25
«Sono morta».
Non era una domanda, perciò Gerard non si prese il disturbo di rispondere. Si limitò a guardare davanti a sé, lasciando che la luce tremolante delle fiamme lo ipnotizzasse. Odiava quella parte. Odiava i pianti, i lamenti e le implorazioni. Avevano quasi raggiunto la valle senza che la donna si rendesse conto di quello che stava accadendo. Sarebbero potuti arrivare fino al confine – un'impresa che Gerard non era mai riuscito a compiere con nessuna delle migliaia di anime che aveva traghettato – se non fosse stato per gli spettri. Quell'anima, quella donna, era talmente timida, talmente docile e accondiscendente che non aveva mai messo in discussione la parola di Gerard. Era diventata quasi fastidiosa, come se fosse un foglio bianco, completamente vuoto. Ma almeno gli aveva fatto comodo.
Gli spettri, però, non avrebbero mai consentito a un'anima così innocente e ingenua di attraversare la valle senza combattere. Avevano osato rischiare la luce del sole, sfruttando le ombre eteree di alberi e cespugli per attaccare. Era stato facile sfuggirgli, ma erano stati chiassosi. E lui non aveva potuto fare niente per impedire alla donna di guardare verso il rumore.
«Che cosa mi è successo?». La sua voce era un sussurro spaventato.
Gerard batté le palpebre, poi tornò di malavoglia al centro della stanza e la guardò. Aveva le spalle curve, gli occhi sgranati, le braccia avvolte intorno al petto, come se stesse tentando di abbracciarsi. La osservò, osservò la sua espressione patetica e si sforzò di non provare assolutamente niente. Eppure era il suo traghettatore; doveva risponderle.
«Hai subito un furto in casa. Il ladro ti ha pugnalata mentre dormivi».
«E quelle... cose, là fuori, cosa sono?».
«Demoni, spettri». Non disse di più. Non aveva voglia di dare altre spiegazioni.
«Che cosa mi faranno?».
«Se ti catturano, divoreranno la tua anima e tu diventerai una di loro». Gerard distolse lo sguardo per non dover vedere il terrore sul suo viso. A dispetto di se stesso, stava cominciando a sentirsi dispiaciuto per lei; e non poteva permetterselo. Non un'altra volta.
Ci fu un silenzio talmente prolungato che Gerard fu sul punto di voltarsi per guardarle il viso. Poteva sentirne il respiro leggermente affannoso, però. Stava piangendo. Non voleva assistere.
«All'inizio ho pensato che il ladro fossi tu, sai», gli disse a bassa voce, ma con un tono più fermo di quanto lui si sarebbe aspettato. Fece una risatina priva di allegria. «Quando ti ho visto fuori da casa mia ho pensato che fossi uno dei teppisti del quartiere che era venuto a rubare. Stavo per chiamare la polizia».
Gerard annuì, senza guardarla. Era il modo in cui appariva: la sua età, il viso. Era tutto sbagliato, per quella donna. Avrebbe dovuto essere più grande, un tipo signorile. Il tipo d'uomo di cui lei si sarebbe fidata. Non sarebbe dovuto essere lo stesso ragazzo che era stato spedito a raccogliere Frank dal treno.
Perché non era cambiato? Non aveva senso. Non aveva mai mantenuto la stessa forma, prima. E poi, mentre stavano lasciando la strada dove lei abitava, avrebbe giurato che qualcuno lo stesse guardando Non lo capiva, ma non gli piaceva. Era più difficile dimenticare Frank, in quel modo; lasciarsi il dolore alle spalle.
«Che cosa sarebbe accaduto», disse lei alla fine, «se avessi tentato di fuggire da te?».
Gerard parlò alle fiamme del camino. «Ti avrei fermata».
Mentre la donna rifletteva sulle sue parole, scese il silenzio. Gerard tentò di cullarsi fino a perdere conoscenza, ma non poteva spegnere il cervello. Si ritrovò a desiderare che la donna parlasse, solo per interrompere la tensione. Un istante dopo, lei lo accontentò.
«Dove stiamo andando?».
Era ovvio che avrebbe posto quella domanda. Gerard aveva elaborato una risposta di repertorio molti anni prima.
«Ti sto guidando attraverso la terra perduta. Quando terminerai il tuo viaggio, sarai al sicuro».
«E dove sarò?», chiese immediatamente lei.
«Oltre».
Oltre. Tutti loro andavano sempre oltre. Mentre lui tornava indietro. Si era riconciliato da molto tempo con questa grande ingiustizia che, ormai, aveva smesso di infastidirlo. Finché non...
Gerard aprì la bocca, mentre i suoi pensieri davano forma a una richiesta. Quella donna aveva di fronte a sé un'eternità, sicuramente poteva riservare qualche istante a cercare un'anima per lui? Ma prima ancora che avesse deciso cosa voleva dire, richiuse la bocca.
Frank era andato dove lui non poteva raggiungerlo. Né con le mani; né con le parole. E che senso aveva mandargli un messaggio quando non c'era alcuna possibilità che lui potesse rispondergli?
Gerard sospirò.
«Domani avremo un viaggio pericoloso da compiere», cominciò.
La valle sarebbe stata infida. Doveva concentrarsi. Doveva essere un traghettatore.
La terra perduta non era più fresca nella prima luce dell'alba. Frank era fermo sulla soglia del cottage. Era lì da un po', intento a combattere con se stesso. Fuori c'erano già degli spettri che planavano sulla superficie del lago, come uccelli. Ancora una volta, non gli si erano avvicinati. La casa sicura sembrava mantenere il suo potere. Poteva rimanere lì. Rimanere lì, stare al sicuro e aspettare Gerard. Ma se poi lui non fosse arrivato così lontano? E se l'anima che stava traghettando fosse stata troppo vecchia, troppo lenta? Oltretutto, si stava struggendo per lui. L'idea di aspettare, per chissà quanto, era atroce. Doveva andare a cercarlo.
Ma il lago... era quasi affogato, lì dentro. Immerso nell'acqua, aveva annaspato. Le creature degli abissi avevano giocato con lui, spingendolo, tirandolo. Se non fosse stato per Gerard non sarebbe mai uscito da quell'acqua. Ne ricordava il sapore. Marcio, stagnante, contaminato. Era densa, come olio sulla lingua. Ed era stata così nella sua personale terra perduta, coperta di erica.
In quella nuova natura ardente, era peggio. L'acqua era agitata da mulinelli, tossica e fumante. Non sembrava abbastanza solida per sostenere il peso della zattera fatiscente, ma la barca era lì dove si era ribaltata, ancora fluttuante sulla superficie dell'acqua. Fu un sollievo. Frank aveva temuto che potesse essere affondata, o trascinata a riva e ridotta in pezzi. Invece eccola lì.
Al centro del lago.
Mentre considerava la situazione, Frank sospirò. C'erano soltanto due alternative: entrare nell'acqua e raggiungere la barca, oppure fare il giro del lago a piedi. Camminare era una prospettiva decisamente più invitante rispetto a quella di guadare l'acqua nera e oleosa abitata da creature nascoste, in agguato nei suoi abissi torbidi. Ma era un percorso lungo. Avrebbe dovuto fare a gara con il sole e non era sicuro di vincere.
Quindi la scelta era davvero su quale fosse il male minore: l'acqua o la notte?
Gerard aveva pensato che fosse meglio servirsi della piccola zattera, malgrado i pericoli nascosti sotto la superficie. Significava che il lago era davvero troppo grande – e in questa versione della terra perduta, troppo caldo – per poterlo aggirare prima che arrivasse il buio. Oltretutto lui era già sopravvissuto alle sue acque gelide. Invece, non era mai rimasto fuori di notte.
Il lago, allora. Lo scricchiolio dei suoi piedi sui sassolini della spiaggia era l'unico suono, mentre scendeva in fretta lungo la leggera discesa che portava all'acqua. A quell'ora del mattino non c'erano anime in vista. Stavano uscendo tutte dalle loro case sicure, proprio come lui, pronte ad attraversare il lago. Aveva pensato a loro, durante le lunghe ore in cui aspettava l'alba, mentre tentava senza successo di tenere lontane le urla degli spettri. Non poteva vedere le loro case sicure, ma sapeva che dovevano essere vicine. Stranamente, Frank era stato felice di essere solo. Le altre anime lo mettevano a disagio. C'era un che di... angosciante, nella loro forma bizzarra.
Arrivato al bordo dell'acqua fu sul punto di tirarsi indietro. Le piccole onde gli scurivano la punta delle scarpe. Andare avanti significava lasciare che il liquido gli toccasse la pelle, e dare a una qualsiasi delle creature in agguato la possibilità di agguantarlo. Frank esitò, si morse il labbro, ma davvero non c'era altra scelta. Andare avanti o tornare indietro. Con un profondo respiro, costrinse i suoi piedi ad avanzare.
Ghiacciata. Bruciante. Le due sensazioni colpirono Frank insieme e lui boccheggiò. Il liquido denso intralciava ogni suo passo. Si avvolgeva intorno alle sue caviglie, poi alle ginocchia, poi alle cosce. Anche se non poteva vedere il fondo, i suoi piedi avanzavano a tastoni, trascinandosi sull'instabile miscuglio di sabbia e sassi. Fin lì, tutto bene. Era tutt'altro che piacevole, ma era ancora in piedi e ancora non aveva sentito gli artigli avidi dei demoni. Ancora qualche passo e dovette sollevare le mani dalla superficie. L'acqua simile a catrame gli lambiva la vita, nauseandolp. Sperava di raggiungere la piccola barca prima che si allontanasse troppo.
Adesso teneva gli occhi fissi sull'imbarcazione. Non si trovava proprio al centro del lago, ma era pur sempre –a vista d'occhio– otto o nove metri distante da lui. Le sue speranze di guadare il lago si infransero quando un altro passo gli fece arrivare l'acqua al petto, e poi alla gola. Frank tirò su il mento tentando di tenere la bocca fuori, ma i vapori pestilenziali gli penetrarono nel naso provocandogli dei conati di vomito. Tremava per il freddo, con brividi talmente forti che quasi non si accorse di qualcosa che gli scivolava lentamente intorno alla gamba destra, poi al ginocchio destro. Poi alla vita.
Quasi.
«Merda!», urlò. Le braccia, ancora sollevate, schiaffeggiarono l'acqua per scacciare qualsiasi cosa gli avesse afferrato la felpa. Ne sentì le squame appuntite grattargli i palmi, prima che la cosa sgattaiolasse via. Fece un giro, però, e tornò indietro agguantandolo alle spalle, dal cappuccio, cosicché il colletto della felpa lo strinse alla gola.
Frank si rigirò nell'acqua, tirando calci e schiaffi, menando colpi alla cieca. Gocce d'acqua nera e oleosa schizzarono ovunque atterrandogli sui capelli e le guance. Gli coprirono occhi e bocca. Sputando, mezza accecato, il corvino strappò la felpa alla bocca della creatura e si lanciò verso la zattera, tentando di nuotare e lottare allo stesso tempo. Era scomodo ed estenuante, ma Frank riuscì a impedire alle creature di avere una presa salda su di lui, e la barca era sempre più vicina. C'era quasi. Allungò una mano, mentre le dita cercavano il bordo della barca. Ce l'aveva fatta. Ma poi, all'improvviso, non riuscì a respirare. Tre demoni avevano affondato i denti nella sua felpa e le loro forze congiunte furono troppo, perché lui riuscisse a liberarsi.
Si tuffarono, scendendo nel lago ghiacciato, tirandolo giù con loro. Frank aprì la bocca per urlare proprio mentre l'acqua gli inondava il viso. Densa e tossica, gli riempì la bocca. Frank entrò nel panico, consumò tutta l'aria nei polmoni, troppo ansioso di sputare tutto per riuscire a pensare. Non appena i polmoni si contrassero, lottarono per gonfiarsi di nuovo con una serie di spasmi dolorosi. Frank serrò le labbra, combattendo l'istinto di respirare ancora. Per tutto il tempo non fece che affondare sempre più giù, ma stavolta non c'era Gerard a salvarlo.
Gerard. Nella mente vide il suo viso con estrema chiarezza, e gli diede la forza per lottare. Con uno strattone tirò giù la cerniera della felpa e, contorcendosi, riuscì a fuggire, poi batté le gambe con forza per andare su. Su, su e su. Sicuro che fosse così lontano? Stava forse andando nella direzione sbagliata – dritto verso il basso? Non sarebbe riuscito a combattere ancora per molto l'impulso di respirare.
Proprio quando pensava che avrebbe perso conoscenza, con la testa ruppe la superficie dell'acqua e ingoiò lunghe boccate d'aria. Cercò alla cieca la barca, mentre le lacrime gli rigavano le guance di strisce chiare, contro la colla nera che ricopriva la sua pelle. Afferrando il bordo con entrambe le mani, Frank si issò nella piccola barca.
Rimase sdraiato sul fondo per un istante, tentando di percepire se avesse qualcosa attaccato alle caviglie, prima di doversi spostare e affrontare gli orrori, ma, oltre al freddo, non provò altre sensazioni. Con una certa goffaggine si ritirò su e si sistemò sul rigido sedile di legno. Tutto il suo corpo tremava, tanto per la paura quanto per il freddo, e gli girava la testa. Era anche fradicio, con i vestiti ricoperti d'acqua vischiosa. Ma era vivo.
Adesso avrebbe dovuto remare. Non c'erano remi, dal momento che l'ultima volta li avevano persi ribaltandosi, ma Frank ricordò che non c'erano stati nemmeno all'inizio. Chiuse gli occhi, allungò una mano in basso e tastò con le dita tutto intorno.
«Andiamo», mormorò, frugando le tavole di legno. «L'avete fatto per Gerard. Come altro diavolo dovrei arrivare dall'altra parte?».
Niente. Frank aprì gli occhi e fissò l'altra sponda. Era a quasi un chilometro di distanza e l'aria era completamente ferma, nemmeno un alito di vento che spingesse la barca delicatamente, e comunque non avrebbe avuto vele da spingere.
«Maledizione!», urlò, e nel silenzio la sua voce risuonò inaspettatamente chiassosa. «Odio questo posto! Dammi un paio di fottuti remi!».
Prese a pugni un lato della zattera, poi si girò e si lasciò cadere di nuovo sul sedile, completamente disorientato.
I remi lo stavano aspettando, infilati nei loro scalmi.
Frank li fissò, esterrefatto.
«Oh», disse. Poi guardò il cielo, un po' interdetto. «Grazie?».
Non sapendo con chi stesse parlando, se mai ci fosse stato qualcuno, e sentendosi stupido per quella crisi malgrado la totale assenza di testimoni, Frank afferrò i remi, li tuffò nel fumo nero e cominciò a remare.
Remare era difficile. Frank ricordò vagamente Gerard che gli rideva in faccia quando gli aveva chiesto se volesse fare a turno, dicendo qualcosa di sarcastico sul non voler rimanere in acqua per sempre. Quando lo aveva fatto lui non era sembrato tanto difficile. La zattera si rifiutava di andare nella direzione che voleva lui e tentare di fendere l'acqua, stranamente nebbiosa com'era. Le sue mani continuavano a scivolare sull'impugnatura dei remi; avanzava molto, molto lentamente.
A circa metà strada si imbatté in qualcosa che lo distrasse momentaneamente dalle sue membra doloranti. Lo superò una barca che andava nella direzione opposta. Scivolava lentamente sull'acqua, con i suoi occupanti che tremolavano in controluce. Poi, una volta passata la prima, ne arrivò un'altra e poi un'altra. Ben presto la superficie del lago fu stracolma di minuscole imbarcazioni, una flottiglia evanescente che creava una sorta di nebbia sulla superficie del lago.
Era molto più difficile, ora, non guardare quelle anime. Percorrere a ritroso la stessa strada da cui era venuto era l'unico modo di remare, perciò Frank non aveva altra scelta se non quella di guardare in direzione delle barche. Tentò di tenere gli occhi sulla poppa della propria zattera, ma doveva combattere costantemente con l'istinto di alzare lo sguardo.
Soprattutto quando una barca ebbe dei problemi. L'acqua intorno alla sua rimase calma, ma il corvino capì subito che cosa stesse accadendo senza neanche bisogno di alzare la testa. Per prima cosa, cambiò il rumore. Invece del sommesso sciabordare dell'acqua contro il legno e del borbottio distorto di un centinaio di conversazioni, si udì un acuto lamento. Non era quello aspro e gutturale degli spettri, questo proveniva da un'anima, ne era certo. Poi ci fu la luce. Il tenue bagliore bianco delle sfere non alterava minimamente la luce rossa emessa dal sole. Ma nella direzione del grido, la sfera più vicina brillò più intensamente. Fu come togliersi delle lenti colorate, e il mondo, solo per un momento, sembrò assumere colori normali.
Frank individuò immediatamente la barca. Era proprio di fronte a lui, forse a cento metri di distanza, e oscillava da una parte all'altra come se fosse attaccata da un uragano. Era difficile osservarla, perché la sfera che fluttuava al centro dell'imbarcazione stava brillando con tale forza da far male agli occhi. Eppure, Frank non riusciva a guardare altrove. Non doveva farlo. La sfera lo stava chiamando. No, non lui. Stava chiamando la sua anima. Ma l'anima la stava ignorando.
L'anima stava guardando nell'acqua.
Davanti agli occhi di Frank, l'acqua si innalzò, modellandosi in una forma ritorta che, da dove si trovava lui, sembrava essere un artiglio. L'artiglio si distaccò dal lago, si suddivise. Divenne una dozzina, no, due dozzine di esseri più piccoli. Come pipistrelli.
Le creature del lago.
Si gettarono in branco sull'anima e la barca cominciò a muoversi e ondeggiare, inclinandosi pericolosamente. Come se stessero aspettando un'autorizzazione, alcuni spettri che volteggiavano in cerchio, sfidando il sole, si unirono all'aggressione.
«No!», strillò Frank, accorgendosi con un secondo di anticipo che la barca stava per ribaltarsi.
Non appena la parola gli sfuggì dalla bocca, Frank mise le braccia davanti al viso.
L'avevano sentito. Le creature del lago continuarono a tirare l'anima negli abissi dell'acqua, ignorando la sfera che adesso stava pulsando furiosamente. Poi gli spettri puntarono su di lui. Senza una sfera, senza un traghettatore, non avevano bisogno di aspettare il buio per fare di lui il loro banchetto.
«Dannazione, dannazione! Idiota!».
Frank cominciò a remare come un forsennato, trascinando i remi nell'acqua con tutta la velocità e la forza possibili. Non era sufficiente.
Gli spettri si muovevano fra i vapori come se se ne nutrissero. Nel lasso di tempo che lui aveva impiegato per dare quattro forti colpi, loro avevano già coperto metà della distanza. Riusciva quasi a sentire il loro ringhiare gioioso.
Era finita; questa volta sarebbe morto.
Frank smise di remare, smise di respirare. Li fissò, in attesa. Sapeva esattamente quale sensazione aspettarsi quando gli avessero fatto un buco nel petto: ghiaccio nel cuore. Nei suoi ultimi secondi, il corvino si chiese quanto sarebbe durato; quanto avrebbe sofferto.
Mentre loro correvano gli ultimi pochi metri, lui chiuse gli occhi. Non voleva vedere le loro facce.
Ma non accadde niente.
Gli spettri erano ancora lì, lo sapeva. Riusciva a sentirli sibilare, ringhiare e strillare, ma non provò alcuna sensazione. Niente al di là del battito impazzito del suo cuore e del sudore freddo che gli scendeva lungo la schiena, malgrado il calore intenso del sole rosso sangue. Frank schiuse le palpebre quel tanto da permettere al primo frammento rossastro di penetrare.
Erano ancora lì; li vedeva tutti intorno a lui. Richiuse per un momento gli occhi, strizzandoli e facendo raggrinzire la pelle del viso. Perché non lo stavano attaccando? Era difficile da capire, difficile credere che potessero essergli così vicini e non toccarlo.
Osando a stento respirare, Frank allungò una mano alla cieca e frugò in cerca dei remi. Con molta cura, li tuffò nell'acqua e cominciò a remare. Un colpo alla volta, scivolò sull'acqua. Il ringhio divenne un ruggito, ma era un suono frustrato e niente l'aveva ancora toccato.
Non guardare, si ripeteva. Le parole a ritmo delle vogate, tremando per lo sforzo. Ma la cosa peggiore era che non poteva vedere dove stava andando e sapeva bene di non essere abbastanza bravo da procedere in linea retta. Chissà dove sarebbe finito, ma finché fosse stato fuori dall'acqua sarebbe stato un bene. Tentò di ricordare quanto distasse dalla spiaggia la casa sicura sulla collina. Non gli era parso un percorso lungo; solo una collina. Solo una collina. Solo una collina. Si concentrò su quel pensiero. Su quello e sul tenere gli occhi chiusi.
Uno scossone alle sue spalle rischiò di vanificare tutto il suo duro lavoro. Per un secondo, pensò che gli spettri lo stessero attaccando di nuovo. Nel panico, i suoi occhi si aprirono di scatto prima che potesse costringerli a richiudersi. Intravide qualcosa di nero che si tuffava verso di lui, prima di strizzare le palpebre e tutto il viso, per mantenerle di nuovo chiuse. Tentò di remare, di immergere i remi nell'acqua, ma sbatterono contro qualcosa di duro, provocandogli un contraccolpo doloroso nei polsi. Poi ci fu il rumore di qualcosa che raschiava la barca e una scarica di adrenalina gli inondò le vene prima che la logica raggiungesse il cervello.
La riva. Era arrivato a riva. La zattera non stava più oscillando; era incagliata sul bagnasciuga.
Scendere dall'imbarcazione tenendo gli occhi ancora serrati fu complicato. Persino arenata com'era, la piccola zattera si inclinò e ondeggiò mentre lui si spostava, perdendo per un attimo l'equilibrio. Poi, quando scavalcò il bordo, il salto gli parve lungo in modo allarmante. Quando i piedi toccarono terra, il gelo coprì le sue gambe.
Era entrato nell'acqua.
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