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Capitolo 10

«Mi insegni a suonare la chitarra?»

Avevo chiesto qualche giorno fa ad Austin, ma non pensavo mi prendesse sul serio.

Ed invece, ora mi trovo nel suo garage con una chitarra poggiata sulle ginocchia e non ho la più pallida idea di che cosa fare.

È la terza volta che sbaglio gli accordi, e stiamo provando da circa un'ora.

«No no.» mi ferma di nuovo il mio amico. «La sequenza è do-mi-re-fa, non fa-re-do-mi.»

Un piccolo sbuffo esce dalle mie labbra. «Non ce la farò mai, Austin.»

Scuote la testa. «È solo il primo giorno, vedrai che già dalla settimana prossima puoi suonare qualche canzone.»

Annuisco. «Spero almeno prima del college.»

Austin ride, e poi si fa improvvisamente serio. «In realtà entro due settimane.»

Corrugo la fronte. «E perché?»

Aust porta le mani davanti a sé, come a proteggersi. «Non ti arrabbiare, ma ho fatto una scommessa con Axel che ti avrei insegnato a suonare la chitarra in quattordici giorni.»

«Possiamo sempre mentire.»

Il mio amico si porta una mano dietro al collo. «Bé, in realtà... vorrebbe un piccolo concerto.»

«Austin.» lo riprendo, sentendo il panico salirmi dentro. Non sono stonato, e dovrei imparare alcune cose prima di suonare, ma comunque avere delle persone che ti guardano mette suggestione. «Chi verrebbe?»

«Lucie, Axel, Samantha, Dominic, Clare, Allison ed io.»

È il nostro gruppo di amici, per cui annuisco. «Va bene. Male che vada mi prenderete in giro a vita.»

Austin continua a ridere, ancora più forte di prima.

«Io faccio il video.»

Gli lancio un'occhiataccia, ma questo non fa che aumentare il suo divertimento.

Ignorandolo, cerco di ricordarmi le note e sfioro con le dita le corde della chitarra, fino a far uscire i suoni.

Cerco di ricordarmi le note, e per farlo mi ripeto in mente quello che mi ha detto Austin.

"La sequenza è do-mi-re-fa."

«Tobias.» sussurra dopo poco Austin, oramai completamente calmo, anche se ha ancora alcune lacrime agli occhi per le risate. «Ce l'hai appena fatta.»

Gli sorrido. «Ce l'ho fatta.»

Austin si alza per battermi un forte cinque.

«Preparati a perdere, Axel!» urla per tutto il garage ed io scoppio a ridere.


* * * *

«Sono a casa!» urlo appena torno dalle prove con Austin.

Ci siamo messi d'accordo di vederci ogni pomeriggio, in modo di esercitarmi sempre.

Sento mia madre parlare a telefono con qualcuno, ma non capisco bene chi è.

«Ciao tesoro.» mio padre sbuca dal salotto, intento a mangiare qualche biscotto che ha sicuramente preparato mia madre questa mattina.

«Già, è fantastico Susan.» dice ad un certo punto mia madre, facendomi gelare il sangue.

Mio padre se ne accorge, perché prova a fermarmi dall'andare in salotto.

«Tobias non-»

«È sua madre, vero?»

Marcus mi lascia il braccio, che intanto mi aveva preso. Annuisce piano mentre sospira.

Non posso credere che dopo tutto quello che ci hanno fatto loro continuino a sentirsi, e sono anche amiche per come parlano ed il tono che usano.

Mi precipito in salotto ignorando mio padre che mi chiama e mi dice che non è una buona idea.

Mia madre appena mi vede sbianca ed io incrocio le braccia al petto, appoggiandomi allo stipite della porta.

«Susan...» balbetta. «io- io devo andare.»

Non sento la madre di Sil cosa risponde, ma vedo mia madre mordersi il labbro e chiudere la telefonata.

«Posso spiegare.» dice dopo qualche secondo.

Inclino leggermente la testa. «Ti ascolto.»

Ma so che in realtà non ha da spiegare niente.

Se non che tutto quello che ha detto e fatto sono tutte cazzate. Ci hanno separato ma loro continuano a sentirsi.

Me l'hanno portata via.

Mia madre, come mi aspettavo, rimane in silenzio guardando il pavimento.

Scuoto leggermente la testa, amareggiato e deluso.
Sento quasi la bile salirmi in gola.

«Tempo scaduto, Evelyn.» dico prima di andarmene in camera mia.

Mando un messaggio ad i miei amici, chiedendo se stasera vogliamo andare a farci un panino o qualcosa del genere. Mi va bene anche qualche discoteca.

Ho bisogno di dimenticare.
Ho bisogno di sentirmi bene, e ci stavo riuscendo fino a mezz'ora fa.

Ma mia madre, come al solito, deve rovinare tutto.

Una piccola lacrima mi scende lungo la guancia, ma l'asciugo in fretta.

È la prima volta che piango per lei, perché ho sempre pensato che piangere fosse segno di debolezza.

Ma ora come ora, non m'importa.

Se piangere aiuta a stare meglio, voglio piangere finché non ho più lacrime.

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