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Prologo

Brixton (UK), 28 gennaio

"Non fare passi falsi e attieniti al piano. Tutto andrà per il meglio"

Il suono dei clacson sembrava non infastidire affatto Sam. Era concentrato come ogni volta che doveva compiere qualcosa di pericoloso o di importante.

Aveva alzato il cappuccio della felpa per coprirsi dalla lieve pioggia di quella sera, mentre filava dritto tra la poca gente rimasta in strada. Di solito, a quell'ora, erano poche le persone che decidevano di restare fuori e coloro che lo facevano passavano le proprie serate in bar o locali della zona.

Il suo passo era pacato e un po' distratto. Camminava con le spalle ricurve, il suo classico atteggiamento da quando, a tredici anni, aveva iniziato a crescere troppo in fretta.

Le luci dei negozi cominciavano a spegnersi una dopo l'altra, ma Sam non ci faceva caso. Quel pomeriggio, quando il suo amico Brandon gli aveva spiegato i dettagli del piano, lui aveva iniziato a intuire che quello sarebbe stato un colpo grosso.

Era la prima volta che gli veniva assegnato un incarico così grande. Sam era il più giovane tra i membri della Letrak Crew e aveva sempre avuto un ruolo marginale. A questa cosa, però, non aveva mai dato molto peso. Non aveva manie di arrivismo: gli bastava ciò che aveva, o meglio, gli bastava riuscire a incrementare le entrate della sua famiglia.

Brandon non era stato chiaro riguardo il contenuto di ciò che stava per rubare, ma lo aveva istruito su ogni singola mossa da compiere. Gli aveva mostrato una piantina e aveva segnato in rosso il percorso sino all'ufficio in cui avrebbe trovato la piccola scatola metallica.

Sam stava ripetendo quei passaggi nella sua testa, cercando di figurarsi il luogo quanto più realmente possibile. Le mani avevano iniziato a sudare, nonostante le temperature fossero quasi vicine allo zero. Man mano che svoltava lungo le strade del quartiere e si avvicinava all'indirizzo consegnatogli, la concentrazione lasciava spazio alla tensione.

Brandon aveva avuto cura di spiegargli ogni cosa, proprio perché sapeva quanto il suo amico fosse poco reattivo ai cambiamenti improvvisi. Sam non agiva mai se non aveva un piano ben preciso e in quel momento stava sperando che tutto filasse liscio.

Il palazzo davanti a cui si arrestò era composto da tre piani. Le vetrate erano completamente buie, segno che all'interno non vi fosse più nessuno. In quella parte di strada c'erano soltanto lui e due ragazzini, troppo impegnati a strusciarsi l'uno contro l'altra su una panchina per potersi accorgere della sua presenza. Senza indugiare, fece il giro del palazzo e si avvicinò alla porta secondaria descritta dall'amico. Aveva studiato così bene le coordinate che non gli sarebbe servito nemmeno tirar fuori la piantina segnata dalla calligrafia infantile di Brandon.

Con la copia delle chiavi che i Letrak si erano procurati, aprì la porta senza sforzo ed entrò nel palazzo.

C'era parecchio buio nel corridoio, ma pian piano i suoi occhi si abituarono all'oscurità. Sam procedette cauto, con la coscienza di avere piena padronanza di quel posto. Ci era stato una sola volta fisicamente, quando a scuola era stato scoperto a fumare erba nei bagni, ma quel pomeriggio aveva visualizzato così bene quel luogo che non poteva sbagliarsi per nulla al mondo.

"Due volte a sinistra, sali le scale, poi la porta in fondo al corridoio. Non puoi sbagliarti, è l'unica con la targhetta metallica". Le parole di Brandon gli risuonavano nella testa insistentemente, tanto che si ritrovò a sussurrarle tra le labbra.

Ogni spazio di quell'edificio era fastidiosamente silenzioso e Sam cercava di concentrarsi sul rumore dei suoi passi, tenendo un'andatura quanto più piatta possibile. Un qualsiasi suono improvviso lo avrebbe destabilizzato. Per fortuna non ci furono disturbi di alcun genere e si ritrovò nel corridoio al primo piano ancor prima di rendersene conto.

La porta in fondo. In testa aveva solo quella e stava cercando di figurarsela così bene che, quando vi si trovò davanti, non se ne rese ne-mmeno conto. Sam fece qualche passo indietro, appena i suoi occhi captarono la targhetta inchiodata sulla porta in legno. Con tocco leggero tirò verso il basso la maniglia e si introdusse nella stanza.

La finestra posizionata sulla parete opposta permetteva alla luce della sera di entrare e rendere la ricerca della famigerata scatola un po' più semplice.

L'unico punto su cui Brandon era stato lacunoso era infatti il luogo esatto in cui poter trovare il bottino.

"Sta tranquillo però, una volta che sarai lì dentro il gioco è fatto. Di solito questi luoghi hanno pochi mobili e mille dannate scartoffie". Sam aveva annuito, forse troppo preso dalla parte iniziale del piano, per rendersi conto di ciò che veniva dopo.

In realtà, l'ufficio non era molto grande e gli permetteva di avere un campo ristretto in cui cercare.

Decise di iniziare dallo schedario posto accanto alla finestra. Ne aprì i cassetti, trovandoci dentro solo una pila di inutili cartellette stracolme di fogli. Non guardò negli altri due in basso: sapeva che ci avrebbe trovato le stesse identiche cose.

D'accordo, mi restano ancora la scrivania e la libreria. Il pensiero era lucido e calmo, e questo perché aveva ancora delle opzioni. Sam si spostò alla scrivania e tastò sotto di essa per cercare la chiave dei cassetti. Non c'era.

Perché non potevano essere più prevedibili?

Mosso dalla preoccupazione, svuotò frettolosamente il portapenne e il raccoglitore, perfettamente allineati sulla superficie in legno. Le mani si mossero veloci tra la confusione di fogli e cancelleria che aveva creato, finché i polpastrelli non tastarono qualcosa di freddo.

Gli ci volle un attimo per sentire finalmente un senso di sollievo nel petto e vedere la piccola chiave spuntare fuori. Sam sorrise tra sé e sé, prima di aprire i cassetti della scrivania. Nel primo ancora fogli, nel secondo un paio di ricambi per stampanti, ma nel terzo... ecco che nel terzo venne fuori la scatola metallica.

La prese e la portò sulla scrivania. Era così nuova e intatta che dovette chiudere gli occhi a causa del riflesso della luce che proveniva della finestra. Su di essa c'era un logo, un'immagine che non gli era nuova, ma che in qualche modo non riusciva a ricollegare a nulla. Forse, quando lo aveva visto la prima volta era stato troppo distratto per poterlo associare, adesso, a qualcosa che non fosse il piano dei Letrak. Sam si ritrovò a rimuginare sul perché di quella scatola un po' troppo, tanto che dovette scrollare la testa dai suoi pensieri e affrettarsi a mettere tutto in ordine.

Quando ogni cosa tornò al suo posto, prese il cellulare dalla tasca e compose il numero di Brandon. L'amico rispose dopo il primo squillo.

«Sam! Tutto bene?» La voce di Brandon suonò alta dall'altro lato del ricevitore

«Tutto secondo i piani. L'ho presa!» disse con tono fiero.

«Amico, sapevo che potevo fidarmi! Quando vuoi sai essere uno con le palle.» Brandon ridacchiò. «Ora dove sei?»

«Sto uscendo, due minuti e sarò fuori di qui.» Sam si avvicinò alla porta e abbassò nuovamente la maniglia. «Dimmi dove devo lasciarla.»

«Una volta che sei fuori di lì vieni al Giggle, ti ricordi è quel posto con quelle ragazze, quelle che...» la voce di Brandon si interruppe immediatamente appena aprì la porta. L'amico stava ancora parlando, ma lui non lo sentiva più. A pochi metri, un uomo alto e squadrato lo stava osservando minacciosamente.

* * *

Qualche ora più tardi, nella piccola stazione di polizia del centro città, Sam si guardò istintivamente i polsi, sentendo il freddo metallico delle manette sulla pelle. Era la prima volta che gliele stringevano ai polsi, trattandolo come un qualsiasi ladruncolo di quartiere. «Hai diritto ad una telefonata» annunciò il poliziotto di turno, costringendolo ad alzare lo sguardo verso di lui. Gli aveva tolto le manette, ma solo per quella chiamata di routine.

Sam lasciò la panca bianca e gelida e, con estrema riluttanza, si avvicinò al telefono da parete della stazione. Guardò per un attimo la cornetta nera e la trovò un bel po' usurata per il contesto. Chi diamine avrebbe dovuto chiamare?

Per quanto fosse difficile, voleva lasciare fuori da quel casino sua madre e Maylor. Ne sarebbero venute di sicuro a conoscenza, ma voleva ritardare quanto più possibile la cosa. Un arresto, o peggio ancora, la galera, erano dettagli abbastanza difficili da nascondere.

Poteva chiamare Brandon. E in questo modo coinvolgere i Letrack? No, quella era davvero l'ultima delle sue opzioni. Gliel'avrebbero fatta pagare non appena ne avessero avuto l'opportunità, di questo ne era certo.

Mentre vagliava le poche possibilità che gli erano rimaste, Sam fu come fulminato da un'idea.

Quanto tempo era che non lo sentiva? Chiamarlo in quel momento significava fargli capire che non ce l'aveva fatta?

Riluttante e forse anche spaventato all'idea delle conseguenze, compose il numero che aveva cercato in tutti i modi di dimenticare.

Ci furono tre squilli prima che Adam rispondesse.

«Pronto?»

«Ciao Adam, sono Sam».

«Sam ciao! Tutto bene? Di chi è questo numero?» La voce di suo fratello era udibilmente sorpresa.

«Sono alla stazione di polizia. Credo che vogliano arrestarmi.» tagliò corto.

Ci fu un attimo di silenzio prima che Adam rispondesse. «Cosa è successo?»

Si aspettava una reazione molto più aggressiva, invece lui era rimasto calmo, come ogni dannatissima volta in cui c'era un problema.

«Ho rubato una cassetta...non so cosa ci fosse al suo interno...» Sam si sentì terribilmente ridicolo: stava servendo la sua sconfitta su un piatto d'argento.

«Io posso venire lì. Lasciami controllare un attimo i voli».

Che ore erano a Malmö? Non era mai stato bravo in geografia, ma da quello che ricordava dovevano essere circa un'ora avanti.

«Non importa, non scomodarti. La chiamata era tipo obbligatoria e non volevo allarmare mamma e Maylor». Per quanto si fosse sforzato, non avrebbe mai accettato che suo fratello tornasse a casa per rimettere tutto a posto. Quello era il suo compito e non di Adam.

«Sam non fare il bambino» lo canzonò lui, dandogli conferma di aver fatto una gran cazzata a chiamarlo.

«Appunto. Vedrò di sbrigarmela da solo» concluse e, senza attendere risposta, riagganciò la cornetta.

Intanto, il poliziotto era ritornato nella sala.

«Verrà qualcuno?» gli chiese con noncuranza.

«No» rispose senza alcuna inclinazione nella voce.

«D'accordo. In ogni caso, dovrai aspettare qui, almeno finché non riusciamo a contattare il proprietario della cassetta».

Sam si rimise a sedere senza aggiungere nulla. Il poliziotto gli si avvicinò e strinse nuovamente le manette attorno ai suoi polsi.

Sarebbe stata la notte più lunga della sua vita.

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