15.
Sono cambiate molte cose da quando sono qui, ed è inutile negare che mi manca molto la mia città.
É sera, prima di andare a letto, do uno sguardo fuori alla finestra, al cielo, e mi chiedo cosa stiano facendo in questo momento i miei vecchi amici, soprattutto lei, Kristine.
Si, è vero, potrei anche chiamarla nel cuore della notte, ma non servirebbe a colmare questa distanza e questo vuoto che sento.
Io e lei ci sentiamo ogni singolo giorno, ma non è la stessa cosa, non è come averla qui.
Mi mancano molto tutti quei momenti:
Passare le notti a guardare uno di quei film strappalacrime per poi fare la lotta con i cuscini.
Ingozzarci di patatine e di dolci fino a scoppiare.
Raccontare di com'è andata la serata senza tralasciare alcun dettaglio, seppur insignificante.
Parlare intere ore, per poi rendersi conto di come passava in fretta il tempo.
Le sveglie che non suonavano e le corse fatte sotto la pioggia per cercare di arrivare in tempo a scuola.
Guardare i ragazzi per cui avevamo una cotta, nella speranza che ci notassero e che ricambiassero il nostro sguardo.
Sono tanti, tantissimi i momenti e i ricordi che ho di lei, sarà per questo che non riesco ancora ad accettare la nostra lontana.
«Che fai?» chiede Andrea.
«Leggo un libro».
«É nuovo quello?».
«Si, me lo ha dato Giulio».
Sbuffa e fa una smorfia.
«Cos’è che non ti va a genio fratellino?».
«Lascia perdere, piuttosto... qual è il tuo vestito preferito?», apre alcuni cassetti dell’armadio e incomincia a cercare qualcosa.
«Perché?», distolgo lo sguardo dalla pagine del libro. «Ehi, ma cosa fai? Mettili giù, quelli sono i miei vestiti».
«Credi che andranno bene?», prende una gonna blu ed una felpa nera con un cuore al centro.
«Perché me lo chiedi? Che cos'hai in mente?», lo guardo confusa.
«Stasera ci sarà una festa nella mia scuola».
«E allora? Io che dovrei fare?».
«Tu vieni con me».
«Scordatelo».
«Dai fallo per me», mi supplica.
«No».
«Se non mi faccio accompagnare da una ragazza non mi faranno entrare».
«Vorrà dire che resterai a casa con me».
Indossare un maglione largo e caldo, sedermi sul davanzale della finestra ad ascoltare musica e a leggere un bel libro...è ciò di cui avrei bisogno.
«Però non è valido se mi guardi in questo modo» mi lamento
«Quindi cambi idea?».
«Si»
«Grazie, grazie», mi stringe forte.
«Okay, però lasciami andare, prima che cambi idea».
«Oh sì scusami».
Mi preparo, ed usciamo di casa. Questa volta prendiamo un taxi: Andrea non può utilizzare la sua moto per il resto della giornata.
Quando arriviamo a scuola la festa è già incominciata ed io mi sento abbastanza nervosa: tutti i ragazzi si voltano e rivolgono lo sguardo ad Andrea come se fosse l'unico ad essere in compagnia di una ragazza
Mentre alcune, verso di me, hanno uno sguardo che trasmette una certa invidia.
«Tutto okay?», Andrea mi mette una mano intorno al fianco.
«Non mi sento molto a mio agio».
«Non ti preoccupare, ci sono io con te».
«Proprio perché ci sei tu non ho nulla da temere ma...».
«Tranquilla».
«Ah, io vado a fare un giro», dico alzando il tono della voce: con questa musica così alta è quasi impossibile farmi sentire.
«Va bene», risponde distrattamente.
Cerco di farmi spazio tra i tanti ed esco fuori.
Mi appoggio al muro per qualche secondo a respirare un po’ d'aria e poi mi siedo su un gradino.
Ci sono ragazzi che non riescono nemmeno a reggersi in piedi per quanto hanno bevuto e altri che, invece, stanno per arrivare in compagnia delle proprie ragazze.
«Te lo ha mai detto nessuno che sei veramente carina». mi sussurra un ragazzo all'orecchio.
«Chi s-sei?». mi volto immediatamente.
«Io sono Travis e tu?» mi sfiora la guancia con un dito. É ubriaco. Puzza di alcool.
«Sei ubriaco. Non sai nemmeno quello che dici» faccio per andarmene.
É proprio quando faccio per andarmene che mi afferra per i capelli, così forte, da farmi male.
«Ahi».
Si mette davanti a me e incomincia a darmi una serie di baci sul collo.
«Vattene», lo spingo. «Che cosa vuoi da me?».
«Sta tranquilla. Voglio solo divertirmi un po’» infila una mano sotto la mia gonna ed io incomincio a tremare dalla paura. Gli calpesto un piede e lui molla la presa.
«Sei davvero furba, non c'è che dire».
Corro il più velocemente possibile finché alla fine della strada non vedo un furgone: mi nascondo lì dietro.
«Dove ti sei cacciata?», cammina lentamente con fare minaccioso. «Dai, esci. Non serve a niente nasconderti».
Il cuore batte all'impazzata, sembra come se volesse uscire dal petto. Ho troppa paura.
Mentre lui è ancora lontano, cerco di comporre il numero di Andrea, ma sfortunatamente il cellulare mi scivola dalle mani.
«Dannazione».
Accidenti a me, quando imparerò a stare zitta?
«Ti prego, ti prego», incrocio le dita. «Fa che non mi abbia sentito. Per favore».
In me che non si dica, rieccolo davanti a me.
«C-che c-cosa v-vuoi fare?», le parole mi escono a fatica.
«Nulla», fa un sorriso divertito.
«Se non te ne vai immediatamente mi metto a gridare».
«Non provarci nemmeno» estrae una pistola dai pantaloni e me la punta sulla tempia.
Sono talmente spaventata che non riesco a pensare alle conseguenze di quello che sto per fare «Aiutatemi, vi prego, qualcuno mi aiuti per favore», le lacrime scendono a dirotto.
Mi tappa la bocca «Io ti ho avvertito», mette una mano sul grilletto pronto per premerlo.
Un uomo sentendomi gridare, scende dal furgone e si avvicina a noi «Che cosa sta succedendo qui?».
«Questi non sono affari che la riguardano, ci lasci in pace», ripone la pistola al suo posto.
«La prego, non se ne vada», dico a bassissima voce gesticolando con le mani nella speranza che mi abbia capito.
Loro continuano a discutere, ed io ne approfitto per scappare.
Con le mani ancora tremanti provo ad chiamare Andrea. Non risponde.
Mi metto a correre e vado a sbattere contro una signora.
«Stai più attenta», dice.
«M-mi scusi», mi volto e lo vedo arrivare verso di me. Non vuole fermarsi. «M-mi aiuti p-per favore chiami la polizia», sono in preda al panico.
Rientro.
In mezzo a tutta questa confusione, qualcuno mi spinge facendomi cadere per terra.
«Ma che...?», alcuni mi guardano piuttosto male.
«Scusatemi» mi rialzo.
«Ma dove ti sei cacciato? Dannazione», guardo in ogni direzione.
«Che è successo? Hai una faccia», chiede Andrea.
«Ah, sei tu? Non sono mai stata così contenta di vederti», mi rialzo.
Guardo verso l'entrata, e mi accorgo che Travis è ancora qui. Di mollare, non ne vuole proprio sapere.
Mi nascondo dietro ad Andrea, come tutte quelle volte che mia madre mi sgridava ed io avevo bisogno di qualcuno che mi difendesse, o che si prendesse il rimprovero al posto mio.
«Che cosa vuoi?».
Travis si avvicina «Togliti di mezzo tu».
«Perché non te ne vai?», gli dice Andrea arrabbiato.
«Io non me ne vado fino a quando non avrò ottenuto quello che voglio».
La musica si ferma. Abbiamo gli occhi di tutti puntati addosso.
«Sta lontano da lei», Andrea gli dà un pugno diritto in faccia.
Cade a terra. Con la mano si pulisce il sangue che fuoriesce dal naso.
«Questa me la paghi», cerca di picchiare mio fratello, ma lui schiva il colpo e va a sbattere contro un tavolo pieno di bicchieri di vetro.
«Non lo vedi? Sei completamente ubriaco. Datti una calmata».
Sentiamo le sirene della polizia.
«Non finisce qui, giuro che ve la faccio pagare», grida per poi scappare.
«Tutto bene?», chiede Andrea.
«Si, sto bene».
«Mi dispiace tanto» mi abbraccia ed io non posso fare altro che rimanere tra le sue braccia.
Voglio solo dimenticare questo brutto momento.
Un vento gelido mi accarezza i capelli, mentre mi dondolo sull'altalena.
«Ah sei qui» Andrea mi raggiunge e si sede per terra a gambe incrociate «Non riesci a dormire eh?».
«Ci stavo provando, ma poi... mi sono svegliata e sono arrivata alla conclusione che stare qui fuori è molto meglio di starsene sdraiata su un letto a guardare il soffitto».
«Senti», si passa una mano fra i capelli. «Mi dispiace».
«E per cosa? Per avermi portato con te? Tranquillo non potevi saperlo» mi dondolo un po’.
«Si, ma io non avrei dovuto lasciarti sola», Andrea prova un senso di disperazione come se lui ne fosse la causa. «Sono un incapace. Avrei dovuto proteggerti e invece...».
«Ma che cosa stai dicendo? Tu non hai la minima idea di come io sia felice ad avere un fratello come te, tu sei il migliore del mondo».
«E se fosse successo qualcosa? Mi considerasti ancora un buon fratello?».
«Ma certo. Non c'è nulla che tu possa fare affinché io non ti consideri tale. Tu sei fantastico», impugno le catene a cui è appesa l'altalena. «Insomma... Senza di te, non sarei mai riuscita ad affrontare tutto ciò che mi è successo».
«Ti ho lasciata sola proprio quando quello stronzo cercava di violentarti», si addossa tutta la colpa.
«Andrea?», lo costringo a guardarmi in faccia. «Io sono fiera di te. E sai perché? Perché alla fine sei riuscito a dargli una bella lezione. Una lezione che si ricorderà per un bel po’».
«Hai ragione».
«É ancora a lavorare?», mi riferisco a mia madre.
«Suppongo di sì».
«Ogni giorno sempre la stessa storia».
«Non fa niente. Ce la caveremo insieme anche senza di loro».
«Dillo ancora» quella parola mi fa stare bene ma allo stesso tempo mi fa venire i brividi.
«Senza di loro?».
«No no la parola prima».
«Insieme?».
Annuisco «Ora capisci perché sei il fratello migliore del mondo?».
Mi dà un bacio sulla guancia «E tu sei la mia principessa».
«Mm... non ne sono sicura. Manca il principe», adoro scherzare con lui, mi fa dimenticare qualsiasi problema
«Posso farlo io», si mette in bella mostra.
«Il principe sarebbe il fratello? Non lo trovi strano?».
«No affatto», scrolla le spalle. «Sappi che nessuno ti porterà mai via da me».
«Altrimenti che cosa farai?».
«Gli darò una bella lezione».
«Da quando un principe fa a botte con un'altra persona?», lo assecondo.
«E che importanza ha? Io sarò il primo».
«Non credi sia ora di andare a dormire?».
«Non mi va».
«E allora stai zitto e godiamoci questo silenzio».
«D’accordo» si siede nell'altra altalena.
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