19.
«E cosi che cerci di difenderti?», ancora lei. Ancora una volta Emily «Sei davvero patetica».
«Di cosa stai parlando?», non la degno nemmeno di uno sguardo.
«Lo sai meglio di me cosa hai fatto! Perché non lo racconti a tutti?».
«Non so assolutamente idea di quello che stai dicendo».
Butta ogni cosa che ho sul banco per terra.
«Ma che ti prende?»
«Vediamo se così ti rinfresco la memoria», mi afferra per i capelli.
«Ahi, mi fai male», le stringo il polso per convincerla a mollare la presa.
Tutti guardano ma nessuno fa niente. Perché? Hanno così tanta paura di lei?
«Lasciami, mi stai facendo male. Non lo so davvero, io non ho fatto niente».
«Perché hai parlato con la preside?», domanda con un tono di voce misto tra rabbia e odio.
«Io non ne so assolutamente nulla».
«Ti conviene sputare il rospo e non farmi perdere la pazienza», continua a tenere stretta la presa.
«Non ho fatto niente, come te lo devo dire?», nella mia mente ripeto di non piangere, ma non riesco a controllare le mie lacrime.
«Sta arrivando il professore», informa una compagna.
«Stai zitta e asciugati queste lacrime», mi minaccia. «E non provare a parlarne con nessuno. Ci siamo capite?», stringe la mia faccia tra le sue dita.
Annuisco. So che non bisogna mai darla vinta a chi ti vuole male, ma io davvero non c'è la faccio più. Non posso passare un'altra giornata insieme a lei. Ho bisogno di starle lontano anche solo per un giorno.
Prendo lo zaino ed esco. Il professore di matematica è proprio davanti a me, «Catherine, cosa succede?».
«Ci ho provato davvero, ma è impossibile».
Mi avvio verso l'uscita mentre lui continua a gridare il mio nome.
Non mi importa delle conseguenze, a quelle penserò più tardi.
Salgo sul primo autobus che vedo.
«Oggi niente scuola ragazzina?», chiede un signore piuttosto anziano.
«Non mi sentivo molto bene. Così sono uscita prima».
«Qualche problema in classe?».
Perché mi sta facendo queste domande?
«No no», scuoto la testa. «In classe va tutto bene», cerco di nascondere questa mia... chiamiamola così... delusione. «Ho solo un po’ di mal di testa».
«Non pensare che io sia uno di quelli che vuole farsi gli affari degli altri ma... ti vedo un po' triste. Sei sicura che si tratti solo un mal di testa?».
«La verità é che vorrei solo trovare un modo per fregarmene di ciò che pensano le persone».
«A volte le parole possono ferire, ma bisogna avere il coraggio di non dargli poi tutta questa importanza. A volte si dicono cose che, nel profondo del nostro cuore, magari non pensiamo veramente».
«Proprio così», ritorno a guardare il finestrino.
Ed ecco lì quella panchina. La panchina che testimonia l'amicizia tra me e Giulio.
«Mi scusi, potrebbe fermare l'autobus alla prossima fermata?», chiedo al conducente.
«Certamente».
«Grazie».
«Mi ha fatto piacere parlare con lei, ma adesso devo proprio andare»
«Si certo ma non essere triste. Una ragazza come te merita di andare in giro con il sorriso».
«Grazie e arrivederci».
«Buona giornata cara».
Appena si ferma scendo e percorro il tratto di strada a piedi.
Mi siedo sulla panchina e prendo la mia testa tra le mani.
Nella mia vita ho incontrato tantissime persone che mi hanno offeso, deriso, umiliato... ma io sono sempre stata forte, sono andata avanti contro tutto e tutti. Per ogni loro insulto ho trovato un sorriso e ne sono uscita vincente.
Ho imparato che spesso le persone ti deludono, e che non sono mai ciò che vogliono farti credere.
Pensavo che una volta trasferita qui le cose sarebbero cambiate e invece? Invece... mi ritrovo ancora una volta a dover sopportare ragazze che si credono superiori, che si vantano di avere tanti ragazzi ai loro piedi, che utilizzano le parole come armi, senza preoccuparsi di nulla, senza pensare che a volte possono ferire e danneggiare una persona.
«Perché la vita deve essere così difficile. Accidenti» prendo un sasso e lo scaglio contro un muro.
«Sapevo ti avrei trovata qui», Giulio compare davanti a me.
«E tu che ci fai qui? Credevo fossi a scuola».
Se vedo lui mi sento meglio, ha il potere di farmi dimenticare qualsiasi problema.
«Si, stavo entrando ma poi ho visto te che uscivi di corsa e...»
«Come facevi ad essere così sicuro di trovarmi qui?».
«Mi sono venute in mente le parole che ti ho detto quando questa panchina è diventata la nostra «.
«Grazie».
«Allora? Cosa è successo?».
«Lascia stare, non è niente».
«E invece no. Io non lascio stare. E non me ne vado fino a quando non mi avrai detto ciò che ti è successo».
Rimango in silenzio.
«Non so magari te lo avranno già detto in tanti, magari domani te ne sarai già dimenticata, ma voglio darti un consiglio: non preoccuparti mai di ciò che dicono o di ciò che pensano. Tu devi dimostrare loro che vali molto di più. Dimostragli che sei una ragazza forte, una che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno».
«Il problema è Emily», nascondo la testa tra le gambe.
«Emily?», è molto sorpreso di sentire il suo nome.
«Tu la conosci?».
«Trovami una persona che non la conosce».
«Non la sopporto».
«Lei è fatta così. Ma che cosa ti ha fatto?», domanda.
Gli racconto in breve tutto ciò che mi ha fatto passare in questo periodo, «E sai perché l'ho fatto? Sai perché me ne sono andata via? Perché per un attimo ho ceduto, ho pensato di non farcela! Io sono sempre stata forte, ma spiegami come lo posso essere tutte le volte».
«Prova a seguire il mio consiglio e vedrai che dopo starai meglio».
«Grazie per essere venuto e per avermi ascoltata, avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno».
«É proprio il tenersi tutto dentro e non parlarne con nessuno che ti fa stare peggio»
É stato il gesto più bello che qualcuno avesse fatto per me.
«Adesso io devo scappare», mi dà un bacio appena vicino alle labbra.
«Ciao».
Sfioro il punto con un dito. Sento un brivido scorrere lungo tutto il corpo.
Resto seduta. Lì. Ferma.
Mi soffermo a guardare.
Guardo il traffico che consuma il tempo, le persone che scendono dalla metrò e che corrono per arrivare al proprio lavoro in perfetto orario.
Guardo ragazzi con lo zaino in spalla pronti ad affrontare un altro giorno di scuola, ragazzi che tengono in mano la propria ragazza e che insieme sembrano davvero felici.
Osservo padri, madri che tengono per mano i loro bambini.
Osservo ragazzi come me. Ragazzi con cuffie nelle orecchie ad ascoltare chissà quali canzoni, e con tantissimi sogni da realizzare.
«Ehi».
Alzo lo sguardo, «Ciao Tess, che bello rivederti».
«Posso farti compagnia?».
«Se vuoi», le faccio un po’ di spazio.
Si siede accanto a me e incomincia a guardare un portachiave.
«Ti piace?».
«Si molto», lo guarda come se ne fosse innamorata.
«Se ti piace... prendilo pure, te lo regalo».
«Ne sei sicura?», il suo viso cambia espressione.
«Ma sì. Certo. A casa ne ho tantissimi altri», lo appoggio tra le sue piccole mani.
«Grazie mille», mi avvolge in un tenero abbraccio ed io le accarezzo i capelli che sono legati in due trecce.
É una bambina davvero adorabile.
«Tess?», la cerca suo padre, «Dove ti sei nascosta? Vieni, dobbiamo ritornare a casa».
«Sono qui», gli va incontro corredo e lui la prende in braccio dandole un bacio a stampo.
«Papà», dice con voce tenera, «Ero con Catherine».
Prendo lo zaino ed anch'io gli vado incontro in modo da poterlo salutare.
«Buongiorno».
«Buongiorno a te cara».
«Posso rimanere con lei ancora un altro po’?», chiede Tess
«Sai che non è possibile».
«Solo altri dieci minuti, ti prego».
«No, mi dispiace».
«Sei cattivo», incomincia a fare i capricci. «Mamma me lo avrebbe permesso».
«Cerca di capirmi, io tra non molto devo ritornare al lavoro».
«Non preoccuparti Tess, ci rincontreremo presto», la rassicuro.
«Domani?».
«Perché no? Domani».
«Me lo prometti?».
«Te lo prometto», le accarezzo il viso.
«Adesso sei contenta?», chiede il padre.
«Si».
«Dai su», la rimette per terra e la prende per mano.
«Ciao ciao Catherine», mi saluta con quella sua manina.
«Ciao».
Apro la porta di casa, e davanti mi ritrovo mia madre infuriata.
Cavolo, lo ha scoperto.
«Mi spieghi che cosa ti passa per la testa?».
«Scusa, ma non mi va di parlarne», oltrepasso la soglia della porta.
Incrocia le braccia al petto. «Almeno spiegami perché lo hai fatto?» aspetta impaziente una mia risposta.
«Che succede?», arriva Andrea.
«Nulla di cui preoccuparsi».
Si lascia cadere nel divano: ha il volto segnato dalla stanchezza e dalla fatica.
«Qualcuno mi potrebbe spiegare cosa sta succedendo?».
«Tua sorella ha pensato bene di scappare da scuola», grida.
«Ma io credevo che...».
Gli metto una mano davanti, «Non aggiungere altro, ti prego».
«Questo lo tengo io per un po’», prende il telefono dalle mie mani.
«Non puoi farmi questo», mi difendo.
«Posso eccome», risponde. «E in più domani non uscirai di casa per nessun motivo se non per andare a scuola».
«No, ti prego, non farlo», la supplico.
«Ho già deciso», rimane impassibile.
«Invece di preoccuparti di mettermi in punizione perché non provi a chiedermi il motivo per cui l'ho fatto?».
«Qualunque sia il motivo...», sospira. «Non avresti dovuto fare una cosa simile».
«Catherine, lascia perdere», intima Andrea.
Vado di corsa in camera mia.
«Ti va di parlare un momento?», mio fratello mi raggiunge.
«Vai via ti prego».
"Spiegami cos'é successo».
Con le maniche della mia felpa mi asciugo le lacrime, «Sei la seconda persona che, oggi, me lo chiede, e credimi, non mi va di parlarne»
«Capisco», risponde con delusione.
«Mi dispiace», sprofondo in uno di quegli abbracci giganteschi.
«C’è qualcuno che ti dà fastidio?», anche se gli ho appena detto che non ne voglio parlare, lui insiste per capirne qualcosa. «So che non faresti mai una cosa del genere».
Così, per la seconda volta, mi ritrovo a parlare di lei.
«Perché non me ne hai mai parlato? Sai che ti avrei aiutato».
«Anche tu hai i tuoi problemi, non volevo aggiungertene e creartene degli altri».
«Sai benissimo che i tuoi problemi sono anche i miei».
Una delle frasi che mi avrà ripetuto un centinaio di volte, ma tutte le volte, mi fa lo stesso effetto.
«É bellissimo sentirselo dire, ma voglio cercare di cavarmela da sola».
«Okay», mi dà un bacio tra i capelli.
«Ah... ora che me lo ricordi... ti ricordi di Tess?», lego i capelli con un elastico.
«Ma si certo, perché?».
«Oggi l'ho rivista e le ho promesso che ci saremmo riviste domani ma…».
«Ho capito tutto. A quanto pare dovrò inventare qualcosa che ti permetta di uscire senza farti scoprire dalla mamma».
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