Capitolo 6
Stephen si risvegliò in un luogo sconosciuto.
- Sono morto - sbiascicò, cercando di mettere a fuoco quello che lo circondava.
Non era più sull'astronave, ma disteso su di un letto.
I ricordi cominciavano a rifarsi vivi come folate di vento: la patata aliena, quelle persone, il suo slancio per difendere... difendere il Dottore!
La stanza era vuota e arredata con poche cose. Individuò la sagoma di un armadio, un comodino vicino a sè e una sedia in un angolo.
Stephen si tirò a sedere.
Quell'arma, quella balestra doveva averlo ucciso: non riusciva a trovare un'altra spiegazione del perché fosse ancora sé e non una sottospecie di scherzo della natura.
Era intento a ricostruire quello che era successo quando la porta della stanza si aprì con un leggero cigolio.
- Sei morto anche tu?
Il Dottore si era tolto il cappotto e la giacca e si era allargato notevolmente il nodo della cravatta.
Confuso, si tastò il petto come a controllare che non fosse diventato uno spettro.
- A quanto pare no - concluse, sedendosi in fondo al letto.
Stephen notò che si era anche tolto le scarpe di tela, restando a piedi nudi.
- E neppure tu, se è per questo!
Poi gli allungò un nuovo paio di occhiali, grigi, spiegandogli la fine che avevano fatto i precedenti.
A essere precisi gli ricordò tutto quello che era successo e quello che non sapeva, soprattutto riguardo la sua condizione.
- Quindi diventerò come loro?
- Probabilmente. Ci vorranno degli anni. Sarà identico o magari o forse ho modificato il virus tanto da... Comincerà piano - spiegò il Dottore, cercando le migliori parole per non aggravare il tutto - Prima non riuscirai a tenere in mano neppure una matita, poi sarà difficile camminare e poi impossibile. Poi...
- Morirò? - chiese infine.
- Questo dipende unicamente da te!
Il ragazzo ridacchiò:
- Leggo già i necrologi! Stephen Hawking, morto per una viscida malattia aliena. Studente diligente...
- Cosa hai detto? - lo fermò il Dottore.
- Scherzavo
- No, no, il tuo nome!
- Stephen Hawking, perché?
- Quando sei nato?
- Cosa?
- Dimmi il tuo anno di nascita, subito!
- 1942, perché?
- Come... sei... come ho fatto a non capirlo... stupido, stupido dottore! - borbottò il Dottore, alzandosi.
Lo fissò ancora un po', incredulo, poi uscì di corsa dalla stanza.
Stephen fissò confuso la porta lasciata aperta e uscì anche lui, seguendo a intuito i passi del Dottore.
Intanto si accorse che gli aveva tolto il maglione e lasciato la sua giacca del completo, forse per assicurarsi che non vi fossero rimaste tossine di sorta.
Raggiunse quella che doveva essere una specie di quartier generale, con al centro una serie di console disposte in cerchio intorno a un grande stantuffo che si accendeva ad intermittenza; quella era la probabile causa del suono della cabina blu, ma Stephen non aveva neppure considerato l'ipotesi di trovarsi al suo interno.
Su una balaustra trovò il maglione e lo scambiò con la giacca del Dottore.
Quello intanto era chino su una botola del pavimento e stava tirando fuori ogni genere di cosa: un discetto da hockey, un vecchio vinile, un completo che sarebbe stato bene solo a un vecchio mago, un'assurda camicia dai colori sgargianti e, infine, trovò quello che stava cercando.
Rimase sull'orlo della botola e sfogliò velocemente il libro che teneva in mano.
Stephen si avvicinò in silenzio per non disturbarlo, ma quello se ne accorse e, balzato in piedi, scattò verso le porte.
Quando le spalancò, il panorama folgorò Stephen.
Parcheggiare il Tardis nel vuoto dello spazio è uno degli innumerevoli tic dell'ultimo Signore del Tempo.
Affiancato il Dottore, il ragazzo lasciò vagare lo sguardo nella grande immensità dell'universo. C'erano ammassi nuvolosi, asteroidi e galassie, ma quante stelle! Quante!
A Stephen non sarebbe bastata la propria vita per contarle tutte; il Dottore lo aveva già fatto.
Due volte.
- È bellissimo
Il Dottore prese a strappare le pagine del libro una ad una e le gettò nel vuoto.
- Cosa stai facendo?
- Un regalo - rispose, mostrandogli la copertina.
C'era solo un grande cerchio nero con un alone violaceo tutt'intorno, su uno sfondo stellato che sembrava mediocre rispetto a quello davanti a loro.
Sotto il cerchio lesse, in lettere bianche, il proprio nome.
Fece per allungare la mano, per prenderlo, ma il Dottore strappò le pagine restanti e le gettò anch'esse nel vuoto; solo allora gli lasciò la copertina vuota.
- Cos'è?
Il Dottore non rispose. Chiuse le porte e tornò alla console circolare.
- Uno sprono, un modo per dire che puoi vincere contro quel virus spaziale
- Mi stai dicendo che scriverò un libro?
- Più di uno. Ma non posso dirti niente sul contenuto. Sai, il contin...
La stanza tremò per qualche secondo. Stephen afferò la balaustra che circondava la zona di comando, mentre il Dottore mantenne l'equilibrio senza problemi.
Poi si fermò tutto, come se nulla fosse successo.
- Ben tornato a casa!
- Cosa?
Il Dottore tornò alle porte e le aprì.
Erano di nuovo a Oxford, poco tempo dopo averla lasciata
Stephen, uscito, si accorse di essere in quella strana cabina della polizia, dove il dottore era tornato con lui, ripercorrendo il teletrasporto all'indietro.
Però qualcosa non tornava.
Stephen cacciò la testa dentro. La stanza era grande almeno quanto la sua classe, senza contare i corridoio percorsi e la camera dove si era svegliato.
Decise di girare intorno alla cabina, mentre il Dottore, a piedi nudi sull'erba, lo osservava con un leggero sorriso.
Fece il giro altre due volte, per essere sicuro.
- È più grande all'interno!
- Esatto!
- Come?
- Spoiler! - ridacchiò il Dottore - Tieniti il libro, è davvero un regalo. Non preoccuparti per i professori: quel sontaran non ha più nessun controllo su di loro, quindi sono semplicemente degli umani senza difetti
- E quelli veri? Intendo dire, quelle persone...
- Mi dispiace, non si poteva fare più niente
Stephen annuì, senza chiedere altro.
- Grazie
- Figurati - il Dottore tornò sulla soglia della cabina - E buona vita!
- È un addio, quindi?
- Sì, e non parlarne con nessuno, di nessun dettaglio. Chiaro?
- Chiaro
- Addio
- Addio, allora
Il Dottore fece per rientrare, ma si voltò all'ultimo.
Stephen si ricordò le sue ultime parole per tutta la vita che gli restò.
- Un'ultima cosa. Non tenere lo sguardo ancorato a terra. Conosci già quello che è sotto i tuoi piedi. Il cielo, Stephen! C'è così tanto e hai visto così poco. Testa alta, Hawking, e tieni d'occhio le stelle!
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