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Capitolo 16

Sanya

André non crede di aver mai avuto così tanta paura di perdere una persona in vita sua. È arrivato al punto che la notte dorme qualche ora, poi si sveglia e rimane a guardare Jean che dorme, finché non arriva l'alba e il sonno lo trascina con sé per un'altra ora scarsa, sempre rigorosamente con il francese tra le braccia. Da quando a lui è balenata quella brillante idea per la testa a casa sua qualche giorno fa, non riesce più a fare a meno di dormire abbracciato a lui, come se potessero portarglielo via prima del tempo senza che lui se ne accorga, e a Jean non fa che piacere dormire attaccato ad André. È terrorizzato da quello che potrebbe succedere, ma Jean non fa che stargli appiccicato dentro il box, gli tiene la mano, André vorrebbe allontanarsi, ma lui insiste per continuare così e la paura paralizza il tedesco, non riesce nemmeno a opporsi, non potrebbe, non avrebbe la lucidità per farlo.

"Morirai." sussurra, talmente piano che Jean lo sente a malapena, con gli occhi sbarrati e lo sguardo fisso nel vuoto tra le sue pupille e le loro mani intrecciate.

"Non morirò. Lo sai qual è il piano." risponde il francese, con lo stesso tono di voce, accarezzando il braccio del tedesco con un po' troppa confidenza per i loro standard dentro la pista.

"Non voglio perderti." André alza lo sguardo per incontrare gli occhi del francese, e Jean ha un tentennamento, quando li vede lontani e vuoti.

"Non mi perderai." il francese sorride, un attimo prima che i loro ingegneri li chiamino per scendere in pista, la gara li attende. Jean è fiducioso del suo piano, ma sente che per i commissari questo non sarà abbastanza, deve fingere di esporsi di più.

All'inizio del weekend tutti davano per sfavorito Edoardo, quello che nelle ultime gare ha avuto più problemi degli altri, invece a sorpresa l'ultimo a tagliare la linea del traguardo è Stoffel Vandoorne, con una Mercedes non brillante nelle qualifiche che lo ha costretto alle retrovie e poi si è visto sfilare a fianco la macchina di Edoardo all'ultimo giro, senza più riuscire a recuperare la posizione. André è di nuovo nella posizione più scomoda di tutte, quella dell'assassino, da una parte è sollevato perché Jean è ancora accanto a lui, ma dall'altra non vuole uccidere, e tantomeno vuole pensare al fatto che domani potrebbe perdere il francese. Sul palco una catasta di legno è ammucchiata a terra, al centro del mucchio si erge un palo, a fianco, per terra, giace una corda. André non si stupisce di non trovare una scelta, una scatola di fiammiferi sul vassoio di metallo, così la mette in tasca e sale sul palco. Stoffel è tenuto fermo dai soliti due uomini con i caschi, ma non sembra aver paura di quello che gli accadrà. André gli si avvicina e lo guarda per un attimo negli occhi.

"Basta che fai in fretta Lotterer." gli uomini lo lasciano andare e André lo conduce verso il palo, recupera la corda dal pavimento e lega il belga ben stretto. Esce dalla catasta di pezzi di legno, li sistema bene attorno all'uomo con il piede, poi si allontana appena e tira fuori i fiammiferi. Ne prende uno, lo guarda tristemente, sfrega la capocchia sulla carta vetrata al lato della scatolina, quella produce una scintilla e si accende all'istante.

"Se ti va bene morirai soffocato dal fumo. Scusami." ora invece la paura di Stoffel André la vede bene nei suoi occhi, balena per un istante nelle sue pupille quando il belga lo guarda e poi abbassa lo sguardo alla legna attorno a sé.

"Non è colpa tua." André lancia il fiammifero verso la legna, e poi lo sente, l'odore di benzina a cui prima non aveva fatto caso. Non appena il fiammifero tocca la legna, una fiammata divampa e circonda Stoffel completamente, il calore André lo sente bene, realizza che la tuta ignifuga prolungherà soltanto il dolore, il belga non avrà il privilegio di morire soffocato dal fumo. Quando André si allontana dal palco, il pubblico è già andato via, inorridito dall'esecuzione da Medioevo, e le grida di Stoffel si fanno già sentire per tutto il paddock.

5...

4...

3...

2...

1...

Alexander Sims viene tirato su per i capelli dalla piccola vaschetta dove i commissari uno per volta si divertono a tenerlo sott'acqua in apnea, senza possibilità di prendere fiato.

"Siete proprio stupidi voi piloti, non avete ancora capito che se fate qualche sciocchezza finite qui, è tutto a vostro svantaggio e noi nel frattempo ci divertiamo." gli uomini ridono amaramente, ma Alex non sente, ancora troppo stordito dal tempo passato sott'acqua. Non avrebbe mai pensato di assistere a tanta crudeltà, eppure si trova a subirla sulla sua pelle. È un fantoccio per il macabro divertimento dei commissari.

Viene rigettato sott'acqua e riprende a contare.

20...

15...

10...

5...

4...

3...

2...

1...

Alex riemerge ancora, sente che non durerà ancora a lungo se i commissari continuano a tormentarlo in questo modo.

Cosa abbiamo fatto noi per meritarci questo? Perché gli EHG? Perché proprio noi?"

Vorrebbe urlare, lo stanno facendo impazzire, qualsiasi rumore gli dà fastidio.

"Non vorrai mica dirmi che non ce la fai più, stupido inglese." Alex scuote la testa e il commissario che lo tiene sorride beffardo, poi lascia il posto a un altro dei suoi colleghi che lo prende per i capelli e gli tira la testa all'indietro per vederlo e farsi vedere. Alex senza i suoi amati occhiali non vede nulla, tutto gli appare sfocato e a causa dello stordimento la situazione è ancora peggiore: tutti i suoni gli arrivano alle orecchie ovattati, sente solo parole sconnesse tra loro. Più, acqua, stordito, mollare.

Alex non ce la fa, vuole solamente essere libero da quell'ufficio, sente di stare per impazzire.

Ultima volta, più.

Alex viene rigettato nell'acqua con violenza, sbatte la testa sul fondo della vaschetta. Per un attimo non capisce cosa stia succedendo, non conta nemmeno i secondi che lo separano dall'aria, ma quando inizia a mancare Alex va nel panico. Sono necessari altri commissari per tenere Alex fermo poiché si dimena incessantemente, continuano a tenerlo sotto, senza possibilità di fuga. L'aria sott'acqua inizia a mancare, Alex non può più stare in apnea, è costretto a respirare ottenendo come risultato non l'ossigeno sperato, ma acqua che gli invade i polmoni. Va una volta più in panico, non riesce a respirare, più si muove, più lo tengono fermo, si agita, continua a respirare terrorizzato e si sente annegare irrimediabilmente.



È tardi quando Sam sente bussare alla sua porta. Sono le 23:35.

Chi diamine può essere?

Non gli viene in mente nessuno se non Jean, André o Robin, però non avrebbe senso, è difficile che abbiano scoperto qualcosa di nuovo così lontani da casa e Robin sembrava stare bene fino a cinque minuti prima. Non gli viene in mente nessun altro finché un'immagine terrificante gli si forma in testa: Lucas. Bussano ancora alla porta e Sam fa il possibile per inventarsi delle scuse in caso dall'altra parte della porta ci sia davvero il brasiliano, cerca di non andare in panico, ma teme davvero di essere stato scoperto e dunque di avere le ore contate. Finalmente si fa coraggio e apre la porta.

Non c'è Lucas.

Edoardo Mortara, Pascal Wehrlein e Jerome D'Ambrosio sono davanti a lui, spaventati, preoccupati, stanchi.

"Cosa succede?" Sam li fa entrare e Pascal si rintana immediatamente in un angolo, gli altri due restano davanti all'inglese che guarda con apprensione il tedesco che trema confinato nel suo spazio: i giochi lo hanno fatto a pezzi.

"Alex non è tornato dopo la gara." Sam guarda Jerome senza capire "Sims. Non è tornato dall'ufficio dei commissari, non era a cena, non sappiamo dove sia."

"Magari non si è solamente fatto vedere, è normale." Edoardo scuote la testa, Jerome guarda in basso, c'è davvero qualcosa che non va.

"Abbiamo bussato alla sua porta, ma non c'era nessuno."

"Ve l'ho detto, è morto." Pascal si fa sentire e tutti si voltano nella sua direzione, a tratti spaventati, a tratti increduli.

"Non è morto, non si può morire dai commissari." Sam lo rassicura, ma Pascal non si rassegna, continua a ripetersi da solo che è morto e si rannicchia ancora di più.

È davvero impazzito, pensa Sam.

"Non potevamo chiamare nessun altro, non vogliamo buttare giù Robin, stavamo pensando di chiamare André, ma abbiamo visto Jean intrufolarsi in camera sua quindi abbiamo deciso di non disturbarli. Pensavamo che tu potessi sapere qualcosa..." Sam fa una smorfia quando Jerome racconta di Jean, c'era da aspettarselo, ma sentirselo dire è diverso, le cose sono serie tra quei due.

"Siete già usciti dall'albergo?" Edoardo e Jerome si guardano scuotendo la testa negativamente, Pascal cerca di tapparsi la bocca per non gridare e si dondola. Nessuno capisce il perché.

"Io non esco, io non esco, io non esco..." Pascal si sente protetto tra le mura dell'albergo, non vuole avvicinarsi al circuito, penserebbe solo alla morte e al suo sangue scorrere sul palco. Lo spettacolo è talmente orrido che lo porta all'esasperazione, è arrivato al limite.

"Chiudilo in camera, noi tre andiamo a cercare Alex, ti aspettiamo sotto." Ordina Jerome mentre Edoardo cerca di riportare Pascal in camera sua. Lui e Sam scendono silenziosamente nella hall deserta, non c'è nemmeno un'anima, sempre in religioso silenzio si siedono aspettando lo svizzero.

E se Alex fosse veramente morto? O forse è riuscito a scappare e a far perdere le sue tracce? Magari lo stanno ancora tenendo chiuso in quello stanzino.

Sam si pone continue domande, gioca con la zip della felpa finché Edoardo non torna e in silenzio escono dall'albergo. Prima di chiudere la porta si guarda bene intorno, si accerta che nessuno dei complici di Lucas e tantomeno lo stesso Lucas lo abbia visto, poi si volta seguendo i due colleghi che non sanno dove poter cercare l'amico.

"Come pensate di entrare? A quest'ora è vietato passare per l'ingresso principale." Sam si guarda intorno quando arrivano davanti a curva 8, cerca di trovare un modo per entrare finché non vede Jerome arrampicarsi sulla recinzione e scavalcarla "Jerome che diamine fai?"

"L'ingresso è chiuso, tutto il circuito è recintato e non ci sono reti rotte, questo è l'unico modo che abbiamo per entrare. Venite?" anche Edoardo si arrampica e scavalca. Sam non è certo di farcela per via della sua poca agilità nell'arrampicata, ma ci prova comunque arrivando fino in cima, il suo grande problema è scendere.

"Lanciati, ti fermiamo noi." Sam non guarda giù, chiude gli occhi e si butta. Cerca di atterrare in piedi, ma sono gli altri due a prenderlo prima che possa battere una facciata a terra. Quando Sam riapre gli occhi vede tutto buio, non una luce accesa, è dentro al circuito.

"Non dovrebbe esserci nessuno a quest'ora, ma è sempre meglio essere cauti, non sappiamo cosa possiamo trovare." spiega Edoardo mentre da curva 8 ripercorrono il tracciato in senso opposto per arrivare sul rettilineo principale nella zona box. Il buio pesto è loro favorevole: non sono del tutto nascosti, ma è difficile vederli da una distanza ridotta. Ancora nessuna traccia di Alex. Più si avvicinano all'ufficio dei commissari e più Sam teme di essere scoperto, nonostante non ci sia anima viva a quest'ora della notte. In un istante gli passano davanti tutti gli orrori commessi da loro stessi e dai commissari, come un fulmine a ciel sereno gli viene in mente Robin. Le sue urla nella stanza dei commissari, la corsa disperata di Antonio per andare a tirarlo fuori di là, tutto quello che ne è seguito: le lacrime di Robin, le sue mani strette intorno al collo di Antonio, il suo ultimo respiro, la depressione in cui Robin è sprofondato e in cui naviga ancora. No, non glielo perdonerà mai a quei bastardi. Gli manca Robin per com'era: pigro, lunatico, costantemente sarcastico, ma voleva bene a Sam e Sam ne vuole tutt'ora a Robin. L'olandese è sempre stato come un fratello più piccolo per Sam e vederlo così fa male, nonostante siano passati mesi. Guardando il palco gli viene in mente Antonio e a quel che gli aveva detto tempo prima che iniziassero i giochi.

"Se Robin ti piace davvero come tu piaci a lui fatti avanti, potrebbe arrivare il momento in cui sarà troppo tardi e potresti avere il rimorso di non averci provato per tutta la tua vita."

Non ce n'è più stato di tempo infatti, ma è Robin a vivere col rimorso, non Antonio. Ripensare a quella gara a Marrakesh è sempre una pugnalata, gli si stringe il cuore ogni volta che guarda il palco e poco prima della macabra scena effettiva Sam ci vede sempre Robin per un momento mentre uccide quella parte di sé che probabilmente lo avrebbe portato fino alla fine dei giochi tra i favoriti e che lo avrebbe reso felice. Maledetta dirigenza, maledetti commissari, maledetta spia che ha voluto creare i giochi.

"Qui non c'è niente, è tutto spento." Jerome lo distoglie dai suoi pensieri, tornando con Edoardo al seguito.

"Sarà riuscito a scappare, lo ritroveremo quando torneremo probabilmente." aggiunge Edoardo mentre Sam gira la testa e vede esattamente vicino all'ufficio dei commissari una porta socchiusa, la luce fredda esce di poco. La curiosità lo spinge ad avvertire gli altri due, ma ha come l'impressione che non ci troverebbe nulla di buono e che probabilmente non uscirebbe indenne, ci fosse magari uno dei commissari dentro.

"Andiamocene, se ci scoprono si mette male." così i tre da dove sono entrati, nascondendosi nell'ombra, escono dal circuito e rientrano in albergo in silenzio. Nella hall Edoardo e Jerome lo ringraziano prima di tornare nelle rispettive stanze, Sam resta qualche secondo a guardarsi intorno. Al bar c'è André, quando si volta gli fa un cenno con la testa, avendo le mani occupate, per salutarlo, Sam ricambia, vorrebbe fermarlo e parlargli della porta, ma probabilmente sta tornando da Jean che avrà presumibilmente bisogno di lui, quindi lascia perdere. Una volta rientrato in stanza, dopo che si è rimesso sotto le coperte ripensa alla gara di Marrakesh e si riaddormenta dopo poco, ma con una stretta al cuore che non gli dà pace.



È terrore puro quello che sente André dentro di sé, quando il giorno dopo Jean decide di lasciargli un bacio sulla guancia, sfiorandogli l'angolo delle labbra, mentre sono fuori dal box. Sente gli occhi di tutti i presenti puntati su loro due, da lontano intravede Robin che, pietrificato, ha visto la scena, e ha realizzato che così facendo porteranno via il francese alla squadra. Lo sente come un fulmine a ciel sereno, si ricorda quello che gli aveva detto Toni mesi prima, in camera, quando ti hanno torturato, io ho sentito. Ho sentito le tue urla attraverso la finestra, ed è stato terribile, e ricorda di averlo sentito gridare il suo nome da fuori, anche se debolmente. Che lo abbiano sentito e me lo abbiano portato via per questo...? Una sola domanda, insistente nella testa di Robin, che non ha ancora una risposta. Ciò che è certo è che il francese si è esposto troppo. Jean morirà. Incrocia da distante gli occhi di André vuoti, quando Jean è rientrato nel box, e senza dirsi nulla si sono già detti tutto con uno sguardo. E il tedesco piange già la morte del francese.

La gara miete prima di tutti Sebastien e Daniel. Non arrivano nemmeno alla prima curva, si spintonano e si piantano nel muro a vicenda. Escono sconsolati dalla macchina, osservano per un momento la pista, si guardano a vicenda, Seb dà una pacca sulla spalla a Daniel, prima di abbassare la testa e dirigersi con lui verso il paddock, verso l'edificio dei commissari, scortati dagli uomini neri. Jean non è virtualmente sul podio quando ormai conta i minuti all'ultimo giro. Sta dietro ad André tutto il tempo, in quarta posizione, e il suo ingegnere continua ad aggiornarlo su quanto manca alla fine. Il panico lo divora in un istante, quando prima dell'ultima curva tutti i cavalli della sua macchina lo abbandonano, esattamente come si aspettava. La sua mente torna subito lucida, respira tranquillo, sa cosa deve fare adesso, solo frenare. Preme il piede sul pedale. La sua DS non frena. Preme più forte, ancora niente. Gli altri iniziano a sfilargli accanto mentre lui rallenta, ma non abbastanza da fermarsi prima del traguardo, anche André se ne accorge, se potesse gli urlerebbe di fermarsi.

"No Jean non oggi, frena per l'amor di Dio!" gli grida in radio il suo ingegnere.

"I freni non funzionano!" Ora Jean ha paura, qualcosa che non aveva previsto. Sarebbe dovuto andare secondo il suo piano, non quello dei commissari.

"Buttati in un muro, ma non tagliare il traguardo!" Jean sterza con forza, ma nemmeno il volante si muove più. Tutti i suoi colleghi gli sono già sfilati accanto e lui procede inesorabilmente verso la linea del traguardo, inerme. Merda pensa, stacca le mani dal volante e se le porta al petto, allontana i piedi dai pedali per quanto l'abitacolo glielo consenta, e la sua macchina taglia il traguardo, prima di fermarsi completamente. Rimane immobile dentro l'auto, non sa cosa fare. La paura della morte improvvisamente lo manda in stato di shock, non può fare niente, sente solo il suo respiro accelerato e vede appannato per via delle lacrime che non si era accorto gli stessero riempiendo gli occhi. Quello che gli fa più paura è che i commissari abbiano trovato un modo per mandare André sul palco, nonostante non abbia tagliato per primo il traguardo. Non vuole vederlo costretto a una cosa del genere, preferisce morire dalle mani di qualcun altro. Gli uomini vestiti di nero si avvicinano alla sua macchina, la circondano, gli mettono le mani addosso, gli slacciano la cintura e lo tirano fuori a forza dalla macchina, Jean si dimena, gli tolgono il casco e con altrettanta violenza gli strappano il sottocasco, tutti i presenti devono vederlo in faccia. L'istinto di sopravvivenza ha la meglio e si divincola talmente tanto che ci vogliono quattro uomini per tenerlo fermo, mentre inesorabilmente continuano la loro camminata verso il palco. L'unica cosa che per un istante frena il francese dal dimenarsi sono gli occhi blu di André che incrocia sotto il palco, il tedesco non riesce a vederlo lì, è morto dentro nell'istante in cui ha visto che Jean non ce l'ha fatta. Mi dispiace mima con le labbra il francese, vede André abbassare lo sguardo all'asfalto, una lacrima invisibile al mondo ma non agli occhi di Jean gli riga il viso, e poi viene spintonato sul palco, tenuto fermo in piedi al centro da tutti e quattro gli uomini neri. Passano pochi minuti, prima che Lucas esca a sua volta sul palco. Il francese lo osserva, terrorizzato, non ha il coraggio di guardare nella direzione del suo ragazzo, non vuole vedere di nuovo i suoi occhi feriti. Lucas stringe tra le dita della mano destra un machete, e sorride spavaldo, non vede l'ora di far fuori un anello della catena di André. Jean ringrazia chiunque abbia avuto la grazia di non torturare André rendendolo il suo omicida.

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