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3. Il Ponte delle Libertà

Sebbene non fosse altro che un semplice collegamento tra Limbo e l'Eden, un banalissimo ponte bianco privo di qualsiasi valore estetico, era prassi comune calcolare il Ponte delle Libertà come parte integrante della città-isola. Si diceva anche che il solo vederlo bastasse per spingere le persone ad attraversarlo senza troppe remore.

Il suo fascino risiedeva all'interno, nel suo forte simbolismo, e nonostante le motivazioni anarchiche che l'avevano spinta ad andare lì, persino l'anima gelida di R. lo poteva percepire, mentre si apprestava a percorrervi i primi passi. Era una sensazione molto flebile, un leggero moto di libertà che a malapena le agitava il sangue, ma sufficiente a farle comprendere le storie che si raccontavano sul Continente: con il Ponte, tutti gli ostacoli sociali, etici e morali, venivano accantonati. Ciò che pensavano gli altri non aveva più importanza, le uniche cose che contavano davvero erano l'individuo stesso e le sue malsane richieste.

"Devi averla sentita anche tu questa sensazione di potenza, immagino" pensò R., lo sguardo fisso sul limitare del cavalcavia, "il giorno in cui sei entrata per la prima volta."

Oltre la leggera nebbia mattutina, poteva già intravedere la sua tanto agognata e odiata meta. A farla da padrone sul panorama, l'immenso edificio amministrativo in stile neo-barocco, con le sue decorazioni estreme e il motto dell'Eden messo ben in vista sulla facciata, a caratteri cubitali, a riassumere lo scopo primario dell'istituzione:

"L'EQUILIBRIO È NELL'ISTINTO"

"Sicuramente, chi ha inventato questo motto non c'era tanto con la testa" si disse, infilando le mani nelle tasche della giacca e continuando la sua camminata. "Come tutti quelli che hanno progettato questo posto."

A suo dire, la città-isola non era una soluzione, come i suoi padri fondatori avevano pensato, ma un problema. Non una cura, ma un cancro che lentamente stava divorando il Continente e i suoi abitanti.

Nonostante la sua facciata riccamente decorata e il ponte di un bianco immacolato, in realtà all'interno dell'Eden si nascondevano puri abomini, atti così barbari da rendere la Grande Estasi una bazzecola in confronto.

Tutta quell'esteriorità serviva soltanto a nascondere il marciume che regnava tra le sue mura, marciume che stava cominciando a intaccare anche l'edificio stesso. Quell'omicidio ne era la prova evidente: con il passare del tempo, l'Eden si era contaminato con le emissioni dei suoi ospiti, indebolendosi dall'interno. Facile credere, come affermavano quelli che la sostenevano, che la città-isola fosse pressoché immune a qualsiasi cosa: la verità era che mancava davvero poco al collasso.

E R. non poteva di certo starsene in disparte ad aspettare che il casino inondasse il Continente. Perché sarebbe stato il caos, di questo poteva esserne certa: un popolo intero, privato del suo paese dei balocchi da un giorno all'altro, difficilmente sarebbe rimasto fermo a guardare.

Sarebbe scoppiata una nuova, Grande Estasi.

Un'improvvisa raffica di vento freddo la colpì diretta in viso, facendola rabbrividire. Alzò il foulard fin sopra il naso, sbattendo violentemente gli occhi.

No, R. non voleva causare una nuova Estasi: conosceva bene le storie di allora, non c'era bisogno di farle riaccadere. E poi un'azione simile non le sarebbe stata molto favorevole per la sua carriera, anzi: probabilmente l'avrebbero accusata di alto tradimento e messa alla gogna pubblica.

No, lei voleva far aprire gli occhi alla gente, far notare al Continente che l'Eden approfittava della sua autonomia; che da luogo protettivo qual era, era diventato lui stesso un mostro.

Voleva mostrare ai suoi concittadini le falle del sistema edeniano, così da smuoverli a cancellare l'istituzione. Nessuno l'avrebbe più difesa, se ci fosse stato anche il sentore che la privacy all'Eden non era più garantita: sarebbe morta nel giro di qualche mese.

E lei avrebbe assistito al suo massacro dalla sua vecchia scrivania al giornale, mentre quel raccomandato bastardo che le aveva fregato il posto crepava d'invidia.

"In un modo o nell'altro, l'Eden cadrà per mano dei suoi stessi ospiti. Che sia realmente coinvolto nell'omicidio o meno, poco importa: quella morte rappresenta un grosso problema per loro ed io farò in modo che non possano risolverlo."

Un leggero sorriso increspò le sue labbra coperte dal foulard, mentre il suo sguardo vagava sugli altri visitatori che come lei superavano il fiume Es.

All'Eden, ogni ceto sociale era il benvenuto: giovani, adulti, uomini, donne, vecchi. Dai diciotto anni in poi, chiunque poteva soggiornarvi.

Solitamente ci si andava da soli, perché non tutti erano propensi a seguire qualcuno nelle sue follie malate. A volte capitava che vi entrassero delle coppie, delle quali molto spesso usciva soltanto uno dei due, oppure dei gruppi di giovani, che sperimentavano per la prima volta l'esperienza dell'Eden con la tipica spensieratezza della loro età.

A qualche metro da R., un gruppo di quest'ultima categoria camminava a passo svelto, ridendo e dandosi spallate giocose per mantenere alto lo spirito. Più avanti, una donna con indosso un giaccone scuro procedeva sinuosa lungo il ponte, il suono dei tacchi a spillo che scandiva il tempo della passeggiata.

A volte, R. sentiva di non essere poi tanto diversa da quella gentaglia: in fondo, desiderare che una struttura di quell'importanza crollasse per mano dei continentali, rovinando così anni di lavoro per un progresso sano e civile, non era tanto differente da quello che gli altri volevano soddisfare lì dentro. Per non parlare del forte egoismo che l'aveva portata a entrarvi.

"Se solo le cose fossero andate diversamente" sospirò affranta, abbassando lo sguardo.

Forse le cose sarebbero potute davvero andare diversamente: magari sarebbe stata un'assidua frequentatrice dell'Eden; forse sarebbe addirittura arrivata a sostenerlo. Era un'ipotesi più che possibile, visto che si diceva che la maggior parte dei continentali passasse annualmente qualche giorno nella città-isola.

E invece, tanto tempo prima, il mondo le si era capovolto da un giorno all'altro: Lei li aveva abbandonati per seguire le sue follie e R. aveva iniziato a covare un profondo sentimento d'odio nei confronti dell'Eden, il luogo che le aveva portato via ogni cosa.

"Se tu non fossi mai esistito, lei non se ne sarebbe andata" ringhiò mentalmente in direzione dell'istituzione, trattandola come se fosse una persona. Non vedeva l'ora di pubblicare quell'articolo, così da poter finalmente ottenere la sua vendetta personale: forse non le avrebbe riportato indietro la sua vita passata, ma sicuramente le avrebbe tolto un macigno dall'animo.

L'edificio amministrativo si faceva nel frattempo sempre più vicino, fino a distare una decina di metri dalla giornalista. Di fronte all'ingresso principale, vari addetti al check-in controllavano le borse dei visitatori prima di farli passare.

R. si prese qualche secondo per prepararsi mentalmente alla farsa che di lì a poco avrebbe dovuto recitare. Imitò un ragazzo che si era appoggiato al muricciolo del ponte e respirò profondamente.

In basso, a pochi metri da lei, l'Es scorreva placido nel suo letto terreno, incurante della sua presenza. L'acqua cristallina luccicava alla luce del sole, indebolito solo in parte dalla nebbia, trasformando il fiume in un cielo diurno tempestato di minuscoli diamanti. R. si perse in quella meraviglia, concentrandosi su ciò che l'aspettava.

Il pensiero di entrare all'Eden non la spaventava poi tanto, era più il senso di disgusto a bloccarla. L'idea di dover soggiornare in quel posto timorato da Dio la irritava non poco.

Eppure, se voleva cogliere la sua opportunità, doveva mettere da parte l'orgoglio e la propria morale: da quel momento, avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco, e doveva risultare credibile.

Respirò nuovamente a fondo, per poi dirigersi con decisione al check-in, pronta a entrare in scena. Raggiunse uno dei cinque nastri trasportatori all'entrata, dove un addetto vestito di bianco la salutò sorridendole.

«Buongiorno, benvenuta all'Eden» le disse cordialmente quando gli fu vicina.

R. si tolse il foulard dal viso e accennò un timido sorriso. Si sfilò lo zaino dalla spalla e lo posò con delicatezza sul nastro affinché lo controllassero. Il ragazzo dagli occhi di furetto non vi trovò dentro niente d'insolito e lo riconsegnò velocemente alla sua proprietaria.

«È la prima volta che venite qui?» le chiese seguendo la prassi.

Lei fece un semplice cenno di assenso. "Se tutto andrà bene, sarà anche l'ultima."

«È a conoscenza delle regole sulla privacy che vigono qui?» continuò lui, ignaro dei suoi piani apocalittici.

«Naturalmente.» Gli consegnò il cellulare senza troppe cerimonie, certa che l'avrebbero tenuto in custodia fino alla fine del soggiorno. Non era una grave mancanza per il suo piano: il pregio della carta e dell'inchiostro era che non violavano alcuna regola sulla privacy.

L'addetto le fece ancora qualche domanda, prima di chiederle di firmare un documento che attestava la custodia dell'apparecchio, come da prassi. Terminata la procedura, la pregò di seguirlo all'interno dell'edificio amministrativo. Arrivati alla porta in vetro, la aprì con galanteria, lasciando che lei passasse per prima.

R. lo ringraziò con un cenno del capo, rammentandosi che quel ragazzo, dai toni così cordiali e galanti, in realtà aveva tutti i giorni a che fare con visitatori immorali: forse era abituato a fingere con gli ospiti dell'Eden, conscio che chi entrava lì aveva delle motivazioni tutt'altro che sante.

"Forse il suo atteggiamento non è tanto diverso dal mio, in questo momento."

L'uomo proseguì lungo la hall principale, un enorme salone ultramoderno a cui R. prestò poca attenzione. Sebbene potesse essere un luogo utile per le sue ricerche, essendo la zona amministrativa, era poco probabile che lì trovasse qualche ospite, eccetto quelli che entravano o uscivano dalla città-isola. Forse in futuro ci sarebbe dovuta tornare per cercare qualche informazione in più, ma per il momento non le serviva. E ad essere sinceri, sperava di non ricorrere a tanto, dati i numerosi rischi che quella scelta avrebbe portato con sé.

Camminarono in silenzio per un serie di stretti corridoi bianchi, fino a fermarsi di fronte a una porta chiusa. Il ragazzo bussò una sola volta, poi si girò nuovamente verso di lei.

«Prego, può entrare. Buona permanenza all'Eden» la salutò con un sorriso, per poi tornare di nuovo alla sua mansione.

R. si ritrovò di nuovo da sola. Entrare nella città-isola si era rivelato più sopportabile del previsto, era già un passo avanti. Ora doveva solo affrontare l'ultima questione burocratica e poi avrebbe potuto girare liberamente per gli edifici dell'Eden.

"Coraggio, ce la puoi fare."

La giornalista si prese un secondo per rilassarsi, prima di aprire la porta con un sorriso falso ed entrare finalmente nella stanza.

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