1. Benvenuti a Limbo
Erano da poco passate le nove di sera quando raggiunse il luogo convenuto, nella piazza principale del paese. La navetta che l'aveva portata sull'isola era arrivata con dieci minuti di anticipo, ma lei aveva preferito incamminarsi velocemente verso la sua destinazione, anziché perdere tempo prezioso addentrandosi nei freddi meandri grigi di quel luogo dimenticato da Dio.
Non che Limbo fosse uno dei posti più interessanti da visitare, ma anche lo fosse stato, la cosa non le sarebbe importata granché: lei era lì per questioni lavorative e se voleva essere all'altezza della delicata situazione in cui aveva deciso d'infilarsi, doveva sistemare un paio di faccende il prima possibile.
Aprì il portone d'ingresso del condominio cenerino indicatole nella mail, passando attraverso la fessura più in fretta che poté, per lasciarsi all'esterno le forti raffiche gelide. Si sfregò le mani arrossate per riscaldarle, maledicendosi mentalmente per aver preferito la giacca leggera che indossava al giubbotto più pesante.
Non aveva preso in considerazione la possibilità che sull'isola soffiassero ancora i freddi venti invernali, visto il piacevole tepore primaverile che iniziava a scaldare le terre continentali, ma rammentò a se stessa che era una situazione temporanea, e dunque accettabile: per una notte sarebbe sopravvissuta.
Salì le scalinate velocemente, controllando sul cellulare le indicazioni inviatele dall'anonima proprietaria. Non prestò particolare attenzione alle bigie pareti ammuffite, né alla ruggine che decorava indisturbata le ringhiere di metallo. Di certo non poteva aspettarsi qualcosa di più lussuoso, a Limbo.
D'altronde, se i suoi abitanti preferivano di gran lunga soggiornare dall'altra parte del ponte bianco, invece che rimanere nelle loro abitazioni, era naturale che gli edifici assumessero col tempo quell'aspetto così decadente.
Ma tutto questo a lei interessava poco: l'importante era trovare una stanza con un divano comodo e l'acqua calda, il resto era puramente secondario.
R. arrivò infine al quarto piano, dove si concesse qualche secondo per riprendere fiato, trattenendo una smorfia di disgusto all'odore pungente di minestrone che le s'infilava nelle narici, accompagnato da un leggero retrogusto di muffa. Suonò il primo citofono che si trovò di fronte, togliendosi il foulard a fiori dal collo e dando una veloce sistemata ai lunghi ricci neri, che il vento aveva scompigliato con apatica indifferenza.
La padrona di casa non ci mise molto ad aprire la porta di legno, divorata in più punti dai tarli: davanti alla giovane con lo zainetto fece capolino il volto di un'anziana signora, i capelli malamente sistemati sul capo e un'espressione irritata ben visibile tra le pieghe rugose.
A Limbo difficilmente qualcuno sorrideva: non perché non ne fossero capaci, ma semplicemente perché non c'erano motivi per farlo. Per quello, esisteva l'Eden.
«Hai i soldi?» le chiese diretta, tralasciando i fastidiosi convenevoli.
R., evitando di fissare per troppo tempo gli occhi acquosi della proprietaria per timore che si sciogliessero da un momento all'altro, prese il portafoglio dalla tasca dei jeans e le consegnò senza troppe cerimonie cinque banconote da cinquanta, che sparirono in un lampo nel grembiule da cucina scolorito.
Da un appendino vicino all'ingresso, l'anziana rugosa tolse un mazzo di chiavi, che mise con un certo astio nelle mani della giovane. Era ben conscia delle intenzioni subdole che avevano spinto la sua ospite ad attraccare sull'isola, lo poteva notare con evidente chiarezza nei suoi piccoli occhi verdi: tutti avevano quello sguardo, quando arrivavano.
A volte si chiedeva perché affittasse ancora l'appartamento affianco a gente di quel calibro, ma doveva anche convenire che difficilmente avrebbe trovato altre tipologie di persone a Limbo. E poi guadagnava discrete somme: eliminare l'unico mezzo monetario che le era rimasto sarebbe stata una condanna a morte.
«Lasciale sulla porta, domattina» riprese, sputacchiando qua e là tra una sillaba e l'altra, «io non ti ho mai visto» aggiunse, com'era abituata a fare da oltre trent'anni.
R. annuì accennando un sorriso cordiale che le riuscì soltanto per metà, per poi avviarsi verso la porta indicatale dalla proprietaria.
«Ah» mormorò quest'ultima, facendo voltare di scatto la giovane, «nel caso te lo fossi dimenticata, questa è ancora zona civile: vedi di contenerti, se ci riesci.»
Non aspettò una risposta: così com'era arrivata, scomparve dietro la porta mangiucchiata.
"Cariatide invidiosa" pensò R. dopo qualche secondo passato a fissare il corridoio con fare stupito, "scommetto che saresti disposta a tutto pur di essere al mio posto" concluse stizzita, aprendo la porta del suo temporaneo appartamento. Per sua fortuna, non avrebbe più avuto a che fare con quella donna per il resto della sua vita.
Entrò nell'alloggio dando un'occhiata veloce in giro. L'arredamento era ai limiti della decenza, come d'altronde si aspettava: i muri erano scrostati in più punti e in un angolo del salotto si mostrava in tutto il suo rivoltante splendore un'enorme macchia di muffa. I mobili di legno erano divorati dai tarli, il divano era strappato e macchiato da una qualche sostanza giallastra che R. preferì non riconoscere.
Solo una poltrona sgualcita sembrava ancora in buono stato, o perlomeno utilizzabile senza rischiare che si rompesse sotto il suo peso: almeno ora sapeva dove sistemarsi. Vi abbandonò sopra lo zaino e la giacca, riprendendo poi il tour panoramico di quella casa degli orrori.
Dal soffitto della camera da letto colava qualcosa di denso che macchiava senza troppe remore il pavimento: si chiese se fosse davvero possibile affittare una casa in quelle condizioni, anche se soltanto per una notte. Sul Continente sarebbe stato impossibile, ma a quanto pare a Limbo non si faceva caso a simili questioni: per l'Eden questo e altro.
Il bagno era l'unica zona che si poteva considerare "pulita", se si escludevano le mattonelle ingiallite. Aprì il rubinetto del lavabo e constatò sollevata che almeno c'era l'acqua calda. "Poteva andarmi peggio" concluse con un sospiro.
Terminato il giro turistico, scostò le tende ingrigite del salotto e contemplò per qualche istante il panorama di fronte a lei.
Dalla sua posizione, poteva vedere il famoso ponte bianco sulle rive dell'Es, l'unico collegamento tra Limbo e l'Eden. Il Ponte delle Libertà, lo chiamavano in molti: forse uno dei pochi nomi veramente azzeccati.
Oltre il fiume, anche se a malapena visibile, la cancellata illuminata artificialmente segnava il confine della città-isola, di cui R. riusciva a scorgere soltanto qualche dettaglio, nell'oscurità della notte.
Quello era letteralmente un altro mondo: sul continente esisteva l'ordine, la disciplina, la morale; lì soltanto istinto e follia.
Pensare che il giorno dopo ci avrebbe messo piede per la prima volta le faceva uno strano effetto, visti gli anni passati a dirsi che mai sarebbe successo, che lei sarebbe stata l'eccezione alla regola... sebbene lo fosse ancora, in un certo senso.
La differenza tra lei e gli altri visitatori stava tutta nella tempistica: il divertimento che con tanto affanno loro cercavano tra quelle mura, lei lo avrebbe vissuto una volta uscita da lì.
"Sarà lo scoop del secolo" ironizzò compiaciuta, "una notizia che cambierà la storia. Mia e del Paese."
In quel periodo, infatti, niente sarebbe stato più scandaloso di un omicidio: erano decenni che sul Continente non accadeva un evento simile. Continuavano a esserci gli O.I., come venivano chiamati, ma erano rarissimi e comunque non particolarmente eclatanti.
Era stata quindi una sorpresa inaspettata il ritrovamento del corpo martoriato di una giovane sulle coste nordiche qualche settimana prima, sorpresa che la polizia aveva voluto a tutti i costi mantenere segreta.
"Peccato che qualche loro collega non fosse dello stesso avviso."
Ringraziò mentalmente i due agenti che l'avevano inconsapevolmente informata dei fatti durante un raduno: confabulare a bassa voce su informazioni top secret in luoghi pubblici era da licenziamento immediato, a suo parere, ma non era la prima volta che qualche idiota si rivelava più utile di un intelligente.
Da quella discussione era partita la sua indagine privata, che le aveva rivelato risvolti molto interessanti. Che l'Eden c'entrasse qualcosa era innegabile: l'edificio più interno della città era riservato anche a questo tipo di desideri, lo sapevano tutti, e considerando la sua lunga assenza da casa, era più che certa che la vittima si trovasse lì poco prima di morire. Il problema era capire perché il cadavere fosse stato rinvenuto fuori dalla città-isola, visto che in casi del genere il corpo non veniva mai trovato.
L'idea che esistesse una falla nel sistema edeniano era a dir poco catastrofica. L'Eden era stato creato per trattenere al suo interno ogni sorta d'istinto immorale e pericoloso per la società: se questa funzione fosse improvvisamente venuta a mancare, sarebbe stata la fine dell'istituzione.
"Ma essere la prima giornalista a parlarne porterebbe i suoi vantaggi", pensò R. con un mezzo sorriso sulle labbra, i suoi occhi famelici focalizzati sul panorama, come un avvoltoio intento a osservare dall'alto la preda agonizzante.
Una notizia del genere non solo le avrebbe permesso di tornare nuovamente in auge, riprendendosi quello che le era stato strappato mesi prima da un bastardo raccomandato, ma anche di vendicarsi pesantemente sull'Eden stesso.
R. lo odiava da sempre, ma non per una pura questione morale. Non era come molti suoi concittadini, che maledicevano pubblicamente l'isola considerandola incivile e poi ci andavano di nascosto per assecondare i loro istinti. Lo odiava per questioni più personali, fatti che non sarebbero mai accaduti se non fosse stato edificato.
Quando si era ritrovata tra le mani quel caso, aveva capito che il suo momento era infine arrivato. Lasciarselo sfuggire sarebbe stata la mossa più stupida della sua vita.
Con quello scoop avrebbe preso due piccioni con una fava: doveva solo provare la sua teoria e tutto sarebbe tornato alla naturale normalità.
"Dicono che all'Eden tutti i desideri vengano esauditi" concluse sardonica, prima di spogliarsi e infilarsi sotto il getto d'acqua calda. "Ironico sapere che il mio li porterà alla rovina."
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