cenere.

«Mettiamo fuori gioco questi due, dopo valuteremo come entrare.»

Alzai il braccio dietro la testa, sporgendomi ancora di più dalla roccia. Lo piegai all'indietro e presi la mira, trattenendo il respiro per assicurarmi un lancio pulito.

Sperai che le persone all'interno della caverna fossero abbastanza lontane da non sentire l'urlo che sicuramente sarebbe uscito dalla bocca della sentinella.

Era azzardato, ma ogni mossa comportava dei rischi.

Sentivo già l'adrenalina da combattimento, sentivo quell'euforia che non provavo davvero da tanto tempo.

Con un deciso movimento, il pugnale lasciò la mia mano e, preciso e silenzioso, raggiunse la spalla del Ribelle.

Gwen agì subito, scagliando la sfera sulla faccia dell'altro, proprio mentre il primo cominciava a gridare, mettendosi in ginocchio ed estraendosi stupidamente il pugnale dalla carne.

Il sangue sarebbe uscito più velocemente.

Prima che potessero cominciare a urlare avvertimenti verso l'interno della caverna, io e Gwen uscimmo da dietro la roccia, cominciando a combattere.

Evocai una serie di veloci fruste d'acqua che si abbatterono furiose sulla guardia da me presa di mira. Con la cenere che le riempiva, erano perfette per graffiare prima i vestiti e poi la pelle del Ribelle.

Quando spedii una sfera contro la ferita aperta nella spalla, quello urlò di nuovo. La concentrazione che usai per prendere la mira mi impedì di evitare una sfera di energia verde, tipica dei Domini della Terra.

Mi colpì il braccio e io mi lasciai sfuggire una smorfia di dolore, sentendo come se migliaia di piccoli aghi avessero trafitto la mia pelle.

Creai uno scudo con la mano sinistra, comunque consapevole che l'elemento della Terra era davvero efficace contro quello dell'Acqua. Mi avvicinai a lui, sfoderando una spada dalla cintura delle armi.

Gwen fu più fortunata: dai bagliori rossi che apparivano nel mio campo visivo capii che il Ribelle mingherlino era un Dominus del Fuoco, in svantaggio rispetto all'elemento di Gwen.

Proprio mentre, schivando un'altra sfera di energia, alzavo la spada per colpirlo, qualcosa mi fece inciampare.

Caddi a terra e rotolai in modo da evitare di ferirmi con la mia stessa spada. Mi trascinai dietro la radice che si era avvolta alla mia caviglia, che mi rese il movimento più lento e goffo di quanto desiderassi.

Questo mi costò un'altro colpo. Vidi un bagliore verde intenso, prima di sentire lo stesso dolore del braccio sul petto, proprio dove si trovava la ferita in via di guarigione.

Quelle sfere erano micidiali. Da quello che avevo studiato, i Domini della Terra erano in grado di assorbire l'energia del nostro pianeta e di concentrarla in quel potere. Era una sensazione orribile quella di essere colpito da quelle sfere: sembravano appunto mille piccoli aghi che prosciugavano la tua, di energia.

Riuscii comunque a evocare una frusta d'acqua abbastanza densa da farlo cadere a sua volta. Con un tonfo, volò all'indietro.

Mi rialzai in fretta, sollevando la spada per tramortirlo. Ma prima che potessi calare la lama, nell'aria risuonò il rumore inconfondibile di un metallo che cozzava contro qualcosa di duro.

La fronda che quel Dominus aveva evocato si ritrasse nel terreno.

«Non ne avevo bisogno» ansimai, portandomi automaticamente una mano al petto.

«Lo so, Willie.»

I due Ribelli, privi di sensi, erano entrambi accasciati a faccia in giù sulla sabbia.

Ero ricoperto di sangue.

Gwen alzò una mano, per capire da dove arrivasse e io, prima che potesse toccarmi il petto dolorante, la fermai.

«Non è mio, è suo» le dissi, accennando al Ribelle contro cui avevo lottato.

«Sarà meglio muoversi» replicò. «Se abbiamo davvero intenzione di andare dobbiamo farlo adesso.»

Annuii, estraendo dalla mia tasca la mappa della caverna, anche se ormai l'avevo imparata a memoria da quante volte che l'avevo letta.

Non appena entrai, fui felice di potermi liberare il volto dal tessuto che la copriva. Per rimanere comunque un po' nascosto, tenni sollevato il cappuccio, facendomelo ricadere sulla fronte.

Lì dentro, ormai protetti dalla bufera di cenere, eravamo comunque condannati a soffrire un caldo asfissiante che toglieva il respiro. Sembrava che dentro le pareti di quella grotta scorresse della lava incandescente.

Forse era così.

Grazie a una fiaccola accesa alla parete, segno che effettivamente qualcuno era già passato di lì, vidi Gwen evocare un po' di acqua contro il suo braccio, ustionato dal fuoco.

Mi avvicinai a lei e feci per parlare, ma lei mi respinse, scuotendo la testa.

«Non è nulla, non perdiamo tempo» disse, afferrando la fiaccola dal supporto.

L'ingresso era proprio come me lo aveva descritto Juliet. Spoglio, come se fosse una normalissima caverna.

Seguendo i consigli di Liet, non proseguimmo nel corridoio principale dritto davanti a noi. Virammo a destra in uno secondario, che sarebbe stato completamente buio se non fosse stato per la luce della fiaccola che aveva preso Gwen.

Già lì c'era qualcosa che faceva capire che, una volta, quel tempio era stato abitato da qualcuno.

Dalle pareti pendevano brandelli di stendardi bruciati. Riuscii comunque a farmi un'idea di come sarebbero stati: stendardi oro sui cui era ricamato un sole con un filo scarlatto, che richiamava la parte inferiore della tela.

Mi ricordavo fin troppo bene quando erano stati trucidati, ormai sei anni prima. Avevo visto, anche se non avrei dovuto, mio padre parlare con un uomo in divisa nera e bordeaux.

La Confraternita Oscura non aveva fatto le cose per bene, lì dentro. Non si era presa la briga di cancellare per filo e per segno le testimonianze dell'esistenza di quei sacerdoti.

Entrammo in un'altra caverna e mi mancò quasi il fiato. Al centro, si trovava un grosso altare di marmo, scampato all'incendio creato dagli assassini.

Alla luce della fiaccola, si riuscivano già a intravedere dei graffiti e degli affreschi che decoravano le pareti.

Gwen mi allungò la torcia e io, automaticamente, la presi. Mi afferrò il braccio per rimanermi accanto, mentre ci avvicinavamo ai muri per osservare i disegni, partendo da sinistra, accanto all'entrata da cui eravamo arrivati.

«È spettacolare» disse Gwen poco dopo, alzando una mano a sfiorare i vecchi affreschi.

Avanzammo lentamente e, piano piano, riuscii a farmi un'idea generale dei disegni.

I Sacerdoti Scarlatti avevano raggiunto la Montagna Spirale e li vi avevano fatto la propria casa. Era successo durante l'anno 59 Q.E., 179 anni prima.

A circa metà della parete, trattenemmo entrambi il fiato quando vedemmo la faccia di un sacerdote con la barba lunghissima e folti capelli bianchi. Aveva gli occhi spalancati e le iridi bianche che si confondevano con la sclera.

Attorno a lui nasceva una nebbia viola che proseguiva andando avanti con la lettura, nella quale erano disegnate altre immagini che cambiavano con l'evolversi della storia.

Non avevo bisogno del sussurro di Gwen per capire che si trattava della profezia.

Una neonata in fasce, con segnato l'anno 219 Q. E., una bambina in un orfanotrofio nel Mondo degli Umani e la stessa che si trasformava in una meravigliosa ragazza con gli occhi grigi come la tempesta.

Quando cambiammo parete, cominciammo a vedere la parte della profezia che non era ancora accaduta.

La ragazza diventava una guerriera, che teneva con una mano un arco nero come la pece e che portava allacciata sulla schiena una spada. Era avvolta da una luce bianca, che ben presto divenne scura.

Era la stessa ragazza che avevo conosciuto, ma non sembrava affatto lei.

Quella dipinta sui muri era un angelo vendicatore, un guerriero spietato che sul volto non aveva nessuna traccia di emozione.

Non era la prima volta che vedevo una sua illustrazione, ma era sicuramente la prima volta che mi ritrovavo a fare un paragone fra quell'ultimo sole e la vera Evelyn Lewis.

Mi sentivo disorientato davanti a una Evelyn raffigurata con un'armatura bianca su cui era raffigurato lo stesso sole degli stendardi che avevo appena visto, simbolo del dio Seran.

S'intromise improvvisamente un'altra figura, nelle immagini. Mi mancò il battito quando vidi me stesso apparire negli affreschi.

Ecco, era arrivato il momento.

Vidi la mia immagine avvicinarsi a quella dell'ultimo sole. Indossavo vestiti eleganti, quelli da principe del regno. Sentii la presa di Gwen serrarsi sul mio braccio e lei irrigidirsi contro di me.

«Come ha fatto a non accorgersene nessuno?» chiese in un sussurro.

La risposta arrivò subito dopo dagli stessi affreschi.

«Perchè la profezia non è stata completata» risposi. «Non l'hanno mai finita di dipingere.»

Alzai una mano e le mie dita sfiorarono il muro di pietra.

Sentii un'improvvisa scarica lungo il braccio teso. Non feci nemmeno in tempo a ritrarlo che il mio corpo si irrigidì di colpo e la mia vista si fece completamente bianca.

Sentii vagamente la voce di Gwen, mentre sbattevo gli occhi per tornare a vedere. Sentii un principio di panico nascermi dallo stomaco.

«Trova Edvard il Cieco

Una voce profonda e antica risuonò nella mia mente, facendomi rabbrividire da capo a piedi.

Non appena venne pronunciata l'ultima parola, dopo aver sbattuto un'altra volta le palpebre, la mia vista tornò.

«Will? William!» Gwen mi stava strattonando per il braccio preoccupata. «William, parlami. Per favore...»

Mi girai lentamente verso di lei, disorientato come poche volte ero stato nella mia vita. Avevo la nausea e mi girava la testa.

«Sto bene» dissi deglutendo, cercando di mantenere il tono di voce fermo. «Ho sentito qualcosa.»

Le raccontai quello che mi era successo, capendo che lei non aveva sentito nulla. Mi guardò ancora più preoccupata di prima.

«Credi che anche Juliet l'avesse sentito?» mormorò.

Scossi la testa.

«Me lo avrebbe detto. Non avremmo avuto motivo di ritornare qui, se lei lo avesse sentito» deglutii. «Ma per quale ragione quella voce mi ha detto di trovare un sacerdote morto sei anni fa?»

«Come fai a...»

«Edvard il Cieco era uno degli ultimi Sacerdoti Scarlatti» risposi. «La Guida, forse. Lo so perchè l'ho letto negli annali degli ordini di sacerdoti conservati a Ilyros. Riguardo ai Sacerdoti Scarlatti, il suo era uno degli ultimi nomi presenti. Con il massacro è morto anche lui.»

«Merda. Se solo non fossero stati trucidati sarebbe stato tutto più semplice...»

«Se solo mio padre non li avesse fatti trucidare» la corressi. «Credo che questa sorta di incantesimo risalga a prima dell'attacco al tempio.»

«Ci eravamo aspettati dei vicoli ciechi» disse Gwen, asciugandosi la fronte con una mano. «Non ci resta che continuare a cercare.»

Decidemmo di proseguire, uscendo da quella stanza ed entrando in un altro corridoio, uguale al precedente. Se non per il fatto che, questa volta, gli stendardi fossero integri.

Mi chiesi quali fossero i pericoli di cui Juliet mi aveva parlato. Forse lei aveva già innescato tutte le difese, che quindi per fortuna non funzionavano più.

Le altre tre caverne che visitammo erano vuote e spoglie, con solo qualche mobile bruciato. Gli affreschi che una volta erano disegnati sulle pareti di pietra erano stati rovinati dal fumo e dal fuoco.

Quando facevamo per entrare nella caverna successiva, sia io che Gwen ci irrigidimmo di colpo. C'erano delle fiaccole appese alle pareti.

Eccoli, i Ribelli erano lì.

Gwen aveva estratto un altro pugnale dalla sua cintura.

«Non capisco perchè siamo costretti a rimanere qua quando gli altri due continuano la ricerca» stava dicendo una ragazza.

Allungai l'occhio sporgendomi dal corridoio il meno possibile. Vidi che si trattava di una ragazza bionda, alta e con gli occhi color nocciola. Non l'avevo mai vista.

Quello che era con lei era un uomo dalla pelle scura, molto imponente e apparentemente disinteressato a quello che la compagna gli stava dicendo. Rimase infatti in silenzio, dandole le spalle e riprendendo a leggere delle carte appoggiandosi a un tavolo di pietra.

Mi si gelò il sangue nelle vene quando lo riconobbi. Di fama, Damian Bennett era un ottimo combattente, estremamente pericoloso.

Appoggiai una mano sul polso di Gwen, per dirle che non avremmo fatto nulla. Mi guardò quasi sorpresa dalla mia scelta di non agire.

«È un Mezzosangue» le mimai con le labbra.

«Lo conosci?» replicò lei nello stesso modo silenzioso.

«Di vista e di fama» risposi. «Terra e Aria.»

Decidemmo di tornare nell'ombra, cambiando strada ed entrando nel primo piccolo cunicolo che si diramava dalla caverna. Quando fummo abbastanza lontani, Gwen si lasciò sfuggire un sospiro.

«Cazzo Willie.»

Ormai eravamo completamente al buio: per evitare che la luce potesse attirare le attenzioni indesiderate dei due Ribelli, avevo lasciato la fiaccola nell'altro corridoio.

«Proseguiremo lo stesso» sussurrai. «Hai sentito, hanno detto che ce ne sono solo altri due in giro oltre a loro. Sono gestibili.»

«Quanto mi piacerebbe essere un Dominus del Fuoco in momenti come questi» commentò mentre le prendevo la mano per assicurarmi di non perderla in quel dedalo di corridoi in cui ci stavamo addentrando.

Mi chiesi per quale motivo Damian Bennett, una persona così vicina alla famiglia Davis, si trovasse lì. La parte meno ragionevole della mia testa non potè non chiedersi stupidamente se pure Evelyn ci fosse.

Era sicuramente impossibile.

I Ribelli dovevano averla tenuta lontana al sicuro dalle guardie del regno e da Elyria, sopratutto. L'avrebbero tenuta il più possibile lontano dall'isola, perché venire davvero qui sarebbe equivalso a un suicidio bello e buono.

Nè io né Gwen li vedemmo arrivare da un altro corridoio, nonostante avessero con sé una fiaccola accesa.

Sbattemmo gli uni contro gli altri.

Successe tutto molto in fretta: la fiaccola cadde a terra, continuando a sfrigolare e Gwen lanciò un urlo acuto. Io e la figura contro cui ci eravamo scontrati evocammo immediatamente i nostri elementi, che si unirono al debole fuoco che stava per estinguersi.

Vidi prima la sfera verde che la sua faccia. E, prima che realizzassi chi fosse davvero, per poco non presi un infarto.

Allungai lo sguardo. Invece che vedere delle bellissime iridi grigie e magnetiche, incrociai i due occhi castani di un ragazzo alto che avevo visto vagamente il giorno in cui i ribelli di Taward avevano tentato di ferirmi.

«Lei non c'è» fu la prima cosa che disse Matthew Davis, senza riuscire a trattenere lo stupore nel tono della sua voce.

Del resto, pure la sua faccia esprimeva tutto il suo sconcerto e la sua confusione che il vedermi lì gli avevano provocato.

La mano di Gwen, ora avvolta attorno al mio braccio, mi strinse dolorosamente. Non capiva, non sapeva chi ci stavamo trovando davanti.

Rimasi un momento in silenzio, cercando di valutare la situazione.

Se Davis era a Elyria allora...

Agii d'impulso, dimenticando qualsiasi buon senso.

Lo presi alla sprovvista, mentre la sfera d'acqua che avevo evocato si dissolveva nell'aria bagnandoci i volti. Non riuscii a importarmi del fuoco che avvolgeva la mano dell'altro Ribelle, mentre appendevo Davis al muro.

Gwen mi lasciò andare, mentre sconvolta lanciava un urlo.

«Siete davvero così stupidi?» sbottai strattonandolo per la maglia spessa che aveva indosso. «Dov'è, eh? L'avete lasciata alla mercé delle guardie?»

Davis mi guardava con occhi spalancati, senza azzardarsi a lanciare la sfera di energia che ancora gli brillava nel palmo della mano.

L'altro ragazzo mi guardava come se fosse pronto da un momento all'altro ad attaccarmi. Quelle fiamme danzavano a pochi centimetri dal mio volto, il che non mi metteva in una situazione favorevole.

Me l'ero cercata.

«Mi hanno insultato in migliaia di modi diversi» fu la sua risposta. «Migliaia. Ma mai dandomi dello stupido.»

Quasi gli ringhiai in faccia mentre lo spingevo ancora di più contro la parete. Acqua e fuoco, intanto, danzavano ai lati delle nostre facce, pronti a essere scagliati.

Prima che potessi rispondere, Davis girò la testa verso Gwen e alzò le sopracciglia, per poi di ritornare a guardarmi negli occhi.

«Sono contento di vedere che non hai dimenticato Evelyn» commentò, interpretando quella mia perdita di controllo come sintomo di ciò che provavo per l'ultimo sole.

«Chi è?» mi domandò Gwen.

«Te lo potrei dire io stesso» rispose Davis al posto mio, ormai a corto di fiato. «Se il nostro caro principe non fosse così impegnato a soffocarmi.»

Sentii un moto di rabbia nascermi dallo stomaco e di colpo mi risuonò in mente la bellissima sensazione che avevo provato quella volta che gli avevo sferrato un pugno sul naso.

«C-C'è una ragione più che valida per la quale Evelyn si trova a Elyria» continuò, mentre la sua mano lasciava dissolversi la sfera di energia e mi afferrava il polso teso. «E credo che ci arriveresti anche... anche da solo...»

«Evelyn?» chiese Gwen non capendo. «Cosa diavolo centra l'ultimo sole?»

Davis non era più in grado di risponderle: stava solo guardando paonazzo le mie mani, che lo tenevano appeso al muro. Solo allora capii che non era il caso di uccidere l'unica persona che potesse darmi qualche informazione su di lei.

L'unica persona che potesse assicurarmi che stesse bene.

Allentai la presa e Davis recuperò fiato.

Mi costrinsi a serrare le mani sui fianchi, per reprimere la voglia di saltargli addosso.

«Abbiamo obiettivi comuni» sospirò, massaggiandosi il collo e guardandomi eloquentemente. «Per quanto possa sembrare assurdo.»

Rimasi zitto.

«Cominciando dal principio, vostra altezza, se tu mi dirai per quale ragione siete qua, io ti rivelerò il motivo per cui siamo tornati a Elyria e venuti a Kratos. Uno scambio equo, no?»


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