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5. A Kilian non piacciono le ferite

 "Il sangue... è una cosa preziosa, di questi tempi."
Dracula di Bram Stoker


Ayar è appena uscita dalla doccia, il vapore riempie il bagno e lo rende denso di nebbia, dunque torna in camera e chiude la porta alle sue spalle per scegliere dei vestiti puliti dall'armadio.

Decide di indossare dei pantaloncini morbidi e una maglietta semplice, bianca e spoglia di disegni. Quello sarà il suo pigiama, e visto che il sole – secondo l'orologio sul comodino – sta tramontando, è il momento adatto per indossarlo.

Ha cercato di distrarsi facendo un bagno più lungo del solito – ha scoperto che lì l'acqua calda non va via dopo tre minuti e può rimanere sotto lo scroscio rilassante anche per più tempo, insaponandosi con un bagnoschiuma che profuma di fragole e le lascia impresso sulla pelle un odore dolce.

La fame è un mostro che la sta divorando, nonostante tutto.

Si è rannicchiata sul letto morbido della sua nuova camera, l'ha scoperto caldo e piacevole. Le coperte non sono pruriginose al contatto con la pelle, e anzi le danno la sensazione di essere immersa di un amorevole e confortante abbraccio.

Continua a digrignare i denti per la fame, tuttavia. Non sa da quanto tempo non ottiene del sangue e la sua sanità mentale sta iniziando a vacillare.

Deve nutrirsi ed essere in forma per la mattina successiva. Si sente debole, non riuscirà a portare la missione a termine se non otterrà del cibo.

Visto che Edvin è stato tanto sgradevole con lei, Ayar decide di raggiungere Kilian e lamentarsi con lui di quanto accaduto.

Kilian le ha detto e ripetuto che non vuole essere disturbato quand'è nel suo studio, ma lo stomaco le brontola e fra qualche ora sarà talmente debole da appassire.

Non vuole deludere Kilian, che si fida di lei e delle sue capacità, perciò deve riempirsi lo stomaco di rosso vermiglio e poi andare a riposare per prepararsi alla giornata successiva.

Scende dal letto, i piedi scalzi la fanno rabbrividire al contatto con il pavimento, e decide di abbandonare la sua camera e partire in missione a caccia di sangue.

Apre la porta e si guarda intorno, il corridoio è vuoto e in casa c'è un silenzio tombale. Può vedere una nuvoletta di fumo provenire dal salotto, è sicuramente Edvin e non vuole incontrarlo, ma non ha altra scelta che passare da lì per raggiungere le scale che conducono al piano superiore.

Viene bloccata proprio da lui, è sdraiato sul divano e stringe una sigaretta fra le dita, la cenere sta per cadere sul pavimento e Ayar prova un sincero fastidio. «Ti avevo detto che non volevo vederti in giro.»

«Kilian ha detto che posso andare dove voglio. Questo è il salotto, non è camera tua, quindi posso starci. In ogni caso, sei egocentrico. Non cercavo te, vado da Kilian per farmi dare del sangue.»

Ayar non perde altro tempo e svolta l'angolo, distogliendo lo sguardo e pensando di averlo messo a tacere. Dei rumori le fanno intuire, però, che si è alzato per inseguirla, e quando si volta lo trova davanti a sé e il cuore sembra saltare nel petto.

«Non ti darà il suo sangue.»

Lo dice con la mascella rigida che tradisce nervosismo e i pugni delle mani stretti, serrati.

Ayar inclina appena il capo, riflessiva. «Se lo dici tu. Preferisco chiederlo che rimanere affamata tutta la notte.»

Ayar si volta e raggiunge le scale, si allontana da Edvin e si sente quasi sorpresa quando realizza che è rimasto immobile lì dove lo ha lasciato. Pensava sarebbe stato più difficile tenerlo a bada.

Bussa con le nocche sul legno, in attesa di una risposta dall'altro lato.

Il fruscio dei fogli, il ticchettio dell'orologio che in quella stanza più che mai sembra rimbombare scandendo il tempo di attimi cupi.

Ayar sente girare la chiave nella serratura, poi compare il volto di Kilian oltre il legno, l'accoglie con un sorriso rassicurante, in grado di dissipare tutta l'ansia che avverte al pensiero di ciò che sta per chiedergli.

«Va tutto bene?», domanda, invitandola a entrare. Non sono passate molte ore da quando è uscita da quella stanza, perciò è normale che si chieda perché lei sia di nuovo lì.

«Non esattamente», Ayar sospira. «Edvin non vuole darmi il suo sangue e io mi sento debole e affamata. Puoi darmene un po'?»

Kilian non mostra alcuna reazione a quella proposta e Ayar odia quel suo essere tanto impenetrabile. È molto diverso da Edvin: le sue emozioni sono vivide e visibili all'occhio umano, lui è un libro aperto e ogni gesto del corpo è un indizio per analizzarlo. Kilian, invece, è un foglio bianco protetto da un incantesimo che cela tutte le informazioni.

«Odio avere delle ferite sul corpo, ma per questa volta farò un'eccezione», stabilisce alla fine, e Ayar trema per le sue parole. Non è felice di doverlo fare, e lo ha reso chiaro, ma conosce Edvin meglio di lei e sa bene quanto sia testardo.

Ayar lo segue con lo sguardo mentre apre un cassetto e ne estrae un pugnale dalla lama tagliente.

«Puoi portarmi uno di quei bicchieri?»

Quasi sussulta quando interrompe il silenzio con quella richiesta. Esegue il comando in modo meccanico, afferrando uno dei calici dietro di lei, vicino a una brocca d'acqua piena. Le loro dita si sfiorano e una scarica elettrica sembra investirla. Rimane immobile, pietrificata, quando Kilian si disegna una linea rossa sul braccio e rincorre il sangue con il calice per riempirlo.

Si inumidisce le labbra, la saliva aumenta con un picco ripido e la fame è una morsa dolorosa allo stomaco, un cancro che divora tutto il suo contegno. Le fanno male i denti, spingono, ed è difficile controllarli, far dissipare quella sensazione di essere a un passo dal cedere e strappargli la pelle, divorare quella ferita e poi tutta la carne perché il cibo non è mai abbastanza.

«Devi imparare a controllarla.»

Ayar vorrebbe ridere. Lasciarsi andare all'isteria e urlare.

Se fosse semplice imparare a controllare la fame l'avrebbe già fatto, ma è un demone che non smette mai di sussurrare, è stridulo come unghie che graffiano una lavagna.

Kilian le allunga il bicchiere e Ayar lo prende quasi di fretta, lo porta alle labbra e ne manda subito giù un sorso, ma si ferma quando sente il bisogno di berlo tutto in un attimo. Chiude gli occhi, respira e lo assapora, poi spinge nella gola il resto cercando di non essere ingorda, di controllarlo.

Si lecca le labbra per ripulirle, sorride. «Grazie.»

Kilian si sta tamponando la ferita con un fazzoletto di stoffa e lo stomaco sembra quasi brontolarle ancora quando lo vede assorbire quel sangue.

Distoglie lo sguardo.

«Di nulla. Ora puoi farmi un favore e chiedere a Edvin di venire qui?»

Ayar annuisce. Non le sembra certo il caso di protestare. È stato piuttosto asettico e impersonale, diverso da com'è stato bere il sangue di Edvin, ma la fame ora è solo un ricordo lontano e potrà stare bene fino al giorno dopo.

«Va bene. Buonanotte, allora», dice, perché immagina che non lo rivedrà, non per quella sera.


Fa un lungo sospiro prima di entrare in soggiorno, ma Edvin non c'è. Decide di svoltare in corridoio e cercarlo. La prima stanza che apre è uno studio, c'è un tavolo, una poltrona e tanti libri che rivestono le pareti. Richiude la porta e passa alla prossima, bussando prima con il timore di trovare qualcuno oltre le mura. C'è una piccola cucina, ma sembra inutilizzata da parecchio tempo. È pulita, ma può vedere luccicare i fili sottili di alcune ragnatele.

Avanza un altro po' e supera la sua camera fino a raggiungere la fine del corridoio e dunque l'ultima porta. Presume che la camera di Edvin sia al piano inferiore, ma non ne è sicura e forse le toccherà tornare sopra. Sta per fare retromarcia quando qualcuno risponde dall'altro lato.

Non comprende se è un invito a entrare o ad andarsene, ma decide comunque di abbassare la maniglia e intrufolarsi nella stanza.

«Trovato!», annuncia con forse troppa euforia. Si sente carica e piena di energie, è di buon umore. «Kilian ti cerca, devi andare da lui.»

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