6. Mostri affamati
"Al dottor Frankenstein interessa solo la vita umana: la sua distruzione e la sua creazione."
Frankenstein (il film del '31)
✟
Edvin stringe l'ago fra le mani, ha l'espressione concentrata mentre sutura la ferita di Kilian. Le sue mani sono fredde e immobili, non tremano né tentennano quando devono bucare la carne e richiuderla.
«Non dovresti trattarla così, non ti ha fatto niente.»
Non serve che specifichi a cosa si riferisce, Edvin sa bene qual è il soggetto della loro conversazione.
«La distruggerai come hai fatto con tutte le altre, e semplicemente non m'importa di lei.»
«Ne abbiamo già discusso. Io sto solo cercando di salvarla.»
«La stai tenendo qui solo perché ti annoi.»
«Lei è felice?», Kilian cambia argomento, sorride. Anche se Edvin sa che i suoi non sono mai veri sorrisi. Non risponde alle sue accuse, né per smentirle né per confermarle.
Edvin preferisce essere sincero. «No, non penso che sia felice.»
«Non ha trovato la sua strada. È pericolosa, lì fuori.»
Kilian alza lo sguardo, cerca quello di Edvin per persuaderlo, convincerlo che sia la cosa giusta da fare.
«Le hai dato il tuo sangue», l'accusa, anche se non c'entra davvero con ciò di cui stanno discutendo. «Non lo hai mai fatto con nessuno.»
«Non ho mai lasciato nessuno morire di fame», ritira il braccio che gli è stato medicato e che ora comincerà il suo processo di guarigione. Odia avere delle ferite addosso, lo infastidiscono e prudono ossessive finché la pelle non si risana del tutto.
«Hai lasciato morire di fame me.»
Kilian sospira, stanco di dover tornare su quell'argomento. «Sai bene perché l'ho fatto. Ora sai controllarti.»
Edvin vorrebbe che fosse così, vorrebbe aver imparato, ma non vuole mai più sentire quelle sensazioni, perciò mente. Mentirà sempre, custodirà quel segreto dentro di sé e non verrà mai a galla perché non può deluderlo.
Non sente la fame, finché gli altri ne sono convinti la possibilità opposta non può essere individuata.
Non sa controllarsi, ha solo imparato a fingere di esserne in grado.
«Non le darò più il mio sangue, se penserai tu a sfamarla. Non dovrà passare quello che hai vissuto tu, se le insegnerai a controllarsi.»
Ayar li sta ascoltando, Edvin sente i suoi passi che si avvicinano.
Scatta in piedi, la sedia stride contro il pavimento. Ha avvertito i battiti del cuore accelerare dietro alle pareti quando ha sentito le ultime parole pronunciate da Kilian. «Non ci riuscirà mai. Lei è troppo debole. Non può controllare il virus, non sa assolutamente tenere a bada le sue emozioni. Piange per i sensi di colpa perfino quando sei tu a fare del male a lei. Ayar è un caso perso, stai buttando solo tempo e risorse.»
«Dopo la vostra missione di domani ceneremo insieme, avremo modo di conoscerla meglio e ti sentirai più tranquillo, ci farai l'abitudine e magari ti piacerà perfino, quindi smettila di dubitare delle mie decisioni.»
Kilian non sembra voler cambiare idea e Edvin subisce l'ennesimo brutto colpo. Si sente impotente e spaventato. Terrorizzato all'idea che qualcuno possa infiltrarsi nella sua vita. «Ci proverò.»
Lascia la stanza, avvicinandosi alla porta con passo leggero per evitare che Ayar lo senta, per beccarla a sbirciare e spiarli. Quando abbassa la maniglia, tuttavia, è stupito nel realizzare che lei è già sparita. Può vedere i suoi capelli rame svoltare l'angolo del corridoio, e allora la insegue.
«Ayar», la chiama, «i muri sono sottili, quando ti nascondi dietro le porte per origliare sento i battiti del tuo cuore. La prossima volta fatti un favore ed evita.»
Edvin sente che si è bloccata appena ha pronunciato il suo nome, può quasi avvertire la sua tensione quando fa marcia indietro e gli si ferma davanti.
«Ho il diritto di sapere se parlate di me», replica, perché è certa di averli beccati proprio nel bel mezzo di una conversazione scomoda, qualcosa da non ascoltare, e quasi terrorizzata si è allontanata, riuscendo a captare solo alcune parole: sangue e controllo. «Non ho sentito nulla, in ogni caso.»
«Sarà meglio per te che sia la verità», termina Edvin, che non ha voglia di discutere con lei e la oltrepassa senza voltarsi indietro, andando a chiudersi nella sua stanza.
✟
La fame non è sparita, ha solo imparato a controllare il linguaggio del corpo. Non lo fa vedere, non mostra quanto il virus in realtà lo metta a dura prova. Edvin è abituato a mostrarsi forte, a non parlare dei vizi, dei peccati e dell'insania che lo divorano.
Si rigira sul letto, indossa solo i pantaloni, ma sa che deve rivestirsi in fretta, non vuole che qualcuno entri e lo trovi con le sue ferite sulle braccia e con le cicatrici circolari delle sigarette che si è spento addosso, alla ricerca del dolore per frenare il sadismo corrosivo che lo mastica e sputa a pezzetti.
Ha bisogno di sangue, ed è tutta colpa di Ayar e della rabbia che gli provoca.
È riuscito a rallentare il bisogno di cibo, può controllarlo più a lungo, ma non se continua a sentire il suo odore dolce nell'aria e a esserne attratto in maniera quasi morbosa.
Alza il busto. Sta sudando freddo. O esce a cacciare del sangue e dissangua una persona qualunque abbandonando il corpo in un cassonetto, o si prende un po' di quello di Ayar.
La seconda opzione è più semplice, più veloce e meno rischiosa. Se il sistema lo scopre, nemmeno Kilian sarà in grado di aiutarlo e tirarlo fuori dal baratro.
Infila una felpa per mascherare le braccia sormontate di forme geometriche bianche, cicatrici stampate sull'epidermide e tagli ancora aperti, riflessi del dolore che sente dentro di sé.
Raggiunge la camera di Ayar e non bussa, abbassa la maniglia e si infila al suo interno. Sente il suo respiro profondo e il battito della sua giugulare carica di sangue. Sta dormendo, morbide ciocche sanguigne le sono scivolate sul volto e sugli occhi chiusi, le palpebre abbassate e occupate a perdersi in un mondo illusorio, ma confortante.
Si siede sul bordo del letto facendo attenzione a non svegliarla, con la punta delle dita le scosta i capelli dal collo, usa una delicatezza che non gli appartiene e che utilizza solo per evitare di rovinare il suo sonno e di farsi scoprire. Traccia la linea della vena con l'apice dell'indice, sentendola pulsare sotto agli strati di pelle, sentendola chiamarlo come la melodia di una sirena crudele. Il dolore gli squarcia la mandibola, distrugge le gengive appena i denti cominciano a spingere e ad affilarsi, pronti a distruggere la carne e masticarla assaporandone il sentore ferroso.
Si sente un mostro quando cede al desiderio di renderla parte di sé e affondare i canini su quella linea violacea che lo chiama e si dimena per farsi ascoltare. A un soffio dalla sua pelle, però, può sentire le palpebre di Ayar aprirsi, il respiro bloccarsi, quasi incastrato nella gabbia toracica.
Un'iride azzurra raggiunge il suo volto e Edvin rimane pietrificato sopra di lei per una manciata di lunghi secondi. Poi le dita corrono sulle braccia quando cerca di scivolare via da quella morsa che la costringe, le blocca i polsi ai lati della testa premendole le unghie contro la cute e graffiandola appena.
La tiene ferma per affondare – finalmente, quasi gioisce, quasi sorride con il sangue che gli macchia il viso – i denti nella carne, per succhiare via con avidità la sua vita e sentirla mugolare sotto alla sua presa, chiedergli di fermarsi con voce sempre più debole.
Edvin non vorrebbe smettere mai. Il sangue gli inonda la gola, scivola dolce lungo l'esofago, placa quell'eterna sete senza perdono. E anche se sa che deve smettere non vuole farlo, vuole che lei muoia, vuole che si spenga per l'ultima volta, anche se sa che non può. Non moriranno mai davvero. L'ha uccisa apposta, voleva esserne sicuro.
Si ferma solo quando è certo che dentro di lei ne sia rimasto poco, solo il necessario per riformarsi e tenerla attiva, anche se non lo vuole davvero. I canini lasciano la carne e qualche goccia continua a inzupparle il collo e il cuscino, le sporca i capelli dello stesso colore, solo un po' più chiari. La presa sui suoi polsi si allenta, ma non del tutto. Rimane lì con le ginocchia che le circondano il bacino e i palmi delle mani che sentono pulsare rapide le vene delle braccia.
Ayar ha gli occhi spalancati. Le pupille nere, abissi in cui smarrisce i sentimenti, sono contornate da un freddo ghiaccio che gli causa un orrendo gelo alle ossa. Le guance sembrano spegnersi, sono meno rosee, così come la punta del naso lentigginosa, ma non più tinta di vita.
Edvin le lascia liberi i polsi, si sposta da lei. Il cuore gli batte più veloce.
Ha perso troppo sangue, si sta spegnendo e non è nemmeno in grado di chiedere aiuto, non riesce – o forse non lo vuole e basta – a pronunciare niente, neppure una supplica. Non gli chiede di darle del sangue, anche se ne ha bisogno, anche se si è preso il suo con la forza.
Edvin comprende che in lei c'è quel bisogno di morire che l'ha ossessionato per troppo tempo, quando si guardava allo specchio e vedeva solo il mostro, quando i sensi di colpa lo schiacciavano e sceglieva di farsi male per alleggerire il peso delle sue colpe.
Si morde il polso, buca la carne con i canini e il bianco si tinge di rosso e comincia a gocciolare. Appoggia il braccio alle labbra di Ayar, le tiene su la testa – sembra un burattino, una marionetta rotta a cui hanno strappato i fili e ora non è più in grado di muoversi.
È quello il momento in cui Edvin si rende conto che sono uguali, lo sono per davvero.
C'è qualcuno che può capirlo, in quel mondo marcio.
C'è qualcuno che si sente come lui, che avverte quella fame costante, e che quando si sfama si sente in colpa e vorrebbe piangere e distruggersi per non fare altro male, non causare altro dolore.
Il loro virus li rende egoisti. Bestie in cerca di sopravvivenza, e la natura umana è abile a sopravvivere e a inventarsi meccanismi per scampare alla morte. L'unico metodo che funziona con loro, però, è il sangue umano. Senza di quello non possono vivere, né morire.
Lasciarsi a marcire senza nutrirsi per tanto tempo non conduce l'anima oltre il corpo e la libera dalla maledizione.
Smettere di nutrirsi significa diventare deboli, vuoti, incapaci di muoversi. Rimanere fermi e bloccati in un angolo a marcire, con la pelle che va in putrefazione e il corpo che al tempo stesso rimane vivo e intrappolato nel buio per sempre.
Sente la lingua di Ayar raccogliere il sangue sul suo polso, mandarlo giù. E poi comincia a premere i denti contro la pelle, riacquista le forze ed è quasi una lotta con la sua carne, una guerra a chi si prosciuga più in fretta e a chi è più bravo a ferire.
Quando Edvin capisce che non le serve berne ancora scosta il braccio dalle sue labbra, Ayar protesta debole con un mugolio, poi si asciuga il mento con la manica del suo pigiama e punta gli occhi di vetro su di lui.
«Hai cambiato idea in fretta sulla storia del sangue, vedo», dice, è ancora confusa e stordita, si è svegliata con il suo viso di fronte e non ha capito più niente, il dolore al collo è stato devastante e si è sentita tirare via ogni briciola di forza, ogni goccia vermiglia.
Fuori, ormai, inizia a schiarirsi il cielo, e Edvin se ne rende conto a causa della sveglia che ticchetta sul comodino e che segna le cinque del mattino.
«Fatti una doccia e vestiti, fra un'ora abbiamo da fare», le dice Edvin. Non risponde alla sua provocazione, preferisce abbandonare la stanza in silenzio, quasi turbato.
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