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24

«Che cosa hai intenzione di fare?».
Avevano lasciato l'anziana Amber nella sua capanna e Frank, orfano di una qualsiasi altra destinazione, aveva seguito Dominic attraverso la strada che adesso sapeva essere una riproduzione di una via di Stuttgart, la città dove lui aveva vissuto da bambino, prima della sua breve carriera nell'esercito. Erano seduti sul cofano della macchina, mentre la radio, in sottofondo, suonava ancora vecchie canzoni che Frank non riconosceva.
Il corvino sbuffò, tentando di chiarirsi le idee. «Tornerò indietro».
Dominic lo guardò con una faccia seria e attenta. «Sei sicuro che sia la cosa giusta da fare?».
«No». Frank gli rivolse un sorriso beffardo. «Ma lo farò ugualmente».
«Potresti morire», l'avvertì Dominic.
Il sorriso gli scivolò via dal viso. «Lo so», disse a bassa voce. «Lo so. Dovrei rimanere qui, aspettare mia madre, i miei amici. Trovare i miei parenti. Dovrei soltanto accettarlo. So che dovrei.».
«Ma non hai intenzione di farlo», terminò il ragazzo per lui.
Frank fece una smorfia, abbassò lo sguardo sulle proprie mani che erano strette insieme. Che altro poteva dire? Dominic non avrebbe capito. Non poteva biasimarlo. Aveva a malapena un senso, per lui, il fatto che la cosa giusta potesse essere anche quella sbagliata.
«Mia madre mi diceva sempre che ero un testardo», disse, poi sorrise. «Gerard ha detto la stessa cosa».
«Davvero?». Dominic rise.
Lui annuì. «Penso di averlo infastidito, all'inizio. Continuavo a dirgli che stava andando nella direzione sbagliata».
Adesso era divertente, guardare indietro a quei primi due giorni. Quante volte lo aveva costretto a fermarsi per convincerlo a proseguire?
«Ti ha raccontato la storia di Babbo Natale?», gli chiese Dominic, ridacchiando.
«Sì!». Frank scoppiò a ridere. Che strano! Quando aveva immaginato la storia, era stata in un contesto moderno. Com'era stato nel – quando? – 1930?
«Aveva un'alta opinione di te, sai? Quando mi ha raccontato la tua storia ha detto che eri ammirevole. E nobile».
«Ha detto così?». Dominic parve compiaciuto e fece un sorriso smagliante quando Frank annuì, confermando l'autenticità delle sue parole.
«Penso che anche lui sia ammirevole», disse il ragazzo, riflettendo. «Il lavoro che svolge, il modo in cui ripete sempre la stessa routine. Non è giusta, la sorte che gli è toccata».
«Lo so», borbottò Frank.
Non c'era niente di giusto. Nemmeno quello che era accaduto a Dominic, o a lui. Gerard meritava di essere liberato dal suo... beh, "lavoro" non era proprio il termine esatto. Chi svolge un lavoro viene pagato. Ed è possibile dimettersi, andarsene. No, quello di Gerard era un obbligo. E lui aveva sofferto abbastanza.
«Quando pensi di tentare?». Dominic interruppe le sue fantasticherie.
Frank non ne era sicuro. Il suo primo pensiero era stato di aspettare fino al mattino. Sarebbe stato meglio perché gli avrebbe dato un'intera giornata di luce per raggiungere una casa sicura. Ma poi l'aveva colpito un altro pensiero. Gerard gli aveva detto che lui non aveva più bisogno di dormire – e, ormai, da quanto tempo era sveglio? Ancora non si sentiva stanco. Esisteva qualcosa di simile alla notte, in quel luogo? Il sole era ancora alto, come lo era stato prima che andassero a trovare Amber.
Perciò, se il tempo non era un problema, Frank immaginò che la risposta fosse: non appena sarebbe stato pronto. Ma quando?
Mai.
Adesso.
Pensò a ciò che stava per affrontare: una porta che non si apriva; una terra perduta; un esercito di spettri; la disperata ricerca di un ago in un pagliaio per trovare Gerard. Era una lista terrificante che lo faceva tremare.
E cosa poteva fare per prepararsi? Assolutamente niente.
Frank provò un momento di puro terrore. Poteva farcela davvero? La sua determinazione vacillò mentre la metà razionale del suo cervello lottava disperatamente contro l'idea di venire distrutta, cancellata. Il cielo rosso sangue e i demoni che l'aspettavano oltre la porta. Perché lo stava facendo?
Gerard. I suoi splendenti occhi verdi. Il calore della sua mano, forte intorno alla sua. La morbidezza delle sue labbra che gli bruciava l'anima.
«Non c'è momento migliore di questo».
Qualsiasi porta, aveva detto Amber. Qualsiasi porta l'avrebbe condotto dove voleva andare, purché fosse convinta di volerci andare. Frank sapeva quale porta scegliere.

Neanche dieci minuti dopo le stava davanti, mentre respirava l'inebriante profumo dei vasi di fiori gialli e arancioni e socchiudeva gli occhi per proteggerli dai bagliori del sole riflesso sullo scintillante numero d'ottone appeso al centro della cassetta delle lettere. Quella era la porta che l'aveva immesso nel mondo di Dominic, ovunque esso fosse. Sembrava corretto usare la stessa, per uscirne.
Frank contemplò la piccola maniglia rotonda. Non doveva fare altro che pensare al luogo in cui voleva andare e, quando avesse aperto la porta, si sarebbe ritrovato lì. Fissò nella mente un'immagine della terra perduta: le alte colline sinuose, il vento freddo, il cielo coperto di nuvole. La sua mano fece per tendersi, ma poi Frank si fermò. Non andava bene. Quella non era la vera terra perduta. Senza Gerard, sapeva che cosa avrebbe dovuto vedere. Con un piccolo sussulto, ripescò un'immagine diversa, quella di un paesaggio tinto di svariate sfumature di rosso. Era lì che stava per andare davvero.
Strinse i denti, concentrandosi, poi allungò di nuovo la mano.
«Frank». Dominic gli prese il polso, tirandolo indietro.
Lasciandosi sfuggire un rapido sospiro di sollievo, felice, dentro di sé, della possibilità di rimandare, anche solo per pochi istanti, Frank si girò per guardarlo.
«Come sei morto?».
«Cosa?». Del tutto impreparato alla domanda, Frank non poté fare altro che fissarlo a bocca aperta.
«Come sei morto?», ripeté lui.
«Perché?»
«Beh, è solo che... se ce la fai, e io spero davvero che tu riesca», gli sorrise, «...tornerai nel tuo corpo, così come l'hai lasciato. Qualsiasi cosa ti sia accaduta resterà identica. Quindi, mi chiedevo, come sei morto?».
«Incidente ferroviario», mormorò Frank fra le labbra quasi immobili.
Dominic annuì, pensieroso. «Quali ferite hai riportato?».
«Non lo so».
Era talmente buio, talmente silenzioso. E lui non aveva alcuna idea di essere morto. Se nella carrozza vi fosse stata una luce, che cosa avrebbe visto? Il suo corpo era disteso sul sedile? Era stato schiacciato? Decapitato?
Se avesse avuto ferite tanto gravi, il corpo avrebbe funzionato ancora?
Frank scosse lentamente la testa per scacciare quei pensieri morbosi, prima che gli portassero via il coraggio. Aveva già deciso, ricordò a se stesso. L'avrebbe fatto.
«Non lo so», ripeté, «ma non importa». Gerard era la sola cosa importante. «Addio, Dominic».
«Buona fortuna». Tentò di sorridergli ancora, e Frank capì che pensava che non ce l'avrebbe fatta. Voltò la schiena ai dubbi del ragazzo, ma lui parlò di nuovo. «Ehi, ancora una cosa».
Stavolta Frank sbuffò, davvero frustrato. «Che c'è?», domandò senza voltarsi, con la mano ancora tesa verso la maniglia della porta.
«Salutalo da parte mia». Pausa. «Spero che tu sopravviva, Frank. Forse ci rivedremo ancora».
Lo salutò e tornò indietro, sul vialetto. Quando Frank si voltò e vide aumentare la distanza fra di loro, provò una fitta di panico.
«Non vuoi restare?».
Quello che voleva chiedergli davvero era di andare con lui, ma non poteva fare una cosa del genere. Non l'avrebbe fatto.
Lui scosse la testa, continuando a indietreggiare.
«Non voglio vedere», gli confessò, poi gli rivolse un piccolo cenno di saluto e un ultimo sorriso, e si affrettò ad allontanarsi. Frank lo guardò attraversare la strada, facendo lo slalom tra le macchine, finché non scomparve dentro una casa. E allora fu solo.
La strada era stranamente silenziosa. Inospitale. Fu quasi facile voltarle le spalle e affrontare la porta una terza e ultima volta. Con il cuore che gli batteva forte, un leggero velo di sudore che gli imperlava il labbro superiore, il corvino allungò la mano verso la maniglia. Nella sua mente evocò l'immagine da incubo, inondata di rosso sangue e, mentre le dita afferravano il metallo freddo, le sue labbra tremavano mormorando in continuazione: «Terra perduta, terra perduta». Strinse il pomello, prese un ultimo respiro e lo girò.
Si aspettava che non sarebbe accaduto niente. Pensava che avrebbe incontrato una forza inamovibile; una serratura che non avrebbe mai potuto forzare. Credeva sinceramente che sarebbe dovuto rimanere lì per ore e ore, cercando il proprio coraggio, la propria convinzione, finché non fosse stato sicuro di volerlo fare davvero.
Ma la maniglia girò facilmente nella sua mano.
Sbalordito, Frank spalancò la porta e scrutò attraverso l'apertura.
La terra perduta.
L'ardente, sanguigna terra perduta. Il cielo era striato di arancio e viola. Già metà pomeriggio. Questo sì che era spaventoso.
Il sentiero che aveva seguito con Gerard l'ultimo giorno – quando ancora credeva che sarebbe andato con lui, quando il sole brillava ancora – si estendeva davanti ai suoi piedi. Ma invece di avere il colore dorato della sabbia e dei sassolini, il fondo era nero come la notte. Sembrava gonfiarsi, come se qualcosa ribollisse sotto la superficie. Era lucente come melassa.
Trattenendo il fiato, Frank sollevò un piede e lo appoggiò a terra con delicatezza. Il sentiero era solido. Dopo un attimo d'esitazione, fece un altro passo. Le sue dita lasciarono la porta. Non ebbe bisogno di voltarsi per guardarla; capì quando si richiuse. L'istante esatto.
Perché non fu più solo.
Anime. Nel momento in cui fu di nuovo nel vero regno dei traghettatori, fu circondato da anime. Erano esattamente come le ricordava, diafane, indistinte. Come fantasmi che si increspavano nell'aria. Avevano volti, corpi, ma sembravano esserci e non esserci allo stesso tempo. Stessa cosa per le voci. Quando le aveva osservate dalla casa sicura, Frank era stato troppo lontano e protetto dalle pareti del cottage per poterle anche udire. Ma adesso le voci erano lì e le sentiva farfugliare tutto intorno a lui. Niente di ciò che dicevano era chiaro. Era come ascoltare sott'acqua o con un bicchiere appoggiato alla parete. E poi, a circondarle in cerchi meticolosi, c'erano gli spettri.
Frank sussultò, ma i demoni non fecero alcun movimento verso di lui. Lo spaventarono, però. Istintivamente si guardò alle spalle, sbirciando la porta chiusa. Doveva forse tornare indietro?
No.
«Vai, Frank», disse a se stesso. «Muoviti».
Le gambe obbedirono e il corvino si lanciò in una marcia serrata che era quasi un trotto. Si sforzò di tenere il più possibile lo sguardo fisso in avanti. I suoi occhi erano fermamente puntati su un anello di colline in lontananza. Colline che costeggiavano il bordo di un lago, sulla cui spiaggia c'era una casa sicura.
Il sentiero era sulfureo. Dal fondo si innalzavano esalazioni che fluttuavano in una foschia e formavano mulinelli intorno ai suoi piedi; sbuffi di fumo che sembravano pronti a concretizzarsi in mani rapaci, se fosse rimasto troppo a lungo nello stesso punto. Non sapeva se fosse opera dell'immaginazione, ma aveva la sensazione che i suoi piedi fossero già troppo caldi, come se il calore stesse filtrando dalle suole delle scarpe da ginnastica. Anche l'aria era sgradevolmente calda. Frank immaginò che fosse un po' come stare in mezzo al deserto, senza nemmeno un filo d'aria a smuovere il calore nauseante. Sapeva di cenere e sabbia e gli aveva già asciugato la bocca. Tentò di respirare dal naso, ma i polmoni gli bruciarono per carenza d'ossigeno. Sapeva che era sull'orlo dell'iperventilazione, ma non poteva fermarsi.
Arriva fino alla casa sicura, e basta. Questa era l'unica cosa che doveva fare, e non avrebbe pensato a nient'altro. Arriva fino alla casa sicura, e basta.
Stringendo le mani a pugno, Frank fissò lo sguardo dritto davanti a sé. Era tentato – molto tentato – di guardare le anime, di vedere chi stesse passando, ma un sesto senso gli diceva che era pericoloso.
Con la coda dell'occhio poteva vedere le ombre svolazzanti degli spettri. Senza la sfera luminosa ad attirare la loro attenzione, sembrava che non lo notassero nemmeno. Ma se l'avessero fatto... lui non aveva alcun traghettatore a proteggerlo. Sarebbe stato una preda facile.
«Non guardare, non guardare», si ripeteva sottovoce mentre si affrettava.
Avanti, avanti, avanti, continuò a camminare senza guardare nient'altro che le colline di fronte a lui, osservandole mentre diventavano sempre più grandi e sempre più scure, con il tramonto del sole.

Frank raggiunse la casa sicura proprio quando il sole, ardente come un pezzo di brace, cominciò ad avvicinarsi al contorno affilato della collina più alta. Arrivò ansimante e affaticato, non per lo sforzo fisico, anche se aveva camminato sempre più in fretta come se inseguisse la luce calante, ma per la concentrazione richiesta dal tenere lo sguardo fisso in avanti. Le anime avevano continuato a scorrergli accanto fitte e veloci, ma lui era riuscita a cogliere soltanto stralci di conversazioni; frasi senza senso e parole, a volte pianti disperati.
Più si faceva tardi, più le anime intorno a lui cercavano di affrettare il proprio viaggio. Frank aveva percepito la loro urgenza, aveva intravisto barlumi di una stupefacente luce bianca – bellissima, in quell'oscurità – che lo persuadeva a continuare. Quelle anime camminavano sul filo del rasoio, sfidavano la sorte. Avevano una lunga strada da percorrere per arrivare al confine prima che cadesse la notte, e i loro traghettatori lo sapevano.
Come lo sapevano gli spettri. Questi emettevano un suono singolare, qualcosa di mai udito prima. Urla e risate si fondevano insieme. Odio e piacere; disperazione ed eccitazione. Un suono che lo gelò fino alle ossa. Ed era quasi impossibile non guardare, non voltarsi verso l'origine di quel suono, vedere quali creature riuscissero a essere, allo stesso tempo, felici eppure tanto tormentate. Frank si sentì immensamente sollevato quando vide la casa sicura. Aveva temuto che, in quella natura selvaggia color sangue, non fosse più lì, o che non fosse più la stessa. Invece eccola, un'oasi nel deserto e, quando infine riuscì a gettarsi oltre la porta del cottage, stava quasi piangendo per lo sforzo.
Dopo, la notte trascorse lentamente.
Frank accese un fuoco e si sdraiò sul letto. Chiuse gli occhi. Voleva dormire. Non perché fosse stanco; solo per nascondersi. Solo per passare il tempo. Ma l'incoscienza l'aveva abbandonato. Trascorse le ore ascoltando le risate estatiche degli spettri mentre banchettavano con le anime che erano state troppo lente, i cui traghettatori avevano fallito.

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