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Profumo di incenso e tabacco

Il telefono aveva smesso di vibrare incessantemente durante la notte. Alice restava li, nel silenzio di una mattina che non era ancora pronta ad affrontare. Ancora un attimo, si era detta, un attimo soltanto, a volte gli attimi fanno la differenza. Suonano al citofono. Alice sobbalza. Forse il fattorino con l'ennesimo pacco. “Ce la posso fare” si ripete come un mantra. Il campanello suona insistentemente. Alice apre. Calore, profumo d’incenso e tabacco. Andre era entrato quasi sfondando la porta e l'aveva abbracciata senza lasciarle il tempo di prendere fiato prima di affondare il viso nella sciarpa di lui. Le salirono le lacrime, la sua mente era vuota e le ginocchia le tremavano fino a cedere completamente. Andre la sorresse fino a lasciarla cadere sul divano. Andre le accarezzò i capelli senza aprire bocca e aspettò sedendole accanto finché i singhiozzi lasciarono spazio ad un respiro affannoso ma regolare poi si alzò, andò in cucina e prese dal frigo due birre, tornatole accanto sul divano glie ne porse una. Alice lo fissò per un momento un po’ confusa  – Ma sono le dieci del mattino! -  - Come ai vecchi tempi no? -  Alice scoppiò a ridere. Un ricordo dove non c'era Glen, un posto lontano dovendo rifugiarsi per un attimo, un'altra vita, qualcosa a cui aggrapparsi che le ricordava che lei era esistita, anche prima di Glen.
Andre e Alice si conoscevano da sempre, abitavano nella stessa via fin da bambini, in una città di provincia dove crescendo avevano frequentato le stesse scuole, gli stessi bar, si erano incrociati milioni di volte vedendosi appena, poi avevano lasciato casa per andare all’università e si erano ritrovati di nuovo nella stessa città . Solo allora si erano davvero visti per la prima volta, lontani da quella città che andava troppo stretta a tutti e due. Avevano iniziato a conoscersi, la facoltà di matematica lui e quella di lettere lei, un pinta di birra scura in due, un piatto pasta a mezzanotte, Andre portava t-shirt a maniche corte anche in inverno e sciarpe colorate e i capelli sempre annodati in una crocchia scomposta di morbidi riccioli biondi, era una bellezza, avrebbe potuto avere qualunque ragazza avesse voluto ma finiva sempre con quelle troppo prese dai loro mille impegni per apprezzarlo e tutte le sue storie si concludevano con la stessa scusa: - guarda…non sei tu, sono io che uno come te proprio non me lo merito…-. E cosi finiva a casa di Alice, una birra di troppo, un giro in centro poi a casa di lui a parlare di quanto l'amore fosse ingiusto, di quanto la ex di turno fosse unica e nessuna mai avrebbe potuto sostituirla. E poi ogni tanto quella birra di troppo li avvicinava quanto basta da finire a letto e quelli erano momenti magici, sospesi. Alice aveva imparato ad andarsene prima dell'alba, senza svegliarlo e tutto quello che succedeva tra loro in quei momenti così, sospeso, come un sogno ch3 ritorna di tanto in tanto. Alice si girava a guardarlo un momento nella penombra della stanza assaporando la perfezione di quel momento sospeso. Se ne andava poi chiudendosi piano la porta alle spalle e pensando che in fin dei conti non c'era nulla di male, lui la ascoltava sempre quando gli raccontava di quanto le storie reali fossero priva di romanticismo, di quanto nessuno dei ragazzi con cui usciva assomigliasse al personaggio di uno dei suoi libri, a lui poteva raccontare dell’università, del fatto che le mancava casa, ma che casa era più un luogo nella sua mente che una via e un civico, lui capiva sempre. Poi era arrivata Ele.

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