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35. Carina?

«Avevi ragione, è un tipetto bello tosto!» Dall'altra parte del telefono, Thomas rise.

«Visto? Mi sa che Luca non è per le cose facili!» Ipocrita, da che pulpito!

«Però mi piace, è a posto» aggiunse l'amico.

«Bene, mi fa piacere, perché lo vedrai a casa tua più spesso di quanto vorresti.»

Thomas rise di nuovo, poi aggiunse: «ma sul serio volevi presentarlo a me?»

«Beh, avevi detto che Luca non era il tuo tipo e che cercavi qualcuno di più impegnativo! Elia decisamente lo è!»

«Già, ma l'unica cosa che Luca ha del mio tipo ideale è che è più alto di me, quindi con Elia siamo ancora più fuori strada. E poi sarà anche impegnativo, ma non nel modo che interessa a me.»

«Ah, furbetto!» Rebecca sorrise, mettendo un po' più a fuoco, in base a quello e altri dettagli casuali ottenuti in precedenza, il tipo ideale di cui parlava l'amico. «Comunque, sono arrivata, il tempo di trovare parcheggio e arrivo. Avvisa i due piccioncini.»

«Se riesco a staccarli l'uno dall'altro, sono chiusi in camera da un'ora!»

«Almeno ha mangiato?»

«Sì, gli ho fatto latte e biscotti prima.»

«Come ai bambini?» chiese ridendo.

«Non ridere, è un comfort food. Hai bisogno che venga a prenderti dove parcheggi?»

«No, non preoccuparti, a quest'ora c'è un sacco di gente in giro, in zona. Al massimo, se c'è qualcosa che non mi piace, ti chiamo e stiamo al telefono. Adesso devo spegnere e staccare il Bluetooth.»

«Va bene, ma non fare finta di telefonare come l'ultima volta, chiamami davvero se noti qualcosa di sospetto, così ti vengo incontro, ok?»

Dopo aver parcheggiato si guardò intorno: diversamente da quanto previsto, non stava passando nessuno. Aprì la portiera, tirò fuori i jeans e seduta con le gambe che sporgevano dall'auto se li infilò sotto il vestito, poi tornò dentro, si sfilò il vestito da sopra la testa e indossò una felpa direttamente sopra il reggiseno. Si era vestita e truccata come se stesse andando a ballare, ma non se ne sarebbe andata in giro conciata in quel modo: era solo una farsa per convincere i suoi che non aveva idea di dove fosse Luca e che non c'era da preoccuparsi. Probabilmente, aveva detto a tutti, Luca aveva solo deciso di dormire fuori una notte. Poi si era inventata un compleanno a cui doveva andare assolutamente, a dimostrazione che non fosse preoccupata per l'amico e come scusa per uscire. Quello che era successo a Luca, comunque, non poteva capitare in un momento peggiore. Ripensò alla conversazione del giorno prima, guardandosi allo specchietto. Aveva gli occhi un po' gonfi anche lei, come il suo amico quando l'aveva lasciato da Thomas ma, a differenza di Luca, il trucco e un atteggiamento più stoico mascheravano meglio il suo malessere.

Lo sai che ti amo, ma amo anche lei.

È la mia famiglia, ho delle responsabilità.

Lo sapevi quando abbiamo iniziato a vederci.

Sta diventando difficile tenerlo nascosto a tuo padre.

Come aveva fatto a essere così stupida? Era un cazzo di cliché vivente. Eppure, aveva buttato un anno della sua vita dietro Alessandro, sapendo che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi. Solo, avrebbe preferito non arrivasse il giorno prima della fuga da casa di uno dei suoi migliori amici. Quando Luca l'aveva chiamata si era appena svegliata, dopo una nottata passata in buona parte a piangere, rileggere vecchi messaggi e mettere in una scatola tutti i ricordi che aveva potuto conservare di Ale. Che erano ben pochi, visto che non facevano mai nulla alla luce del sole e che era meglio non tenere troppe tracce delle loro attività. Aveva risposto alla chiamata e si era precipitata dall'amico e per un po' i problemi dell'altro erano riusciti anche a tenerle la mente occupata. Ma quando era da sola tornava lo sconforto.

Cosa ti aspettavi? Che l'avrebbe lasciata per te? Non te l'ha mai detto e tu non l'hai mai preteso. Quindi ora ti attacchi, volti pagina e amen.

Solo quando scese dalla macchina si accorse del tipo losco che la stava fissando, appoggiato a un'auto parcheggiata a pochi metri. C'era anche prima? Come aveva fatto a non notarlo? 

Merda. E ora questo che vuole? Avrei dovuto restare al telefono con Tommy, avrei dovuto accettare che mi venisse incontro.

Il tipo si staccò dal cofano su cui era appoggiato e puntò dritto verso di lei. Il primo istinto fu riaprire la portiera per rientrare in macchina e chiudersi dentro. Un finestrino era difficile da rompere e mentre lui ci provava lei avrebbe potuto mettere in moto e andare via. Aveva appena messo le chiavi in borsa, quanto potevano essere finite in fondo? Perché diamine non le trovava? Continuava a rovistare nella borsa e intanto si guardava intorno, alla ricerca di un passante a cui chiedere aiuto. Ma non doveva essere piena di gente quella zona, sabato sera?

Quando il tipo era ormai a pochi passi da lei, dalla borsa afferrò il telefono che aveva comprato per Luca dopo averlo lasciato da Thomas, il pomeriggio. Avrebbe provato a barattare quello. La sua incolumità valeva i soldi di un iPhone nuovo? Una rapina era pur sempre meglio di un'aggressione o uno stupro.

«Sei Rebecca?» Quella domanda, fatta da quello che fino a un secondo prima aveva considerato un losco assalitore, le tolse tutto il fiato dai polmoni. Si appoggiò alla macchina, con le ginocchia che tremavano e gli occhi che pizzicavano. La conosceva? Questo non lo escludeva ancora come aggressore, ma le possibilità che fosse qualcuno pronto a farle del male erano scese drasticamente.

«Ci conosciamo?»

«Sono il fratello di Elia. Ho riconosciuto la macchina, sai... il modello, l'adesivo.»

«Ah, quello!» Rebecca lanciò un'occhiata all'adesivo del Hellfire Club sul fianco della sua macchina, poi tornò a guardare il ragazzo. «Eri lì da molto?»

«Praticamente da quando sei arrivata. Ma tranquilla, era troppo buio per vedere bene qualcosa.»

«Questo non ti ha impedito di provarci lo stesso, immagino.»

«In realtà stavo andando via quando sei arrivata, credevo saresti scesa da un momento all'altro e mi sono messo ad aspettare. Lo spogliarello è stato completamente inaspettato. E gratuito. E anche una cosa un bel po' audace, da fare in mezzo alla strada.»

Lui si era messo a guardare e ora le faceva anche la paternale? «A parte che non ero in mezzo alla strada ma nella mia macchina, cioè, dovevi proprio metterti lì a fissare per vedere qualcosa, cosa che tu ovviamente da galantuomo quale sei hai fatto. Avresti potuto girarti dall'altra parte, ad esempio. E poi, cosa vuoi?»

Il ragazzo si mise le chiavi della macchina in tasca e fece un passo verso di lei, che istintivamente si premette ancora di più contro la portiera chiusa.

«Ho pensato di approfittarne» spiegò lui. Intendeva per sbirciare? O peggio? Cosa stava facendo con quella mano? Si stava toccando? Poi però tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi striminzito, composto solo di due o tre chiavi. C'era sempre la possibilità che la volesse sfregiare, era pieno di pazzi in giro. «Stai andando da loro?» le chiese.

«Sì.» rispose cauta, spostando lo sguardo più volte tra ciò che lui teneva in mano e il suo viso. Da quella distanza la somiglianza con Elia era evidente, anche se i suoi lineamenti non erano morbidi come quelli del fratello: aveva il naso più dritto, labbra più sottili, capelli leggermente mossi, non ricci come quelli di Elia.

«Elia ha lasciato le sue chiavi in macchina e io sto andando a casa a dormire dopo un turno massacrante e una serata altrettanto impegnativa, sono a pezzi. Non sarebbe male se tu gliele portassi, così quando rientra non devo alzarmi per aprirgli la porta.»

Rebecca tolse la mano dalla borsa, lasciando andare la confezione del telefono all'interno, e prese ciò che l'altro le stava porgendo. «Ok.»

«Però, visto che sono qua e che non so chi altro abbia assistito al tuo striptease, penso che ti darò uno strappo. A piedi. Un passaggio, insomma.»

«Vuoi accompagnarmi?»

«Sì. È vicino, giusto?» Tirò fuori il telefono e controllò qualcosa sulle note, poi lo rimise via velocemente. 

«Sì, è vicino» rispose lei. «Cinque minuti, al massimo.»

«Ok, andiamo.»

Lui fece un passo indietro e la invitò con un gesto della mano a procedere. Si incamminarono, lei tenendo comunque le distanze da quel tipo e la borsa stretta a sé, lui con le mani in tasca e lo sguardo ovunque tranne che nella sua direzione.

«Non eri a pezzi?» gli chiese per rompere quel silenzio imbarazzante. Odiava quando due o più persone stavano insieme in silenzio, forse per quello parlava sempre tanto, troppo.

«Non abbastanza da lasciare una ragazza, per giunta amica di mio fratello, sola a quest'ora.» Con quel ragazzo, però, era davvero difficile avviare una conversazione, sembrava che parlare con lei fosse la penultima cosa al mondo che avesse voglia di fare, dopo accompagnarla, ovviamente. «Stanno bene? Luca sta bene?» chiese poi lui.

«Starà bene. Hai accompagnato Elia qui, prima?»

«Sì, sono rimasto in zona a bere con un paio di amici, per restare nei paraggi in caso servisse qualcosa, un passaggio o un aiuto di qualche genere.»

«Sei carino.» L'aveva detto sul serio? Anche lui restò spiazzato da quel commento e si voltò subito verso di lei, con un buffo cipiglio sul volto. «Intendevo nel senso di gentile, premuroso. Carino in quel senso, non carino-carino, dal punto di vista estetico. Aspetta, non che tu sia un mostro, non sei brutto, anzi! Ma non volevo farti un complimento in quel senso, è carino quello che hai fatto, intendevo questo, ecco.» Poteva andare peggio? Almeno casa di Thomas era vicina, vedeva già il portone ormai, quella strana passeggiata sarebbe terminata a breve.

«Anche tu sei carina.» rispose lui, tornando a guardare davanti a sé, per nulla turbato dal solito eccesso di loquacità di Rebecca. «Nel senso di gentile e tutte le cose che hai detto te. E poi anche nell'altro senso.»

Si voltò a guardarlo, senza sapere bene cosa dire. Nonostante il trucco messo in scena per convincere i suoi, nelle condizioni in cui era dubitava fosse vero, ma il modo in cui l'altro aveva buttato lì quel complimento le impediva di ribattere o di dire altro. Aveva trovato qualcuno in grado di disinnescare i suoi soliti sproloqui. Disse solo: «Grazie» e gli sorrise appena, prima di indicare con la mano il portone di Thomas. «Anche per avermi scortata fino a qui.»

Lui scrollò le spalle, poi prese una sigaretta dal pacchetto che aveva nella tasca del giubbotto e le disse solo: «Ricordati le chiavi e dì a mio fratello di scrivermi per farmi sapere se è tutto a posto. Ciao.» prima di andarsene da dove erano venuti insieme. Lei guardò la sua figura snella allontanarsi mentre camminava, fumando, stretto nelle spalle.

Che tipo strano! Deve essere una cosa di famiglia.

Poi citofonò e Thomas fece scattare il portone. Lanciò ancora uno sguardo alla figura del ragazzo, sempre più piccola e lontana, lungo la via.

Non mi ha detto nemmeno come si chiama.

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