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30. Whisky e acqua santa

Accendi un sogno e lascialo bruciare in te.
Shakespeare

Quando Ayar si sveglia vede sempre le luci. L'accecano, le feriscono gli occhi, la catapultano fra gli ingranaggi dei momenti che vive.

Ha bisogno di alcuni secondi di tempo per mettere a fuoco il mondo. È nella camera di Edvin, ha una delle sue magliette addosso – la riconosce perché c'è il suo odore impregnato nel tessuto – e non c'è nessun altro dentro la stanza.

«Edvin? Lance?», li chiama, ma non ottiene risposta. Ha un gran mal di testa – tornare dalla morte non è mai semplice – e la furia omicida scalcia. Vorrebbe fare a pezzi Kilian per averla uccisa di nuovo. Dovrebbe averci fatto l'abitudine, eppure continua a detestarlo e a desiderare di vederlo ridotto in poltiglia. Vorrebbe poter cancellare la sua esistenza dal pianeta, senza di lui forse sarebbe un posto migliore.

Kilian ha influenzato in modo totalizzante e devastante il globo, non c'è più salvezza per nessuno.

Il pavimento è freddo e Ayar rabbrividisce quando lo sfiora con i piedi nudi. Esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, e si dirige in salotto in cerca di una qualunque forma di vita.

Trova, in effetti, Lance e Edvin seduti sul divano e impegnati in una conversazione che sembra interessante, perciò prende posto in mezzo ai due e incrocia le gambe, lanciando loro un'occhiata.

«Abbiamo fallito», dice, anche se sa che non c'è bisogno di sottolinearlo.

«Sì e no. Ora che ti sei svegliata possiamo andarcene», Edvin spegne la sigaretta ormai ridotta in cenere che stringe fra le dita, si alza in piedi. «Fate le valigie, Kilian non può più trattenerci.»

Ayar rimane un altro po' in soggiorno con Lance. Ha gli occhi fissi davanti a sé, sul tavolino di fronte al divano, dove sono appoggiati alcuni bicchieri di vetro lucido e una bottiglia di whisky piena, ancora da aprire.

Ayar se ne versa un po' nel bicchiere e lo fa oscillare, pensierosa.

Lance segue i suoi movimenti con gli occhi. «A che stai pensando?»

«Non è tutto perduto. Volendo possiamo sempre incendiare casa, prima di uscire.»

«E rischiare di far arrabbiare ancora Kilian?», le suggerisce Lance, segno che non è d'accordo.

«Tanto poi andiamo via, almeno lo facciamo soffrire», Ayar sorride, manda giù un sorso dal suo bicchiere, «pensaci, se l'arte qui dentro prendesse fuoco soffrirebbe davvero tanto. Penso sia l'unica situazione in grado di distruggerlo dall'interno, visto che all'esterno è impossibile.»

Ayar vuole che Kilian paghi, vuole fargli scontare i peccati che ha commesso, lo stato in cui ha ridotto le donne imprigionate al piano inferiore.

E vuole fargliela pagare per ciò che ha fatto a lei, per tutto. L'egoismo la muove ed è irrefrenabile. 

Ayar si alza in piedi, lascia cadere ciò che è rimasto nel suo calice sul pavimento. Poi prende la bottiglia di whisky e comincia a cospargerla sulle tele di fronte a lei, le impregna di alcool e riempie l'aria dell'odore dolciastro del distillato. 

«Una volta ho letto che i vampiri non sopportano l'acqua santa. In passato si diceva che bruciavano di fronte alle chiese, che non mangiavano l'aglio, che avevano paura delle croci e della luce del sole. Tutte stronzate. Però, in effetti, il whisky potrebbe far prendere fuoco anche a un vampiro, se solo avesse i vestiti inzuppati di alcool.»

Lance si perde in quella riflessione mentre Ayar lo ascolta a tratti e si premura di invadere quella stanza di liquido d'ambra. Sorride soddisfatta mentre stringe la bottiglia ormai vuota fra le dita, e allora si avvia verso la sua stanza per fare le valigie in fretta.

Quando tutti e tre hanno finito di preparare i bagagli, si riuniscono in salotto. Krampus, la bestia infernale di Lance, ha il guinzaglio attorno al collo e segue ubbidiente il suo padrone.

Kilian non li ha cercati, né li ha pregati di restare, né ha cercato di sabotare il loro piano. Non si è neppure accorto che le sue preziose opere d'arte sono già state rovinate dall'alcool che ha intaccato le tele e i colori.

«Bene, siamo pronti!», Ayar appoggia la sua piccola valigia a terra e va a recuperare dei fiammiferi in un cassetto. Sa che sono lì, tempo prima ha visto Edvin riporli. Sta per sfregare la testa rossa del bastoncino contro il dorso della scatola, quando Kilian si presenta di fronte a loro, bloccando l'aria che li circonda, quasi sospesa e più fredda del normale.

Kilian sembra annusare l'aria e si rende presto conto dell'odore di whisky che ha intaccato tutte le pareti. Il suo viso diventa pallido come quello di un cadavere quando comprende che le sue preziose opere d'arte sono state corrose dall'alcool, e quando gli occhi finiscono sulle dita di Ayar, Kilian smette di respirare e perde tutta la calma che ha sempre mostrato agli altri.

«Tu...», il tono della sua voce è minaccioso, crudele. È basso, inquietante, roco. Il verso di una bestia. 

Ayar sorride, serafica. «Chiedimi scusa.»

Kilian la guarda con rabbia. «Scusarmi con te? E per cosa? Sei tu che dovresti farlo, al massimo. Ti ho accolto qui, ti ho dato la mia protezione, ti ho restituito dei ricordi preziosi, e tu non hai fatto altro che pugnalarmi alle spalle e sabotare qualunque cosa io cercassi di fare.»

«Va bene, Kilian, come vuoi. Saluta il tuo prezioso Goya», ribatte Ayar, sfregando la testa del fiammifero contro il dorso, il bastoncino si accende di una flebile fiamma.

«No!», strilla Kilian, che ormai ha perso la calma, la pazienza, il controllo. Non c'è più un freno fra la testa e la voce. «D'accordo, vuoi le mie scuse? Bene, Ayar, mi dispiace di averti salvato la vita accogliendoti qui.»

La fiamma si spegne dopo qualche istante fra le dita di Ayar, che recupera un altro bastoncino nella confezione. «No, smettila», scuote il capo come per cancellare la sua crudeltà, «non è per questo che devi scusarti, sai benissimo che cosa voglio.»

«No, non lo so», Kilian mente, mente sempre. È composto da inganni e bugie, vetri che tagliano.

«Bene, vuol dire che dovrò rinfrescarti la memoria, allora: mi hai uccisa e hai fatto sesso con il mio cadavere.»

Edvin non lo sapeva.

Lance sì, ha risanato le ferite di Ayar, le ha cancellato i lividi dal corpo martoriato. E dunque abbassa il capo, non ha capito quanto l'avesse devastata finché non le ha sentito dire quelle parole con la voce tremolante dal terrore – e Ayar, per come la conosce, non è una che si spaventa per nulla.

Le mani di Edvin hanno uno spasmo, si chiudono in dei pugni e si riaprono, la rabbia gli monta cieca dentro. Alcuni pezzi vanno al loro posto, comprende perché Ayar quando lo ha ucciso era così strana, e inquietante, e turbata. Comprende perché aveva addosso il suo odore e capisce le parole che gli ha rivolto quel giorno, può capire la rabbia cieca dei suoi occhi mentre gli incideva la pelle e gli regalava un viaggio all'inferno.

«Ancora con questa storia?», dice Kilian, «Eri morta! Non te ne sei nemmeno accorta!»

«Lo hai fatto davvero, Kilian?», chiede Edvin, la voce ferma e fredda.

«Sì, ma è stata colpa sua. La tua fedele fidanzatina quando non è occupata con te va in giro a darla a chiunque respiri. È l'unico modo in cui può portarvi dalla sua parte e fregarvi. Gioca sporco, e voi due vi siete fatti imbambolare. Perfino tu, Lance. Credevo che almeno tu fossi dalla mia parte.»

Ayar è soddisfatta di aver combinato quel casino, almeno ora possono rendersi conto della persona inumana che hanno di fronte. Kilian non è un genio, non è un artista, non è una persona arguta e intelligente, è solo marcio e in cerca di mezzi macabri per soddisfare le sue perversioni rancide, le parafilie che lo corrodono all'interno e gli rendono l'esistenza interminabile e sbagliata. Soddisfare i suoi bisogni è difficile, e questo regala un gran sorriso ad Ayar, che non ha bisogno di uccidere qualcuno per portarselo a letto. 

«Non posso credere che tu sia riuscita a fregarmi», quell'ultima frase Kilian la dice con l'aria abulica, affonda nella certezza di averli persi in maniera definitiva. Tutto è andato distrutto.

«Non è solo sesso, non è vero che ci sono riuscita solo per questo. Noi ci vogliamo bene.»

Ayar ha bisogno di difendersi, è infastidita dalla sfacciataggine con cui la mette di fronte a quella verità scomoda. Vuole credere che ci sia dell'altro, che sentimenti d'amore e morte li leghino per un sempiterno istante lungo tutto il resto della loro esistenza.

Decide di far comparire la fiamma del nuovo fiammifero che stringe fra le dita, lo lascia cadere acceso sull'alcool che ricopre il pavimento, e subito il fuoco divora il liquido d'ambra e si abbarbica sulle tele, bruciando l'arte e riducendola in cenere. 

Tutta la meraviglia che Kilian ha salvato. 

Quando si trova di fronte a quello spettacolo raccapricciante il suo cuore si arresta, smette di battere per degli attimi troppo lunghi. Porta una mano all'altezza del petto, quasi a cercarsi il muscolo, mentre un dolore travolgente gli comprime il petto, spilli roventi gli torturano le costole. Gli manca l'aria.

Respira a fatica, affanno forsennato e simbolo di un terrore primordiale. La sua natura da esteta non può accettare che tutta la bellezza di quella casa venga ridotta in cenere. Lacrime salate gli corrodono le guance come acido su uno sfondo pallido, bruciano e lasciano ustioni livide sull'epidermide spettrale. La caruncole sono rosse e gonfie dal pianto che gli abbandona il petto, una disperazione che nessuno gli ha mai visto addosso, e che lo rende vittima di un'umanità che nessuno credeva potesse imprigionare dentro di sé. Kilian piange come se avesse appena perso una parte importante della sua persona, come se avesse perso la sua anima intera.

«Non possiamo lasciarlo qui. È l'unico modo che abbiamo per contrattare con il sistema. A loro non importa niente di noi, ma vogliono Kilian.»

Le parole di Lance cambiano i programmi di tutti e tre in maniera improvvisa.

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