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Capitolo 3

Il Dottore fece l'ennesimo suo sorriso.

C'è una regola non scritta per chi ha a che fare con lui, per chi corre con il Dottore. In ogni sua rigenerazione, il Dottore ha lo stesso medesimo sorriso.

Non è questa la regola.

La regola è: mai fidarsi di quel sorriso.

- Siete tutti imperfetti! - ripeté, senza lasciarlo ribattere – Dove sono le stanze degli insegnanti?

Stephen non comprese neppure lontanamente dove stava andando a cacciarsi ma in fondo intuì che non se ne sarebbe mai pentito.

Solitamente i professori vivevano lontano dall'università, a Oxford, ma un piccolo numero occupava una decina di piccoli e angusti appartamenti all'interno del complesso.

Stephen fece strada verso quell'ala e il Dottore aprì una porta a caso con il suo cacciavite sonico.

Si inginocchiò e prese ad armeggiare con concentrazione all'altezza della toppa.

- Posso averne anch'io uno?

- Non credo proprio

- Sarebbe forte averne uno – continuò, a bassa voce. Dopotutto stavano scassinando la porta per entrare furtivamente nell'appartamento di un professore – Potrei entrare ovunque senza una chiave!

- E dove vorresti entrare? - domandò il Dottore, con sospetto, appena dopo aver fatto scattare la serratura.

- Oh, non lo so. Ovunque? - rispose Stephen, seguendolo all'interno.

Rimase immobile al centro della camera da letto, la più grande, mentre il Dottore gironzolava sperando di captare qualcosa con quello strano e rumoroso cacciavite.

Stephen non si aspettava che fosse così simile alle camere degli studenti.

I professori, almeno da quel punto di vista, non erano poi così superiori agli studenti e questo un po' lo tranquillizzava.

Ma restava l'elettricità nell'aria e quello strano Dottore che stava fissando con un certo sollievo e entusiasmo l'interno dell'armadio.

Stephen sbirciò da dietro di lui e vide che non c'era l'ombra di un vestito, ma il fondo sembrava rinforzato in acciaio e c'era pure una placca all'altezza del naso del Dottore, con un modesto tasto verdastro.

Questo fece un passo indietro e Stephen si scansò giusto in tempo. Ridacchiò tra sé poi tornò al ragazzo.

- Bene, ti ringrazio per il tuo aiuto. Da qui andrò avanti da solo

- Dove? Dentro un armadio?

- Mai sentito parlare di Lewis?

Il Dottore rise ancora e si passo una mano tra i capelli disordinati, più per riflesso che per sistemarli.

- Davvero, meglio che tu vada

- Perché?

- Fai un sacco di domande

- Mi piacciono le domande! - rispose Stephen, persino con un certo orgoglio – Cos'è un uomo se non si fa nessuna domanda?

- Socrate? Sai, tipo simpatico ma pessimo cuoco

- A dirla tutta me la sono inventata sul momento – ammise, glissando sul fatto che aveva davanti qualcuno che aveva personalmente conosciuto Socrate.

Il Dottore non sembrò sorpreso, ma rispose: - Sei intelligente, molto intelligente! - poi si incupì - Ma non puoi venire con me

- Dove? Dove stai andando?

- Probabilmente su qualche base o astronave aliena, anche se sto ancora lavorando su quale razza possa...

- Alieni! - esclamò Stephen, in un esplosione di sorpreso entusiamso che quasi gli fece cadere gli occhiali – Veri alieni? Da altri pianeti?

- Guarda che ne hai uno davanti! - ridacchiò il Dottore, sistemandogli gli occhiali che erano scivolati sulla punta del naso.

Tutto l'entusiasmo svanì immediatamente: - Ma sembri umano! Magari vedrò davvero degli alieni veri!

- Modera i termini! - sbuffò, quasi offeso – Anch'io sono un alieno vero e al massimo siete voi umani che assomigliate ai Gallifreyani!

- Oh, giusto! Gal-li-fre-y-a-ni... mi piace!

Il Dottore aveva calcolato almeno 20 anni, non di meno, ma Stephen dimostrava un entusiasmo e un'ingenuità parecchio più giovani. Non l'avrebbe portato in una pericolosa avventura; non avrebbe messo a rischio nessuna vita se non la propria.

- Nessun altro alieno, oggi! Ora esci di qui. Il teletrasporto potrebbe avere un sistema di sicurezza e...

- Teletrasporto! Davvero?

Stephen balzò con poca agilità all'interno dell'armadio e il Dottore cambiò idea.

I signori del tempo viaggiavano nel tempo e nello spazio fin dall'alba di tutti i tempi e l'avevano fatto fino alla fine dell'universo. Sono esseri immortali ma non eterni, eppure invincibili e potenti. L'universo intero trema al loro bellicoso passaggio. Eppure.

Eppure alcuni esemplari, solo certi e rari elementi, sono così sensibili e così paradossalmente umani da non riuscire a tenere a freno un ragazzino curioso e entusiasta soltanto la metà di quanto lo erano loro stessi all'inizio del loro viaggio. I pochi vagabondi in un popolo di guerrieri.

Per questo il Dottore si limitò a sbuffare, facendosi anche lui spazio nell'armadio.

Stephen era intelligente e perspicace: nessuno si chiama Dottore. È un nome che si è dato da sé, per allontanarsi dal proprio popolo.

Era una promessa. L'avrebbe tenuto al sicuro. Non avrebbe mai più perso nessuno, nessuno dopo di lei.

Gli raccomandò abbondantemente di non toccare nulla, ne lì ne dove sarebbero finiti. Stephen annuì e il Dottore pregò che gli desse retta.

Inforcò gli occhi 3D e analizzò il pannello con il pulsante. Ebbe la certezza che si trattasse di un teletrasporto e il vago dubbio che fosse tecnologia creata da:

- Patate! Dannazione!

Stephen ridachiò. - Hai ancora fame, Dottore?

- Cosa? No, no! Credo sia tecnologia dei sontara: grandi e antipatiche patate assassine!

- Non credevo che l'universo fosse tanto buffo!

-Già, ma non fare commenti simili davanti a loro!

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