24.
Cammino per le strade della città. In testa sempre e solo lui.
Arrivo a casa, prendo la chiave, e la inserisco all'interno della serratura.
La porta era già aperta. Andrea deve essere arrivato prima di me.
«Andrea? Sei in casa?».
Non risponde nessuno.
Faccio un passo in avanti con un po’ di paura perché tutt'un tratto sento dei rumori abbastanza strani. «Andrea?», poso il giubbotto nell'appendi abiti.
Controllo lentamente le altre stanze ma non c'è nessuno, eppure io continuo a sentirli.
«Andrea?», lo chiamo nuovamente. «Se questo è uno scherzo, sappi che non è affatto divertente», incomincio ad avere veramente paura. «Dove ti sei nascosto?».
Vedo un'ombra avvicinarsi lentamente. E no, credo non si tratti più di uno scherzo.
Mi chiudo in bagno e provo a chiamarlo.
«Dimmi», risponde.
«Ti diverti eh? Ma che scherzi sono? Vuoi farmi morire di paura.».
«Di che scherzo parli? Io non so niente», dalla voce sembra sincero.
«V-vuoi dirmi che non sei tu? Non sei tu a fare quei rumori? Non sei qui in casa?» sono presa dal panico.
«Catherine, ma che ti prende?».
«D-dentro c-c ‘è qualcuno», balbetto.
«Scherzi?».
«P-per niente»
I rumori si fanno sempre più insistenti.
«Esci immediatamente da quella casa».
«N-non posso», la paura aumenta ogni secondo che passa.
«Perché?».
«Mi sono chiusa in bagno».
«Okay, allora resta lì e non uscire per nessun motivo. Sto arrivando».
«P-per favore sbrigati. Fai in fretta» riattacco.
Ma chi è? E che cosa vuole da noi?
Incrocio le dita nelle speranza che non gli venga in mente di entrare qui dentro.
Forse se n'è andato, non sento più alcun rumore.
«Catherine? Sei qui dentro?», Andrea muove la maniglia della porta.
Sussulto per lo spavento, ma poi con le mani che tremano apro velocemente la porta e lo abbraccio.
«Menomale che sei arrivato. Ho tanta paura».
«Tranquilla, ci sono io».
Sentiamo per l'ennesima volta quei rumori. Quindi no, non se n'è ancora andato.
Solo che questa volta provengono dal garage.
«Resta dietro di me», cerca di proteggermi.
Poggio le mani sulle sue spalle e lo seguo guardando ogni secondo dietro di me.
Entriamo in garage. Ogni cosa è completamente distrutta.
«C-Catherine», gli trema la voce. «G-Guarda là», indica la parete.
«Oh mio Dio», sulla parete opposta c'è un lenzuolo bianco dipinto con della pittura rossa. "Me la pagherete", ha scritto senza farsi troppi problemi.
«Ma chi può essere stato?», chiede.
«Prova a immaginarlo».
«N-non dirmi che è....».
«Travis già», faccio un cenno di approvazione.
«Chiamiamo la polizia», è preso dal panico.
«Fermati», lo blocco con una mano. «Sono io che lo penso, ma non abbiamo nessuna prova contro di lui».
«Maledizione», prende a calci ogni cosa che lo ostacola.
Sentiamo un forte runore provenire dalla mia stanza.
«Andiamo», diciamo all'unisono.
Non esagero se dico che questa stanza non si riconosce più.
"Non ti libererai tanto facilmente di me", ha scritto sul vetro della mia finestra.
Guardo fuori e vedo che ha legato le mie lenzuola fino a formare una corda.
«È scappato», gli occhi mi si riempiono di lacrime.
«Bastardo. Non la passerà liscia».
Prendo un panno imbevuto di acqua e comincio a pulire la finestra, mentre Andrea oltre a rimettere ogni cosa al suo posto, accento un po’ di musica per rilassarci un po’.
Questa scritta mi mette un po’ di suggestione.
«Ho tanta paura», incomincio a piangere.
Andrea non perde neanche un secondo che già mi ritrovo tra le sue braccia: uno di quegli abbracci che cerchi quando hai paura e che ti proteggono dal resto del mondo.
«Non ti preoccupare, fin quando io sarò con te non ti succederà nulla», mi infonde un po' più di coraggio.
«Asciugati queste lacrime», mi passa un fazzoletto. «Sai che non sopporto vederti piangere».
«Non so che cosa fare.».
«Ne abbiamo superate così tante insieme, vedrai che riusciremo ad affrontare anche questo. Non permetterò a niente e a nessuno di farti del male. Hai la mia parola».
«Grazie mille».
«Non so, forse non è una buona idea ma che he ne dici di andare a fare un giro stasera?», propone. «Sarà anche un modo per distrarci».
«Io, a dire il vero, dovrei andare a casa di Giulio, ma ho un po’ paura ad uscire, ora che so che si trova qui nei paraggi».
«Invitalo qui a casa nostra».
«Dici sul serio?».
«Certo, sarà anche un modo per conoscerlo meglio».
«Grazie, lo chiamo subito».
Prendo il telefono e compongo il suo numero.
«Pronto Giulio».
«Ciao Catherine»
«Ah riguardo a stasera io...».
«Stavo proprio per chiamarti per dirti questa sera non possiamo vederci. Mi dispiace».
«Ah», rispondo un po’ delusa. «Non ti preoccupare, sarà per un'altra volta»
«Mi dispiace tantissimo. Ciao».
«Ciao», riattacco.
«Non viene?».
«Non viene» lancio il mio telefono sul letto.
Scendo in salotto e mi distendo sul divano.
Rimango lì per un po’.
Credevo di essermene liberata, che non si sarebbe fatto più vedere e invece... invece il mio peggior incubo sta diventando realtà.
"Vado in camera mia".
"Okay".
Penna tra le mani e un vecchio diario le cui pagine vuote aspettano di essere riempite di parole.
Parole scritte da una sedicenne, e che, pertanto, nom verrano mai prese in considerazione.
Perché... insomma... a chi potrebbe mai interessare ciò che prova un adolescente.
17 anni. Occhi azzurri come il mare e un viso d'angelo. Giulio.
Certe cose le capisci solo quando le tocchi per mano, quando le senti tue.
Molti dicono che bisogna stare attenti all'amore perché ti fa soffrire, ma io non ci credo.
Insomma... come può farlo se ogni volta che lo vedo mi sento al settimo cielo?
Ogni giorno provo emozioni diverse, che non riesco a spiegare nemmeno a me stessa.
Se sono con lui ogni mio problema svanisce, e mi chiedo, spesso, se tutto questo non si tratti solo di un sogno.
La mattina mi sveglio sempre con la speranza di trovare il suo "buongiorno", e quando arriva, mi metto a gridare pe tutta la stanza, proprio come fa una bambina quando le viene regalato il suo peluche
preferito.
In sua presenza il cuore incomincia a battere sempre più forte e sembra non volersi più fermare.
Sento lo stomaco sottosopra come se un mucchio di farfalle vi stessero volando all'interno.
Le gambe incominciano a tremare
Non lo so... so solo che tutto quello che provo porta il nome di Giulio.
Un ragazzo incontrato, cosi per caso, che non avrei mai pensato potesse diventare il mio "tutto".
E vorrei che tutto questo non finisse mai, vorrei che il mio amore per lui durasse in eterno, un po' come succede nei film d'amore.
Nel "vissero per sempre felici e contenti" vorrei poter inserire la parola insieme, perché insieme si é più forti.
"Che stai facendo sorellina?", mi toglie il diario dalla mani.
"Ehi ridammelo", replico.
"Che cos'hai scritto? Fammi un po' vedere".
"Perfavore non leggere. Sono cose personali".
"Cose personali eh?".
"Si", cerco di riprendermelo. "Non sono affari tuoi".
"A me, invece, sembra piuttosto interessante", incomincia a leggere qualcosa.
"Ridammelo immediatamente".
"Ah ah niente da fare".
"Odioso", sbuffo. "Perché devi immischiarti nelle mie cose? Non hai niente da fare?".
"Ormai devo leggere. Mi hai messo troppa curiosità"
"Ho capito, non posso fermarti", mi arrendo.
«E così... ti sei innamorata di lui».
«Perché invece di parlare di lui... non ordiniamo qualcosa?".
"Non ne vuoi parlare. É così"
"Non ne voglio parlare".
"Perché non cuciniamo noi invece?».
«Ti ricordi cosa è successo l'ultima volta? Vero?».
«No no», finge.
«Beh... io invece sì».
Andrea mi guarda con un’espressione che ormai, dopo sedici anni, conosco abbastanza bene. Lui sta pensando esattamente ciò che penso io.
«Il sushi», diciamo entrambi. «Perché non lo abbiamo detto prima?».
Prendo il cellulare, chiamo il ristorante più vicino mentre mio fratello si occupa di un film da vedere. Un film comico.
Credo sarà una serata piuttosto piacevole
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