6. Un cattivo passeggero?
Salirono in macchina in silenzio. La vecchia Opel Corsa del 2006 di Federico non poteva sembrare più sgangherata, ora che portava un passeggero come Luca. Anche tutto scombinato, era completamente fuori luogo, tra quei sedili logori. Elia sapeva che fosse benestante prima ancora che gli comunicasse il suo indirizzo, lo si vedeva da come vestiva, dalle scarpe, gli accessori. Persino quella stupida sciarpa che aveva promesso di risarcirgli doveva essere costata quanto metà del suo intero guardaroba. Ogni pezzo di plastica dell'auto, adesso, sembrava scricchiolare di più, ogni macchia magicamente spiccava di più sui tessuti. Il riscaldamento? Ovviamente inceppato.
«È la macchina di mio fratello, me la lascia usare perché è già scassata, visto che sono neopatentato» si giustificò, senza nemmeno sapere perché. Di solito gli importava davvero poco cosa pensassero gli altri di lui e della situazione finanziaria della sua famiglia. Come non sembrava importare a Luca, del resto. Se ne stava seduto composto, il viso rivolto verso il finestrino, in silenzio. Da quell'angolazione poteva vedere un livido sul suo zigomo sinistro, un pugno o una gomitata di Yuri. L'indomani avrebbe fatto male. Forse più che il male all'orgoglio.
«Riguardo a Yuri, devo chiederti una cosa.» Dopo un po' Luca ruppe il silenzio.
«Dimmi.» Era tutto orecchie. Poi avrebbe chiesto quando sarebbe stato il suo turno di essere menato.
«Perché non gli rispondi?»
«Hai visto cosa è successo quando gli ho risposto?»
«E anche oggi non hai reagito, alle macchinette.»
«In quattro contro uno?»
«In tre, semmai.»
Va bene, come vuoi!
«Però poi sei venuto, all'uscita.»
«Senti...» Iniziava a spazientirsi. Per un attimo pensò di farla finita e raccontargli la verità, o parte di essa, ma si era ripromesso di non abbassare la guardia e non dimenticare di chi fosse amico quel tizio. Non gli doveva nessuna spiegazione sul suo comportamento, gli sfuggiva il motivo di tutte quelle domande e perché gli importasse improvvisamente di lui: gli stava solo dando un passaggio, non dovevano diventare amici o cose del genere. «Sono venuto all'uscita perché ho pensato che tanto prima o poi sarebbe successo. Cosa avresti fatto al posto mio? Da qui a giugno ti saresti nascosto a ogni cambio d'ora, all'entrata, all'uscita, al parcheggio? Sono troppo giovane per vivere guardandomi continuamente le spalle, magari una volta pestato ben bene avrebbero perso interesse e si sarebbero concentrati su qualcun altro. So incassare bene, posso sopportarlo, se è una volta sola.» Era meschino da parte sua sperare che potessero prendere di mira qualcun altro? No, se poteva frequentare gli ultimi mesi di scuola che gli rimanevano in pace.
Luca continuò a guardare fuori e per qualche minuto non disse altro, mentre Elia seguiva la strada indicata dal navigatore.
«Loro... lui... beh, non credo che tu ti debba più preoccupare, le cose sono cambiate, sono sicuro che domani se la prenderanno con un altro» gli disse a un certo punto, dal nulla. Certo che ce ne aveva messo di tempo per comporre quella frase balbettante e incerta! E poi cosa voleva adesso? Un applauso, una medaglia, un croccantino, una pacca sulla spalla per essere una persona decente che non resta impassibile davanti alle ingiustizie, un grazie? Da lui non avrebbe avuto nulla di tutto ciò.
«Perché?» Quel tipo aveva appena avuto un crollo nervoso davanti a lui, ma non riuscì comunque a trattenersi: «Perché improvvisamente hai avuto degli scrupoli e ti sei opposto alle loro stronzate? Se bastava così poco avresti potuto farlo mesi fa, quando ho iniziato a frequentare questa scuola merdosa. Siamo a metà anno, te ne sei accorto?»
«Così poco?» Luca ebbe una specie di spasmo muscolare nervoso ed Elia credette fosse sul punto di litigare anche con lui, ma poi lo vide afflosciarsi su sé stesso, esausto.
«Sono intervenuto adesso, ok? Non potrebbe semplicemente andarti bene e basta?»
«Sì ma perché?»
«Perché, cosa?» Luca urlò, ed Elia si rese conto solo ora di quanto fosse più grosso di lui. Si sapeva difendere e conosceva un paio di trucchi su come colpire in punti deboli, ma era comunque più basso e molto più esile di Luca. Forse non era il caso di pungolarlo ancora, aveva visto di cosa fosse capace poco prima, le nocche del ragazzo ne portavano ancora i segni.
Abbassò un po' il tono e chiese con più calma: «Perché mi hai difeso? Oggi hai preso le mie parti. È per questo che avete litigato?»
Anche Luca tornò a parlare piano, pur continuando a non voltarsi nella sua direzione. «Non ho difeso te, mi dava fastidio anche prima, ma finché non ti ha messo le mani addosso potevo sopportarlo. Oggi però... quando ti ha toccato in quel modo è stato troppo.»
Elia lanciò una rapida occhiata alle mani che Luca teneva sulle proprie gambe e vide che stringeva i pugni, le nocche sbucciate e graffiate bene in rilievo. Era ancora un fascio di nervi, e lui faticava a capirne il motivo fino in fondo. Quel goffo spilungone era un bell'enigma. Sembrava prendere la questione a cuore, eppure non aveva letteralmente fatto nulla per mesi. Inoltre, che influenza poteva mai avere il suo giudizio sulle azioni dei suoi amici? La sua sicurezza che dal giorno dopo ci sarebbe stato un altro bersaglio nelle loro mire era sospetta. Presi ognuno dalle proprie considerazioni, fecero tornare il silenzio; gli unici rumori provenivano dalla macchina, dal ticchettio delle frecce inserite e dal portachiavi che pendeva dalla chiave attaccata al quadro. Sbirciando ancora nella sua direzione lo vide con gli occhi chiusi. A che pensava?
«Luca? Dov'è che non vuoi andare?»
Lo sentì sospirare, poi lo vide portarsi le mani alla base del naso, tra gli occhi, come a voler fermare altre lacrime o un mal di testa sul nascere. «Parlarti del posto in cui ho paura di andare sarebbe il primo passo per finirci davvero.»
Non capiva quella risposta e la cosa lo innervosiva. Era una specie di indovinello? Però decise che se la sarebbe fatta andare bene, perché l'altro non sembrava propenso a dargli ulteriori spiegazioni e lui non era in vena di giochini mentali.
Piuttosto, Luca cambiò argomento: «Elia?»
«Dimmi.»
«Hai detto il mio nome, più di una volta. Come lo sai?»
«Conosco tutti i vostri nomi. Tu, Yuri, Stefano, Giulio.»
«Ah. Giusto, ha senso.»
«Anche tu conosci il mio nome, ma sono sicuro che tra di voi non lo usate per riferirvi a me, preferite altri termini.»
«Noi non parliamo di te.»
Certo, avete cose più importanti di cui parlare, come le tette e i culi delle ragazze, lo sport, la birra o qualsiasi cosa intrattenga i vostri cervelletti!
Il riscaldamento intanto aveva iniziato a funzionare e sembrava avere un effetto rilassante su Luca. Le emozioni appena vissute lo avevano stancato, lo vide sistemarsi sul sedile e quasi appisolarsi. Mormorò qualcosa, poi aggiunse in modo più nitido: «Quando penso a te uso il tuo nome, niente soprannomi.»
Per poco Elia non bruciò un semaforo. Pensava a lui? In che senso? Con la coda dell'occhio lo guardò, rannicchiato sul sedile accanto, aveva di nuovo gli occhi chiusi e sembrava del tutto addormentato. Quindi forse quella cosa gli era sfuggita nel dormiveglia? Parlare con quel tipo gli portava solo confusione mentale e sempre più interrogativi, per quel giorno ne aveva abbastanza: decise di lasciarlo dormire e svegliarlo solo una volta a destinazione. Conosceva la zona, ma aveva comunque impostato il navigatore del telefono con la via precisa e il numero civico che gli aveva indicato prima di partire. Federico gli avrebbe sicuramente chiesto i soldi per la benzina e lui non avrebbe saputo cosa inventarsi per giustificare tutta quella strada fatta dalla scuola al precollina di ville e villette e in cui viveva Luca. Aveva accompagnato un amico in difficoltà? Si ricordava che due sere prima lui stesso aveva detto che non credeva che fossero amici, proprio in risposta a una domanda di suo fratello. Però era davvero una persona in difficoltà e per quanto fosse una seccatura, si sarebbe sentito in colpa a lasciarlo solo sul marciapiede davanti scuola. Il suo piano di svegliarlo giunto a destinazione fallì quando il telefono dell'altro si mise a cantare un'orribile canzone pop di secoli fa. Ecco, aveva anche gusti musicali di merda. Lo vide sobbalzare sul sedile, impiegare qualche istante a capire dove si trovasse e rovistare nella tasca dei jeans alla ricerca del telefono.
«Merda!» sembrò terrorizzato quando guardò lo schermo ed Elia sperò che non scoppiasse di nuovo a piangere, non sarebbe stato in grado di placare un attacco di panico mentre guidava. Mancavano cinque minuti a destinazione, non poteva proprio aspettare prima di dare di nuovo di matto?
«Puoi fermarti qui per favore?» gli chiese.
«Siamo quasi arrivati, siamo vicini a casa tua.»
«Lo so dove siamo, ci abito qui! Per favore, fermati!»
Sbuffando Elia controllò gli specchietti, poi mise la freccia a destra e accostò. Iniziava a ponderare l'idea di chiederli a lui, i soldi della benzina. Era stato un passeggero orribile e quella scortesia finale era solo la ciliegina sulla torta. Se doveva trattarlo come un tassista, anche se gli stava facendo un favore, almeno che lo pagasse! Ma poi Luca abbassò lo sguardo sul suo telefono, stretto nel pugno così forte che Elia pensò che lo avrebbe stritolato da un momento all'altro e disse piano: «Scusami, è che preferisco scendere qui».
«Ok, accomodati.» Indicò la portiera del passeggero dalla quale Luca sarebbe sceso da un momento all'altro. Insomma, si muoveva o no?
Luca guardò ancora una volta il telefono, se lo girò tra le mani, lesse di nuovo qualcosa sullo schermo, poi spense il display e lo rimise in tasca. «Ok...» ripeté, più a sé stesso, come per darsi coraggio. Fece due respiri profondi ed Elia pensò che stesse prendendo la rincorsa per fare un lungo salto da lì alla sua casa. Sarebbe stata una scena buffa da vedere. Magari, immaginò, era così che rientravano a casa in quella famiglia: parcheggiavano a qualche isolato e poi facevano dei lunghi salti che li catapultavano dritti dritti nel loro soggiorno. Cercò di non ridere per uno dei suoi soliti surreali cortometraggi mentali e guardò di nuovo il ragazzo per cercare di capire se, non per forza saltando, sarebbe sceso o no dalla sua macchina di lì a breve. Ma Luca non solo non sembrava aver voglia di scendere, aveva alzato lo sguardo su di lui e lo fissava con un'espressione strana, quasi inquietante, contrita, combattuta: sembrava stesse faticando a trattenere lo stimolo del vomito.
Tutto ma non quello, ti prego. Non voglio pulire vomito dal cambio, di nuovo. Ti prego ti prego ti prego.
Poi lo vide sporgersi verso di lui e no, non per vomitare. Gli prese il viso, lo guardò ancora una volta e posò le labbra sulle sue. Durò solo un istante, prima che si spostasse sussurrando un flebile: «Scusa, dovevo proprio farlo. Puoi dimenticare anche questo?» con la voce e gli occhi lucidi di uno che stava per mettersi di nuovo a piangere. Ma che cavolo! E ora, dopo un'uscita del genere, dove credeva di andare? Sperava davvero di potersela cavare così? Avrebbe dovuto dargli un pugno per quel bacio rubato, morderlo, buttarlo fuori dalla macchina a calci. Ma c'era qualcosa di intrigante negli enigmi di quel ragazzo, nella sua assurda capacità di dire quasi sempre le cose sbagliate e poi fare un casino con un sacco di parole superflue per rimediare, nei suoi silenzi, nella sua espressione vulnerabile che aveva visto poco fa e nella foga con cui aveva affrontato il suo amico, nella sua voce bassa, piena. La logica lo spingeva a considerarlo uno scherzo di cattivo gusto di cui il giorno dopo avrebbero riso, ma l'istinto gli suggeriva che quel piccolo bacio e quella supplica di dimenticarlo volevano comunicare qualcosa che Luca non era capace di esprimere a parole e questa volta Elia non avrebbe lasciato perdere. Tese una mano verso di lui e lo fermò prima che potesse aprire la portiera, gli afferrò il davanti del maglione e lo tirò a sé per un bacio decente. A dispetto della sua mole, Luca si lasciò manovrare come un pupazzo, però non subì il bacio passivamente. Ci mise meno di due secondi ad approfondirlo e a metterci la lingua, mentre dal fondo della sua gola Elia poté sentire un mugolio di apprezzamento. Oh, quanto si era sbagliato su di lui, per la terza volta quel giorno! Luca si era nascosto bene, in piena vista, in mezzo alle iene, e lui c'era cascato, senza accorgersi di nulla, aveva creduto alla sua recita. Quel bacio però non aveva nulla di farlocco, era un signor bacio, di quelli che lasciano entrambi senza fiato. Lui di certo lo era quando le loro labbra si separano.
«Wow, questo sì che è inaspettato» commentò con un filo di voce. Si sentiva stordito da quel nuovo Luca. Non si poteva dire che prima lo conoscesse, ma questo? Era una vera sorpresa! Una sorpresa più che piacevole. Luca però non lo guardava nemmeno in faccia, fissava un punto imprecisato sulla felpa di Elia all'altezza dello sterno.
«Ok, allora dimenticati anche di questo. È che volevo tanto farlo, prima di andare.»
Di nuovo quella storia. Ma dove cavolo doveva andare di così importante? Luca non gli diede tempo di porgli altre domande, perché aprì la portiera e saltò giù. E no, non raggiunse casa sua saltando, ma si mise a correre come se fosse inseguito da qualcosa di ben peggiore di un branco di iene, corse come se nella macchina, insieme ad Elia, ci fosse il diavolo in persona. Elia restò lì, con il motore acceso e lo sguardo fisso davanti a sé, oltre il parabrezza, nella direzione in cui Luca se l'era data a gambe. Molte cose di quel ragazzo non gli piacevano, altre non riusciva a capirle, però ce ne erano altre ancora che iniziavano a stuzzicarlo. L'aveva baciato per primo e poi aveva ricambiato il suo bacio con una passione inaspettata, come se fosse pronto a sbatterselo lì sui sedili della macchina, per poi arrossire invece come un ragazzino alla sua prima erezione in pubblico. Le sue contraddizioni lo intrigavano, ma soprattutto doveva ammettere che certe espressioni del viso lo rendevano particolarmente bello. Tranne poco prima di baciarlo, lì sembrava davvero sul punto di vomitare.
Mentre pensava a quanto fosse diverso dal genere di persona da cui era attratto di solito, gli arrivò un messaggio da Federico: "Dove cazzo sei? Ho il turno tra un'ora e ancora non ci sei."
Rispose che stava arrivando e si avviò verso casa.
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