8. L'arte di credere nell'amore
"La mancanza d'amore è la più crudele e abietta delle pene."
Nosferatu – il principe della notte
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C'è qualcosa di strano in Kilian, e la sensazione che prova Ayar la spinge sempre di più in quella direzione. Dopo l'ipnosi si sente stanca, come se le avessero sottratto tutte le energie. Svuotata del sangue che ha assunto per sentirsi meglio. E infatti, ogni volta che la seduta finisce, si ritrova con uno strano languore che preme sullo stomaco.
Sospira, abbandonando lo studio, e va a riposare un po'. Si sdraia sul letto e cerca di dormire, ma non funziona. Così decide di approfittare della biblioteca, leggerà qualcosa per passare il tempo.
Si avvia verso quella camera e ci si infila all'interno, viene accolta dall'odore della carta e sorride. Lì può occupare il tempo, a casa sua non c'è niente con cui poterlo fare, solo un televisore che riproduce soltanto notiziari per avvertire gli individui che popolano il pianeta di nuove leggi, cambiamenti del governo e qualunque altra informazione possa tornare utile. Ayar lo teneva quasi sempre spento, perciò non le dispiace che lì, sottoterra, non ci siano schermi di quella tipologia.
Scorre gli occhi sui libri, ci sono talmente tanti volumi conservati lì dentro e con le pagine ingiallite dal tempo che non ha idea di quale vuole cominciare a sfogliare per primo. Così decide di chiudere gli occhi e scorrere con le dita in modo casuale, lasciando la scelta al destino.
Si ferma e rimuove il libro dal suo spazio, poi apre gli occhi. Ci sono quattro numeri stampati sulla copertina, un anno lontano: il 1984. L'autore di quello che sembra essere un romanzo è George Orwell, e Ayar non ha idea di chi possa essere, ma la copertina la intriga e le piacciono i colori, è tutta nera e viola, perciò prende posto su una delle poltrone al centro della stanza e si perde nelle pagine.
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Quando riemerge dal libro devono essere trascorse parecchie ore, perché alza lo sguardo solo quando sente la porta della biblioteca aprirsi e richiude il tomo di scatto, quasi come se fosse stata beccata a fare qualcosa di proibito, quando la conoscenza non dovrebbe mai essere vietata, come l'immaginazione.
«L'ho trovata», dice Edvin, e Ayar vede Kilian dietro di lui.
«Che c'è? Ho il permesso di andare in giro per casa, me l'ha detto Kilian», sbuffa, sperando di non essere rimproverata. Non possono certo pensare che con una libreria piena perderà il suo tempo a fissare il soffitto bianco della camera in cui dorme.
«No, infatti, non c'è nessun problema, puoi stare qui e usare i libri quando vuoi, ti cercavamo perché è ora di cena», risponde Kilian paziente. «E ti avevo chiesto di indossare un vestito carino, te l'ho fatto portare in camera apposta», prosegue.
Ayar si dà una manata in fronte, era così stanca che ha dimenticato che avrebbero cenato assieme e che doveva mettersi un abito più elegante. In effetti, ora che squadra Edvin, è quasi stupita di vedergli addosso una camicia di seta nera e dei pantaloni che non sono strappati.
«L'ho dimenticato, ho iniziato a leggere e mi sono persa», mormora, «okay, va bene, aspettatemi, mi cambio subito e arrivo.»
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Ayar si guarda allo specchio con un'espressione terrorizzata.
I vestiti che Kilian ha scelto per lei sono molto diversi da quelli che utilizza di solito. Si tratta di una camicia nera con le maniche a tre quarti che si allargano all'altezza del gomito. Ha il colletto alto e ha rinchiuso nelle asole ogni bottone, piccole pietre che sembrano fatte di ossidiana. Poi ha indossato una gonna in pelle con delle sottili bretelle che accompagna sulle spalle, è stretta in vita e si apre poi in alcune pieghe che non aderiscono alle gambe e quindi le consentono dei movimenti comodi, e infine ha completato l'abbigliamento con delle calze della stessa cupa tonalità che arrivano poco sopra il ginocchio, ha indossato le scarpe e ora continua a specchiarsi mentre germogli di vimini si arrampicano fra le costole.
Si sente a disagio, anche se vedersi con quei vestiti addosso è strano, quasi non sembra se stessa. È proibito indossare gonne così corte. Le arriva a metà coscia, dovrebbe stare almeno oltre il ginocchio.
Si sforza di respirare.
È carina. Può sopportarlo per un po'.
Decide di distogliere lo sguardo dal suo riflesso e di raggiungere i due senza perdere altro tempo. Rimanere lì a rimuginarci non farà che accrescere il disagio e l'agitazione.
Quando entra in sala da pranzo, si rende conto che hanno apparecchiato con una tovaglia piena di ricami, sebbene non ci sia alcuna portata sul tavolo. Ayar sente gli occhi dei due addosso e le guance le si colorano di amaranto, vorrebbe seppellirsi più che rimanere lì ferma sotto a pupille che sembrano bruciarle la pelle.
«Va bene, ora smettetela di guardarmi come se fossi un'aliena», il tono della sua voce è impregnato di fastidio.
Edvin sembra insistere con gli occhi su di lei solo per metterla a disagio, Kilian le regala un sorriso incoraggiante, a tratti dolce – ma c'è sempre qualcosa di vuoto nelle sue espressioni.
È una recita costante quella che lo tiene in piedi, e Ayar prima o poi scoprirà perché è tanto certa che nascosta da qualche parte ci sia una bestia crudele, forse perfino sadica.
«Sei molto carina», le dice, e Ayar trema per quel complimento. Non è abituata a riceverne, e non perché non sappia di esserlo, ma perché non è normale fare commenti sugli altri. Le persone devono solo provare indifferenza, perciò è straniante e nuovo sentirselo dire.
«Beh, grazie», sospira Ayar, «ora ho fame, posso avere del sangue?»
Edvin trattiene appena un sorriso, può vederlo quasi ghignare alle spalle di Kilian, prenderla in giro per quella fame che in fondo rende entrambi identici.
«Sì, sono d'accordo, ceniamo», dice Kilian, e sparisce dentro alla cucina mentre lei ed Edvin prendono posto uno davanti all'altro, lasciando la sedia fra i due, all'apice del tavolo, vuota.
Quando Kilian torna ha in mano soltanto un vassoio, qualcosa di tondo e rosso vi è poggiato al di sopra. Solo quando lo posiziona sul tavolo Ayar si inumidisce le labbra, affamata, e pensa che può indossare anche tutti i giorni delle gonne se il premio è un cuore umano pieno di sangue.
«Perché ci stai viziando?», qualcosa non la convince, è tutto molto strano.
«Oggi avete svolto la missione piuttosto bene, ne sono stato sorpreso e ho pensato di premiarvi. Inoltre, sei appena arrivata e la situazione negli ultimi giorni è stata tesa e stressante. Non mi piace avvertire tutta quest'energia negativa in casa, perciò cercheremo di trovare un modo per farvi andare d'accordo.»
Quando Kilian parla, entrambi stanno in silenzio e lo ascoltano senza battere ciglio, senza interromperlo, sebbene le sue ultime affermazioni sembrino piuttosto utopiche.
«Io non ho nessun problema con Edvin, è lui che ha un problema con me», commenta Ayar, e in fondo è la verità.
Kilian usa un coltello per incidere il muscolo e dividerlo in due parti uguali, per poi afferrarlo con delle pinze e posarlo nei loro piatti di porcellana, che si macchiano all'istante del sangue che gocciola.
«Edvin d'ora in poi si comporterà bene, ne abbiamo discusso», risponde Kilian. «Vero, Ed?»
Edvin rimane in silenzio per qualche istante, il necessario a far sentire Ayar a disagio e farle temere una reazione improvvisa e violenta, qualcosa in grado di ribaltare l'apparente calma che li circonda. Poi annuisce, lento. «Sì.»
Kilian sorride, poi si versa dell'acqua in un bicchiere, e Ayar non può fare a meno di chiedersi il perché lui non abbia del cibo sul piatto, né tantomeno del sangue.
Non riesce a frenare la lingua, perché ha notato che Kilian è parecchio strano e ha bisogno di sapere perché, che cos'è. Il coltello e la forchetta affondano nel muscolo, sembra quasi ancora caldo e pulsante, come se fosse stato strappato via da poco dal petto di qualcuno. Ayar ha l'acquolina in bocca, ma si contiene e ne taglia via un pezzetto per portarlo alle labbra. Poi, dopo averlo mandato giù e aver placato appena la morsa della fame, si volta verso Kilian. «Perché tu non mangi mai nulla?»
Lui non dimostra alcuna emozione, forse si aspettava che quella domanda venisse fuori. «Non ho bisogno di sangue, né di cibo», dice con tranquillità, senza fornire tuttavia alcuna spiegazione.
«Com'è possibile?», chiede ancora, troppo curiosa per rimanere in silenzio e farsi andare bene quelle poche parole.
È Edvin a intervenire e fornirle una soluzione. «Kilian non è come noi, non gli serve il cibo.»
«Tu non hai mai fame?», chiede allora Ayar, curiosa.
Kilian scuote il capo. «Talvolta sono un po' stanco, ma mi passa in fretta.»
«Ma perché?», Ayar non riesce proprio a capirlo.
«Perché siamo tutti diversi, Ayar. Non farti troppe domande», la ferma Edvin.
Abbassa il capo e decide di tornare al suo cibo. Prima o poi lo scoprirà.
Dopo cena, Edvin si alza da tavola e raggiunge l'angolo della stanza per recuperare una bottiglia di vetro dal tavolino. Prende anche due bicchieri e li riempie a metà, poi ne dà uno ad Ayar.
«Credimi, ti servirà», le sussurra, certo che Kilian non li stia ascoltando. Si è alzato da tavola da prima di loro e ha cominciato a controllare dei fogli, perdendosi nel suo mondo e non partecipando attivamente al pasto.
Ayar aspetta di vedere l'altro bere prima di fidarsi e fare lo stesso. Comprende che è alcool e le brucia subito la gola, ma ha un lieve retrogusto dolce che rende meno difficoltoso l'ingerimento.
Edvin si accende una sigaretta e rimane in piedi, appoggiato a una parete.
Kilian li raggiunge con aria rilassata. «Ti avevo promesso una bella serata, perciò accompagnatemi pure di là», dice. Ha dei fogli in mano, e Ayar vede che su di essi ci sono delle linee e delle note musicali.
Seguono Kilian in una stanza al piano di sopra, Ayar non l'ha mai esplorata. È spaziosa e bianca, s'illumina appena accendono le candele. C'è un pianoforte a coda in fondo, sembra vecchio, eppure è tenuto bene, è di un nero lucido. Kilian prende posto sullo sgabello lì di fronte, scoprendo una serie di tasti bianchi e neri.
C'è amore negli occhi di Kilian quando guarda il pianoforte – quando ammira l'arte in ogni sua forma. A Kilian piace la bellezza, e ad Ayar sembra di comprenderlo solo mentre vede il lucciolio che gli brilla nella sclera, fiamme vermiglie che lo tengono vivo. Forse è di questo che si nutre lui, di ciò che è piacevole da guardare, di ciò che fa vivere. Forse ricerca l'esistenza e l'energia in tutto quello che è proibito. Un esteta. Ossessionato dall'arte, dalla bellezza, dalla magia nell'incanto di un sogno.
Edvin è rimasto sulla porta, ha ancora la sigaretta fra le dita della mancina e il calice nell'altra; fuma per morire, per vedere concretizzarsi il suo respiro in nuvolette di fumo e fiato, e beve per restare vivo, per non spegnersi mai.
Le note suonate da Kilian sono dolci e le mettono i brividi. È la prima volta che sente della musica suonata dal vivo e non quella prodotta dalle radio e dalle televisioni fra un notiziario e l'altro, in brevi intermezzi inutili. La fa sentire strana, la mente leggera e un sorriso che le taglia il volto. Si ferma a osservare il suo profilo, i capelli che gli scivolano intorno agli zigomi e l'aria serena, gioviale come non l'ha mai visto prima, coinvolto in una melodia che gli scalda l'anima e fa vibrare perfino quella di chi gli sta intorno. Le dita lunghe accarezzano i tasti, le vene delle mani appena in rilievo sui dorsi e sui polsi, e Ayar pensa per un piccolo, microscopico istante, che le piacerebbe essere toccata con la stessa tenera attenzione. Le guance si tingono di rosso come se qualcuno avesse ascoltato quel pensiero, ma si calma appena ricorda di non averlo certo detto ad alta voce.
Ayar non conosce quella canzone e non l'ha mai sentita prima, ma è dolce e delicata, le note suonano meraviglia e bellezza e torna presto coinvolta dalla sinfonia, finché Kilian non la guarda e ferma le dita, il tempo s'immobilizza in un silenzio assordante e stonato.
«Potreste fare qualcosa per me?», chiede con le pupille nere e strette che saettano sui volti di entrambi con calma. «Danzate sulle mie note, nessuno l'ha mai fatto prima.»
Parole che bloccano la mente di Ayar, solo l'idea di fare un gesto tanto assurdo la scandalizza.
«I-io non so ballare», specifica subito, non lo ha mai fatto e in fondo è normale, perché nessuno lo fa mai. Non più. Solo alcuni reietti, persone contro il sistema che violano le regole e non vogliono chinare il capo.
Lei è una di loro, ma solo perché è infetta. Non le sono mai piaciute le feste.
«Non importa essere bravi», Kilian tenta di persuaderla, «potremmo creare qualcosa di unico, di bello.»
Ayar non riesce a guardarlo negli occhi e perdersi nel loro brillare di vita e speranza. Sembra voler ingabbiare un attimo di perfetta bellezza nel tempo, custodirlo nella sua memoria per essere consapevole di aver vissuto quell'attimo. E lei non riesce a privarlo di quella scintilla, non può dirgli di no, è come se fosse costretta ad annuire e accettare nonostante tutto.
Edvin ha l'aria fredda e distaccata, ma quando Ayar muove il capo in un cenno d'assenso, sospira e la raggiunge. «Solo per questa volta, ma non lo rifarò mai più», sentenzia.
Ayar si chiede perché debba essere sempre così gelido e crudele, come se non riuscisse a starle vicina neppure per un attimo senza ferirla – non ha importanza se dentro o fuori.
Le porge il palmo della mano in un invito che non ha niente di dolce e rassicurante. Ha quasi paura che toccando la sua pelle finirà per prendere fuoco, per morire avvelenata da quel contatto, ma ciò non succede e scopre che la sua epidermide è ipotermica.
È certa che Kilian stia sorridendo quando prende a sfiorare i tasti, i polpastrelli che scivolano dal nero al bianco, sorvolano sui contrasti del pianoforte per intrappolare nell'aria note e magia.
Con l'incanto negli occhi, Ayar sente la mano di Edvin appoggiarsi alla base della schiena, lì dove sotto ai vestiti ha delle fossette tonde. È un contatto che la fa tremare, ma non ha il tempo neppure per realizzarlo che prendono a rincorrere le note. Il cuore le batte forte nella gabbia toracica.
Il momento in cui danzano e sorridono è intrappolato in una clessidra che ha appena cominciato a far calare i granelli verso il fondo. Il mondo gira e sembra ridere insieme a loro e alla spensieratezza che si concedono. La stanza che vortica confusa sembra accompagnarli in quel ballo talvolta privo di coordinazione, impreciso, ma che li rende tutti un po' più leggeri.
La musica è ipnotica, tanto che non sono in grado di fermarsi fino all'ultima nota.
Kilian sorride e si sente bene, si sente vivo. Vivo come non si è mai sentito, ispirato e disposto a esistere ancora per poter fare parte – o forse perfino creare – dei momenti speciali, sempiterni granelli intrappolati nel tempo.
Si alza dallo sgabello e li raggiunge. Sono fermi, uno di fronte all'altra, e Ayar è buffa con i capelli appena scompigliati dalle giravolte. «Vi ringrazio per essere qui», dice, le mani che raggiungono le loro spalle in una veloce e asettica carezza. «Stiamo dando vita a qualcosa di speciale, rianimiamo ciò che è morto e sepolto nel passato. Non avete idea di ciò che questo significhi per me.»
Ayar sente le emozioni agitarsi dentro di lei, il cuore che non smette di battere martellante. «Cos'è stato per te?»
Non sa che risposta aspettarsi, e forse neppure Kilian è certo di ciò che dice.
«Amore, vita», parole che suonano come sentenze e come illusioni.
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