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Capitolo 10

Santiago de Chile

A Santiago de Chile le temperature estive dovute alle latitudini a sud dell'Equatore mettono discretamente di buon umore il paddock, nonostante tutti sappiano bene che cosa li attenderà di nuovo questo pomeriggio. Robin si intrufola nel garage della BMW e nota che in fondo, dove solitamente Antonio si sedeva prima delle gare, il team ha lasciato sul sedile il suo casco con i colori del suo Portogallo, rosso e verde. Nessuno gli dice nulla quando lui ci si avvicina, gli passa una mano sopra e lo prende per portarselo via. Tutti in quel box sanno che gli spetta di diritto, che è l'unica cosa di Antonio che gli rimane davvero. Robin torna nel suo box e si va a sedere sul suo sedile, tenendo in braccio il casco di Anto, con un dito segue i contorni del motivo stampato e delle lettere del suo nome, mentre la rabbia lo divora. Non prova più dolore, quello ormai è stato inghiottito dalla rabbia, che gli sussurra nella testa che deve trovare i responsabili e fargliela pagare. È talmente immerso nei suoi pensieri che non si rende conto di stare affondando le unghie nel rivestimento interno del casco, così lo appoggia sul ripiano accanto al suo, si appoggia con il mento al braccio che tiene sul bancone accanto a sé e si incanta a guardare fuori.

"Tutto a posto Robin? Ti vedo un po' perso nei tuoi pensieri." in un momento di silenzio nel box, la voce di Sam Bird dall'altra parte del garage lo riporta alla realtà, l'inglese viene fulminato con lo sguardo dal giovane olandese in un nanosecondo. Sam abbassa lo sguardo e non emette più un fiato, l'odio che vede dall'altro lato della stanza negli occhi di Robin farebbe paura anche all'uomo più spietato della Terra.
Fuori dal box André passa senza curarsi di cosa stia succedendo, ma Robin alla vista del tedesco si risveglia dal torpore e si avvia a passo svelto per raggiungerlo.

"André, puoi fermarti un attimo? Devo parlarti." il tedesco si volta, quasi sorpreso di vedere Robin avvicinarsi a lui.

"Non ho molto tempo, ma dimmi tutto." la gara sta per iniziare: quelli a rischio sono sempre gli stessi, ma si è visto dall'ultima gara che anche quelli davanti devono sperare di avere fortuna.

"Si tratta di Antonio." il sorriso di André sparisce e intima a Robin di seguirlo, se devono parlarne di certo non è una conversazione da fare nel bel mezzo della pit lane. André entra nel suo box seguito a ruota da Robin, Jean li guarda di storto, ma basta che André passi troppo vicino a Jean di proposito per sfiorargli il dorso della mano con le nocche e la sua espressione si addolcisce subito. Sul retro non c'è nessuno, sono tutti troppo impegnati ad ottimizzare le vetture per far sì che siano le migliori, André e Robin sono soli.

"Hai trovato qualcosa?" André controlla, si guarda intorno per essere sicuro, sta sempre all'erta. Robin si pente subito di non aver portato i documenti, custoditi gelosamente nel suo stanzino, forse André gli avrebbe creduto di più.

"Sono andato alla FIA e ho trovato delle informazioni su di lui, non so spiegarti tutto nei dettagli, ma a quanto pare il calo di potenza…" uno dei meccanici fa irruzione nel nascondiglio e guarda senza capire prima Robin, poi André, così almeno per tre volte.

"André, dobbiamo andare in griglia." il meccanico abbandona i due piloti, ma dietro di lui c'è Jean che li osserva con uno sguardo indecifrabile anche da André.

"Ci vediamo nella hall, stasera, dobbiamo parlare di un po' di cose…" André rientra nel box e prende per un attimo la mano di Jean, la stringe per augurargli buona fortuna, gesto che Robin nota e che lo fa sorridere: almeno quei due non stanno commettendo gli stessi errori che lui ha commesso con Antonio. Ma non c'è tempo per pensare ai sentimenti e ai ricordi, quarantacinque minuti e un giro incombono su di loro, quarantacinque minuti e un giro per salvarsi.

La gara si rivela essere un completo disastro, le temperature afose di Santiago hanno avuto la meglio su molti piloti: Sam, Robin, Edoardo Mortara, Pascal, Neel Jani, Jean e André. Tutti ritirati. Uno ad uno convocati dai commissari, tutti sotto tortura.
La gara è stata vinta da Daniel. Per tutto il tempo Lucas gli è stato dietro, non ha mai provato a superarlo, non ha mai giocato sporco se non per un contatto leggero più per spronarlo che per vincere.
Nel retro palco Daniel non trova nessuno, le armi sul tavolo e una lettera diversa dal solito:

Scegli quella giusta, fuori vogliono lo spettacolo.
Prendi la siringa, vedrai che apprezzeranno.
Sei stato bravo oggi, ci vediamo da me, stanotte.

Lucas

Come ha fatto Lucas a manipolare le guardie ed infrangere ogni protocollo? Perché mai Daniel dovrebbe scegliere la siringa? Alla prima domanda non trova risposta, ma mentre pensa alla prima la risposta alla seconda è un'illuminazione: embolia polmonare. Sarà disgustoso, ma è questo che vogliono: spettacolo, sangue, morte. Tutti ora hanno gli occhi puntati sugli EHG, la curiosità vince sulla moralità. Daniel ci pensa tanto prima di prendere quella siringa. È giusto far soffrire così una persona? È questo che darà lo spettacolo che tutti vogliono? Deludere Lucas non è un'opzione, ora che l'ha quasi riconquistato, non è riuscito a toglierselo dalla testa, non può non assecondarlo.
Daniel stringe la siringa vuota con lo stantuffo alzato in mano mentre si avvia sul palco sotto gli occhi di tutti. Il sole scalda subito la pelle del suo viso, e i suoi occhi incontrano quelli di Brendon, fermo a pochi metri da lui, con le mani dietro la schiena. Daniel nota che gli uomini con i caschi non lo stanno tenendo fermo, non lo toccano nemmeno. Il tedesco non vede l'ora di liberarsi di questo peso, non riesce a sopportare un minuto di più di stare su questo palco, ma allo stesso tempo non vede l'ora di uccidere la sua vittima, che è un altro passo verso la vittoria. Questo suo ultimo pensiero lo spaventa. Non sa da dove gli esca questa improvvisa voglia di uccidere, ma non vede l'ora di soddisfare anche le aspettative di Lucas che, sotto il palco, attende che Daniel si avventi sul neozelandese della Porsche con un ghigno mal celato.

"Non vuoi scappare Brendon?" chiede Daniel, in tono neutro.

"E perché dovrei volerlo? È quel che mi attende in ogni caso." la voce di Brendon è calma, non c'è paura nel suo tono e non deve nasconderla, non è spaventato. Socchiude appena gli occhi mentre guarda Daniel avvicinarsi e nota la siringa che tiene in mano, all'apparenza è vuota, ma lui sa che in realtà è piena d'aria.

"Sei così irritantemente calmo." Daniel si ferma a un metro da lui e lo guarda negli occhi.

"Hai ragione." Brendon scioglie le sue dita intrecciate da dietro la schiena e si tira giù la zip della sua tuta fino alla vita, dopodiché si alza la manica sinistra della maglia tecnica fin sopra il gomito e lo tende verso il tedesco. "Ma prego, fai quel che ti spetta, il mondo sta aspettando solo questo e non vorrei far ritardare lo spettacolo." distende ancora il braccio verso Daniel mentre parla, chiude la mano a pugno ed eccola, sull'interno del suo gomito, la vena blu che pulsa sotto pelle. Daniel è confuso dal comportamento del suo collega, ma gli afferra il braccio con forza senza smettere di guardarlo, per poi abbassare gli occhi e bucargli la pelle con l'ago esattamente sopra la vena blu, l'ago trapassa la pelle e si infila in quel vaso sanguigno, Daniel spinge lo stantuffo e la siringa riversa tutta l'aria dentro la vena di Brendon, che sente il dolore della troppa pressione nel suo corpo e stringe i denti in una smorfia di dolore. Daniel si allontana di nuovo e rimane ad osservare il neozelandese, che lo guarda a sua volta, dopo aver abbassato il braccio, si guardano negli occhi. L'aria nel corpo di Brendon si scompone in tantissime piccole bollicine e viaggia nelle sue vene fino a raggiungere i capillari dei suoi polmoni e si accumula, facendo pressione contro le pareti dei vasi. Il dolore al petto è forte, i capillari cedono alla pressione rompendosi e i polmoni di Brendon si riempiono di sangue. Il neozelandese non se ne accorge subito, eppure sta ancora guardando Daniel negli occhi, e non sono passati che due minuti, quando si sente soffocare e il terrore lo invade. Non si muove di un centimetro, ora Daniel riesce a vedere la paura dei suoi occhi. Brendon diventa di un colore quasi cadaverico e il sangue gli risale la gola, gli occupa la bocca che si schiude, e il mondo vede il sangue che sgorga. Non trattiene la tosse, prima a piccoli colpi, poi più forti, il sangue schizza Daniel e lo coglie impreparato, in preda al panico si allontana di qualche metro, Brendon crolla a terra a quattro zampe, con una mano sulla gola, la tosse non si placa e lui si sente soffocare, annegare nel suo stesso sangue. Ogni secondo che passa sul palco c'è più sangue, e Brendon si sente sempre più debole, finché non riesce più a reggersi e si accascia nella pozza di sangue che ha creato lui stesso, il suo corpo lotta per liberarsi del sangue ancora, e quando non ha più le forze nemmeno per cedere agli spasmi involontari del suo corpo, le sue labbra rimangono schiuse, i suoi occhi restano aperti, e la vita lo abbandona mentre ancora il sangue cola dalla sua bocca e allarga ancora di più la pozza in cui giace. Daniel resta inorridito, si allontana verso il retropalco ed esce diretto al suo box, con il terrore negli occhi. Si infila nel bagno del suo garage e subito si piazza davanti allo specchio, poi si accorge di avere ancora la siringa in mano, la lancia lontano da sè e quella va in frantumi non appena urta la parete di piastrelle. Il tedesco guarda negli occhi il suo riflesso e poi vede tutte le gocce del sangue di Brendon sul suo viso. Apre l'acqua e si lava il viso, quando torna a guardarsi allo specchio nota le gocce rosso scuro anche sulla parte superiore della sua tuta, e ancora non si capacita di come lui stesso abbia ucciso Brendon dall'interno, praticamente senza toccarlo.

Sam, Edo, Pascal, Neel, Robin, insieme a Jean e André vengono fatti entrare tutti insieme al primo piano nella stanza dei commissari, che è illuminata dalla luce che entra dalle finestre e dai neon sopra le loro teste. Vengono invitati a disporsi in fila davanti al tavolo al centro della stanza, non sanno cosa li attenda stavolta. Sette uomini coi volti nascosti dai caschi si dispongono dietro i sette piloti a mezzo metro da loro, e a un cenno della mano di uno dei commissari, si avventano sui ragazzi premendo sulle loro bocche un fazzoletto imbevuto di cloroformio, loro cercano di opporre resistenza, ma l'odore forte gli invade le narici e presto svengono tutti, uno dopo l'altro. Vengono risvegliati non molto tempo dopo, in una stanza buia e diversa da quella dove si trovavano prima, sono seduti ognuno a un tavolo, con i polsi legati, ognuno ha un commissario di fronte che non presta attenzione alle reazioni del pilota.
C'è afa nella stanza, ciò contribuisce a rendere ancora più difficile riprendersi dallo svenimento. André si guarda intorno spaesato, una goccia di sudore gli scende dietro al collo, gli gira la testa, non riesce a capire.
Uno ad uno i commissari si mettono all'opera e quello davanti ad André ha l'aria di non voler lasciarlo andare via senza farlo impazzire: gli occhi grigi lo scrutano dall'alto verso il basso, ha una faccia conosciuta ma ora come ora André non saprebbe a chi collegarla, i capelli interamente bianchi lo fanno sembrare più anziano di quello che è veramente.

"Ciao André." l'uomo lo saluta, ma André ancora non connette, non è ancora in grado di elaborare frasi di senso compiuto "Lo so cosa stai pensando, se collabori te ne andrai via di qui al più presto. È meglio che tu lo faccia perché sai le conseguenze quali saranno se non mi ascolterai attentamente…" qualcosa di freddo tocca le sue mani legate mentre il suo sguardo è perso nel vuoto: all'apparenza sembra essere un coltellino svizzero che André ignora, i commissari non possono ucciderli e a quanto pare la tortura non comprende ferite.

"Cosa devo fare?" il tono di voce di André è freddo, basso per non farsi sentire dagli altri, all'apparenza sottomesso, ma con dentro il fuoco della ribellione. Si guarda intorno e i suoi colleghi sono tutti immersi nel leggere o guardare qualcosa che André non riesce a capire.

"Possiamo iniziare?" André si volta bruscamente verso l'uomo, ma nel farlo il suo sguardo cade sulla foto posta sul tavolo: c'è lui da bambino, tenuto stretto tra le braccia di sua madre e suo padre che osserva la scena da vicino. La sua famiglia, ecco cosa vogliono prendere di mira, oppure vogliono usarla come strumento per farlo crollare. "Cosa mi dici di loro, Lotterer?"

"Se volete delle informazioni state prendendo la persona sbagliata, non so neanche cosa vogliate." André si rilassa sulla sedia e con lo sguardo sfida il commissario che inizia ad irritarsi.

"Chi ha detto che vogliamo delle informazioni, André? Sei qui perché ti sei ritirato, lo sai come funziona, hai per caso qualcosa da nascondere?" André scopre subito la tecnica del commissario, non ci va una scienza per capirla: vuole farlo crollare, impaurirlo." Lo ripeto per l'ultima volta con le buone: cosa mi dici di quei due?"

"Quei due non sono persone qualunque, quei due sono i miei genitori." la rabbia inizia a farsi strada nella voce di André. Anche se sua madre l'ha abbandonato non può smettere di considerarla la sua famiglia, è la donna che lo ha cresciuto e che l'ha fatto diventare chi è veramente. Per suo padre è un discorso diverso, André non sa se essere felice perché non possa assistere a questo massacro, per non essere stato ripudiato anche da lui; allo stesso tempo però non può fare a meno di rivolerlo con sé perché gli manca avere una figura paterna su cui fare affidamento.

"Da quel che so tuo padre è morto tempo fa, non è così?" il commissario sa di aver riaperto una ferita, gli serve solo girarci il dito dentro per farlo soffrire, farlo crollare.

"Sì, è vero." André stringe i pugni con talmente tanta forza che sente riacutizzarsi il dolore alla mano con cui aveva tirato un pugno al muro in preda alla rabbia nella notte fredda di Marrakesh. Non possono fare leva su questo, la morte di suo padre è la sua più grande debolezza.

"Sai spiegarmi cosa sia successo?" il commissario osserva bene le reazioni del tedesco che a sua volta non sa mascherare la sua rabbia e la sua sofferenza al ricordo.

"Io non ero lì." André risponde brevemente, non vuole lasciarsi andare a dichiarazioni davanti all'uomo che sta cercando di torturarlo.

"Dov'eri?" André respira profondamente prima di rispondere e gli scappa un singhiozzo, i suoi muri stanno crollando.

"Ero dall'altra parte del mondo." André distoglie lo sguardo e guarda gli altri. La sua attenzione è catturata da Jean: sta piangendo. Nonostante siano a due lati opposti riesce a vedere le lacrime scendere sulle sue guance e sente una stretta all'altezza del cuore. Vorrebbe togliersi quella cinghia che gli stringe i polsi e correre da lui, usare quella lama che gli sfiora il dorso della mano e piantarla nel collo del commissario, abbracciare Jean e dirgli che va tutto bene e poi portarlo via di lì.

"Lotterer guardami." il commissario ringhia, ma André non ascolta, il suo sguardo è solo su Jean e sulle sue lacrime amare, non può stare li a guardare. "Ti piacerebbe facessimo fare la stessa fine a tua madre? Non credo proprio, quindi se non vuoi che succeda ascoltami!" André si volta di scatto con le lacrime agli occhi, il commissario ha una macchina fotografica in mano, è quella di suo padre. Vorrebbe prenderla, riportarla a casa, ma le sue mani sono bloccate. Sente il panico salire e il commissario sorride diabolico contento di essere riuscito a fargli del male, più di quanto una ferita fisica possa fargliene.

"Non azzardatevi a toccare la mia famiglia, mai più, mai." André crolla, incapace di reagire, ferito nel profondo, tutti si voltano verso di lui e si spaventano: se crolla André crollano tutti.

Jean è seduto davanti a un uomo biondo, piuttosto giovane rispetto alla media degli altri commissari, ma il francese sa che in ogni caso non deve abbassare la guardia. L'uomo è impassibile, mentre Jean lo guarda con odio, sa benissimo su cosa andrà a lavorare e di certo lui non cederà facilmente.

"Dunque, Jean…" il commissario viene interrotto subito.

"No. Non starò al tuo gioco, non puoi farmi niente." le parole di Jean escono come veleno dalle sue labbra, ma la reazione dall'altra parte del tavolo non è quella che lui sperava. L'uomo sorride beffardo e volta il suo computer nella sua direzione, dopo aver fatto partire un file video.

"Io non farò niente, faranno tutto loro." risponde, lasciando che Jean veda quel che scorre sullo schermo. In realtà non c'è molto, il video è nero, ci sono solo due voci maschili che parlano in italiano, probabilmente per non farsi scoprire, i sottotitoli aiutano Jean a capire quello che si stanno dicendo, e non appena comprende chi sono quelli che parlano, si maledice di aver imparato l'italiano. Il suo sguardo vola nell'angolo in alto a sinistra dello schermo nero, dove legge una data. 26 maggio 2014. I sottotitoli gli confermano i nomi, Graham Watson e Franz Tost, rispettivamente team manager e team principal della Toro Rosso.

"No, non hai capito, lo sta facendo per noi. Per i risultati, Graham." Jean lo capisce all'istante, che Franz sta parlando di lui.

"Sono sue scelte, ha 24 anni, è grande e vaccinato e libero di fare quel che gli pare." risponde il team manager.

"Si sta uccidendo per portarci gli stessi risultati che ci porta Daniil. Non capisci? Morirà se va avanti così, non mangia più, si regge a malapena in piedi, come pretendi che riesca a correre tutti i weekend?" a Jean manca quasi il respiro, sente la gola bruciargli e le lacrime minacciano di scendere senza sosta. Non riesce a credere che abbiano trovato qualcosa che non aveva mai sentito prima su di lui, era convinto di sapere ogni cosa di quella faccenda. Il botto che segue quasi fa saltare Jean sulla sedia, chiude gli occhi, una lacrima gli scappa, odia il fatto che l'audio sia così chiaro da rendere praticamente inutili i sottotitoli. Ha sbattuto il pugno sul tavolo si dice, vorrebbe potersi tappare le orecchie e non sentire una parola di più.

"Sono io che prendo le decisioni qua, non tu! Se continua a dire di sentirsela di correre che faccia! Ben venga! È per questo che lo pago, non per pettinare le bambole."

"Sta morendo."

"Che muoia." le lacrime sul viso di Jean ormai non accennano a fermarsi. Trema appena, cerca di voltarsi per non farsi vedere dagli altri piloti, non può mostrarsi debole, ma sente lo sguardo di André addosso e poi lo sente, il singhiozzo del tedesco, apre gli occhi e si volta nella sua direzione, e vede le stesse lacrime che rigano il suo viso rigare anche quello di André. Il più forte di loro è crollato, e Jean sa che dovrà essere lui stavolta a rimettere insieme i suoi pezzi. Jean avvicina entrambe le mani, che sono legate insieme, al suo viso e si asciuga le lacrime, la voce del commissario lo infastidisce di nuovo.

"Quindi è questo, il tassello mancante della tua storia, quello che non ti tornava, il perché Franz ti volesse aiutare ma non lo faceva mai…" Jean abbassa le mani strette a pugno sul computer del commissario con talmente tanta forza da rompere la tastiera, poi lo spinge verso l'uomo, che lo ferma appena prima che gli cada sulle gambe. L'odio divora il francese come mai aveva fatto prima, sono riusciti a riaprire una ferita che aveva impiegato anni a cicatrizzarsi.

"Non mi importa. Per me loro sono morti. Ora uccidimi perché ti ho rotto il computer, non aspetto altro." vuole vedere se l'uomo avrà il coraggio di avventarsi su di lui, ma sa che non potrebbe, sia per questione di regolamento sia perché probabilmente, nonostante le mani legate, Jean non lo farebbe uscire vivo dalla stanza.

Robin è steso sul letto, il ricordo della morte di Antonio è tornato prepotente. Si guarda le mani e non capisce come possa averlo ucciso solo con la forza, non si capacita di aver avuto quella forza di volontà. Perché non mi sono fatto uccidere? Si chiede ripetutamente nella testa. La tortura di oggi l'ha buttato completamente a terra, è senza forze, non ha intenzione di muoversi da quel letto.
L'incontro con Jean e André, se lo ricorda di colpo, dovevano parlare di cosa fosse successo ad Antonio. No, Robin non ha intenzione di toccare il fondo, non vuole essere risucchiato da una spirale negativa ancora una volta.
Bussano alla porta, all'improvviso, Robin si alza di scatto e perde un po' l'equilibrio, saranno di sicuro Jean e André che saranno andati a cercarlo, nonostante abbiano subito anche loro il suo stesso trattamento. Va alla porta e apre aspettando di trovarsi i due davanti, ma si trova solo una testa bionda davanti che lo studia attentamente, appoggiato contro la porta.

"Ciao Robin." Nico Müeller gli sta davanti e Robin rabbrividisce.

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