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Jean-Éric Vergne #3

(AU)

2075

La chiamarono la Mietitura.
Perché esattamente come negli Hunger Games di Suzanne Collins, fu un qualcosa che, una volta scoperto, divenne assolutamente inevitabile, che non guardava in faccia nessuno. Un qualcosa di talmente potente e letale che uccise tutta la popolazione sulla terraferma nel giro di qualche mese, risparmiando solo le navi militari sparse per gli oceani. Così i militari delle Marine di tutto il mondo, in servizio in quel periodo e quindi immuni al virus, rimasero gli ultimi abitanti della Terra, per un totale di circa 750 mila persone. Settecentocinquantamila persone, rispetto ai quasi otto miliardi del pre-pandemia, equivale a dire che il pianeta era praticamente inabitato. Quando tornarono sulla terraferma, un mese dopo che tutto il resto della popolazione fu scomparso, appresero che non c'era modo che il virus si diffondesse anche tra di loro ultimi rimasti. Vero, a terra le case e le strade erano piene di cadaveri, che non potevano essere toccati, perché il virus risiedeva sulla pelle e si trasmetteva nonostante le precauzioni, ma fu trovato il vaccino, tutti quelli rimasti furono immunizzati definitivamente e il pianeta fu riportato a uno stato di semi-normalità, si cominciò a ripopolarlo. Accadde tre anni or sono.

Per Alice, il mondo non è mai più tornato quello di prima. Ora vive in una casa al limitare di un bosco nel nord dell'Italia, a un paio di chilometri dal confine con la Francia, ma ormai i confini sono solo più un qualcosa di fittizio che qualcosa da rispettare veramente. I popoli si autogovernano, sono tutti militari, addestrati per rispettare gli ordini e le regole, non serve un capo e tantomeno delle autorità. Ha deciso che la vita in città non fa più per lei. Non ha più una famiglia e tantomeno degli amici, ogni tanto si riincontra con i suoi vecchi compagni di reggimento, poi tutti tornano alle loro vite normali. Si guarda intorno quando esce di casa, la brezza che odora di salsedine le scompiglia appena i capelli. I suoi occhi si fermano sul litorale a qualche chilometro da lei, dall'alto della sua collina vede le città quasi completamente vuote, la maggior parte degli edifici abbandonati che non verranno utilizzati per parecchi anni e che, molto probabilmente, cadranno in rovina prima che ciò avvenga. I suoi capelli rossi si spostano dietro la sua schiena mentre il vento continua a giocare in mezzo alle lunghe ciocche che lei spunta abitualmente pareggiandole il più possibile. Rintanata nella sua divisa testimone di anni di servizio, si incammina verso il bosco con il suo fidato arco e faretra piena di frecce attorno a una spalla. Ha imparato a cacciare, ma preferisce sempre prede piccole così da riuscire a portarle facilmente a casa, certo però non si tira indietro quando c'è da scendere in città a prendere quello che le serve, sia da mangiare che altro. Alice usa la caccia soprattutto come svago: è l'unico modo in cui riesce a liberare la mente dai suoi costanti pensieri dalla natura più svariata. Percorre quei pochi metri che la separano dal bosco e il fogliame la inghiotte nel suo verde manto, lasciando filtrare ogni tanto i raggi del sole che raggiungono il terreno e illuminano il sentiero con giochi di luce che ad Alice hanno sempre trasmesso tranquillità. Dopo qualche chilometro di camminata, decide di appostarsi in ascolto dei rumori che la circondano. Sfila silenziosamente l'arco dalla sua spalla, insieme a una freccia, le fa fare un giro completo tra le sue dita prima di incoccarla e nascondersi dietro a una roccia vicino a un albero. Resta in ascolto, il vento soffia leggero tra le foglie e il sottobosco, intorno a lei è tutto silenzioso e niente sembra intenzionato a diventare la sua cena. Controlla ogni ramo sopra la sua testa, ogni foglia caduta a terra, ogni tronco d'albero che vede dalla sua postazione, ma nessun movimento fuori dalla norma cattura la sua attenzione. Da una delle innumerevoli tasche della giacca della sua divisa mimetica prende quel piccolo pacchetto di cracker che si porta come d'abitudine quando va a caccia per i momenti in cui le viene fame, e decide che per ora si limiterà a guardarsi intorno mentre mette qualcosa sotto i denti. Mentre si rilassa appena, un piccolo pettirosso atterra non lontano da lei, cinguetta e saltella nella sua direzione.

"Vuoi qualche briciola?" sussurra, staccando un pezzo del suo cracker e sbriciolandolo nella mano libera. Non sa dove appoggiare le briciole, così tiene la mano aperta tesa di fronte a sé, e il piccolo uccellino fa un breve voletto per andare a posarsi esattamente sul suo pollice. Cinguetta contento prima di cominciare a becchettare le briciole dalla mano della ragazza. "Non hai paura degli umani." constata lei, sorridendo. Anche lui sembra quasi sorriderle quando rialza la piccola testa con il becco pieno di briciole, e quando le risponde con un piccolo cip gliene cade qualcuna. In lontananza Alice sente un ramo spezzarsi, calpestato da quella che subito le sembra la zampa di un animale molto grosso. Già in passato ha avuto a che fare con lupi e orsi, le sue frecce l'hanno salvata da morte certa, ma ha dovuto lasciare la carcassa nel punto in cui ha ucciso l'animale, nonostante gli anni di addestramento in Marina, di certo non poteva sollevare centinaia di chili da sola. Il pettirosso si volta nella direzione del rumore un istante prima di volare via, e lei si rialza subito, lasciando l'ultimo cracker sulla roccia contro cui si era appoggiata. Con la mano sinistra recupera l'arco e subito la destra trova la coda della freccia ancora ferma contro la corda, e subito la punta nella direzione in cui guardava il pettirosso, restando in ginocchio e ascoltando i rumori successivi. Man mano che passano i secondi riesce a rendersi conto che quello che cammina a non più di duecento metri da lì non è un animale, bensì sono passi umani. Si rannicchia contro la roccia, sempre all'erta, sempre con la freccia pronta, e il respiro sotto controllo. Chiunque sia nel suo territorio di caccia ora si avvicina a lei, ma ancora non riesce a vederlo. Si alza in piedi e si sposta velocemente dietro un albero a qualche metro da lì, avvicinandosi al rumore di passi che sente. Si sporge per osservare e finalmente, a circa cinquanta metri da lì, lo vede. Anche lui è vestito con la divisa, non sa ancora di che reggimento e di che nazione, ma lo vede chiaramente cercare con lo sguardo qualcosa. L'uomo, all'incirca sulla trentina, è alto, ha i capelli castani, lunghi appena fin sopra le orecchie e la barba curata, lunga solo un paio di millimetri. Alice rimane quasi incantata a vederlo, e più lui si avvicina meno lei sembra preoccuparsi di che minaccia possa costituire. L'uomo si sposta sul sentiero che lei aveva abbandonato poco prima, e Alice lo segue con lo sguardo e con la punta della freccia, seminascosta da dei cespugli. Quando è a una decina di metri di distanza la vede, la controspallina sulla divisa con un numero di stelle che ancora non riesce a contare, la bandiera francese sul braccio sinistro. "Fermo." lo intimida, e lui si ferma esattamente dov'è, guardandosi intorno con aria interrogativa, non vedendo nessuno. La lingua ufficiale del mondo ora è l'inglese, e Alice si rivolge anche a lui con quella. Esce allo scoperto sul sentiero, a cinque metri dall'uomo, tenendo la freccia puntata al suo cuore, senza smettere di guardarlo negli occhi, lui alza immediatamente le mani in segno di resa. La sua guardia si abbassa per un momento mentre legge il nome sopra il suo cuore. J.E. Vergne. "Identificati." continua, a voce appena più bassa.

"Maggiore Jean-Eric Vergne, Marina Militare Francese. E voi siete?" chiede, la voce tranquilla, sa che in fondo lei non gli farà nulla.

"Colonnello Alice Ferrari, quinto battaglione della Marina Militare Italiana. Cosa ci fate qui?" Lui subito le fa il saluto militare, la mano portata alla fronte, sarà anche di una altra Marina ma è comunque un suo superiore. "Riposo, Maggiore. Rispondete alla mia domanda." Alice abbassa l'arco e rimette la freccia nella faretra dietro alla sua schiena: la caccia per oggi dovrà essere rimandata.

"Stavo solo camminando per i boschi e speravo di trovare qualcuno, così che mi desse indicazioni per tornare in Francia."

"Siete perduto quindi?" Jean sospira, Alice lo vede guardare la vegetazione attorno a loro con aria sconsolata.

"Diciamo di sì."

"Siete fortunato, venite con me, vi ricondurrò in patria attraverso strade più semplici." Alice si volta, ma non sente subito i suoi passi dietro di lei, salvo poi sentirlo muoversi non appena lei si allontana un po' di più. La camminata dura un po' e Jean segue Alice sempre più o meno a una ventina di passi di distanza.

"E voi, Colonnello, perché siete nei boschi, se posso chiedere?" la domanda arriva quasi senza preavviso, ma non lascia Alice stupita, in fondo se lo aspettava che lui glielo avrebbe chiesto prima o poi.

"Nel tempo libero esco a cacciare." Alice si volta, senza smettere di camminare, i capelli che assecondano i movimenti della sua testa. "Maggiore, non state indietro, avanzate." sorride per un istante e lui la raggiunge, camminando a fianco a lei. I passi di entrambi sono lenti ma decisi, le foglie frusciano sotto le loro scarpe e il vento scompiglia appena i capelli di Alice, che subito li risistema dietro un orecchio. "Raccontatemi qualcosa di voi." Jean per un attimo rimane spaesato, non è più abituato a raccontare di sé a qualcuno, non dopo aver saputo che tutti i suoi amici, civili, se li era portati via la pandemia anni prima.

"Ero di stanza al largo dell'India quando ci dissero del virus, e ci proibirono di tornare sulla terraferma." il francese non sa esattamente cosa lo spinga a iniziare il suo racconto proprio da quello, ma probabilmente è la cosa meno personale che ora riesca ad articolare in un discorso. "Casa mia era Parigi, ma quando tornai sul continente me ne andai. Ora vivo a Monaco."

"Anche voi avete cambiato vita quindi..." Alice sorride, ripensando alla sua vecchia casa. "Io abitavo a Firenze prima della Mietitura. Penso che tutti abbiano deciso di andarsene in qualche modo." il bosco presto lascia spazio al prato dietro casa di Alice, e i due escono dalla vegetazione, il sole è sul punto di tramontare e lei sa già che non ha più possibilità di accompagnarlo in Francia.

"Siamo parecchio lontani dalla costa..." Jean è perplesso, non credeva di aver camminato così tanto.

"Perché avete deciso di avventurarvi per i boschi?" il tono di Alice non è di rimprovero, ma ci si avvicina parecchio, mentre ormai è sulla porta di casa. "In ogni caso da qui a Monaco ci vorrebbe troppo, dormirete qui stanotte, vi accompagnerò là domattina." Alice apre la porta e invita l'uomo a entrare.

"Avevo solo intenzione di esplorare i dintorni, forse mi sono spinto un po' troppo in là." Jean entra con discrezione in casa di Alice, è una bella villetta a un solo piano, due camere da letto, bagno e open space. Si guarda intorno mentre lei si muove per casa, mentre posa in un piccolo stanzino l'arco e la faretra e si toglie le scarpe, prima di spostarsi in quella che Jean identifica subito come camera sua.

"Fate come se foste a casa vostra." dice, intenta a togliersi la divisa, la porta socchiusa che dà sul salone, le spalle rivolte alla porta. Jean non ha molto di cui liberarsi, di certo non si aspettava di dover passare la notte a casa di un colonnello della Marina Italiana, ma se c'è una cosa che odia è che in casa sua si tengano le scarpe, e immagina che dia fastidio anche ad Alice, così si toglie gli stivali bassi della divisa, lasciandoli accanto alla porta d'ingresso. Il francese si volta verso la porta della camera di Alice, e nello spiraglio della porta la vede di schiena, coperta solo dall'intimo nero, ancora ancorata alle regole del servizio militare, i capelli rossi che le coprono metà schiena e che la scoprono rivelando il gancio del suo reggiseno quando si abbassa per infilare i pantaloni della tuta nera che usa per stare in casa. "Credo di avere qualcosa da farvi indossare da qualche parte, ma dovrete aspettare che io la ritrovi." Jean distoglie lo sguardo quando la sente parlare e si sente le guance andare a fuoco, sa che non avrebbe dovuto spiarla.

"Non preoccupatevi, non voglio arrecare troppo disturbo." Jean sorride, nonostante lei non possa vederlo. Alice si infila una felpa nera, apre l'armadio e inizia a cercare quello che sperava non dover tirare mai più fuori, le cose di suo padre. Le ha volute tenere per ricordo, solo un paio di maglie, le sue preferite, una felpa grigia e un maglione nero. Prende una maglietta e la felpa, ma si accorge che non ha nient'altro da dargli. Dal fondo dell'armadio recupera anche delle ciabatte rubate anni fa a un hotel in Svezia, e sorride al ricordo, prima di tornare nel salone.

"Ecco a voi Maggiore, nessun disturbo. Temo dovrete tenere il resto della divisa, non ho altro." ammette, porgendogli la roba.

"Non importa, avete fatto già più del dovuto. Se posso permettermi, datemi del tu." Alice sorride, abbassando lo sguardo.

"Va bene, fallo pure anche tu. Il bagno è da quella parte, ci sono degli asciugamani puliti sulla mensola, quella invece sarà la tua camera per stanotte." Alice indica il bagno e la camera degli ospiti a Jean, e si allontana verso la veranda in giardino. "Mi trovi in veranda." dice, voltandosi una volta sulla soglia della portafinestra, trovando Jean a guardarla con un piccolo sorriso in volto.

Alice si sta godendo le ultime luci del tramonto sulla veranda e quasi si dimentica dell'"intruso" in casa sua, beve a piccoli sorsi la sua birra direttamente dalla bottiglia quando Jean la raggiunge e si siede sulla poltroncina lasciata libera, dall'altra parte del tavolino basso che li separa. Guarda l'ora sul suo orologio, e Alice lo copia, le nove meno venti. Lo stomaco del francese si fa sentire molto poco discretamente, e Alice si mette a ridere di gusto.

"Perdonami, avrai fame, non ti ho offerto ancora nulla." la rossa si alza e rientra in casa, il sorriso che non intende abbandonare il suo viso. Si avvicina al frigo e apre lo sportello, in cerca di qualcosa che vada bene a entrambi.

"Alice, ti stai disturbando troppo." Jean in realtà non vorrebbe mostrarsi così tanto ingenuo nei suoi confronti, ma proprio non riesce a fare altrimenti: è da quando l'ha vista che dentro di lui si è come rotto quel muro che aveva attorno al cuore. Forse fa male a fidarsi di lei, in fondo lo sta semplicemente ospitando perché, idiota com'è, è riuscito a perdersi a due passi da casa sua ed è troppo tardi per tornare. Forse nemmeno avrebbe dovuto dirle di dargli del tu. Domattina probabilmente sarà anche l'ultima volta in cui la vedrà.

"Ti ho già detto di no, non preoccuparti. Devi pur mangiare, non esiste che tu rimanga a digiuno." sorride, mentre si mette ai fornelli.


Le stelle brillano incredibilmente vicine alla Terra stasera, o forse è solo un'impressione di Jean. La veranda di Alice, riscaldata il giusto dal sole della giornata, è immersa quasi completamente nell'oscurità, l'unica flebile luce che c'è proviene dalle piccole lanterne da esterno che lei ha piantato fuori in giardino tutt'intorno ai vetri della veranda.

"Nel bosco, mentre camminavamo, ho notato una cosa di te." Jean non sa da dove arrivi il coraggio che lo spinge a parlare, complice forse anche l'oscurità e il vantaggio che lei non riesca a vedere le sue possibili reazioni. "Sei molto aggraziata mentre cammini, per essere un militare."

"Oh..." Alice preferirebbe non ricordare, non dirgli nulla, ma in fondo lui è uno sconosciuto che ha incontrato per caso e che probabilmente non rivedrà mai più domani mattina, quindi decide che gli dirà solo una parte di verità. "Prima di arruolarmi ero una ballerina, e anche parecchio brava. Me l'hanno sempre fatta notare questa cosa, credo che sia un difetto che mi è rimasto da allora."

"Non è un difetto. Lo trovo molto bello invece. Ti distingue dagli altri, e dalle altre militari soprattutto. Fa di te quella che sei." Jean si volta verso di lei, e nella quasi totale oscurità la vede abbassare la testa, giocando con i lacci del cappuccio della sua felpa. "So che molto probabilmente ti dà fastidio che io parli di questo, ma è davvero una cosa molto tua. Non ti conosco, ma penso che non ti riconoscerei se non camminassi così."

Una cosa così futile e improbabile di me come il camminare lo attrae così tanto... "Sei una persona che nota molto i dettagli, vero?"

"Non mi è mai sfuggito niente né mai lo farà... sono come Sherlock Holmes, è la mia condanna." il francese si ferma a osservare il suo profilo appena illuminato dalla luce delle lanterne, il contorno del naso delicato e le labbra schiuse, i suoi capelli portati davanti alle spalle che coprono il contorno del suo seno... Jean si impone di distogliere lo sguardo, torna a guardare le stelle. Deve smettere di pensare a lei in quel modo, è solo una sconosciuta, ed entrambi sono militari, di due nazioni diverse, Jean non può permettersi una distrazione simile, non esiste che lui ceda così facilmente a una donna che ha appena conosciuto. Che ne è dell'uomo che faceva di tutto pur di non parlare dei suoi sentimenti, tantomeno dopo la Mietitura? Il francese non sa darsi una risposta. Si stringe nella felpa del papà di Alice, che gli calza a pennello, e solo ora sente un profumo molto particolare. La felpa era nell'armadio di Alice, separata dalle sue cose ma abbastanza vicina da prenderne una caratteristica unica. Ha il suo profumo, pensa il francese, e subito gli ritorna in mente quando, poche ore prima, aveva sentito il profumo di Alice invadergli le narici nel sottobosco, un attimo dopo che lei si era offerta di aiutarlo. I due rimangono in silenzio per un tempo indefinito, a guardare le stelle, mentre in lontananza, sulla costa, i lampioni illuminano le strade semi- deserte delle città. Alice si alza e raggiunge la portafinestra, appoggia una mano sullo stipite e guarda Jean che continua a guardare le stelle.

"Vado dentro, se vuoi restare fa' pure." Jean si volta verso di lei, e subito si alza a sua volta.

"No, ti faccio compagnia." rientrano in casa, Alice accende la lampada da pavimento che si staglia in un angolo del salone, immergendo la stanza in un calda luce gialla soffusa. Alice si raggomitola sul divano, a un'estremità, e Jean si siede dall'altra parte rispetto a lei.

"E tu, Maggiore? Sembri già sapere così tanto di me eppure io non so nulla di te." si stringe nella sua felpa nera mentre si rannicchia meglio contro lo schienale del divano, con le punte dei piedi a poca distanza dalla gamba sinistra di Jean.

"Prima di diventare militare non avevo amici, quindi diciamo che la leva mi ha fatto solo che bene, e non mi ha portato via nessuna amicizia. A leva finita, prima di essere arruolato in nave, ho conosciuto delle persone fantastiche, grazie a mia sorella. Lei correva in Formula E. La Mietitura si è portata via tutti, dal primo all'ultimo." Jean si ammutolisce subito dopo, abbassando la testa. Proprio non riesce a non pensare ai suoi amici e alla sua famiglia senza mettersi a piangere, così evita di continuare il discorso, anche perché il nodo che ha in gola glielo impedirebbe. Respinge a forza le lacrime che i ricordi gli hanno fatto salire agli occhi, è un uomo ed è un militare, non può permettersi di mostrarsi fragile, e improvvisamente si rende conto di quanto possa essere pericoloso parlare del suo passato a qualcuno. Alice nota la sua riluttanza, si sporge appena verso di lui e gli appoggia una mano sulla spalla, un gesto che stupisce Jean, la mano di Alice è delicata su di lui, si volta verso di lei e cerca i suoi occhi, e finalmente si accorge del loro colore: verde smeraldo.

"Se non te la senti di parlare non importa, non voglio forzarti." un sorriso amaro si forma sulle labbra del francese mentre abbassa di nuovo lo sguardo, sulle sue mani che non smette di tormentarsi. "Immagino che tu sia stanco, forse è meglio andare a dormire."

"Sì, forse è meglio." si alzano in contemporanea, presto le uniche luci che rimangono accese sono quelle delle due camere, con le porte una di fronte all'altra. Jean aspetta che Alice esca dal bagno sullo stipite della porta della sua camera, si perde a osservare casa sua, e quasi nemmeno si accorge che lei gli passa accanto per andare in camera sua. La prende al volo per il polso, senza stringere in modo da non farle male, lei si volta verso di lui, incontrando i suoi occhi. Jean le sorride, le sue dita scivolano sulla sua mano e improvvisamente il contatto con la sua pelle calda trasmette una sensazione di sicurezza al francese che gli era mancata da troppo tempo ormai. Alice ricambia, stringendo appena la mano di Jean. "Buonanotte Alice."

"Buonanotte Jean." Alice ricambia il sorriso, e in un attimo si ritrovano con i visi a poca distanza l'uno dall'altra, respirano la stessa aria, le loro labbra si schiudono in automatico, ma quando la mano di Jean fa per circondare la vita di Alice, lei gliela blocca e si allontana, chiudendosi in camera. Jean si passa una mano tra i capelli, consapevole di aver fatto un errore madornale, che probabilmente ha fatto allontanare Alice da lui senza volerlo. Alice al contrario si ritiene una stupida ad averlo rifiutato in quella maniera, si siede sul bordo del suo letto e passandosi le mani tra i capelli pensa che potrebbe aprire la porta e andare a scusarsi per il suo comportamento, ma il fatto è che provare a ricominciare la terrorizza. Forse è anche per questo motivo che si è allontanata dal resto del mondo, per non rischiare di innamorarsi di nuovo, per non rischiare di soffrire di nuovo se dovesse perdere qualcun altro.


Durante le due ore di viaggio verso Monaco, la mattina dopo, Jean e Alice quasi non parlano, proprio come poco prima in casa. Solo quando Jean ha mostrato ad Alice dov'è casa sua, lei si decide a parlare. Scendono entrambi dalla sua macchina, intorno a loro il Principato è popolato e vivo esattamente come prima della Mietitura, nulla sembra cambiato. Il sole splende alto nel cielo e il vento fresco di fine primavera fa svolazzare la felpa bianca di Alice e le scompiglia i capelli. Jean si volta, per entrare nel suo portone dopo averla ringraziata ancora una volta, ma lei lo blocca.

"Non voglio che sia un addio." dice, quasi tra i denti, per colpa di tutta la fatica che le è costata dirlo. Jean si volta, la speranza rinasce in lui. "Mi dispiace per ieri sera. Sono diventata una persona chiusa dopo la Mietitura, forse anche troppo. Non volevo nessuno accanto a me, è anche per questo che non incontro mai i miei vecchi colleghi del reggimento, non se sento il bisogno. Ma..." Alice annuisce appena, come a confermare quello che sta per dire, il francese si allontana dal suo portone di qualche passo, fermandosi dall'altra parte del cofano della macchina della ragazza. "Con te è... diverso. Non hai idea della fatica che ho fatto ieri per stare zitta, per non dirti ogni cosa di me subito... non ti considero uno sconosciuto. Non ci riesco. Non ci sono riuscita dal primo istante in cui ti ho visto, è come se ti conoscessi da una vita. Per favore, non voglio dirti addio." Jean sorride, abbassando lo sguardo, Alice si avvicina a lui, cerca la sua mano appoggiata al cofano dell'auto, lui intreccia le dita con quelle di lei.

"Anche io devo chiederti scusa, sono consapevole di aver osato troppo ieri sera... anche per me è la stessa cosa, sento che posso dirti tutto di me... lo sento da come parli, l'ho visto nei tuoi piccoli gesti, da come ti sei preoccupata per me senza nemmeno conoscermi. So che sei in grado di cavartela da sola, non avevo mai visto nessuno puntare una freccia al cuore di una persona con così tanta forza di volontà come lo hai fatto tu." Jean si avvicina ad Alice, esattamente come la sera prima, e i loro respiri si mescolano di nuovo.

"Jean..." il nome del francese esce come un sussurro dalle labbra di Alice e sfiora quelle di Jean. Il francese non crede di aver mai sentito il suo nome suonare così bene pronunciato dalle labbra di qualcuno, e un istante dopo la loro corazza da militari cede il posto all'istinto, Alice posa una mano sul viso di Jean, che la tiene vicino a sé con una mano attorno alla sua vita, e si baciano, senza pensare, lasciandosi completamente andare a quel sentimento che entrambi non provavano da troppo.

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