Capitolo 14- Come posso non essere dalla tua parte?
«Prego, prendete posto!» il presentatore sorrideva entusiasta, mentre indicava i posti liberi ai cittadini.
Stava sul bordo del palco, ondeggiando appena perdeva l'equilibrio.
Faceva caldo.
Era novembre, il vento soffiava.
Smuoveva le ciocche di capelli e faceva oscillare le foglie degli alberi, ma non metteva freddo.
Il centro della piazza era illuminato dai raggi del sole, che convergevano esattamente sul palco, creando una corona di luce tanto bella quanto inquietante.
Vince si sedette in prima fila.
Era come se una parte di lui non avesse più paura.
Sapeva che sarebbe uscito, Emeline glielo aveva detto indirettamente, tra un sorriso e l'altro.
Gli stranieri sono sempre le fortune Adverse.
Una volta estratto cosa sarebbe successo?
Questo ancora non lo sapeva.
Avrebbe potuto fuggire, ma qualcosa gli diceva che Emeline non avrebbe rinunciato a lui.
Se n'era accorto da come lo trattava, da come lo guardava e da come gli parlava.
Per lei, Vince era una cosa rara e apprezzabile. Almeno era quello che pregava fosse vero.
«Bene, ecco il sindaco e la nostra Creatrice!» esclamò l'uomo sorridendo smagliante, guardando davanti a lui.
Tutti si girarono, uno dopo l'altro, per osservare Emeline e Theodore avanzare verso il palco.
Erano perfetti: illuminati dalla luce fredda e inconsistente erano dotati di quella perfezione non banale o scontata, di cui era impossibile stancarsi, perché era unita a un fascino e a un'eleganza che non poteva essere ignorata.
«Chi uscirà questa volta? Chi sarà fortuna, e chi fortuna Adversa?» chiese il presentatore, per avere l'attenzione di tutti puntata sulla sua persona.
Si udì un brusio diffuso, e Vince poté chiaramente sentire una voce femminile dire:
«Ormai lo sappiamo già come va a finire»
Emeline salì sul palco seguita da Theodore, ed entrambi si rivolsero al pubblico.
«Benvenuti alla seconda estrazione di quest'anno» annunciò Theodore, sorridendo.
«Quella decisiva» aggiunse Emeline, e tutti presero ad applaudire meccanicamente.
Il presentatore si mosse nella loro direzione, ed entrambi si voltarono verso il contenitore di bronzo contenente i nomi di tutti i cittadini.
«Bene, benissimo! Iniziamo con l'estrazione della Fortuna adversa!»
Vince chiuse gli occhi.
Era incredibile come, privato di un senso e impossibilitato a vedere ciò che stava succedendo, fosse più tranquillo.
Sarebbe uscito lui.
Un istante prima di chiudere le palpebre aveva visto Emeline sorridergli.
Se fosse stato lui, la fortuna Adversa, lei non avrebbe mai permesso che morisse.
Nessun cittadino valeva più di lui.
Nessuno.
Lo ripeteva come un mantra, convincendosi di quella folle idea.
«E la fortuna adversa è» il presentatore aspettò che Emeline leggesse il contenuto del bigliettino estratto e poi lo sussurrasse, «Vince Eggers!»
Vince riaprì gli occhi, incontrando subito quelli chiari di Emeline.
Buttò fuori il respiro che aveva trattenuto fino a quel momento.
Non doveva perdere tempo, doveva agire ed era certo che con il suo aiuto le quarantottore sarebbero passate in fretta.
«Ora passiamo alla fortuna» Theodore si avvicinò ai bigliettini, pescandone uno.
Questa volta Vince rimase con lo sguardo fisso sul sindaco.
Chiunque esca, lei sceglierà me.
Era un pensiero fugace, e forse nemmeno realizzò di averlo pensato veramente.
«Fortuna» Theodore si guardò intorno, poi incrociò lo sguardo con quello di Vince per qualche effimero momento. «Theodore Evander.» Sorrise.
I suoi denti bianchi scintillarono sotto i raggi di sole, i suoi capelli pece assunsero le più belle sfumature di blu.
Chiunque... pensò Vince, tranne lui.
Si chiese come fosse possibile uccidere qualcuno come Evander.
Era semplicemente troppo eccezionale per morire.
Vince si guardò intorno, sentì gli occhi di tutti addosso.
Capì perchè lo guardassero con estremo interesse.
Era già morto.
Lì, mentre ancora respirava ed era vivo, era già morto. Era solo questione di tempo.
Quarantott'ore.
Corse lungo le scale saltando gli scalini, aggrappandosi al corrimano come se fosse una scialuppa.
Arrivato davanti alla camera d'hotel stette dei secondi che gli parvero ore a cercare le chiavi, mentre le mani tremanti comunicavano al mondo la sua folle paura.
Tutta la convinzione che aveva accumulato fino a quel momento era svanita, scomparsa, dopo l'estrazione della Fortuna.
Aveva davanti agli occhi il volto sorridente di Theodore.
Il candore della sua espressione nascondeva un sentimento brutale.
Perché Evander era un predatore scaltro.
E Vince aveva potuto comprenderlo anche fin troppo bene da un sorriso.
Perché Emeline, che era una cacciatrice ancora più eccelsa del sindaco, non sarebbe stata dalla parte di Vince.
E lui aveva potuto comprenderlo anche fin troppo bene da uno sguardo.
Aprì la porta della sua camera e la richiuse dietro di sé con un tonfo, guardandosi intorno smarrito.
Doveva prendere le sue cose.
Doveva prendere tutto e andarsene.
Iniziò aprendo l'armadio, staccando con malagrazia i pochi vestiti che aveva dalle grucce di legno e buttandoli in valigia, accatastati senza una logica.
Prese l'orologio che teneva sul comodino, il ricambio di scarpe all'entrata, i pantaloni piegati.
Tutto veniva buttato nel suo trolley vecchio senza un minimo di riguardo.
E mentre con il corpo Vince annaspava in tutti quegli oggetti personali, la sua mente aveva semplicemente deciso di essersi stancata di tutto quel caos, staccando completamente qualsiasi collegamento logico che non fossero quei gesti meccanici che ora Vince stava compiendo come un androide.
Fece per chiudere la cerniera, quando quella si inceppò, impossibilità solo a chiudere la valigia del tutto.
Vince imprecò davanti a quella situazione. Senza rendersene conto si trovò a gridare da solo, come se avesse davanti le cause dei suoi problemi.
«Fanculo! Fanculo a questo posto di merda!» diede un calcio alla valigia, che si ribaltò a terra.
Immaginò come sarebbe stato soddisfacente poter battere con così tanta facilità anche Evander, potergli spaccare quella faccia sempre serena e per una volta nella sua vita vincere.
E pensò che anche lui stesso meritava una fine del genere, se era stato così ingenuo e stupido da pensare che per una volta valesse qualcosa per qualcuno.
Come aveva solo potuto convincersi della fatto che fosse lì per un motivo speciale?
Che lui fosse speciale?
Il motivo del suo invito era tanto folle quanto più realistico: erano matti e volevano farlo fuori.
E lui che si era convinto del contrario era tanto pazzo quanto loro.
Raccolse il trolley e la giacca, diede un'ultima e rapida occhiata a quella stanza anonima e si voltò, chiudendo la porta.
Sapeva dove si sarebbe diretto: la foresta era l'unico luogo in cui avrebbe avuto qualche possibilità di salvezza.
«Tieni il volto più ruotato verso sinistra, per favore.» Emeline camminava intorno alla macchina fotografica poggiata sul cavalletto di legno, scrutando il suo soggetto con attenzione.
«Così non va bene?» chiese Evander, leggermente irritato, mentre cercava di voltarsi più di profilo.
Sedeva su una delle sedie di ferro battuto del gazebo.
Le ombre dei rampicanti gli si riflettevano sui vestiti chiari.
«No, devi essere più naturale. Come se guardassi di lato, così» Emeline voltò il capo con grazia, assumendo esattamente la posa che voleva da Theodore.
«Visto?» disse, mentre si avvicinava alla macchina fotografica.
«Ancora non capisco perché tu voglia farlo. Tra poco dovrò andare e tu pensi a delle fotografie» sibilò lui, cercando di muoversi il meno possibile.
Guardava davanti a sé, fissando il roseto bianco e fiorente.
«Perché sei un ottimo soggetto per le mie fotografie» rispose lei, sorridendo soddisfatta.
«Il siero ha funzionato alla perfezione su tutti, soprattutto con te»
«Peccato per... quello» continuò, sfiorandosi la guancia e alludendo alle lacrime di sangue.
«L'emolacria non è riuscito a curarla» affermò lui, toccando di sfuggita un occhio, come un riflesso naturale.
«Però, guarda. Nemmeno una ruga» tagliò corto Emeline, «esattamente come il primo anno in cui sei arrivato a Fostemoon, quarant'anni fa.»
«Sempre se mi servirà a qualcosa, tutta questa giovinezza» rispose lui, secco, «mi chiedo a cosa serva fingere che sia tutto normale quando potremmo morire da un momento all'altro.» Continuò, amareggiato, continuando a guardare davanti a sé, ma osservando Emeline con la coda dell'occhio, di tanto in tanto.
«No, no, così non va bene» sbuffò lei, e Theodore pensò che parlasse della foto, quando lei disse:
«Dobbiamo fidarci l'uno dell'altro, o commetteremo degli errori!» si avvicinò al tavolino, le braccia incrociate, un'espressione delusa in volto, «se inizi a dubitare, inizierò a farlo anch'io. E cosa mi dice che tu stia ancora dalla mia parte?» pose con dolore quell'ultima domanda, mente la voce le tremava appena.
Theodore scosse la testa, «come posso non essere dalla tua parte?» poi sospirò, nascondendo il viso col palmo di una mano, «è che se uccidendolo il siero smettesse di funzionare, se la triade si annullasse perché ne manca una componente...» si fermò, rendendosi conto che si stava solo accartocciando con le parole, «non voglio morire» disse solo.
Emeline rise, «nemmeno io. Per nessuna ragione. Ma ne abbiamo già parlato, Theo, ed entrambi sappiamo che è l'unica cosa da fare...» si sedette sulla sedia speculare a quella di Evander, «se non vuoi essere rimpiazzato da Vince.»
Rimasero a osservarsi per qualche attimo, in silenzio.
Poi, di colpo, la macchina fotografica scattò.
Theodore si portò una mano al petto, ed Emeline sorrise, «avevo dimenticato che stava per scattare» confessò.
Theodore non rispose.
«Sarà nello stesso posto di sempre, vero?» domandò, dal nulla.
Il sorriso genuino che aveva illuminato le labbra di Emeline con delicatezza scomparse, per poi tornare ancora più carico e dolce quando parlò.
«Sì,» rispose, «sarà lì.»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro