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Robin Frijns #3

(18+)

C'è una vita
e c'è una morte,
e ci sono bellezza
e malinconia
in mezzo.

A.C.

Guardo verso il sole attraverso le lenti dei grandi occhiali che mi coprono una parte del viso, aspetto. I cancelli si aprono e insieme ad altre persone, per lo più uomini, entro in quella che mi hanno detto che si chiama la corsia dei box. Guardo in alto sopra i garage e non molto lontano da me vedo il suo nome sul tendone bianco. Robin Frijns. Mi guardo intorno mentre cammino in quella direzione, lo sguardo che si ferma sul tetto della tribuna di fronte ai box, dall'altra parte del rettilineo principale. Il posto ideale. La valigetta nera attira qualche sguardo, ma mai quanti ne attira il mio tubino rosso di PVC, forse troppo corto, insieme agli stivali neri, alti fino sopra il ginocchio. Aprile. Roma. Ripenso al viso del mio cliente, al quale avrei voluto spaccare il naso solo per il sorrisetto che ha fatto quando mi ha dato l'incarico, allungandomi la foto di chi non sopportava più. Guardai la foto senza emettere un fiato, il viso disteso in un espressione seria. Gli dissi che accettavo. Quella sera, in camera, guardando la foto di quell'uomo mi chiesi che cosa avesse potuto mai fare al mio cliente perché lui decidesse di condannarlo a questo destino. Ma i sicari non si fanno domande. Eseguono gli ordini e vengono pagati per farlo. Mi siedo sul muretto di fronte al box della mia vittima, a circa dieci metri dall'ingresso, e non molto tempo dopo, inizia un acceso via vai di uomini. Poso la valigetta sul muretto e la apro, prendendo il computer. Lo sistemo sulle mie gambe e richiudo la valigetta, nascondendo anche il doppio fondo che custodisce il mio amato Theo, il fucile di precisione nero. Mentre aspetto che si accenda il computer continuo a osservare le persone attorno a me, gli occhi nascosti dagli occhiali da sole, senza badare a quanti ancora guardano nella mia direzione, incapaci di controllare una cosa banale e stupida come un'erezione. Ovvio. È questo l'effetto che faccio agli uomini. Nessuno si aspetta che la morte arrivi per mano di una donna vestita da puttana. Nel momento in cui il mio computer decide che è ora di far girare i criceti sulle ruote, lo vedo. Ha gli occhiali da sole anche lui, la maglia tecnica, la tuta legata in vita, e le cuffiette nelle orecchie. Alto più o meno come me, capelli biondo cenere e una grinta che non ti aspetteresti da un visino angelico e un atteggiamento pacato come il suo. Lo lascio per un po' alle sue faccende, mentre osservo i suoi ultimi spostamenti sullo schermo del computer. Tabulati telefonici, transazioni della carta di credito, persino quante volte al giorno controlla il suo cellulare. Ora che so che è uno dei più tranquilli che ho mai trattato, posso concedermi il lusso di non controllare le telecamere dell'albergo in cui soggiorna per capire come si muove. Una notifica sul mio cellulare mi distrae dai miei file sul computer, lancio uno sguardo nella direzione in cui l'ho posato, sulla mia destra.

Entro il prossimo weekend.

È il mio cliente, che ci tiene a vedere il lavoro portato a termine prima di averlo di nuovo in mezzo ai piedi, come ha detto lui, ad Assen il prossimo weekend. Non gli rispondo, non rispondo mai ai miei clienti, se non quando il lavoro è finito. Guardo il finto pass che ho al collo, quello costruito ad hoc per il weekend dall'hacker più in gamba che conosca, e lo rigiro tra le mani, guardandolo per la prima volta davvero. Sul retro, una scritta recita che sono ospite del box della Envision, che è la scuderia di Robin. Devo trovare qualche scusa plausibile per convincerli di non essere una minaccia, così cerco su internet chi potrei impersonare senza problemi. James Mercer sembra quello più appetibile, potrei fingermi una sua nipote sperando di non incontrarlo oggi nel box. Mi guardo ancora un po' intorno, cerco di scorgere all'interno se il mio uomo è ancora in vista ed eccolo, Robin, che si sistema la tuta infilandosi le maniche e tirando su la zip. Scendo dal muretto, recuperando la valigetta e sistemando un po' il vestito, prima di dirigermi verso il box dell'olandese. È tempo che io entri in scena.

Non passa nemmeno mezza giornata che riesco a guadagnarmi la fiducia di tutta la squadra, Robin compreso. La copertura funziona, e James sembra che non si farà vivo per tutto il weekend, tutti mi credono sua nipote e devo ammettere che il nome Rachel non mi sta per niente male, inoltre nessuno sembra aver notato il mio lieve accento russo che potrebbe tradire la mia copertura. A fine giornata ottengo esattamente quello che volevo, un invito a cena da parte di Robin che ha fatto seguito a una valanga di apprezzamenti da parte di tutti, quando hanno saputo che "sono" la nipote del direttore commerciale si sono autoimposti il controllo, per non rischiare di finire nei guai con lui per aver fatto un complimento di troppo nei miei confronti.

Mi sistemo la gonna del vestito nero, lungo fin sopra le ginocchia, sotto la cui gonna per abitudine nascondo una fascia che tiene fermo un coltello con una lama relativamente corta, ma non lo ucciderò, almeno non stanotte. Non potrei mai negare a Theo il suo compito preferito, prendere la vita di un altro uomo e aggiungerla alle innumerevoli che già insieme abbiamo fatto finire. Lo specchio riflette la mia figura, la cascata di capelli color cioccolato che mi copre la schiena e le spalle finalmente ha il senso che volevo darle appena uscita dalla doccia. Controllo il trucco, infilo i tacchi, scendo nella hall dell'albergo, "dimenticando" la giacca. L'aria è ancora fresca di sera, nonostante di giorno faccia più caldo. Ho lasciato Theo da solo, nascosto nel doppiofondo della valigia, e la lama che mi preme sulla gamba inizia a essere fastidiosamente fredda. Lo vedo, fermo davanti a una finestra della vetrata della hall, perso nei suoi pensieri, il busto intrappolato in una giacca nera appena aderente, che mette in risalto le sue spalle e il punto vita. So esattamente a cosa sta pensando in questo istante, conosco di lui praticamente ogni cosa, e il suo telefono è stato semplicissimo da hackerare. Non credete a chi dice che gli Apple sono un sistema chiuso. Appena vi connettete a qualche wifi libero iOS è vulnerabile come qualunque altro sistema operativo. Ovviamente sta pensando a Maike, non è un periodo facile quello che stanno passando. Sullo smartwatch mi arriva una notifica silenziosa, una leggerissima vibrazione appena percepibile, notifica che in quell'istante sento chiaramente arrivare anche sul suo cellulare nella tasca dei pantaloni. Alzo il polso appena per controllare, e ovviamente è la notifica di un messaggio da parte di lei, me lo segnala il software che uso per controllare i cellulari degli altri. Gli sta dicendo che non sopporterà ancora a lungo una questione del genere, e so che si sta riferendo al fatto che lui è sempre lontano da casa. Ho letto ogni messaggio. Abbasso il polso e lo schermo dello smartwatch torna ad essere nero. Maike non dovrà preoccuparsi ancora a lungo di Robin. Non tornerà mai più a casa.

Il ristorante, ovviamente, è stupendo. Non so esattamente cosa mi abbia spinto a usare questa tecnica per approcciare la mia vittima, non so come mai ho deciso di accettare di andare a cena con lui. So solo che in fondo questo è il posto nel mondo in cui vorrei essere adesso. Robin è dolce nelle sue parole, anche quando non si spreca in complimenti per me. Sorride poco, forse anche per via della questione aperta con Maike, mi guarda attento ai miei movimenti, mi racconta di lui senza scendere troppo nei dettagli.

"Come sei finita nel paddock?" mi chiede, cambiando discorso dopo qualche minuto di silenzio.

"Mio zio mi ha proposto di venire a provare l'esperienza, dato che mi piacciono i motori." mento, rigirando la forchetta te le dita, mentre i sottili spaghetti si arrotolano sui denti di metallo. La carbonara, a Roma, è semplicemente fantastica.

"Hai un auto preferita?" continua, impaziente di sapere i miei gusti. Scorro mentalmente l'elenco delle auto che ha avuto, sforzandomi di ricordare il modello della sua ultima Audi.

"RS6." mormoro, sperando di non aver sbagliato. Robin rimane piacevolmente sorpreso della risposta, tanto che sorride abbassando lo sguardo, e ho il tempo di dedicarmi alla prossima forchettata di carbonara.

"È la mia auto." risponde lui. Anche stavolta la memoria non mi ha ingannato. Quante cose ovvie mi sta dicendo stasera, nemmeno lo può immaginare. Se solo sapesse chi sono io in realtà, probabilmente niente lo tratterrebbe dal fuggire da questa sala all'istante. So di lui ogni cosa, e questo mi fa sentire tremendamente in colpa. Questo approccio con lui mi fa sentire in colpa, semplicemente per il fatto che la sua privacy per me non esiste, e per il fatto che dalla mia bocca esca una menzogna dopo l'altra. Il grado di parentela con Mercer, l'essere una modella, il vivere in Inghilterra, persino il mio nome. E mi dispiace per lui, lui che non sa che sono qui per ucciderlo. Lui che non sa nemmeno il mio nome. Natalia Ivanov. Sicario professionista. Il mio stomaco si stringe in una morsa che dura solo qualche secondo. Niente sentimenti. La conversazione continua su una classica direzione: i nostri gusti, la nostra vita, il lavoro, la famiglia. Non parla di Maike. Io, ovviamente, non gli faccio alcuna domanda sulla sua vita sentimentale, e lui ricambia la gentilezza. Lo guardo negli occhi verdi più del dovuto, più di quanto sia consono. Vedo il desiderio bruciare ardente nascosto dietro la barriera della gentilezza e della timidezza. Vedo quel suo carattere aggressivo che sfoggia in pista che si trasforma in brama di possedermi. Mi guarda senza essere in grado di controllare qualcosa che nemmeno lui sa che sta passando nei suoi occhi. Ed è quel suo sguardo, quello che mi fa vedere il leone che resta rinchiuso in gabbia per la maggior parte del tempo, che mi fa capire di lui un sacco di cose, tra le quali che Robin, quando vuole, a letto è un animale. E improvvisamente la mia mente e il mio corpo vogliono vedere quell'animale fuori dalla gabbia. Non sono mai stata davvero a letto con una delle mie vittime. Di solito, se si arrivava in camera, morivano prima di riuscire a spogliarmi. Eppure con Robin è diverso. Sto per ucciderlo, e lui nemmeno lo sa, perché dovrei privarlo dell'ultima scopata della sua vita? Non aspetto nemmeno che vengano a portare via i piatti, le parole escono dalla mia bocca come un fiume in piena, che non posso controllare.

"Se ti dicessero che questa è l'ultima notte della tua vita, che cosa faresti?" chiedo, aspettandomi solo il suo stupore in risposta alla mia domanda. Ma la sua testa che aveva abbassato appena per sistemare la forchetta nel piatto vuoto si rialza e vedo il suo sguardo ardente come carbone che sbriciola la barriera della gentilezza, senza lasciarmi ombra di dubbio.

È tutto incredibilmente senza freni, perché lui non se ne impone. Ho dovuto bloccarlo per l'attimo che serviva a liberarmi della fascia e della lama e gettarle lontane nell'oscurità della mia camera, ma dopo quell'attimo lui non mi ha quasi lasciato il tempo di respirare. Le sue labbra costantemente sulle mie, sul mio collo, le sue dita sul mio corpo ormai nudo, il suo respiro accelerato. Sotto le mie dita, il suo petto, leggermente scolpito, i suoi muscoli che si contraggono appena sotto il mio tocco delicato. Le sue gambe, tra le mie, e lui, dentro di me. Le sue spinte quasi selvagge, esattamente come me le aveva fatte intuire quel desiderio che balenava nei suoi occhi al ristorante, mi fanno gemere in modo incontrollato, facendomi quasi impazzire. Perché forse è lui che mi fa letteralmente impazzire. E lo voglio, lo voglio in un modo in cui non dovrei volerlo, e devo lottare con l'impulso di lasciare che i sentimenti prendano il sopravvento. No, non posso, questo non è amore, questa è solo una scopata. Non posso lasciare che lui abbia il controllo. Lo costringo a cadere sul letto e in un attimo sono addosso a lui, senza nemmeno separare i nostri corpi. Il ritmo che mi guida a muovermi su di lui è significativamente più lento del suo, ma non riesco a farne a meno, voglio sentirlo dentro di me. La domanda che non mi sono mai fatta nella vita affiora nella mia mente, mentre sotto le mie mani il suo petto si alza e si abbassa veloce, e le sue mi tengono ferma sopra di lui. Perché lui? Perché devo ucciderlo? Cerco di allontanare questo pensiero baciandolo in modo sconnesso, senza fermarmi, e mi accorgo che ora lui accompagna i miei gemiti con i suoi. È al limite, e anche io. Lo supera poco prima di me, e lo sento, il preservativo ora dà fastidio. Lo bacio di nuovo, dopo essermi bevuta la lacrima che mi è sfuggita, e le sue labbra mettono a tacere la mia parte umana, quella che mi urla di non ucciderlo, di lasciarlo vivere. Ma lui di quella lacrima, della scia umida che ha lasciato sulla mia guancia, non se ne accorgerà mai. Non posso mostrarmi debole, nonostante l'oscurità. Io non ho un lato umano. Lui deve morire.

Il tetto della tribuna leggermente inclinato verso l'esterno del circuito mi ripara alla vista delle persone giù nella pit lane. Il sole è scomparso dietro le nuvole questa mattina presto, e non tornerà prima di domani. Potrei giurare di sentire l'irrequietezza di Robin anche da questa distanza, venti metri abbondanti, so che mi sta cercando. Si guarda intorno in continuazione, cercando di farsi notare il meno possibile tenendo gli occhiali da sole sul naso, decisamente fuori luogo in questo momento. Lo tengo d'occhio attraverso il mirino di Theo, sdraiata a pancia in giù sul solettone in cima alla tribuna, che mi aggiorna costantemente sulla distanza tra me e la vittima sui cui sto puntando la mia arma. Ventidue metri e mezzo, ora che è dentro il box, davanti agli schermi, a parlare con i suoi meccanici. Ho ucciso da distanze maggiori. Lo vedo cercarmi, e quasi sembra che a un certo punto mi veda, salvo poi distogliere lo sguardo come se nulla fosse. Sono ancora nascosta alla sua vista. Afferro il cellulare quasi inconsapevolmente, cercando il suo numero tra i miei file, componendolo, e aspettando che lui risponda. Probabilmente ricorderò a lungo la notte quasi in bianco appena trascorsa. Le sue braccia attorno al mio corpo, quando poi mi sono concessa di addormentarmi accanto a lui, lasciando che lui rimanesse nella mia stanza. Quel suo profumo dolce, esattamente come lui, quelle sue labbra morbide, e la delicatezza delle sue dita mentre mi sfioravano il viso dopo avermi posseduta. Devo sentire la sua voce un'ultima volta, deve sapere la verità.

"Robin, sono Rachel." ho mezzo minuto per dirgli tutto quello che deve sapere su di me.

"Rachel, dove sei?" risponde, speranzoso.

"Scusami, non posso venire..." resto in silenzio per un secondo. "Robin, per favore, esci dal box, mettiti davanti alla parete, lontano dagli altri."

"Cosa? Com'è possibile? Mi stai spiando?" chiede, sbigottito.

"Fallo, per favore." lo vedo ubbidire attraverso la lente del mirino. Mentre si avvicina alla parete gli riverso addosso la verità. "Ti ho mentito, scusami, non sono chi credi che io sia. Il mio vero nome è Natalia, non sono la nipote di James, tutto quello che ti ho detto ieri sera su di me è falso, io... sono pagata per mentire." Robin si ferma davanti alla parete. La sua espressione è indecifrabile. Mi restano dieci secondi prima che traccino il mio telefono. "Mi dispiace, non sai quanto mi sia costato farlo... addio Robin." lo vedo alzare di nuovo lo sguardo per cercarmi, ma non guarda nella mia direzione. Le ultime due parole mi sono costate più fatica di qualunque altra cosa abbia mai fatto in vita mia. Sento ancora la sua voce che mi dice cose che non voglio sentire al telefono, mentre chiudo la chiamata. Lo guardo attraverso il mirino, continua a parlare al telefono, ancora non si è accorto che ho messo giù. Il pensiero di non vedere mai più quegli occhi verdi improvvisamente mi logora all'altezza dello stomaco in una maniera indicibile. Ma ho un compito da portare a termine. Nell'esatto istante in cui lui volta il viso verso il box, coprendolo in parte con il telefono, il mio occhio e il mio Theo mirano alla sua testa. E un attimo dopo, il mio indice preme sul grilletto, lo sparo è silenzioso, preciso, e letale. Il suo cellulare va in frantumi. Il suo sangue schizza la parete dietro di lui. I suoi capelli si macchiano di rosso scuro. Il suo corpo cade a terra privo di vita. E tutto intorno a lui si scatena il panico. Una lacrima silenziosa scende dal mio occhio sinistro, corre veloce giù per la mia guancia e cade sul tetto della tribuna. Niente sentimenti.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
C.P.

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