Capitolo 32
Nessuno dei due osa spezzare il silenzio della stanza, fuori qualcuno continua a correre su e giù per il corridoio.
Jean è seduto a gambe incrociate sul letto, lo sguardo perso nel vuoto. Andrè lo osserva attentamente dalla porta, non riesce a decifrare la sua espressione. Il francese fissa le valigie disfatte sul pavimento, senza puntare lo sguardo su qualcosa di preciso. Nella sua testa i pensieri corrono, nessuno si sofferma per più di qualche secondo.
"Jean, dimmi qualcosa." André rompe il silenzio, ma il francese lo zittisce immediatamente, non vuole parlare, tanto meno sentire un'altra voce oltre alle mille che parlano ora nella sua testa. "Cosa ti succede adesso?" Jean ancora non risponde, si copre le orecchie con le mani per tagliare fuori il mondo esterno. L'atmosfera tesa viene rotta da qualcuno che bussa alla porta.
"Prendi la valigia e nasconditi." la voce di Jean è bassa e vuota, ad André quasi sembra di non riconoscerla. La paura però gliela legge negli occhi, sa già chi è alla porta, sa che se li scoprissero non arriverebbero all'ultima gara. Bussano di nuovo alla porta e André si ritira in tutta fretta con la valigia nel bagno, chiudendolo a chiave. Nel frattempo Jean si alza tremando per aprire la porta, le sue gambe non lo reggono, si deve aggrappare alla maniglia per restare in piedi. Davanti a lui c'è un uomo ancora in divisa, uno dei commissari.
"Stiamo cercando il tuo compagno di squadra, sai dove può essere finito?" Jean guarda negli occhi il commissario: il suo sguardo non è di ghiaccio come quello degli altri, ha qualcosa di diverso.
"No, non ne ho idea, non è in camera sua?" il commissario è più che convinto che Andrè sia nascosto da qualche parte in camera del francese, ma non dice nulla. Jean riesce a leggerglielo negli occhi, fatica a trattenersi e a non tremare.
"No, non ci sono neanche le sue cose." Jean si ritrova a trattenere il respiro, lo sa che il commissario l'ha notato, ma non dice ancora nulla, il che diventa una volta più sospetto. "La federazione vuole che torniate tutti insieme a Parigi, avrete tutti la vostra libertà una volta in città, ma finché siete impegnati negli eventi dei giochi dovete essere controllati."
"Okay... se scopro dove si trova ve lo faccio sapere." il commissario sembra convinto dalla sua risposta e dopo averlo salutato si avvia per il corridoio. Non appena chiude la porta Andrè emerge dal bagno, pallido come un cadavere. "Hai sentito tutto, non è vero?" Andrè si limita ad annuire.
"Hai davvero intenzione di dirgli dove mi trovo?"
"Ma certo che no. Spero che tu stia scherzando." Andrè sembra più abbattuto che mai, fragile...
"Non possiamo più scappare, non li possiamo più fermare..." Andrè è di nuovo sull'orlo delle lacrime, neanche le braccia di Jean intorno a lui riescono ad evitare che cadano sulle sue guance. "Siamo finiti, amore mio."
Londra
Le strade della capitale inglese intorno a quelle che ospitano il circuito sono incredibilmente silenziose, illuminate dal sole, anch'esso insolito per un paese piovoso come questo. È un'atmosfera surreale, quasi come quella del film Io sono leggenda, dove tutto è incredibilmente pacifico in apparenza, ma in realtà pericoloso e letale. Per non incorrere in pericoli Jean e André in questo bellissimo venerdì sono fuori città, ad Oxford. La città pullula di studenti in uniforme estiva, il tedesco e il francese camminano per le strade più periferiche, vicino ai parchi, per attirare il meno possibile l'attenzione, hanno comunque paura che qualcuno li scopra, nonostante siano gli ultimi momenti che possono passare insieme. Perché è ovvio, scontato che uno dei due morirà domani, Lucas riuscirà a farla franca lasciando una delle due povere anime dilaniata per sempre. Jean si siede su una panchina ai limiti di un parco, lasciandosi andare a un sospiro. André resta in piedi accanto a lui, la mano in quella del francese. Una ragazza dai capelli rossi si avvicina a loro, ma resta a distanza di sicurezza.
"Non voglio mettervi in pericolo, ma volevo solo dirvi che posso immaginare come vi sentite." mormora, guardando i due negli occhi. "Vi ho seguiti dall'inizio della stagione e ho visto morire i vostri colleghi, finché non hanno smesso di trasmettere le gare in tv, un po' di mesi fa. Chi è rimasto?"
"Noi due e Lucas." risponde André, con un filo di voce. La ragazza si volta verso il resto del parco e resta in silenzio per un po', probabilmente non si aspettava questa risposta. "Chi sei?"
"Conoscevo Sam Bird... beh, prima che iniziasse la stagione. Non l'ho visto morire, ma ho visto il modo disumano in cui hanno costretto Robin ad uccidere Antonio, e ho anche visto l'amore nei vostri occhi quando parlate insieme, fingendo di essere solo colleghi, nascosto dal dolore. E so che non siete più voi. Non vi ho mai visti così." sospira. "Devo andare, in bocca al lupo per tutto." il suo sguardo cade sulla mano sinistra di Jean, che finora è rimasto in silenzio a guardarla. "E congratulazioni per il vostro matrimonio." lei si allontana, lasciando i due da soli. Le sue parole restano sospese nell'aria e nonostante dapprima i due non gli diano peso, dopo qualche minuto si ritrovano entrambi a riflettere.
"Andiamocene." butta fuori Jean, seppur non completamente convinto.
"Per guadagnare quanto? Un paio di mesi? Un paio di anni? Se noi restiamo vivi potremmo costituire una minaccia per loro, sicuramente ci staranno mentendo anche sul fatto che resterà vivo solo uno di noi dopodomani... probabilmente uccideranno anche lui. E se noi scappassimo loro verrebbero a cercarci. Moriremmo comunque. Avevamo la possibilità di dire di no prima dell'inizio della stagione, ma abbiamo firmato la nostra condanna a morte." la voce di André sfuma sull'ultima frase, la brezza si porta via la sua voce.
"Lo so. Era solo il mio istinto di sopravvivenza a parlare. È incredibile come anche lei che ci ha visto l'ultima volta mesi fa in televisione sia riuscita a vedere quanto siamo cambiati. Non saremo mai più le persone che siamo stati prima di Riyadh."
Il cielo è grigio e l'aria è fredda, nonostante sia la metà di luglio. Il paddock di Londra ha solo più due box, e la solita casetta dei commissari, il podio e il retropalco. La Techeetah e l'Audi hanno chiesto di non avere i box attaccati, tra le due scuderie ci sono qualche decina di metri che le separano. L'aria nei box è pesante, ma Jean e André non vogliono stare troppo vicini, anche se temono che sarà l'ultima volta. Il francese ha già il casco in testa, ma non è ancora entrato in macchina, manca ancora qualche minuto al giro d'uscita dai box. Con una mano appoggiata all'halo della sua Techeetah e l'altra abbandonata lungo il corpo guarda suo marito sistemarsi i laccetti del casco da dietro la visiera abbassata, che nasconde a chi lo guarda le lacrime silenziose che scendono sul suo viso. Il suo corpo non trema nemmeno, caratteristica che accompagna chiunque quando piange, stavolta si impone di restare fermo, per non destare sospetti. Quando sente che un brivido lo sta per travolgere, lo camuffa muovendosi per salire in auto, mossa che riesce abbastanza fluidamente e nasconde almeno in parte il suo brusco movimento involontario. Il francese si siede in macchina quasi in contemporanea con il tedesco e le loro auto escono insieme dal garage. Dietro di loro, in fila per uscire dal box, si accoda la vettura di Lucas. I tre percorrono il giro insieme, sui rettilinei uno affianco all'altro, guardano le tribune vuote. André si ferma nella prima piazzola, Jean nella seconda, Lucas nella terza. Li aspetta solo mezz'ora di gara, domani saranno 15 minuti per i due che resteranno. Jean ha un'incredibile voglia di uscire dalla macchina e correre il più lontano possibile.
I tre mantengono le posizioni per buona parte della gara, ma Lucas non ci sta. È chiaro che non vuole morire e pur di superare Jean sta mettendo a rischio la sua stessa gara. Il francese è il più cauto possibile e veloce nelle sue reazioni, ma non lo è abbastanza quando il brasiliano lo affianca in rettilineo e invece di superarlo si avvicina a lui, toccando le gomme del lato destro con le sue del lato sinistro, costringendolo a spostarsi verso il muro. La fiancata di Jean sfiora il guardrail, ma il tentativo di rimettersi in pista è vano: Lucas lo stringe completamente e la monoposto di Jean urta il muro. L'impatto è violento, la sospensione anteriore sinistra si spezza di netto, la macchina scivola per qualche metro prima di fermarsi completamente oltre la linea del traguardo, la safety car viene fatta entrare in pista, Jean esce dall'abitacolo. Non sa nemmeno dire se è arrabbiato o meno, sa solo che spera di non vedere il brasiliano superare André nei cinque minuti di gara che restano. Ma mentre mette piede all'interno del box per seguire la fine della gara vede sullo schermo Lucas che è a pochi centesimi dal tedesco, poi si accorge di un particolare: perché nessuno è venuto a prenderlo per portarlo dai commissari? Non fa in tempo a cercare una risposta. Mancano due giri quando la safety viene fatta rientrare e la gara riprende alla fine del giro successivo: la battaglia è senza esclusione di colpi. André si difende con le unghie e con i denti, ma Lucas gli riserva una mossa che fa alterare tutti: lo accompagna all'esterno di una curva, facendolo andare lungo, costringendolo a rallentare e perdere tempo. Il brasiliano lo sorpassa. André accelera senza pensare ma non recupera abbastanza, l'arrivo è quasi da fotofinish. Nel box Techeetah scende il gelo, tutto si ferma. La realtà del momento quasi sembra fuori dal mondo mentre gli ingegneri e i meccanici cercano di dare un senso e metabolizzare l'accaduto. Jean è immobile. Fissa lo schermo senza vederlo, paralizzato dalla paura e dalla rabbia. I suoi occhi ancora nascosti dal casco si riempiono di lacrime che non riesce a piangere. Guarda André uscire dalla macchina e nello stesso istante si gira verso l'uscita del box. Il suo corpo è pesante e sollevare le braccia per togliersi il casco e il sottocasco è più difficile di quanto non dovrebbe. Le sue gambe iniziano a muoversi in automatico verso la pista, corre fuori mentre si toglie il casco, lo getta a terra, noncurante del danno che gli provoca, esattamente come fece Antonio. Strappa via il sottocasco e nella nebbia delle lacrime che non riesce a lasciar scendere sul suo viso corre incontro ad André, anche lui senza casco e sottocasco e si lascia cadere tra le sue braccia. Il tedesco lo abbraccia e lo sente tremare, vorrebbe poter nascondere il viso tra i suoi capelli, ma non lo fa.
"Ti prego, resta con me, ti amo." mormora a fatica Jean, parole a cui André quasi non riesce a rispondere.
"Sono qui, sono con te, ti amo." pochi istanti ancora di un calore così familiare che viene negato a entrambi quando gli uomini dai caschi neri li separano a forza per portarli via. Jean non viene portato dai commissari. Cerca di divincolarsi dalla loro presa ferrea, invano, non ha neanche la forza di urlare.
"Portateli qui entrambi, mi occupo io di loro." la voce di Lucas risuona potente vicino a loro, lui già in piedi al centro del palco, i piedi ben ancorati al pavimento, un sorriso malato, lo sguardo di un assassino assetato di sangue.
André viene trascinato sul palco a fatica. Non smette di dimenarsi dalla stretta degli uomini che lo tengono per le braccia e lo costringono ad inginocchiarsi davanti a loro. A pochi metri da lui sulla sua sinistra, Jean è nella sua stessa situazione, tenuto in ginocchio da altri due uomini, con la piccola differenza che lui non sta per morire, al contrario di André. Dopo qualche secondo, Lucas esce dal retropalco in cui si era ritirato e sale i pochi gradini che lo separano dai due. Si ferma a pochi metri dal tedesco.
"Ma guardatevi, quanto siete patetici. Anni e anni a corrervi dietro come due bimbi al parco e adesso? Cosa avete concluso? Niente." le parole di Lucas sono taglienti, le sputa come fossero veleno. Gli occhi di André cercano subito quelli di Jean, ma nessuno dei due ha paura di quello che sta per succedere, nei loro occhi c'è solo rabbia. "Tanti sforzi per scoprire quello che ho fatto e guardatevi, sul serio. Tu stai per morire..." indica sprezzante André, poi si volta verso Jean. "E tu morirai domani! Insomma, l'anno prossimo avremo un'altra edizione degli Electric Hunger Games e io sarò di nuovo tra i piloti in griglia mentre di voi, diciamoci la verità, il mondo non si ricorderà nemmeno più." un sorriso sprezzante spunta sulle sue labbra.
"Ti sbagli di grosso se pensi di passarla liscia, Di Grassi." risponde Jean con voce ferma. Il brasiliano si volta verso di lui di scatto, l'odio lo divora da dentro, ma lo stesso sta accadendo a Jean, che in silenzio giura vendetta contro di lui.
"Oh no Vergne, è qui che ti sbagli, sinceramente ucciderti sarebbe stato davvero troppo poco per toglierti di mezzo. Quindi perché non cominciare le ultime ventiquattro ore della tua vita facendoti vedere la morte del tuo migliore amico davanti ai tuoi occhi..." Lucas si avvicina ad André, che è costretto ad alzare lo sguardo per sostenere il suo. Non vuole mostrarsi debole, non lo è più ormai. Niente può toccarlo, nemmeno la morte. "...oppure dovrei dire amante." Jean si divincola dalla presa degli uomini che lo tengono fermo, ma inutilmente.
"Non oseresti!" grida, sperando invano che questo basti a fermarlo.
"Oh no caro, sono le regole, lui deve morire." Lucas preme due dita sotto il mento di André, costringendolo ad alzare ancora di più la testa, ma lui si allontana subito dopo. "Il più forte di tutta questa faccenda, ora è qui a morire davanti a tutto il mondo. Guardatelo. L'angelo custode venuto dal cielo per proteggere quelli che ama da questo massacro, ora è caduto." Lucas si allontana appena, cercando Jean con lo sguardo. Lui si sente subito esposto, si chiede come diavolo faccia Lucas a sapere che è esattamente in quel modo che lui vede André, il suo angelo custode. "Oh sì, eccolo qui, un bellissimo angelo caduto." Lucas accarezza la guancia di André, sorridendo, il tedesco lo guarda negli occhi con odio. "Dì addio Lotterer." André si volta subito verso Jean, nei quali occhi vede passare il terrore di perderlo che ha avuto fin dal primo momento e che ormai ha imparato a riconoscere fin troppo in fretta.
"Addio Jean." lo sussurra quasi, sulla sua guancia sinistra scende una lacrima che si è lasciato sfuggire.
"No, no, no!" urla Jean, che vede Lucas prendere la testa di André tra le mani, e con un colpo secco spezzargli il collo. Jean si lascia andare a un grido disperato, il corpo di André crolla a terra, e un brivido gelido lo percorre. Non si sente più le gambe, le ginocchia gli tremano e sente di stare per cadere. L'adrenalina gli fa lanciare un altro grido. "La pagherai Lucas!" la gola gli fa male, ma lui non ci fa più caso, le labbra gli si riempiono di lacrime. Non si accorge nemmeno che il brasiliano ha lasciato il palco, così come gli uomini che fino a poco prima tenevano André. Jean si libera dalla stretta degli uomini che lo tenevano con facilità, e si alza per andare verso André, le lacrime gli offuscano la vista. Si lascia cadere in ginocchio accanto al suo corpo senza vita che è accasciato a terra a faccia in giù, la testa rivolta in maniera innaturale verso sinistra, i suoi occhi ancora aperti sembrano avere il disperato bisogno di vedere ancora. Le mani di Jean si muovono automaticamente, prende André per le spalle e lo sistema sulla schiena, gli gira il viso, e improvvisamente André sembra solo sdraiato sul palco a osservare le nuvole. Jean accarezza il viso di André, non riesce a controllare le lacrime che scendono sulle sue guance senza freni. "Dre, ti prego... ti prego..." un singhiozzo più forte degli altri scuote il francese dalla testa ai piedi, un piccolo gemito esce dalle sue labbra. "Ti prego no... torna da me..." il francese gli prende le mani, le stringe per un momento, sono già fredde, le posa una sull'altra sopra il suo stomaco, lasciando scoperto il nome sulla sua tuta. Si guarda intorno, è solo. La brezza leggera asciuga le sue lacrime che scendono ancora sulle guance e rendono quelle nei suoi occhi fredde come ghiaccio. "Ti amo amore mio..." un altro singhiozzo lo fa tremare. Jean non riesce a togliere gli occhi da quelli blu di André, aperti e immobili, cerca di imprimere nella sua memoria quanti più dettagli delle sue iridi possibile. Gli accarezza le labbra con il pollice, esattamente come ha fatto ieri sera, mentre lo teneva vicino a sé nel letto. Si alza, perlustra con lo sguardo il palco e poi si allontana verso il retro, continuando a tenere d'occhio André perché non lo portino via. Trova un vaso con dei fiori sul tavolo dove Lucas ha lasciato il suo casco e sfila una gerbera, una grossa margherita, dal mazzo, prima di tornare sul palco. Si avvicina di nuovo al corpo immobile del tedesco e annusa appena il fiore, prima di infilare il gambo sotto le mani di André, posa la grande corolla bianca sul petto del suo compagno di squadra, del suo migliore amico, dell'uomo che gli è sempre stato accanto anche quando il resto del mondo gli aveva voltato le spalle, del suo amante, di suo marito. Il francese si inginocchia di nuovo accanto al tedesco, si china su di lui, una lacrima scende dalla sua guancia sulle labbra pallide di André. Jean chiude gli occhi, e bacia per l'ultima volta il tedesco, un bacio leggero, carico d'amore, caldo, in contrasto con le labbra fredde che sta baciando il francese. Un sospiro misto a un tremore gli scuote le mani violentemente, si allontana appena, vede ancora quei suoi occhi azzurri fissare il cielo. Non sono più di ghiaccio adesso. Hanno lo stesso colore del mare della Sardegna, un blu profondo che non riflette il grigio delle nuvole di Londra, ma che è solo degli occhi di André, e che Jean sa che non rivedrà mai più in nessun altro. Allunga la mano verso il suo viso e passandola delicatamente su di lui, gli abbassa le palpebre, chiudendo gli occhi di André per sempre.
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