Capitolo 1 • Sangue
Il mondo sussultò.
Aprii gli occhi e guardai oltre la spalla di Rose, che si stava irrigidendo attorno a me. Le lacrime smisero di scendere quando capii che non era solo una mia impressione: il terreno stava davvero tremando.
Ci alzammo in piedi entrambe, barcollando per mantenere l'equilibrio. In quel momento, per brevissimi istanti, dimenticai le parole di William Cole.
Le finestre cominciarono a sbattere e le panchine a muoversi nel corridoio, scosse da quella scossa di terremoto che non sembrava voler finire.
«Ma che cosa diavolo...» sussurrai guardandomi attorno, mentre Matt ci raggiungeva correndo.
Mi girai a guardare i miei due migliori amici, che sembravano decisamente più allarmati di quanto non fossi io.
Che cosa stava succedendo?
Feci per aprire bocca, quando vidi che mi stavano guardando come se fossi io la causa del terremoto. Volevo ribattere che io non stavo facendo proprio un bel niente, o che almeno credevo così.
Ma improvvisamente, mentre in tutta la scuola cominciavano a rimbombare urla e grida di panico, il pavimento sotto i nostri piedi cominciò a spaccarsi in due. Il corridoio in cui ci trovavamo venne attraversato da una crepa gigantesca, capace di inghiottirci tutti e tre in un solo colpo.
Per poco non ci caddi dentro, incapace di muovermi per lo shock. Matt agì per me allungando un braccio e tirandomi indietro, contro il muro.
«Matt!» Sentii Rose urlare in tono di avvertimento, sovrastando il boato del terremoto.
Con occhi spalancati, Matt si girò appena in tempo per vedere l'armadio che ci stava cadendo addosso. Il Dominus della Terra si mosse velocemente, portandomi in salvo un'altra volta.
Non poteva essere una semplice scossa di terremoto.
Mi chiesi come la scuola potesse essere ancora in piedi.
Mi guardai disperatamente attorno, cercando di capire come potessimo uscire di lì senza rischiare di cadere in quell'enorme voragine. Rose si librò in aria, usando il suo elemento per attraversare il vuoto. Non ne sarei stata in grado, in quel momento.
Continuai a fissare l'enorme apertura sul pavimento, ma solo dopo molti secondi mi accorsi che qualcosa, lì dentro, si stava muovendo.
«Matt! Rose!» richiamai l'attenzione dei miei amici, indicando con un dito tremante una mano infangata, bianca cadaverica, che si aggrappava al pavimento.
Mi sentii scagliata all'indietro da un colpo fortissimo allo stomaco che mi lasciò senza fiato. Sarei sicuramente finita proprio dentro la voragine se Rose non avesse creato una fortissima corrente d'aria che mi portasse al sicuro.
Caddi a terra e rotolai su un fianco portandomi una mano alla pancia, convinta che avrei vomitato da un momento all'altro. Dopo qualche secondo mi costrinsi a mettermi a sedere. Spalancai gli occhi quando vidi che Matt e Rose stavano combattendo contro qualcuno.
Rimasi agghiacciata quando riconobbi la ragazza dalla quale si stavano difendendo.
Era Wynter Sullivan, viva e vegeta.
Mentre cercavo di elaborare e di capire come potesse essere viva, notai con la coda dell'occhio che altri corpi si stavano arrampicando sulla parete di roccia.
La ferita circolare che le correva attorno al collo mi fece tornare in mente la sua testa che, meno di ventiquattro ore prima, rotolava nella piazza centrale dell'Istituto Zero. Era piena di fango, aveva due profondissime occhiaie bluastre e i capelli, tagliati maldestramente dalla stessa ascia che le aveva reciso il collo, erano completamente arruffati.
Temetti di stare avendo solo una brutta allucinazione.
«Rose dietro di te!» Matt si accorse di un Dominus che era riuscito a uscire dalla voragine.
Rose se ne accorse appena prima che quello la colpisse. Con un urlo di rabbia, lo spinse giù nella voragine usando il suo elemento.
Io non riuscivo ad alzarmi, per la terra che continuava a tremare e per la pancia dolorante che mi costringeva a rimanere piegata in avanti.
«Evelyn, vattene via!» mi urlò Matt, mentre combatteva contro un Dominus che era appena apparso all'angolo del corridoio armato solo di un pugnale.
Mi venne un conato quando vidi che quel Dominus aveva mezza faccia sfregiata come se fosse stata corrosa da un acido. Mi costrinsi, lasciandomi sfuggire un mugolio di dolore, ad aggrapparmi a una panchina traballante e ad alzarmi in piedi.
Ero consapevole che, in quelle condizioni, sarei stata più di intralcio che altro.
Sarei dovuta andare a chiamare qualcuno, e in fretta.
Incespicando, mi girai e cominciai a camminare il più velocemente possibile verso l'uscita più vicina. Pregai di non avere una crisi in quel momento: solo a immaginarne le conseguenze mi girava la testa.
Dietro di me lasciavo il caos più totale, con Matt e Rose che cercavano di contrastare l'improvvisa resurrezione di tutti quei Domini. Dovevo assolutamente chiamare Cesar, l'unico dell'Ordine di cui avessi il numero in rubrica. Lui avrebbe avvertito tutti.
Dopo mi sarei dovuta calmare e avrei dovuto aiutare per quanto possibile i miei amici. Non mi sarei mai perdonata se gli fosse successo qualcosa perchè non li avevo aiutati.
Cominciai a correre, ignorando il dolore, sfrecciando fra i corridoi dell'immensa Mayer High School con solo quel pensiero in testa.
Dovetti essere davvero concentrata nell'intento per non vedere l'immensa pozza di sangue che c'era sul pavimento, vicino ai bagni.
Me ne accorsi solamente dopo esserci scivolata sopra, quando, portandomi una mano al fianco che aveva cozzato dolorosamente con il pavimento, mi girai a vedere per cosa fossi caduta.
Spalancai gli occhi e impallidii, vedendo tutta la mia felpa e i miei pantaloni pieni di vivido sangue chiaro. Cominciai a scuotere la testa, tremando sotto shock. Pregai che tutto quel sangue non fosse di nessuno di mia conoscenza: era decisamente troppo.
Mi rialzai in piedi continuando a tremare, dimenticando di colpo quello che dovevo fare. Mi ritrovai a seguire la traccia di sangue che continuava in un corridoio secondario, con una camminata decisamente instabile.
Trovare qualcuno che conoscevo in condizioni probabilmente devastanti era l'ultima cosa che volessi, ma non potevo rimanere con il dubbio.
«Troppo sangue, troppo...» continuavo a sussurrare senza accorgermene, mentre mi costringevo a proseguire.
Le tracce si interrompevano dietro la porta di una classe. Solo gli dei seppero quanto mi ci volle per afferrarne la maniglia e aprirla.
Sentivo il cuore battere senza tregua contro le costole per il panico e per l'agitazione. Entrai nella classe, trovandola ancora piena di zaini, borse e quaderni sparsi sui banchi. Avanzai lentamente, seguendo la traccia scarlatta.
Non riuscii a urlare quando lo vidi, appoggiato al muro della classe.
Nonostante tutto quello che era appena successo, nonostante dentro di me dovessi odiarlo più di qualsiasi altra cosa, mi precipitai da lui. Mi accorsi subito del suo colorito pallido e di una grossa ferita sul petto.
Non pensai che il sangue del primogenito era stato versato, non pensai al rischio che chiunque lo avesse attaccato potesse essere ancora nei paraggi.
Fate che sia vivo, pensai invece, rivolta agli dei.
Le mie mani tremavano mentre le portavo alla sua ferita, per impedire al suo sangue di uscire ancora. Non mi accorsi nemmeno delle lacrime che ricominciavano a scivolarmi lungo le guance.
La sua maglia chiara era completamente intrisa di rosso. Non volli ammettere a me stessa che si trattava di una ferita praticamente letale. Sentii una gigantesca sensazione di sollievo allo stomaco, quando vidi che respirava ancora, anche se irregolarmente.
Capendo che le mie mani non erano in grado di tamponare la ferita, mi sfilai la felpa e la premetti sulla ferita, per cercare di contenere l'emorragia. Sapevo che, nel caso avesse riportato lesioni all'aorta o peggio, al cuore, sarebbe stata solo questione di poco prima che morisse.
Scacciai immediatamente questa prospettiva dalla mia mente.
«Will... William...» lo chiamai disperata, guardandogli la faccia e alzando una mano su una sua guancia, continuando a premere la felpa con l'altra.
Vederlo morire era l'ultima cosa che volessi al mondo.
Non poteva morire, non doveva farlo.
Al solo pensiero che smettesse di respirare davanti a me, che il suo cuore si fermasse irrimediabilmente, le lacrime cominciavano di nuovo a sgorgare a fiotti.
«Non ti azzardare a morire» gli dissi, mentre stringevo la sua guancia con la mano. «William non ti azzardare a morire.»
Mi misi a urlare aiuto, lo urlai molte volte.
Feci un sacco di tentativi con i miei poteri da Dominus della Luce. Ma la sensazione al di sotto della pelle che avevo provato quando gli avevo curato la caviglia non sembrava voler arrivare.
La terra sotto di noi ora tremava a intermittenza e, a ogni scossa, i banchi si muovevano e i mobili rischiavano di caderci addosso.
«Cazzo» imprecai fra le lacrime.
Mentre portavo anche l'altra mano a tamponare la ferita, sentendo il sangue impregnare lentamente la felpa, percorsi con gli occhi la linea dura dei suoi zigomi, la mandibola squadrata, prima di soffermarmi sulla sua bocca socchiusa.
Sarebbe già dovuto essere morto con tutto quel sangue perso e io non avevo la minima idea di cosa fare.
Sapevo che dovevo impedirgli di abbandonarmi, dovevo costringerlo a rimanere lì con me a ogni costo. Anche se mi aveva presa in giro per tutto quel tempo, anche se mi voleva portare da sua padre.
Se solo mi avessero detto che per guarirlo dovevo solo lasciarmi portare a Elyria al cospetto del Re, glielo avrei lasciato fare.
«William svegliati» gli dissi risoluta, mentre mi mettevo a cavalcioni sulle sue gambe inerti per poter premere meglio sulla ferita.
Alzai una mano per schiaffeggiarlo non troppo delicatamente sulla guancia.
«Dannazione, svegliati.»
Non seppi dire dopo quanto tempo Will sbatté le palpebre, ma mi sembrò passata un'eternità. Sentii il mio cuore alleggerirsi di colpo. Mi lasciai scappare una risata isterica, mentre Will socchiudeva gli occhi e contraeva il viso in una smorfia di dolore.
«Will...» sussurrai.
I suoi occhi percorsero la mia faccia come se mi vedesse per la prima volta. Sembrò studiare il mio viso come se cercasse di capire chi fossi. Ebbi la bruttissima sensazione che William non avesse la lucidità della situazione.
«Juliet» biascicò a bassa voce, mentre il suo sguardo continuava a muoversi frenetico al di sotto delle palpebre socchiuse.
Involontariamente premetti di più contro la sua ferita, strappandogli una smorfia di dolore. Chi era questa Juliet che stava chiamando?
«Juliet» ripetè piano cominciando a fissarmi negli occhi. «Ti amo, Juliet.»
Ignorai il mio cuore, che andò in mille pezzi un'altra volta. Non potevo permettermi di disperarmi con lui lì in quelle condizioni, febbricitante e probabilmente sul punto di morte. Cercai di isolarmi completamente dai miei sentimenti.
«Sono Evelyn, Will» mormorai, cercando di sembrare dolce e confortante.
«Sei viva, Juliet» replicò Will, mentre il suo viso veniva oltrepassato da un'espressione di profonda tristezza e malinconia. «Non ti hanno giustiziata? Sei ancora qui con me? Scappiamo insieme, prima che ti trovino...»
«Non sono Juliet, Will» mugolai fra le lacrime, rinnovate dal vederlo stare così male per una persona amata che non c'era più. «Sono Evelyn, solo Evelyn.»
«Scappiamo a nord.» Sulla sua bocca nacque un piccolo sorriso bisognoso. «Hai sempre voluto andare a Neyms. Se non basterà nasconderci a Elyria allora andremo più lontano, nel Mondo degli Umani dove nessuno ci potrà trovare. Ti scongiuro, andiamocene prima che sia troppo tardi. Non mi importa del regno, non mi importa dell'ultimo sole e della corona che devo ereditare.»
Mi si contrasse lo stomaco in modo doloroso. Era strano vedere Will così disperato, così bisognoso che io lo ascoltassi. O meglio, che Juliet lo ascoltasse.
Non mi importa dell'ultimo sole.
Almeno era coerente con quello che mi aveva detto poco prima.
Scossi la testa, piangendo sempre più forte. Qualcuno doveva aiutarci, qualcuno doveva venire a salvarlo.
Riprovai ancora una volta a guarirlo con i miei poteri, aprendo la mano contro il suo petto. Sentii una lieve scarica al braccio e un piccolo filo d'oro si sprigionò dal mio palmo, ma durò solo un attimo, prima di dissolversi.
«Merda» imprecai di nuovo.
La piccola risata di Will attirò la mia attenzione. Alzai gli occhi sul suo viso, vedendo l'ombra di un piccolo sorriso.
«Dove hai imparato questi incantesimi, Liet?» ridacchiò lievemente, scuotendo leggermente la testa. «Non credevo che all'Accademia Rosse insegnassero queste cose...»
Corrugai la fronte, esasperata. Stava delirando e io non sapevo che cosa fare.
«Li hai imparati per noi, Liet?» mormorò. «Per tutto quello che dovremo affrontare? Lo hai fatto per noi?»
Mi guardava quasi supplicante, come se avesse bisogno della risposta più di qualsiasi altra cosa.
«Sì, Will» mi ritrovai a dire con voce tremante, mentre ero costretta a togliermi anche la maglietta per tamponare la sua ferita.
Quando tolsi la felpa per premergli la maglia contro il petto, Will storse il viso in una smorfia di dolore.
Come poteva ancora essere in grado di parlare? Aveva perso troppo, decisamente troppo sangue. Doveva essere per la sua natura di Dominus, non poteva essere altrimenti.
«Come puoi essere ancora vivo?» sussurrai fra me e me.
«È merito tuo, Liet» disse, piegando la bocca in un sorriso furbo. «Dopotutto è grazie a te che il mio cuore batte, giusto?»
«Non ci credo» replicai, non potendo fare a meno di lasciarmi sfuggire una risatina incredula. «Questa è la miglior frase di rimorchio che ti sia venuta in mente?»
«Non mi permetti di dare libero sfogo alla mia immaginazione, conciata così e messa sopra di me in quel modo» ridacchiò ancora, accennando al fatto che fossi in canottiera e a cavalcioni su di lui.
I suoi occhi, dietro le palpebre socchiuse, si mossero su tutto il mio corpo.
Pochi secondi dopo, quando stavo per fare l'ennesimo tentativo di usare un incantesimo di guarigione, spalancò gli occhi di colpo. Sul suo viso prese vita un'espressione terrorizzata.
«No!» urlò improvvisamente, cominciando a dimenarsi sotto di me e aumentando inevitabilmente la fuoriuscita del sangue dalla sua ferita. «No, devo andare da lei!»
«Shhh, shh... William, ti prego» cercai di dire sovrastando le sue urla, cercando di premere ancora di più contro la ferita.
«Non possono ferirla, non possono farle del male Juliet!»
Di chi diavolo stava parlando adesso?
«Non faranno male a nessuno, Will» gli dissi cercando di calmarlo. «Stai fermo, ti prego stai fermo.»
Will rimase zitto, continuando a guardarsi attorno disperato. Facevo sempre più fatica a tenerlo fermo e a tamponare la ferita. Feci la prima e unica cosa che mi venne in mente: cominciare a cantare.
«Like a lion you ran, a goddess you rolled. Like an eagle you circled...» cantai piangendo la canzone dei Coldplay che avevamo ballato insieme, Everglow. «In perfect purple. So how come things move on? How come cars don't slow?»
Lo sguardo di Will si fissò su di me e, mentre il suo corpo si calmava, riuscii riprendere il controllo.
«Evelyn...» sussurrò dopo un po' che cantavo.
Il suono del mio nome mi fece stare zitta.
Solo quando chiusi la bocca riconobbi la sensazione strana che mi stava percorrendo il braccio. E solo allora notai la luce dorata che stava illuminando i nostri volti. Abbassai lo sguardo, vedendo che, senza volerlo, dal palmo della mia mano si stava sprigionando un incantesimo di guarigione.
Quando fui sicura che non si sarebbe dissolto nell'aria come nei tentativi precedenti, mi ritrovai a fare una piccola risata di sollievo. Alzai la maglia quando sentii il mio potere riparare le lesioni interne che Will aveva riportato.
L'emorragia interna si era fermata, ma l'incantesimo cessò di colpo prima che potessi continuare a guarirlo e a richiudere la sua ferita.
Il sorriso mi scivolò via dalle labbra.
«Non tutte le ferite si possono guarire ricorrendo solo ai poteri di guarigione. Sarebbe troppo facile.»
Quasi sobbalzai quando sentii la voce debole, ma chiaramente consapevole, di Will. In viso mi nacque un'espressione di pura felicità.
«Scappa Evelyn» disse, prima che potessi anche solo aprire bocca. «Sono stato ferito, da un Ribelle.»
Aggrottai la fronte pensando agli unici due Ribelli che c'erano in quella scuola. Ero sicura che Matt e Rose non fossero stati.
«Wynter» sussurrai quando capii.
Will annuì prima di chiudere gli occhi sfinito.
«Evelyn scappa» mormorò con voce forzata, come se gli facesse male pronunciare quelle parole. «Avverti l'Ordine.»
Un'altra scossa fece tremare la scuola e Will aprì gli occhi, di colpo vigili e attenti, posando lo sguardo su di me e alzando le sue mani insanguinate sulle mie braccia nude.
«Evelyn, non sto scherzando.»
«Perchè me lo stai dicendo?» chiesi, mentre il contatto delle sue mani sulla mia pelle sembrava bruciare.
I suoi occhi si mossero avanti e indietro sulla mia faccia, prima che si decidesse a rispondere, ignorando però la mia domanda.
«Fra poco saranno qua e tu te ne dovrai essere già andata...» Si fermò un attimo, mentre si irrigidiva per il dolore. «Vattene, dannazione! Trova Matt e Rose prima che...»
La porta si spalancò di colpo e io, automaticamente, saltai via da lui. Mi sedetti al suo fianco, mentre sentivo l'inconfondibile clangore di stivali di metallo risuonare nel corridoio.
«Fingiti morta» mi sussurrò concitato, prima che le guardie entrassero nella classe. «Girati e copriti il viso con i capelli.»
Mi spinse a terra proprio mentre due uomini avanzavano all'interno dell'aula.
Obbedii, spaventata dall'idea che due guardie reali potessero riconoscermi. Mi girai con la faccia verso il muro e me la coprii con i miei lunghi capelli mossi. Sentendo il cuore battere così forte da rompermi le costole, chiusi gli occhi, ancora lacrimanti.
«Era chiaro che non ci avreste messo più di venti minuti» esordì William, con voce affannata.
Pensai che fosse solo questione di minuti prima che svenisse. Anche se avevo fermato l'emorragia, William aveva perso troppo sangue.
«Vostra altezza.»
Sentii le guardie chinarsi a terra e io non potei fare a meno di ribollire di rabbia: come potevano inchinarsi con William in quelle condizioni?
«Cadetti, giusto? Chiunque con un'adeguata esperienza avrebbe capito che in questi casi le formalità possono essere ignorate.»
«Ci scusiamo, vostra altezza» dissero all'unisono, alzandosi e avvicinandosi.
Udii una delle guardie inginocchiarsi di fianco a Will. Sentii montare il panico quando capii che l'altra guardia si stava dirigendo verso di me. Dovetti appellarmi a tutto il mio autocontrollo per rimanere immobile e non muovermi a disagio.
«Allontanati da lei» ordinò Will accorgendosene, con voce autoritaria che non ammetteva repliche. «È solo una ragazza umana che ha cercato di aiutarmi. Le è caduto un armadio addosso, ma è riuscita a rialzarsi e a venire qui per tamponare la ferita. Ho capito troppo tardi che le lesioni interne che aveva riportato erano letali. Non ho potuto fare nulla.»
Mi sentii incredibilmente fortunata: quei cadetti non sembravano molto svegli.
«Questo è un ordine del vostro principe e futuro re» continuò Will, alzando la voce per quanto ne fosse in grado. «Lasciate che la trovino e che le diano una degna sepoltura. Voi dovete solamente portarmi via di qua, e in fretta.»
Sentii un verso di dolore, mentre la guardia che mi si era avvicinata tornava indietro.
«Dove vi hanno colpito?» chiese una delle guardie.
«Al petto, non è chiaro?» La voce di Will era affaticata. «E mi chiedo come io faccia a essere ancora vivo, visto che ho perso almeno metà del mio sangue e due imbecilli rimangono a guardarmi come se fossi un dio...»
Le guardie borbottarono delle scuse, mentre si muovevano. Supposi che lo avessero sollevato da terra, per via di gemiti di dolore che riempirono la stanza.
Quando il rumore dell'acciaio sul pavimento si fece lontano, capii che se ne dovevano essere andati. Mi azzardai a tirarmi su da terra, continuando a piangere silenziosamente.
Estrassi subito il cellulare dalla tasca, con la mano tremante completamente intrisa di sangue. Cercai il numero di Cesar Soler nella rubrica e feci partire la chiamata.
«Evelyn?» La voce di Cesar lasciava trasparire tutta la sua sorpresa.
Di certo non si aspettava una mia chiamata.
«Cesar...» Dovetti prendere fiato prima di parlare. «Cesar, William Cole è stato ferito da un Ribelle. L'Ordine sta per essere attaccato. Devi dare l'allarme.»
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