Una mattina a Rantes
Il sole sorse sulla Montagna di Ferro, i primi raggi toccarono le case di ferro ricoperte di neve. Era il primo giorno di sole per Rantes, dopo due mesi di neve. L'inverno non era finito ma ora si poteva assaporare qualche raggio di sole prima della successiva nevicata. La grande montagna si elevava alle spalle della Fucina, coperta di neve, si intravedeva solo qualche striscia grigia. Le impalcature la circondavano, permettendo agli operai di estrarre il minerale per gli armamenti in tutta sicurezza. Dalla ciminiera più alta usciva sempre un fumo nero, sia di giorno, sia di notte, mentre dalle ciminiere ai lati usciva un fumo bianco. I fumi si disperdevano nell'aria fredda e nessun abitante, né animale, né albero risentiva dell'inquinamento.
Rantes fu costruita alla fine della Prima Era, un piccolo gruppo di rifugiati umani vennero cacciati dagli altri regni e si stabilirono ai piedi della Montagna. Era l'unico luogo che offriva rifugio. Col passare dei mesi, costruirono un piccolo villaggio e si ingegnarono a costruire una fucina per le armi, cosicché cominciarono ad estrarre il ferro dalla montagna, fonderlo e costruire armi per la difesa. Gli altri popoli attaccavano il villaggio, qualche razzia sporadica, finché un giorno gli uomini si difesero egregiamente, ponendo fine alle scorribande.
Gli anni passarono, il villaggio divenne una città. La fucina, da piccolo edificio, divenne una reggia degno di un sovrano. L'entrata della città era ferrea, il portone pesante era posto centro di una muraglia che proteggeva la città. Gli altri popoli chiamavano Rantes la Città di Ferro e fu così che nacque un commercio fiorente in tutte le terre di Ellania.
In una delle stanze dormiva un giovane che venne svegliato dal primo raggio di luce. Era un giovane elfo, l'ultimo della sua specie, alto e robusto. I suoi capelli erano lunghi e castani scuro, alcune ciocche tendevano ad essere talmente nere che da lontano pareva di vedere un tronco d'albero. Il giovane elfo aprì i suoi occhi verdi come le fronde degli alberi, scese dal letto in ferro battuto e andò alla finestra: vide che il sole era sorto ed illuminava il paese in cui era cresciuto. Il paesaggio si presentava bianco, la neve copriva di almeno un metro le case e le strade. Il paesaggio candido contrastava la natura degli abitanti, le cui anime erano rigide come il ferro e non coglievano più di tanto la bellezza della natura.
Ai piedi del letto vi era una cuccia di ferro con cuscini soffici e bianchi. Nella cuccia, vi era una cagnolina che dormiva appallottolata. Quando il giovane elfo si alzò, la cagnolina sbadigliò e si stiracchiò. Era una cagnolina dal pelo lungo beige, bianca sul petto e sulle zampe, sul collo e sul muso era nera, la coda lunga era bianca come una banderuola. Dopo essersi stiracchiata guardò assonnata il giovane e tornò a dormire.
Nonostante all'aperto facesse freddo, il giovane elfo sentiva un bel calore e appoggiò la mano destra sul muro mentre continuava ad osservare il paesaggio dalla finestra: pian piano che la mano si avvicinava al muro sentiva che il calore diminuiva fino a quando non toccò il freddo ferro. All'improvviso un raggio di sole lo accecò e si portò entrambe le mani agli occhi, in quel momento il muro riprese ad emanare calore. Il giovane elfo si voltò verso il letto e sorrise: era sempre stato orgoglioso del suo letto in ferro battuto che si costruì quando era ancora un bambino. Era un letto semplice, la testiera era costituita da due tubi laterali che sostenevano una canna orizzontale in cima e uno a metà dei due laterali, i piedi del letto erano fatti anch'essi da due tubi verticali che terminavano con quattro piedini rotondi, uno per gamba. Il materasso di piume era sostenuto da una rete metallica fitta intrecciata a mano che si congiungeva alla testiera e alle gambe del letto con dischi metallici.
Il giovane elfo corse all'armadio davanti al letto, prese un paio di pantaloni di cuoio e la sua casacca verde preferita, li indossò in fretta e prese i suoi stivali di pelle fino al ginocchio con all'interno il pelo. La cagnolina lo guardò ancora assonnata:
-Dai Carin! Andiamo!-. Lentamente la cagnolina si alzò, si stiracchiò e sbadigliò, infine seguì il giovane elfo. Egli corse fuori dalla stanza, percorse il corridoio che portava alla Sala del Trono e si fermò. Sbirciò nella sala, Carin aspettava poco più lontano il segnale del padrone, il giovane elfo vide che la sala era vuota, allora riprese a correre per raggiungere il grande portale d'ingresso della Fornace.
-Si può sapere dove vai?-, il giovane elfo si bloccò nell'istante in cui sentì la voce, le sue mani erano in procinto di aprire il portale e lentamente si voltò.
-Drystan, allora, mi dici dove vuoi andare?-, il giovane guardò il trono. Non si era accorto che vi era qualcuno seduto nella penombra.
-Atrix, c'è il sole finalmente e...- non sapeva cosa dire- e volevo andare nella foresta di Entex ad allenarmi con la spada!-
-E di grazia Drystan, dove è la tua spada? Io non la vedo con te.-
Drystan si accorse che la sua bugia era stata scoperta e chinò il capo: -Ecco, vedi...-, l'uomo seduto sul trono disse:
-Va' da Betrix e prenditi un pezzo di pane per colazione e poi vai pure dove vuoi. Ma torna tra due ore che devi fare l'allenamento. Oggi non sarò tanto buono.-
-Grazie.-, l'uomo si alzò dal trono e Drystan poté vedere bene Atrix: era un uomo vecchio ma ancora molto robusto, la sua barba bianca gli toccava il petto ed era così folta che non si vedevano le labbra. In quel momento la luce del sole raggiunse l'uomo e il giovane elfo poté vedere come la testa calva del vecchio luccicasse. Atrix indossava una tunica in pelle con rivestimenti in pelliccia grigia. I suoi occhi erano piccoli, azzurri e incassati. Le rughe erano diffuse in tutto il viso. Notò, inoltre, che in mano il vecchio teneva una spada e la riconobbe subito: era la sua spada.
Quando Atrix imboccò il corridoio, Drystan e Carin uscirono dal portale: nonostante la neve, si potevano intravedere i dettagli delle case. I balconi erano piccoli e in ferro battuto, i tetti spioventi erano tutti innevati, le porte in ferro erano riccamente decorate con schemi geometrici. La strada principale scendeva per il pendio della montagna ed era costituita da gradoni bassi, ai lati vi erano stradine che conducevano alle abitazioni. Drystan percorse la strada principale innevata e inciampò cadendo: c'era così tanta neve che era difficile individuare gli scalini. La sua faccia si riempì di neve, si alzò e si scrollò la neve dalle vesti e dal viso. Poi imboccò una stradina a sinistra ed entrò nella prima casa. Appena aprì la porta, il suo stomaco borbottò per la fame. Carin rimase fuori a scavare nella neve, di lei si vedeva solo la lunga coda bianca che scodinzolava.
All'interno c'era una donna di una certa età dai capelli bianchi raccolti in una crocchia, molto robusta, indossava un camice bianco e le guance erano sporche di farina.
-Buongiorno Giovane Elfo.-
-Buongiorno Betrix, c'è un po' di pane?- la donna sorrise.
-Sei uscito di nuovo senza fare colazione. Ogni volta che c'è il sole tu dimentichi di mangiare. Non cambierai mai!-.
-Il sole mi attira come una calamita- disse Drystan avvicinandosi al bancone, dove era appoggiato un vassoio con alcuni panini appena sfornati.
-Tieni! Sei l'unico a Rantes che è così attratto dal sole- e gli diede un sacchetto con due panini, -Sarà perché sei un Elfo!-.
-Grazie. Poco importa, sono l'ultimo della mia razza. Con me finiranno coloro che amano il sole-.
-Ricordati le mie parole, Giovane Elfo: tu sei l'ultimo Elfo, ma con te non finirà la tua razza.- Drystan guardò Betrix stranito, non capì per quale motivo la donna gli avesse detto quella frase, salutò e si voltò.
-Salutami Atrix, re degli Armaioli Leggendari-.
-Lo farò- ed uscì dalla casa per immettersi nella strada principale. Iniziò a correre insieme a Carin mangiando un panino. Gli abitanti erano tutti svegli e cominciavano a lavorare: c'era chi andava alla Fucina, chi nella foresta di Entex, chi spalava la neve, chi andava in miniera. Gli abitanti che si dirigevano verso la Fucina faticavano a salire a causa della neve, nonostante fossero abituati, alcuni trasportavano grosse quantità di ferro provenienti dalla miniera attraverso un sistema di carriole che trascinavano all'interno della Fucina. I fabbri portavano i propri strumenti di lavoro affondando pesantemente i piedi nella neve ed entravano nella Fucina. Chi si dirigeva verso le miniere attraversava Rantes orizzontalmente, entravano nella miniera posta sul lato della montagna. L'entrata era un grosso buco che conduceva, attraverso vari cunicoli, nell'interno della montagna dove veniva estratto il ferro. Gli abitanti che si dirigevano verso la foresta di Entex seguivano la strada percorsa dal giovane elfo, che scendeva per il pendio.
Drystan giunse alle mura: erano massicce ed alte con torrioni grigi imponenti che permettevano di vedere oltre la foresta di Entex. Uscì dalle mura di ferro e la neve non c'era più. Si estendeva la foresta di Entex con i suoi profumi e il suo clima mite: il mistero e la magia aleggiavano nella foresta, perché ogni volta che un albero veniva abbattuto ne cresceva un altro, mantenendo inalterato l'equilibrio della natura. Ogni creatura viveva in armonia, gli animali crescevano e si moltiplicavano rispettando sempre le regole imposte dalla natura. Ogni linfa vitale esistente nella foresta di Entex si sottometteva alla magia più alta e potente conosciuta. Gli altri alberi erano tutti in fila precisi, alla base ogni tronco era deformato, creando una sorta di C verso destra. Tutti gli alberi presentavano quella caratteristica, tutti nella stessa direzione: la leggenda vuole che durante la Guerra dei Popoli, sulla foresta si abbatté una forte nevicata, un evento estremamente raro, che modificò i tronchi.
Drystan entrò nella foresta, gli alberi cominciarono a muovere le fronde ed alzare e ad abbassare le radici in segno di saluto al giovane elfo. Ciò accadeva da sempre, era l'unico in tutta Rantes che riceveva il saluto della foresta. Nessuno gli aveva mai spiegato il perché, nemmeno Atrix, per quanto Drystan gli chiedesse il motivo di tale evento.
Drystan si inoltrava sempre più nella foresta, aveva già finito il primo panino e cominciava il secondo quando qualcuno lo salutò:
-Buongiorno Giovane Elfo!-. Egli rispose con un cenno della testa. Erano due armaioli pronti ad abbattere un albero. Ora si trovava in mezzo alla foresta di Entex, immerso nella natura. Si sedette nei pressi di un albero, era talmente immerso nei suoi pensieri che non si accorse che Carin era seduta davanti a lui e fissava il panino. Ogni tanto, Carin faceva qualche passettino in avanti per mangiare il panino.
Gli alberi si muovevano continuamente, alzando ed abbassando le radici, muovendo i rami e le foglie, come se volessero parlare con il giovane elfo. Da bambino parlava e giocava con loro, gli alberi gli donavano i loro frutti che lui mangiava o portava a casa mostrandoli poi ad Atrix:
-Guarda Atrix! Me li hanno dati gli alberi. A te li hanno mai dati?- Atrix lo guardava perplesso e preoccupato, ma poi gli faceva un piccolo sorriso scuotendo la testa e gli accarezzava i capelli.
Ridestato dai suoi ricordi, il giovane elfo si incamminò verso la città. Entrato nella Fucina, Atrix lo fermò:
-Avremo ospiti domani.- Drystan guardò il suo mentore sbalordito. -Avverti Thomas, dovrà aiutarmi.-
-Posso aiutarti io.-
-Assolutamente no. Tu continuerai come se niente fosse. Anzi, andrai nella foresta a dare una mano ai falegnami e poi sostituirai Thomas. Non ti voglio in giro domani, chiaro?- Drystan notò subito che Atrix era infastidito e preoccupato per l'arrivo di questi ospiti misteriosi, fece un cenno con la testa e raggiunse Thomas riferendo il messaggio.
Thomas andò immediatamente da Atrix, lasciando Drystan a supervisionare i lavori nella fucina.
Il sole calò alle spalle della montagna, Thomas e Drystan andarono alla Mantice per passare qualche ora libera. Quasi tutti gli uomini erano presenti nel locale, a parlare, fumare e bere grandi bicchieri di birra scura. I due si sedettero al bancone e ordinarono due birre, Thomas estrasse la pipa:
-Chi viene domani?- Thomas puliva la pipa, prese il tabacco dalla giacca:
-Atrix non ti ha detto di non preoccuparti?-
-Dai Thomas! Sono l'unico che non sa chi arrivi domani. Perché non lo posso sapere?-
-E va bene, ti accontento: arriva la regina delle fate, Saeg.- Thomas si mise la pipa in bocca e la accese.
-Le fate a Rantes?- Drystan era visibilmente emozionato.
-Calmati! Tu domani non le vedrai. Atrix te lo ha proibito.-
-Ma perché?-
-Sai anche tu come è fattoAtrix. Conoscendolo, cambierà idea e ti presenterà alla regina. Dopotutto, seiil suo erede. Ma domani ti consiglio di obbedirgli e di non innervosirlo più diquanto già non lo sia.- Thomas sbuffò una nuvola di fumo -ora beviamo eparliamo d'altro.-
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