Capitolo 16-Con te è sempre stato difficile
"The past is never dead. It's not even past."
-William Faulkner
Molto tempo prima.
«Cosa significa, che siete bloccati nel passato?» Theodore camminava lungo il tavolo di legno massello, scrutando Emeline con circospezione.
Lei sbottò in una risata divertita, «non siamo bloccati nel passato. Le stagioni cambiano e gli anni passano. Solo che non lasciano il segno.»
«Ma i vestiti. La città-» Non capiva.
Tutti sembravano essere rimasti isolati dal mondo per molto tempo.
Lei rimase dapprima in silenzio.
«Il tempo scorre» disse, continuando il suo discorso, «ma è vivo. Mutevole. Malleabile. Quando le epoche si ripetono e cambiano di continuo, è difficile mantenere l'equilibrio giusto.»
«Fingete di restare nel passato» concluse Theodore, alla fine, realizzando quanto fosse complessa la situazione.
«Le persone voglio pace. Quiete. E non c'è quiete migliore che poter vivere per sempre nella società di cui si ha sempre fatto parte. Niente cambiamenti. Non ci servono e ci confonderebbero soltanto.» Emeline sorrise, osservando la fotografia che teneva tra le mani.
«E anche se il mondo si evolve e tutto cambia, Fostemoon rimane cullata nella sua illusione di stabilità.» Aggiunse, prima di riporre la cornice sul comò vicino alla finestra.
«Ma questa non è la mia società» puntualizzò lui, «io faccio parte di un mondo diverso dal vostro.»
«Lo diventerà, Theo. La società che hai lasciato non esiste più. Vent'anni sono tanti, e tanti sono i cambiamenti che ne conseguono.» Emeline lo osservò, guardandolo con dolcezza, «Fostemoon è la realtà migliore che possa esistere. E tu ne sei il sindaco, adesso.»
«Farò la stessa fine di Braxton, vero?» domandò Evander, guardando la fotografia del sindaco, «tra vent'anni. Arriverà qualcun altro.» Ammise, conscio che non avrebbe potuto fare nulla per opporsi.
«No» Emeline scosse la testa, «troveremo un altro modo. Ho tutto il tempo per studiare una formula alternativa.»
«Perché con gli altri sindaci non lo hai fatto?» Era una domanda a cui non riusciva a darsi risposta, e che lo avrebbe tormentato per tutti gli anni a venire.
Emeline si fece seria, d'improvviso.
«Perché non erano te.»
«È riuscito a uccidere il sindaco!» esclamò una donna tra gli spettatori, che attendevano con ansia il ritorno di uno dei due sfidanti, «è riuscito a superare le quarantott'ore.»
Vince rise a quell'affermazione.
Certo.
Se non fosse stato per Emeline e la sua strana abitudine di manipolare il tempo a suo piacimento, lui a quell'ora avrebbe già avuto una pallottola tra gli occhi.
E i corvi si sarebbero cibati del suo, di viso, e non di quello di Evander.
Attraversò la piazza lentamente, mentre tutto applaudivano la sua tenacia, il suo coraggio, la sua vincita.
Un'illusione.
Salì sul palco, mentre gli occhi di tutti gli stavano puntati addosso come una miriade di api nell'alveare.
Arrivò fino al centro della struttura, «l'ho ucciso» ammise, «con questo» mostrò il pugnale ancora pregno di sangue scintillante.
Altri applausi.
Come se la vista di un ragazzo, di un assassino insanguinato fosse il migliore degli spettacoli.
«Evander é morto, la triade preservata, ancora una volta.»
Emeline.
La sua voce sembrava ancora più armonica del solito.
Il suo sorriso ancora più dolce.
I suoi occhi ancora più limpidi.
Tutti si alzarono in piedi, alla sua vista.
Era candida e pulita.
Senza più l'ombra di ciò che era stato a macchiarle quello splendido abito di raso giallo.
«Fostemoon ancora una volta splende. Un nuovo ventennio inizia, oggi. Un nuovo momento, in cui il passato ci accompagna lungo il futuro con calma e tranquillità.»Emeline salì sul palco, vicino a Vince.
«Così si chiudono le estrazioni. Con un valido e coraggioso vincitore» sfiorò la spalla di Vince, sorridendo.
«Fostemoon ha un nuovo sindaco. Vince Eggers!»
«Avrai molto da fare, d'ora in poi»
Emeline stava seduta su una della grandi poltrone dello studio di Evander.
«Spero che la stanza di piaccia» si guardò intorno, osservando l'alto soffitto.
Vicino a lei una tazza di quello che sembrava tè al gelsomino.
Davanti a lei Vince, immobile.
Rigirava tra le dita il coltello da cucina che nascondeva nella tasca della giacca.
«Innanzitutto, dovrai bere il siero iniziale»indicò col mento la tazza, poi la prese tra le mani e la porse all'altro, guardandolo negli occhi come a sfidarlo, «così diverrai parte di Fostemoon.»
«E se non volessi?» chiese lui, accasciandosi sempre di più lungo lo schienale della poltrona.
Lei rimase dapprima interdetta, poi si sciolse in una risata compiaciuta.
«Con te è sempre stato difficile. Non come Evander. Con lui non ho avuto nemmeno bisogno di usare quello, al contrario tuo» guardò di sfuggita un libro, aperto a una pagina con su scritto, come titolo, "Imperium Mentis", «e sai perché? Perché era innamorato, forse solamente attratto da me, ma non cambia nulla. Ciò che provava era più forte di qualsiasi trucco io potessi usare su di lui.»
Emeline diede un'occhiata alle foto che giacevano sulla scrivania.
Le stesse che Vince ricordava di aver visto in sala.
«Mi hai controllato la mente.» Non era una domanda.
Era più la presa di coscienza di qualcosa su cui aveva sempre dubitato.
Tutte quelle volte in cui faceva una cosa, prendeva una scelta senza nemmeno accorgersene...
Strinse il coltello ancora più forte, finché non sentì l'inizio di una ferita aprirsi sul palmo della sua mano.
«Se la vuoi mettere così» Emeline alzò le spalle, disinteressata.
Poi, senza che nessuno glielo avesse chiesto, disse:
«Quelli sono i vecchi sindaci. Tutti i sindaci di Fostemoon.»
Indicò quelle cornici dorate e le foto al loro interno.
Vince spostò lo sguardo, osservandole in tutta la loro maestosa antichità.
Tre volti avevano già posato per le fotografie di Emeline.
La quarta cornice era vuota.
Ma qualcosa gli suggeriva che presto avrebbe visto al suo interno il volto limpido e affascinante di Evander.
«Dovremmo iniziare a stilare una lista per le nuove fortune Adverse. Ci serviranno almeno quattro persone, poi decideremo quale coppia scegliere.»
«Come dovranno essere, queste persone?»chiese Vince, monocorde, aspettando la risposta di Emeline mentre sentiva una rabbia cruda salirgli lungo il petto.
Lei alzò lo sguardo, pensando, «sole. Fragili, facilmente manipolabili, cose del genere. E che, possibilmente, abbiano una malsana ossessione su cui noi potremmo contare per incuriosirli e farli arrivare a Fostemoon.»
Credette che fosse uno scherzo.
In un colpo solo lei lo aveva descritto nel più spietato e cinico dei modi.
«Credi che possano bastare, come informazioni?»
Emeline continuava a guardarlo negli occhi, come se in qualche modo potesse guardare attraverso.
E niente affermava che fosse il contrario.
«Certo.»
Adesso, pensò. Adesso o sarà troppo tardi.
Sfilò con lentezza la lama del coltello, dopo aver calcolato come agire per puntare al petto. Diede ancora una rapida occhiata alla porzione di vestito che lo copriva prima di scattare definitivamente in avanti, pronto a squarciare senza la minima parvenza di rimorso e a ripagarla della sua stessa moneta.
«Non vorrai fare il mio stesso errore? Puntare al petto anzichè alla gola? La trachea è un colpo molto più sicuro.»
Prima che Vince potesse anche solo alzarsi, Emeline aveva parlato.
Il suo era il tono di una professionista che insegnava i trucchi del mestiere all'allievo.
«Non uccidermi, Vince. Non ha senso farlo. Non ora che tutto sta per essere completato.» Gli porse ancora una volta la tazzina, sorridendo appena.
Un sorriso confortante, che sembrava sussurrare che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
«Bevilo, per favore. Bevilo e non dovrai più preoccuparti di cosa è giusto o sbagliato.»
Vince osservò la tazza con repulsione.
Sfiorò ancora per qualche secondo la lama del coltello, poi, senza nemmeno volerlo veramente lo sfilò dalla manica, appoggiandolo sul tavolino.
E poi bevve.
Non avrebbe mai immaginato che l'immortalità sapesse di gelsomino.
«Ne ho trovati cinque, mi sembrano i più papabili.»
Emeline si avvicinò al tavolo di metallo, sorridendo.
Portava un completo da viaggio a pois, e sotto il braccio teneva una piccola cartellina.
Aveva fatto un viaggio di due giorni nel mondo esterno per trovare i possibili nuovi candidati delle estrazioni, e quando era tornata Vince la aveva implorata di parlarle dei cambiamenti che erano avvenuti in quei vent'anni, fino al duemilasei.
Come un cieco aveva seguito la sua voce calma parlare di un mondo che non conosceva.
Ci era rimasto particolarmente male alla notizia della morte di Freddie Mercury e dello scioglimento dei Queen, e aveva ascoltato con morboso interesse ogni minimo dettaglio su come la società che conosceva si fosse sparpagliata in piccoli pezzi fino a perdersi del tutto, per lasciare il suo posto a un'altra realtà.
«Abbiamo un anno» continuò lei, «prima delle nuove estrazioni. Inizieremo con lui» indicò la foto di un ragazzo dai capelli chiari.
«E dopo?» chiese Vince.
E dopo, cosa sarebbe successo?
Sarebbe ricominciato tutto.
Ovvio, che sarebbe ricominciato tutto.
In una miniera immutabile e desolante.
«Dopo rinizieranno le estrazioni.»
Emeline lo guardò raggiante.
Splendeva come un sole d'estate.
Splendeva di vittoria perché sapeva di aver vinto.
Perché sapeva che sarebbe stata l'unica a poter vincere sempre.
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