2.
«Sei triste non è vero?», è ciò che vuole sapere Andrea.
«Già», stringo tra le braccia un cuscino. «E tu?».
«Giusto un po’», ha lo sguardo fisso alla finestra.
Prendo dal cassetto un paio di cuffie e le infilo nelle orecchie.
«Ehi, Catherine, mi è appena venuta un'idea».
«Spara».
«E se andassimo a fare un giro di questa città per l'ultima volta?».
«Mm... perché no? Hai avuto un'ottima idea».
«Okay, andiamo, dai».
«Tu scendi, ti raggiungo fra un minuto».
«Solo un minuto», indica l'orologio. «Non fare come al tuo solito».
«Tranquillo», gli dico. «Farò in fretta».
Esce dalla stanza ed incomincio a prepararmi.
Apro l'armadio ed indosso un paio di jeans, una felpa nera e le superstar.
Lego i capelli con un elastico e sono pronta.
«Adesso possiamo andare», scendo di fretta le scale.
«Certo che ne hai messo di tempo...», mi sta già aspettando fuori.
«Non esagerare», rido. «Saranno passato si e no dieci minuti».
«Quindici per essere precisi».
«Pff fa lo stesso», infilo le chiavi nella serratura e fermo la porta.
Camminiamo per un po' in silenzio. Non ho molta voglia di intrattenere una conversazione. Credo che lo stesso valga per Andrea.
Passiamo davanti alla scuola che ho frequentato per 8 anni e, per un istante, il tempo sembra volersi fermare.
«Andrea? Entriamo qui per favore», lo strattono per un braccio.
«Ma non è la tua vecchia scuola?».
«Si esatto».
«Uhm...okay», alza le spalle.
Suono il campanello e viene ad aprire uno dei tanti bidelli che vi lavorano all'interno.
«Avete bisogno di qualcosa?», chiede.
Mi ricordo di lui, ma lui evidentemente non si ricorda di me: è passato cosi tempo ed io non sono più quella ragazzina grassottella e dall'espressione imbronciata.
«No, veramente vorremmo solo vedere questa scuola per un'ultima volta se è possibile», gli rispondo malinconica.
«Per l'ultima volta?».
«Vede», parla Andrea. «Fra sei giorni noi partiamo per Amsterdam e avremmo il piacere di rivedere quei luoghi che hanno fatto da sfondo a tutti i nostri anni passati qui a Milano. Vorremmo partire proprio da questa scuola se per lei non è un disturbo».
«Siete dei bravi ragazzi. Prego.», fa cenno di entrare.
Stessi disegni sui muri, stessi insegnanti, stesse aule.
Tutto esattamente come ricordavo.
«Mi dispiace dirtelo, ma io la preferisco vuota», dice Andrea.
«Il solito», rido. «Mi stavo, appunto, chiedendo quando lo avresti detto».
Mi mette una mano sui capelli e li spettina.
«Smettila dai».
Camminiamo per tutto il corridoio finché non trovo la mia vecchia classe. É vuota. Chissà per quale motivo!
«Entriamo qui».
Sulla lavagna ricoperta di gesso c'è ancora l'ultima lezione spiegata dalla maestra... numeri su numeri, lettere su lettere, compiti su compiti…
«Dov'eri seduta?».
«Esattamente... qui. Si, me lo ricordo perfettamente. Primo banco», vi passo una mano sopra.
«Anche da piccola! Non ci credo», fa una smorfia.
«Anche da piccola cosa?».
«Sempre al primo banco».
«Non capisco perché tutti siete fissati con l'ultimo banco. Insomma... Cos'ha di cosi speciale?».
«Siamo gli ultimi ad essere notati dai professori», dice trattenendo una risata.
«Non vi illudete i professori notano tutto dalla cattedra».
«Fin ora non mi è mai successo».
«Perché? Tu durante le lezioni che cosa combini?».
«Ah...segreto».
Con un dito sfioro una scritta, anzi una data, incisa ai lati del banco.
«Scommetto che questa l'ha scritta il tuo fidanzatino", Andrea prende il gesso ed incomincia a scrivere qualcosa sulla lavagna. «Questo nome ti ricorda qualcosa?».
«F-Francesco? Oh...no ti prego no.», faccio una serie di gesti con le mani.
«Perché no? Mi ricordo che un giorno tu...», sorride maliziosamente.
«Oh mio Dio», sento le guance andare a fuoco.
«Me lo ricordo perfettamente, tu eri innamorata persa di lui».
«Persa non direi… diciamo solo che mi piaceva parecchio».
«Al punto tale da scrivergli una lettera per San Valentino?».
«Ma tu come fai a saperlo? Io non ne ho mai parlato con nessuno», arrossisco ancora di più.
«Ah io so tutto, e so anche che quel 14 febbraio volevi consegnargliela, però non ci sei riuscita perché ti sei ammalata».
Resto in silenzio, con la testa abbassata sul banco.
«Ricordo anche che ogni mattina inventavi sempre una scusa diversa per non andare a scuola, ma quando poi i tuoi occhi hanno incrociato i suoi…».
«Smettila, ti prego, è imbarazzante…».
«E dai, stavo arrivando alla parte più bella».
«Meglio non ricordarmelo. Che idiota», ci rido su.
«Chissà cosa succederebbe se lo rincontrassi».
«Proprio nulla. Ormai ho superato quel periodo».
Mi domando che fine ha fatto. Non lo vedo da quattro anni.
«Non è il tuo cervello a decidere, ma il tuo cuore».
«Sei diventato un filosofo?».
«E voi che ci fate qui?», entra nella stanza una delle collaboratrici.
«Stavamo solo dando un'occhiata a questa stanza», le dice Andrea.
«Fate parte di quest'istituto?».
«Un tempo si ma... a proposito saprebbe dirmi perché la classe è vuota?».
«Se non sbaglio dovrebbero essere scesi tutti in palestra».
«Grazie».
Usciamo dalla stanza e lasciamo la donna al suo lavoro.
Mi appoggio su un termosifone. É così caldo.
Dalla finestra vedo bambini giocare a pallone e bambine, invece, saltare la corda.
«Andrea? Vieni con me un momento».
«Dove vuoi andare?».
«Zitto e seguimi», lo prendo per mano.
Scendiamo anche noi in palestra.
«Che ci facciamo qui?», guarda confuso.
«Venti giri del campo di corsa».
«Tu devi essere impazzita. Puoi scordartelo».
«Andiamo», rido. «Non dirmi che ci hai creduto. Dovresti sapere che io e l'educazione fisica non andiamo d'accordo».
«Pff menomale. E allora perché siamo qui?», poggia le mani sui suoi fianchi.
Indico un muretto laggiù. «Per quello», mi avvicino.
«Siamo venuti qui per osservare un muretto?».
«Tu guarda un po' qui».
«Che cosa sono queste scritte?».
«Ogni giorno, durante l'intervallo, mi sedevo qui e annotavo i giorni che ci separassero dalla fine della scuola».
«E queste linee blu?», le sfiora.
«Queste dici? Le disegnavo tutte le volte che aumentavo di qualche centimetro in altezza», ci rido su. «Così potevo vantarmi insieme alle mie amiche».
«Furba la bambina».
«Tu non lo eri?».
«Solo a volte».
Non molto lontano da scuola c’è un bar.
«Non possiamo andarcene senza prima aver dato un ultimo sguardo a questo bar».
«Il nostro bar... volevi dire», tiene a precisare.
Ci andiamo quasi ogni mattina per fare colazione.
Ci accomodiamo ai nostri soliti tavoli abituali.
«Quindi la prossima settimana partirete per Amsterdam. Non è così?» dice Giuseppe, nonché cameriere di questo piccolo posto.
Io e lui siamo amici da una vita.
Occhi marroni, capelli castani e forse un po’ più basso di me.
«Come fai a saperlo?».
«Qui le notizie volano piuttosto in fretta».
«Già è proprio così», sospiro.
«Coraggio, siate felici non abbattuti. Cosa vi porto?».
«Il solito», dice Andrea.
E per solito si intende una bibita fresca per me e una ciambella ricoperta di glassa per lui.
«Arriva subito».
«Ecco tieni», sfilo dalla tasca quanto gli devo.
«No no tranquilli. Oggi offre la casa».
«Ti ringraziamo».
«Grazie a voi, fate buon viaggio. Buona fortuna».
«Ce ne servirà tanta».
Camminiamo per un altro po’.
Milano è una citta splendida. Ecco perché non vorrei lasciarla.
«Hai avvertito gli altri?», chiede.
«Non ancora, e tu? Tu hai avvertito i tuoi amici?».
«Si».
«E com'è andata?».
«Più difficile di quanto pensassi».
«Come faccio a dirglielo? Li farei solo stare male. E poi... c'è lei, Kristine, come pensi reagirà».
«Devi farlo, è la tua migliore amica».
«Hai ragione».
Proprio mentre parliamo eccola che arriva.
«Allora è proprio vero», Kristine ha le lacrime agli occhi.
Corre verso di me e mi abbraccia. «Non voglio che tu te ne vada».
«Nemmeno io», la stingo forte.
Cosa farò senza di lei? Senza i suoi abbracci, le sue risate...
Lei è la mia amica praticamente da sempre.
Noi due siamo cresciute insieme proprio come due sorelle. Tra di noi non esiste alcun segreto: Io so tutto di lei e lei sa tutto di me.
Lei è stata la mia ancora di salvezza: non mi ha mai fatto passare la voglia di sorridere neanche quando sentivo tutto il mondo contro di me.
Io e lei siamo diverse, abbiamo due caratteri opposti ma forse è proprio l'essere diverse che ci tiene unite.
«Forse è meglio che io vi lasci un po' da sole», Andrea si mette in disparte. «Ci vediamo direttamente a casa».
«Okay».
«Cosa succederà tra noi adesso?», mi chiede. «Come farò senza di te?».
«Ti prego non parlare così. Altrimenti mi metto a piangere», mi si spezza la voce.
«E che posso farci?», si asciuga le lacrime con la manica della felpa.
«Noi due continueremo ad essere amiche», cerco di rassicurarla anche se in questo momento ne avrei più bisogno io.
«Me lo prometti?».
«Ho mai infranto le nostre promesse?».
«Beh, no».
«Ecco. Proprio quello che volevo sentirti dire. Quindi mi credi?».
«Ma certo», sorride. «Come potrei non crederti?», mi abbraccia.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro