...che ti amo?
Era una fredda giornata autunnale. Per quanto potesse sembrare strano, già da quell'inizio di Ottobre la temperatura arrivava debolmente a 10 gradi. Lui aveva freddo. Era nato in Germania, questo è vero, ma in un ospedale dove i caloriferi funzionavano. Adesso era a scuola. Lui era del secondo anno, ma non si era ancora abituato al freddo del suo college. E, tra l'altro, era più a Sud di Bonn, la sua città di origine, ma faceva decisamente più freddo. La campanella intonò quello squillo che rimbombava nelle classi, la salvezza di molti studenti. A lui non piaceva così tanto la campanella: era sempre stato il primo della classe, il secchione. Alle superiori non metteva mai gli occhiali, le cui lenti spesse gli davano fastidio, se non per leggere od utilizzare apparecchiature elettroniche: sarebbe sembrato meno "secchione" di prima. Scese dalle scale in marmo abbastanza lentamente e stando appiccicato al corrimano: voleva evitare di cadere o di restare vittima dei ragazzi che facevano a gara a chi arrivava in cortile per primo. Ma, dopotutto, lui che fretta aveva? Nessuna, ecco perché camminava.
Uscì dall'ingresso secondario che dava nel cortile, si posizionò dietro ad una colonna e attese. Aveva sentito la sua voce. Quell'accento francese che gli piaceva tanto, che sognava ogni notte pronunciare il suo nome. Guardò attraverso la vetrata: stava per uscire!
Si fece piccolo piccolo dietro alla colonna per non essere visto, d'altronde essere semi-anoressici non solo un insieme di difetti. Guardò a destra, per essere sicuro che si fosse seduto con i suoi compagni a parlare, come al solito. Rapido, tirò fuori da sotto il suo giubbino il suo album da disegno. Iniziò a tracciate linee e linee con la matita, dando dolci colpi di gomma e temperato dove serviva. L'intervallo durava mezz'ora. In venti minuti l'aveva ritratto. Guardò il suo capolavoro tra le mani e sorrise. Si girò a destra: era sparito. "Probabilmente è già salito in classe", pensò. Si iniziò ad incamminare verso sinistra, continuando a guardare la panchina, e sbattè contro qualcosa. Anzi, qualcuno.
- Ehi, Miguel, che fai?-,
Gli chiese Ian, con la sua solita voce languida.
-Eh?! I-io?! N-n-niente!!-,
Rispose Miguel, viola dalla vergogna.
Intanto, delle foglie secche turbinarono vicino ai loro piedi.
-Sei sicuvo?,
Era sicuro: Ian lo voleva veder cedere.
-C-c-certo!-,
Gonfiò le guance e sviò lo sguardo.
Sapeva che gli occhi onice di Ian lo paralizzavano, lo facevano sognare.
-Ok, allova ci vediamo dopo-,
Gli rispose il maggiore, dandogli un buffetto sulla fronte e avviandosi verso il resto della propria classe.
Lui era rimasto lì, senza far niente.
Era sicuro: quegl'occhi erano il suo Calvario quanto il suo Paradiso.
Passò in fretta l'ora di geografia, in cui poté scrivere pure un pensiero su un foglio del suo amato album da disegno.
La carta bianca immacolata era stata coperta parzialmente dalle strisce nere e rosse delle frasi che Miguel vi aveva impresso, secondo la sua voglia ed i suoi sentimenti. Aveva scritto frasi d'amore, qualche piccola poesia e copiato a memoria la composizione più romantica, a parer suo, di Beethoven: per Elisa.
Quel foglio era un vero gioiello. Avrebbe fatto commuovere chiunque. Ma non era dedicato a più persone, ma al solo e unico ragazzo che gli rapiva il cuore tra i fili conduttori dei suoi occhi. Quella chioma bionda, quel ciuffo elegante e quell'accento francese facevano di Ian il ragazzo perfetto. Il ragazzo perfetto per i suoi sentimenti.Uscì da scuola felice, allegro: due verifiche passate con il massimo dei voti, idem per l'interrogazione e la prova grafica di quello stesso giorno.
Andò vicino alla colonna per aspettare Ian in silenzio, ma quel giorno, senza accorgersene, era avvenuto proprio il contrario.
Appena gli passò a fianco, con gli occhi chiusi e sognanti, lesto come un ghepardo, Ian gli sfilò dalle mani il foglio, sollevandolo in modo tale che Miguel non lo raggiungesse. 75 centimetri di distanza bastavano, lui 2.46, mentre Miguel 1.71 .
-Reztituizcimelo zubito!-,
Inveiva Miguel, con quell'accento che stava simpatico ad Ian.
-E pevché mai? Voglio solo leggevlo-,
Gli disse Ian con tono di sfida, avvicinandosi a lui.
Miguel divenne porpora dall'imbarazzo.
-N-non zono affari che ti riguardano!-,
Gli urlò contro Miguel, rosso anche per la foga.
-Io invece cvedevo di sì-,
Ribadì innocente, il maggiore.
E mentre Miguel recuperava il colore normale della carnagione, si accorse all'ultimo momento che Ian stava leggendo foglio. L'ultimo foglio che avrebbe dovuto leggere. L'ultima persona al mondo che avrebbe voluto che lo leggesse.
Nel frattempo, Ian era arrivato a metà dell'opera poetica del ragazzino.
Ogni frase che leggeva a voce moderata, in modo che sentissero solo loro due, diventava un colpo che sfondava la sua mente. Il suo cuore compreso.
Gli pareva che fossero state scritte per lui, quel documento gli interessava. Continuò e comtinuò. Arrivò al punto cruciale: la dedica.
Sospirò e chiuse gli occhi prima di leggere, doveva restare calmo.
Li riaprì, e con suo grande stupore lesse il suo nome. Incredibile.
Miguel si vergognava da morire. Ian gli aveva letto tutto il suo testo, quello che proprio lui non doveva leggere. Ad ogni piccola sillaba gli si staccava un pezzo di felicità: di sicuro Ian l'avrebbe odiato da lì in avanti.
Fece l'inaspettabile da uno come lui: si mise a piangere. Esatto: piangere.
Più Ian leggeva, più lacrime calde gli solcavano le guance morbide. Quando lo vide sbarlordirsi leggendo la dedica, chinò immediatamente il capo: adesso l'avrebbe decisamente emarginato.
Pianse singhiozzando, non più in silenzio come prima. Ian se ne accorse.
Lentamente, gli mise pollice e indice ai lati del volto, mentre lui piangeva.
Miguel si aspettava una sberla.
Strinse gli occhi più forte, per paura di un impatto immediato. Impatto che non arrivò. Nè ora nè mai.
Schiuse debolmente l'occhio destro, per vedere cosa stesse accadendo. E fu un quel preciso istante che, con uno scatto, Ian lo baciò. Spalancò gli occhi. Incredibile. Ian li aprì piano, per non spaventarlo. Miguel si perse in quegli occhi neri, neri come la pece. Quegli occhi neri, ma così pieni di sfumature colorate da restarne abbagliati. Chiusero tutti e due gli occhi. Continuando un bacio che sarebbe durato tanto. Un bacio che racchiudeva il loro amore. Un bacio che racchiudeva le parole scritte da uno e lette dall'altro. Un bacio che suggellava un marchio indelebile. E, in sottofondo, il suono debole di un pianoforte al calar del sole.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro