Capitolo 31
Il rientro nella stanza d'hotel è tremendamente silenzioso.
Rientrano in gruppo, ma nessuno dice una parola, tutti troppo sconvolti da quello che hanno appena visto. Camminano verso le loro stanze d'albergo come automi, senza sentimenti. È impossibile decifrare cosa passi per la testa a ognuno di loro. Il primo a staccarsi è Mitch che si ritira silenziosamente nella sua stanza, lasciando Jean e Andrè da soli nel corridoio.
Giunti davanti alla stanza di Jean, Andrè fa per andare avanti verso la sua, ma il francese gli afferra il polso giusto prima che si allontani troppo e lo ferma. Il gesto fa voltare il tedesco e nonostante provi a nasconderlo, Jean vede che i suoi occhi sono velati dalle lacrime che minacciano di scendere ad ogni secondo che passa.
"Vieni da me, non puoi stare da solo." a Jean fa tremendamente strano essere la figura di riferimento, di solito è sempre lui quello con qualche pezzo rotto e Andrè quello con i mezzi per ripararlo. I ruoli ora sono invertiti come quella volta a Parigi in cui l'impatto dei commissari fu troppo forte sul tedesco, ma il compito appare mille volte più difficile.
Entrati in stanza, Andrè non dice una parola, si sdraia sul letto escludendo Jean dai suoi pensieri, certo di aver fatto capire troppo. Per lui Robin era diventato parte della sua piccola famiglia, seppur con tutti i suoi problemi. Si era promesso che l'avrebbe tirato fuori prima da questa situazione, poi che l'avrebbe fatto tornare a vivere, anche senza Antonio. Ora gli resta solo l'amara consapevolezza di non poter fare più nulla, non solo per Robin, ma anche per Jean: non possono più fare niente, il piano di Lucas e dei commissari ha funzionato.
"Andrè per favore, non escludermi così, voglio aiutarti..." Jean non riesce a sembrare convincente nonostante i suoi sforzi, non sa come agire.
"Ho bisogno di stare da solo Jean, per favore." il francese non sa come agire, stavolta per davvero. Aspetta seduto sul divano per quasi due ore mentre Andrè si lascia andare alle lacrime silenziosamente, quasi si addormenta, ma ritorna immediatamente vigile quando Andrè si alza finalmente dal letto. Jean cerca di seguirlo, ma si ritrova la porta chiusa in faccia. Perché deve essere così testardo e orgoglioso? Maledizione.
"Apri questa porta Andrè." il tono deciso di Jean non smuove Andrè, il quale guardandosi allo specchio medita, ma dentro di sé ha già preso una decisione, una di quelle dettate dall'orgoglio ferito, dalla consapevolezza di aver fallito. "Non mi faccio problemi a buttarla giù, vedi di aprire immediatamente o lo faccio." la convinzione della frase precedente va un po' scemando, dovuta anche alla stanchezza. Andrè ancora non apre la porta, Jean si allontana come a prendere la rincorsa, esita un po', lo sa che si farà solo un gran male e non otterrà un bel niente.
La chiave nella porta gira.
Jean la guarda stranito per qualche istante prima di fiondarsi ad aprirla. Dentro al bagno trova Andrè in un fiume di lacrime, seduto contro il lavandino. Si butta immediatamente a terra e lo prende per le spalle per attirare l'attenzione su di sé. "Andrè per favore considerami, non ti fa bene tenerti tutto dentro..." Andrè non ha il coraggio di aprire gli occhi e vedere Jean, si sente già sconfitto così. Jean non sa più cosa fare, l'unica cosa che gli viene in mente di fare è baciarlo. Gli prende il viso tra le mani e appoggia semplicemente le sue labbra su quelle di Andrè. Quando si dividono di nuovo, Jean può vedere finalmente gli occhi di Andrè che quando piange diventano più scuri, di solito sono brillanti, ma questa volta sono spenti...
"Domani voglio farmi uccidere."
Nessuno riesce ben a descrivere quanto sia pesante l'atmosfera la mattina successiva. C'è un silenzio insolito nell'ascensore: Jean e Mitch parlano a sguardi, di Andrè non c'è neanche l'ombra e questo sembra impensierire entrambi. Trattengono per un attimo il fiato quando nella hall vedono Lucas dirigersi verso di loro con il suo sorriso beffardo.
"Io farei molta attenzione al tuo caro compagno di squadra, non vorrei trovarlo sul palco... sai, voglio godermela per bene la sua morte." Jean resta pietrificato quando Lucas si avvicina per sussurrargli nell'orecchio. Quando Lucas si allontana Jean non riesce a muoversi, muove il suo sguardo da una parte all'altra della sala, le persone gli passano accanto e gli sembrano migliaia, inizia a girargli la testa.
Devo trovare Andrè, adesso.
Senza realmente sapere dove andare, Jean corre fuori dall'albergo. La realtà lo investe come un treno alla massima velocità: non può chiedere aiuto a nessuno. Sam, Robin, Daniel, Sebastien... sono tutti morti, nessuno può aiutarlo. Le sue gambe lo conducono verso il suo box, come se fosse in modalità pilota automatico. Andrè non è nemmeno lì: non è a leggere i suoi stupidi fogli, non sta parlando con i meccanici. Il box sembra anche più spento... basta fare il romantico senza speranze Jean, questo non è uno scherzo, è una situazione seria. Jean si dirige sul retro, dove di solito possono avere un po' più di privacy, ma è deserto. Andrè sembra sparito nel nulla. Passano dei minuti interminabili in cui Jean resta immobile, in piedi tra due muri di gomme. Nella sua testa c'è solo il caos più totale, troppi pensieri vanno e vengono. E' troppo perso nel suo mondo per accorgersi di chi è alle sue spalle.
"Jean? Qualcosa non va?" la voce di Andrè fa girare di scatto il francese, ancora incapace di porre un freno alla sua mente. Non è in grado di processare tutto ciò che sta succedendo, si butta solamente tra le braccia del tedesco senza curarsi di chi potrebbe vederli. "Jean, che ti prende?"
"Ti stavo cercando, dove diamine eri finito?" Jean resta aggrappato ad Andrè, ancora scosso dalla ricerca e dai suoi pensieri che non riesce a frenare.
"Ero in hotel, non è successo nulla Jean..." Andrè non riesce a capire la momentanea disperazione del francese, ma continua a tenerlo stretto a lui per sentire la sua vicinanza.
"Andrè non farlo, ti prego." il tedesco non dice una parola, lo sa a cosa si riferisce. Gli direbbe che no, non si farà uccidere, che porterà almeno lui fuori da questo manicomio, ma gli mentirebbe e Andrè odia illudere le persone. E' quasi un controsenso: ha illuso tutti i suoi amici di poterli tirare fuori e invece li ha visti cadere come mosche, uno ad uno, mentre lui ancora vive. Forse il primo illuso è stato lui, ma ciò non lo giustifica. Andrè guarda Jean negli occhi, non serve parlare, si legge perfettamente tutto ciò che devono dirsi. "Avevi promesso che ne saremmo usciti insieme..." è un sussurro nel silenzio quello di Jean, che però fa troppo rumore, riecheggia nell'aria. Il francese si volta quando capisce che Andrè non gli risponderà, cercando di nascondere le lacrime che gli rigano le guance. Si avvia verso la sua stanzetta senza più dire nulla, ma riesce a fare solo pochi passi.
"Jean..." Andrè lo richiama e il francese si ferma, ma senza voltarsi. Aspetta che il tedesco dica qualcosa, ma non succede niente. Passa qualche minuto interminabile, finché Jean non si decide ad allontanarsi, lasciando Andrè nel silenzio più totale.
La gara è incredibilmente monotona per la maggior parte del tempo, Jean comanda i pochi rimasti con facilità nonostante siano tutti relativamente vicini. Andrè chiude il breve trenino senza sforzarsi di superare chi gli sta davanti.
"Manca un quarto d'ora alla fine, puoi farcela, ti basta superarne uno solo." la voce del suo ingegnere di pista rimbomba nelle sue orecchie, vorrebbe solo staccare la radio, ma risulterebbe troppo sospetto. "Lo sappiamo tutti cosa stai facendo Andrè, solo... pensaci bene, non lo vuoi distruggere." Andrè fatica a capire cosa sia intendendo il suo ingegnere per radio, seguono attimi di silenzio. Il tedesco guarda la curva che deve affrontare e involontariamente alla testa della corsa. Jean. Se arrivo ultimo sarà lui ad uccidermi. La realizzazione lo colpisce come un pugno nello stomaco. No, non può farsi uccidere da Jean, lo farebbe a pezzi. Non riesce ad immaginarselo senza quel sorriso raggiante che gli rivolge al mattino appena sveglio, solo nel suo appartamento in centro a Parigi in cui terrebbe tutte le serrande chiuse per chiudersi nel suo dolore.
Questa promessa deve mantenerla, per Jean, tutto ciò che riguarda sé stesso viene dopo. Andrè stacca la radio e preme sull'acceleratore, pregando di averne abbastanza per arrivare fino alla fine. Sorpassa la Jaguar di fronte con relativa facilità, tanto da chiedersi se Mitch non l'abbia fatto passare di proposito, ma non è il momento adatto alle domande. Ha Lucas nel mirino, vuole prenderlo, passargli davanti e fargli capire che per quanto lui ci provi ad affondarli, i suoi tentativi saranno vani fino a quando il tedesco sarà in vita. Avendo staccato la radio non ha la minima idea di quanto tempo manchi e della batteria che gli resta, continua solo a spingere come un dannato per stare il più vicino possibile a Lucas. L'occasione per passare gli si presenta sull'ultimo rettilineo: il brasiliano commette un errore in uscita dall'ultima curva e Andrè ne approfitta, avendo più velocità, passandogli davanti senza guardarsi indietro. Davanti a lui sventola la bandiera a scacchi e tira un sospiro di sollievo. La macchina si spegne completamente dopo la linea del traguardo, ironia della sorte. Non oggi.
"Ditemi dov'è, vi prego." è impossibile non notare la disperazione mal celata nella voce di Jean.
"E' dietro di te, esattamente dietro di te." c'è incredulità nella voce del suo ingegnere, Jean si volta e vede la macchina ferma sul rettilineo, sta pregando che abbia tagliato almeno il traguardo... "E' secondo, Jean, non ci sarà lui sul palco." non sa descrivere il sollievo che prova nel sentire queste parole, come se gli avessero tolto un enorme macigno da addosso.
Jean e Mitch si ritrovano sul palco, e Jean di quella boccetta di veleno che tiene in mano non sa cosa farsene. Guarda il liquido trasparente e denso che se ne sta immobile in fondo al recipiente di vetro, e pensa a cosa succederà a Mitch quando lui glielo farà bere. Il francese sospira, rassegnato al fatto che sta perdendo un altro membro della sua squadra. Alza gli occhi al cielo, e la sua mente per un attimo si sofferma sul ricordo di Robin, ma non sa esattamente per quale motivo. Torna con lo sguardo sull'uomo che ha di fronte, ma non ha il coraggio di dire una parola, probabilmente tutto quello che uscirebbe dalla sua bocca sarebbe solo inutile in questo momento. Il francese è contento che non ci sia suo marito al posto di Mitch, e il neozelandese sembra essersi rassegnato al fatto che sarà il prossimo a morire. Sotto il palco Lucas fa fatica a celare un altro sorrisino, vedere la squadra di André sgretolarsi per lui è la più grande dimostrazione di superiorità che possa esserci, d'altronde ogni nuova morte è un passo in più verso la vittoria. Anche André è sotto il palco e tiene gli occhi sul francese, lo vede prendere coraggio e avvicinarsi a Mitch, ma Jean proprio non riesce a costringerlo a bere quel veleno. Il neozelandese si avvicina, sospira, prende la boccetta dalle mani del francese e spera che il liquido agisca in fretta. Porta la boccetta alle labbra, consapevole che quelli saranno i suoi ultimi minuti -se non istanti- di vita. Beve lentamente il liquido dal sapore aspro, che quasi lo fa vomitare, ma sa che se non lo farà lo uccideranno sicuramente in un altro modo. Lascia cadere la boccetta a terra e quella va in mille pezzi, esattamente come fece la siringa che Daniel lanciò contro la parete del bagno dopo aver ucciso Brendon. A Jean non hanno esattamente detto che tipo di veleno ci fosse in quella boccetta, ma il francese è sicuro che sia di qualche serpente. Per i primi minuti non succede nulla, poi Mitch si piega in due, con le braccia avvolte intorno al corpo, mentre cerca di calmare inutilmente gli spasmi che sente a livello dello stomaco. Cerca conforto nel francese, alzando lo sguardo su di lui, ma quello che Jean vede è decisamente lo spettacolo più raccapricciante che abbia mai visto in vita sua. Dagli angoli degli occhi del neozelandese, il francese vede chiaramente i rivoli di sangue che scendono lungo il suo viso, e non può fare a meno di indietreggiare inorridito di un passo. Mitch apre la bocca e fa per parlare, ma dalle sue labbra esce un altro rivolo di sangue, questa volta più abbondante, e non passa un secondo che un altro scende dalla sua narice destra. La narice sinistra segue a ruota e presto il suo viso diventa una maschera di sangue. Il neozelandese combatte contro i giramenti di testa, mentre una voce si diffonde attraverso gli altoparlanti per tutto il paddock, in modo che tutti possano sentire, volenti o nolenti.
"Il veleno che Mitch ha bevuto proviene da un serpente estremamente letale, il boomslang, originario dell'Africa meridionale. Se vi steste chiedendo quali sono gli effetti collaterali di un morso di questo serpente, sappiate che sono esattamente quelli che vedete. L'unica differenza è che ora agiscono più in fretta, dato che il veleno non deve raggiungere lo stomaco per iniziare a fare effetto." Jean non sa se è più schifosa la scena che sta osservando o le parole che ha sentito. Dovrebbe non stupirsi più di quanto fredda e macchinosa appaia la voce dei commissari, e invece ogni volta lo lascia impietrito, come se tutto fosse assolutamente naturale, come se quello in cui si trovassero fosse un film, come se alla fine dei giochi i piloti che sono stati uccisi uscissero dal loro nascondiglio dove i commissari li hanno tenuti finora, vivi e vegeti, e tutto tornasse alla normalità, a com'era prima di novembre. Mitch cade sul palco, appoggiandosi sui palmi delle mani, mentre il sangue che esce dal suo corpo e i giramenti di testa non accennano a fermarsi. A quelle opprimenti sensazioni si vanno ad aggiungere nausea e sonnolenza, che fanno accasciare Mitch, mentre sul suo corpo compaiono dei lividi. Jean vorrebbe distogliere lo sguardo, ma non ci riesce, e questa forza che è più forte di lui gli fa rendere conto che quelli sul corpo del neozelandese non solo lividi, ma macchie di sangue fresco che si sono formate sotto pelle. Mitch si contorce per il dolore, ma ormai non ha più forze, il sangue continua a uscire dai suoi occhi, dal suo naso, dalla sua bocca, vede appannato, indistinto, come se fosse sott'acqua. Potrebbe quasi giurare di aver visto i suoi genitori camminare sul palco verso di lui, ma la realtà è che quel veleno gli sta facendo venire le allucinazioni. Respira sempre più affannosamente e Jean lo vede, è pallido, la pozza di sangue attorno al suo viso si fa sempre più grande. Le forze del neozelandese lo abbandonano quando un ultimo conato di vomito rilascia sul pavimento mezzo litro di sangue tutto in una volta e i suoi occhi si spengono in un istante. Jean si allontana, anche a lui è venuta la nausea, quella vista è stata disgustosa. Cerca il primo bagno disponibile e si avvicina velocemente alla prima tazza che vede, chiudendo malamente la porta dietro di lui, si lascia andare ai conati finché la sua schiena non trema troppo violentemente per essere controllata e nel suo stomaco non è rimasto nulla. Pallido e infreddolito allunga la mano per tirare lo sciacquone e un brivido lo scuote, le sue mani si stringono sul bordo della tavoletta. Si siede sulle caviglie per un momento e riprende fiato, si alza in piedi ed esce dalla porta che nemmeno si era chiusa. Si avvicina al lavandino per lavarsi le mani e sciacquarsi la bocca, almeno per togliere in parte il gusto orribile che ha in bocca. La porta principale del bagno si apre, ed entra André.
"Stai bene?" è la prima cosa che chiede quando lo vede pallido nel riflesso dello specchio, ancora prima di vederlo direttamente in viso.
"Non esattamente, ho appena vomitato anche la cena di ieri, ma nulla di grave." Jean non lo guarda attraverso lo specchio e non solleva lo sguardo per vedere suo marito, se lo farebbe probabilmente André si avvicinerebbe per confortarlo, baciarlo, e non possono permettersi di farlo qui.
"Sei sicuro?" il tedesco sussurra, avvicinandosi al francese.
"Sì, davvero. È stato solo troppo disgustoso. Ti ho visto morire davanti ai miei occhi mesi fa, era solo un'allucinazione ed era l'unica cosa che avrebbe potuto segnarmi davvero se non mi avessi ricordato che eri vivo. Sto bene, fidati." risponde il francese con lo stesso tono di voce. André fa per sollevare la mano, per accarezzare il viso di Jean, lui lo vede con la coda dell'occhio. Ma poi si ferma e ritrae la mano, ricordandosi che non può toccarlo, non in quel bagno, non in quel modo.
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