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6.

L'inverno...
Il freddo, la neve, le giornate di pioggia, gli abbracci dati per riscaldarsi, le felpe, i maglioni di lana, i piumoni, e le serate passate davanti al camino.
Al mio risveglio mi affaccio alla finestra. Fuori è tutto bianco: dalle strade ai tetti delle case.
Indosso qualcosa di caldo e scendo giù. Non posso restare in camera mentre dal cielo scendono i fiocchi di neve.
Non mi sarei aspettata di vedere davanti a me uno spettacolo meraviglioso.
Le strade sono strapiene di bambini che si divertono a guardare quei fiocchi così soffici sciogliersi tra le loro mani.
E poi c'è chi, invece, non ha mai visto questo spettacolo e che, pertanto, rimane semplicemente... meravigliato.
Senza contare poi gli altri, che si divertono a creare pupazzi di neve.
Ah e poi ci sono io, che non faccio niente di tutto questo, piuttosto mi soffermo a guardare un uomo seduto da solo in una panchina che agli occhi delle altre persone, appare inosservato.
Che strano! Come farà a resistere a queste temperature?
Il solo pensiero mi fa sentire ancora più freddo...
A differenza mia indossa solo una maglietta di cotone e un paio di pantaloni.
Ha lo sguardo rivolto verso il basso come se stesse pregando, chissà cosa gli sarà successo!
«Ehi», un ragazzo attira la mia attenzione.
«Stai parlando con me?».
«Non stare a guardare quel vecchio».
«Perché?», chiedo.
«È un tipo strano, è da giorni che sta lì, seduto, senza fare nulla».
Non do ascolto alle sue parole e mi avvicino ugualmente.
«Mi scusi signore», gli dico. «Posso sedermi accanto a lei?».
«Mi farebbe piacere», sorride. «Come ti chiami?».
«Catherine», rispondo sedendomi. «E lei?».
«Antonio».
Ha il volto segnato dalle rughe e dal tempo, un corpo esile, capelli bianchi ancora folti e gli occhi azzurri.
«So che sono cose che non mi riguardano, ma posso farle una domanda?».
«Certamente».
«Perché se ne sta seduto su questa panchina?».
«Era una sera fredda di gennaio quando la vidi».
«Vide chi?».
«Mia moglie. La persona che più amo al mondo.
Quella che non ho smesso mai di amare», prende una fotografia dalla sua tasca. «Questa è lei e si chiama Lauren».
«Insieme formate una bella coppia», ammetto.
«Già», sospira. «Purtroppo però, un giorno ha deciso di andarsene» gli occhi incominciano a riempirsi di lacrime.
«Che cosa è successo?».
«Ci siamo lasciati molto tempo fa».
«Ah mi dispiace», è l'unica cosa che riesco a dire.
«Io e lei discutevamo spesso, anche per le cose più banali... però, non passava giorno senza prima aver fatto la pace, bastava semplicemente un abbraccio e tutto si sistemava, ritornava come prima...».
«E poi?», lo interrompo.
«E poi... niente, da un giorno all'altro, così senza alcun motivo, ha deciso che sarebbe stato meglio per entrambi prendersi una pausa. Inizialmente credevo fosse uno scherzo, credevo stesse scherzando, ma una mattina mi ha fatto trovare le valigie fuori dalla porta. Ho cercato di farle cambiare idea in tutti i modi ma niente».
In questi casi non si riescono mai a trovare le parole adatte, quindi penso che, in fondo, l'unica cosa da fare sia restare in silenzio.
«La sua ultima risposta è stata: "Credimi è meglio così, non considerarlo un addio, piuttosto vedilo come un arrivederci"».
«Da allora, non ha più avuto sue notizie?».
«No, l'unica cosa che so è che non abita più nella nostra vecchia casa».
Prima che potessi aggiungere altro. «Io e lei ci siamo conosciuti proprio su questa panchina».
«Davvero?».
«Si», rivolge lo sguardo al cielo. «Io ero ancora un ragazzo e lei... lei ovviamente una ragazzina. La ragazzina più bella che avessi mai visto. Ricordo che era un venerdì di gennaio. Io passeggiavo tranquillamente tra le vie di questa città finché non la vidi qui. Seduta su questa panchina. Prendendo un po' di coraggio mi avvicinai a lei e le chiesi se potessi sedermi affianco a lei.
Non rispose. Timidamente abbassò lo sguardo e passò una mano dietro il collo.
Come potrai capire, di certo, non era ciò che mi sarei aspettato cosi feci per andarmene, ma lei mi afferrò per un braccio e mi pregò di restare. Il resto lo puoi immaginare da te».
«Solo di una cosa sono sicura. Il vostro è stato un amore a prima vista», sorrido.
«Esatto e sai una cosa? Nonostante sia passato molto tempo io, non ho mai smesso di amarla. Io ne sono ancora innamorato. Amo mia moglie più di me stesso, più di ogni altra cosa. E tu?».
«Io?».
«Si tu. Perché? Vedi, forse, qualcun altro?».
«Beh no», abbasso la testa.
«Sei innamorata?», chiede.
Il mio pensiero va a Giulio. A quel ragazzo che ho incontrato all'aeroporto. Perché? Io non provo assolutamente nulla.
«No no», ritorno alla realtà. «E non credo di esserne pronta» ammetto.
Lui incomincia a ridere. Ho, forse, detto qualcosa di sbagliato?
«Mi dispiace deluderti, ma se credi davvero che l'amore funzioni in questo modo, ti sbagli».
«Secondo lei, allora, come funziona?».
Solo ora mi rendo conto che ho ancora molto da imparare.
«Non sei tu a decidere come, di chi è quando innamorarti. L'amore arriva proprio quando meno te lo aspetti».
«Come capisci di esserlo?».
«Capisci di essere innamorato quando ti rendi conto di non poterne più fare a meno, quando capisci che la tua felicità dipende dalla sua. Quando...», riflette un attimo. «No, io non dico più nulla. Voglio lasciartelo scoprire da sola».
«E come faccio?».
«Per adesso non preoccuparti», mi guarda con ammirazione.
«Lei cosa amava di sua moglie?».
«Di lei amo...», continua a parlarne al presente. «Amo ogni singola cosa, ma sono i suoi occhi e il suo sorriso, non lo so... mi fanno impazzire».
«Wow» è incredibile.
«Se vuoi... puoi prenderla", mette la sua fotografia tra le mie mani.
«No no, non posso», rispondo.
«Perché no?».
«Perché le foto sono tutto ciò che le rimane».
«Hai ragione», sorride. «Ma...» si porta una mano nel petto, vicino al cuore «È ciò che custodiamo qui dentro che fa la differenza. E credimi se ti dico che al mondo non esiste niente di più bello di poter portare sempre e comunque dentro di te una persona».
Le sue sono parole molto belle e profonde. È la prima volta che sento parlare qualcuno in questo modo.
Accidenti, qui fuori si congela: mani fredde come il ghiaccio, guance rosse, cappotto ricoperto di neve...
«Sente freddo anche lei?», lo vedo tremare.
«Oh, sta tranquilla. Non ti preoccupare, ci sono abituato».
Forse... mi è appena venuta un'idea.
«Potrebbe aspettarmi qui un momento? Torno subito».
«Certo».
Non tardo molto a ritornare a casa. Prendo dall'armadio della stanza di mamma e papà una coperta abbastanza calda.
«Che cosa stai facendo sorellina?», chiede Andrea con fare piuttosto annoiato.
«Voglio dare questa a un anziano che ho appena conosciuto». rispondo.
«Un anziano?».
«Sì, esatto».
«Posso venire con te? Qui mi sto annoiando».
«Su questo non avevo dubbi», ci rido sopra. «Comunque si, se ti va...vieni pure».
«Oh finalmente».
Riprende a nevicare, e un bambino non tarda a lanciare una palla di neve ad Andrea.
«Ehi», ha l'intenzione di colpirlo allo stesso modo.
Vedendo questa scena è impossibile riuscire a trattenere una risata.
«Vediamo cosa pensi se ti faccio questo», mi provoca.
Mi spinge, facendomi cadere in mezzo a tantissima neve. È così bianca, così soffice.
«Dai», lo invito. «Vieni anche tu».
«Nah, non mi va».
«Fa un po' come ti pare. Non sai cosa ti perdi».
Lo conosco abbastanza bene per sapere che fra non molto cambierà idea.
Passano cinque minuti e lui è ancora fermo allo stesso punto di prima.
Per scherzo lo tiro verso di me e, come è mio solito fare, non ho pensato ad una possibile conseguenza.
«Togliti di qua», lo spingo. «Mi stai schiacciando».
«Hai incominciato tu».
«Spostati», gli do un pugno nel braccio.
«Mm... non so... in fondo a me non dispiace affatto rimanere così», assume un tono sarcasticoo.
«Ehi», mi spunta un sorriso. «Ma chi ti credi di essere?».
«Tuo fratello».
«Grazie dell'informazione, ma ti prego alzati», gli ordino.
«Okay», si sposta da me e con le mani cerca di togliersi tutta la neve che ha accumulato.
«Era ora», mi alzo anche io ma, a causa delle strade abbastanza scivolose, cado nuovamente per terra.
«Ma come fai ad essere così imbranata?», questa volta tocca a lui ridere, «Non riesci nemmeno a reggerti in piedi».
«Davvero molto spiritoso», mi rimetto il cappello che è appena caduto.
«Ce la fai ad arrivare tutta intera?», Andrea ha voglia di "litigare".
«Antipatico», mi rialzo.
Dopo circa un isolato, in fondo alla strada, incontriamo un uomo che tiene per mano una bambina, forse sua figlia.
«Ciao», dice lei con quello sguardo innocente che trasmette tanta tenerezza.
«Voi due siete fidanzati?», indica me ed Andrea con un dito
«Tess», la rimprovera suo padre.
Ha gli occhi azzurri come il mare, capelli castano chiaro e un viso ricoperto di lentiggini. Indossa un cappottino di lana. È davvero molto carina.
«Non si preoccupi», dico a suo padre. «Comunque no, noi non stiamo insieme. Perché questa domanda?», mi rivolgo a Tess.
«Allora perché camminate insieme? E perché siete così vicini?».
Andrea ed io ci distacchiamo un po'. Certo che questa bambina è davvero curiosa.
«Lei è mia sorella Catherine ed io sono suo fratello Andrea».
«Scusate, di solito Tess non fa mai queste domande, a quanto pare vi trova molto simpatici».
Tess si allontana insieme al padre. «Papà anche io vorrei avere un fratello. Sarebbe bellissimo».
Percorriamo l'ultimo isolato ed arriviamo da Antonio.
«Eccomi qua!» esclamo.
«Vedo che sei in buona compagnia», sorride.
«Ah sì, lui è mio fratello Andrea».
«Piacere di conoscerti», gli stringe la mano.
«Piacere mio».
«Che cosa hai portato con te?», domanda.
«Ecco tenga», gli do il sacchetto.
Lui lo apre, prende la coperta e la avvolge a sé, restituendomi la giacca.
«Va meglio adesso?»
«Grazie mille».
«È piacere, non c'è bisogno di ringraziarci».
«Mi tolga una curiosità... lei dove vive?».
«Io abito in quella casa in fondo alla strada», indica la porta con un dito. «Qualunque volta avrete intenzione di venirmi a trovare per me sarà solo un piacere».

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