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Capitolo 1

Titolo: El diez de las manzanas

Autore: Marcello Bertozzi

Anno: 2019

1

Mi chiamo Diego Armando Sentini, sono argentino, precisamente di Valcheta, un dipartimento situato nella parte centro-meridionale della provincia di Rio Negro. Sono nato nel 1981 in un piccolo ospedale della città. Non è una zona povera o malfamata, e mi rendo conto di essere stato fortunato a nascere qui.

La donna che mi ha dato la vita, mia madre, si chiama Adelina. È una donna garbata, gentile, composta, e di una dolcezza indescrivibile. Il suo corpo minuto è segnato dal duro lavoro nei campi. Le sue mani non sono lisce e morbide come quelle di molte madri: sono screpolate, segnate dai calli e da piccole ferite. A Valcheta tutti coltivano la terra; il clima e il terreno fertile sono particolarmente adatti alla coltivazione dei meli.

Viviamo in una vecchia casa di legno, molto spaziosa. Le stanze sono collegate tra loro in successione, quasi come una catena. Lo stile della casa è inconfondibile, anche per la presenza di un patio centrale attorno al quale sono disposte le stanze, tutte con accesso diretto al cortile. Le camere sono molto ampie, con soffitti alti tipici delle case argentine. Le finestre, originariamente piccole, sono state successivamente allargate per far entrare più luce naturale.

Possediamo 20 ettari di terreno coltivabile, oltre a uno inutilizzabile. I miei genitori coltivano mele, come hanno fatto i miei nonni e i miei bisnonni. Il mio destino sembrava già segnato, scolpito in un tronco di melo. Tuttavia, mio padre aveva altri piani per il suo unico figlio.

Mio padre si chiama Daniel. È un uomo generoso ma molto testardo. In realtà, si può riassumere la sua personalità in due parole: lavoro e calcio. Il calcio è la sua unica, grande passione. Non importa dove sia o cosa stia facendo: pota una pianta, è a tavola, incontra il postino, oppure si trova al bagno... l'argomento è sempre lo stesso. Le rare volte in cui va al bar a bere un bicchiere di vino bianco, lo fa solo perché lì può vedere una partita che non riesce a guardare a casa.

Nel 1978 non ero ancora nato, ma la decisione che avrebbe portato alla mia nascita fu presa proprio quell'anno. L'Argentina ospitava il Mondiale di calcio, e mio padre era in uno stato di euforia che definire esagerato è poco. Giugno, un mese cruciale per la coltivazione, fu segnato da una pesante invasione di cocciniglie, insetti temuti dagli agricoltori. Serviva una mente lucida per fronteggiare il problema. Ma Giugno era anche il mese del Mondiale.

Tra l'altro, mio padre adorava un giovane calciatore che l'anno prima aveva debuttato in nazionale. Un ragazzo così talentuoso che, secondo lui, avrebbe meritato di partecipare al Mondiale casalingo. Quando venne annunciata la lista dei convocati e il suo pupillo non vi compariva, andò su tutte le furie. Per due giorni non parlò con nessuno, neppure con mia madre.

Il terzo giorno Adelina, esasperata, ruppe il silenzio e gli disse:
"Adesso basta! Non si può andare avanti così! Taglia corto con questa storia! Tanto quel ragazzino non si sa nemmeno chi sia!".

Daniel, seduto sul divano, lasciò cadere il giornale, si alzò in piedi con occhi spiritati e, pur mantenendo le distanze, alzò la voce:
"Quel ragazzo diventerà un Dio, e senza di lui l'Argentina uscirà al primo turno del Mondiale di casa! Se così non sarà, ti prometto che avremo il figlio che desideri, ma a una condizione: dovrà portare il suo nome!".

Adelina fece un'espressione ambigua. Avrebbe voluto urlare di gioia, ma si trattenne. Rispose semplicemente:
"Affare fatto!".

Erano anni che desiderava un figlio, ma Daniel, consapevole delle fatiche che ciò avrebbe comportato nei campi, aveva sempre tergiversato. Con questa scommessa, entrambi ottennero ciò che desideravano: lui una moglie appassionata al Mondiale e all'Argentina campione, lei la possibilità di diventare madre.

In fondo, non era importante il motivo, forse banale, ma il risultato. E così, nel 1981, nacqui io.


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