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Cosa ti offro da bere?


Sedeva al bancone del bar, lo sguardo fisso sul bicchiere vuoto che faceva girare pigramente tra le dita. Intorno a lui il locale pulsava di musica e di vita, in un mix di luci e volti sfocati. Charles si muoveva tra gli invitati con il suo solito sorriso sicuro, divertendosi, scambiando parole con tutti e scattando qualche foto, come sempre durante quegli eventi organizzati dai loro sponsor. Lui invece, per qualche ragione, quella sera non riusciva proprio a fare come il suo compagno di squadra. Era come se tutto attorno a lui si mescolasse in un sottofondo indistinto, come se appartenesse ad un mondo di cui, in quel momento, lui non sentiva più di far parte. 

Avrebbe compiuto trent'anni da lì a due giorni. Trent'anni. Nella vita di chiunque altro sarebbe un numero come un altro, l'ennesimo traguardo da tagliare e festeggiare con torta e candeline, ma non per un pilota di Formula 1. Non per lui. Guardando i nuovi piloti che stavano entrando nel paddock, dei ragazzini con i volti freschi e carichi di talento, non poteva fare a meno di sentire quel piccolo morso di insicurezza insinuarsi dentro di lui. La velocità della macchina non era l'unica cosa che doveva tenere d'occhio; a quanto pareva c'era anche quella dei suoi stessi anni con cui fare i conti, che correvano sempre più veloci, trascinandolo con sé. 

Poi ci sarebbe stata Monza. Quella pista iconica, così piena di storia e di emozioni, che quella domenica avrebbe percorso per l'ultima volta da pilota Ferrari. Non era mai stato uno da sentimentalismi, ma la consapevolezza che non avrebbe più indossato quei colori, che non avrebbe più sentito il grido dei tifosi italiani che lo acclamavano come uno di loro, lo aveva colpito più forte di quanto volesse ammettere. Nonostante tutte le sue prove, le sue battaglie in pista, non era riuscito a convincere la scuderia a tenerlo, a dimostrare loro di essere quello giusto per guidare il team verso la gloria. Quel pensiero gli lasciava una vena di amarezza, un retrogusto di rimpianto difficile da ignorare e che nemmeno il sapore dello scotch era riuscito a mascherare. 

Eppure, nonostante tutto, c'era anche una sorta di malinconica gratitudine che non riusciva a cancellare. Amava l'Italia, amava i suoi tifosi appassionati che riempivano i circuiti di bandiere e cori. Amava il team che quattro anni prima lo aveva accolto come una famiglia e l'atmosfera di quella patria adottiva che ormai sentiva sua. Si lasciò sfuggire un profondo sospiro, un misto di rassegnazione e consapevolezza che gli fece abbassare lo sguardo verso il bicchiere vuoto. Il problema era che sentiva che abbandonando la Ferrari, avrebbe detto addio per sempre alla migliore opportunità che avesse mai avuto nella sua carriera e temeva che per lui, da quel momento in avanti, ci sarebbero state sempre meno occasioni...

«L'espressione triste non si addice ad un viso bello come il tuo» una voce femminile irruppe nei suoi pensieri, interrompendo quel circolo vizioso di autocommiserazione e malinconia.

«Che ne dici di farmi un sorriso se ti offro da bere?»

Si lasciò sfuggire uno sbuffo a metà tra l'amaro e il divertito mentre si girava verso la fonte della voce preparandosi a rifiutare sfoggiando un sorriso di circostanza. Eppure, una volta che lei fu entrata nel suo campo visivo, per qualche assurdo motivo non riuscì proprio a dirle di no. Si limitò ad annuire senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Lei sorrise, sfoggiando una chiostra di denti bianchi e perfetti, poi tese la mano verso di lui.

«Francesca.»

Nonostante la temperatura del locale fosse quasi tropicale notò, stringendola, quanto la sua mano fosse insolitamente fredda a contatto con la sua. Aveva una bella mano, si concesse di osservare, piccola ma dalle dita eleganti e affusolate, con le unghie naturali e ben curate, non troppo lunghe. Una piccola cicatrice sulla pelle liscia e candida del dorso della mano catturò per un attimo la sua attenzione e, senza pensarci, ci fece scorrere delicatamente il pollice sopra. La sentì fremere leggermente, come se non si aspettasse una cosa del genere. Per la verità nemmeno lui sapeva che l'avrebbe fatto. Spostò lo sguardo dalla sua mano al suo polso, circondato da una sottile catenella dorata, e poi su lungo il braccio sottile, fino alla spalla nuda e al collo elegante. Poi i suoi occhi si puntarono in quelli di lei, di uno stupendo colore ambrato come il caramello. Si accorse in quel momento che lei aspettava ancora una risposta da lui. Possibile che non sapesse chi era?

«Carlos, molto piacere» si affrettò a dire.

Lo splendido sorriso con il quale si era avvicinata tornò ad illuminarle il viso e con un gesto elegante si accomodò sullo sgabello accanto al suo.

«Allora Carlos, cosa ti offro da bere?»



Era cominciata così, con lei che gli aveva offerto un drink e lui che era rimasto letteralmente ammaliato da lei come non gli era mai successo in vita sua. E anche ora, seduto al tavolino della caffetteria, di fronte a lei, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. La osservava girare e rigirare il cucchiaino nella tazzina da caffè nonostante la bustina di zucchero che vi aveva versato fosse ormai completamente sciolta. Era visibilmente nervosa e a disagio, con gli occhi ambrati che saettavano da una parte all'altra senza mai incrociare il suo sguardo e lui sentì un sorriso ironico incurvare le proprie labbra. Lasciò passare ancora qualche secondo, godendosi la sensazione di averla messa sulle spine, poi finalmente parlò.

«Allora» disse con un tono di falsa indifferenza «perché sei scappata quella mattina?»

Francesca alzò lo sguardo di scatto, come se l'avesse colta in flagrante, e smise di tormentare la sua tazza.

«Io... non sono scappata» rispose.

Inclinò la testa da un lato e si sporse leggermente verso di lei.

«Forse hai ragione, dopotutto una persona che scappa non si prenderebbe certo il disturbo di lasciare una busta con dei contanti alla reception.»

Lei spalancò gli occhi, come se si fosse appena ricordata di quel piccolo dettaglio, cosa che lo fece indispettire non poco, poi la vide portarsi la mano alla fronte scuotendo leggermente la testa.

«Ammetto non essere stata la migliore delle idee, ma posso spiegare...»

«Ti prego, illuminami, perché non capita tutti i giorni che una donna mi lasci dei soldi dopo una notte insieme» disse consapevole del proprio tono tagliente. «E se proprio devo essere sincero sono anche piuttosto deluso della cifra che hai deciso di lasciare. Pensavo che le mie prestazioni valessero molto di più e, stando a quanto ho visto e sentito quella sera, sembravi pensarla così anche tu. Ma evidente mi sbagliavo.»

Le guance di Francesca si colorarono immediatamente di rosa per l'imbarazzo, segno che, proprio come lui, anche la sua mente era tornata a quella notte insieme. Poi la vide scuotere la testa e bere finalmente il suo caffè. Doveva essere ormai freddo perché fece una smorfia e lui, nonostante fosse irritato, non riuscì a non trovarla adorabile mentre arricciava il naso. Poi lei prese un profondo respiro e cominciò a parlare a raffica.

«Ero nel panico, okay? Tu mi hai lasciato quel biglietto dicendomi che eri uscito a correre e io ho pensato che non volessi trovarmi ancora in stanza al tuo ritorno, ma non volevo sembrare... insomma, non sapevo se fosse giusto che tu pagassi tutto. Purtroppo avevo pochi contanti con me, però ho pensato che fosse comunque educato lasciare quello che potevo per coprire la mia parte della stanza. Con il senno di poi forse avrei dovuto scriverlo sul biglietto invece che lasciare solo un grazie...»

Rimase senza parole. Era la cosa più assurda che avesse mai sentito in vita sua, eppure lei sembrava totalmente sincera.

«Mi stai dicendo che mi hai lasciato dei soldi per dividere la stanza?» disse cercando di trattenere la risata che sentiva nascergli in petto. «Questa è nuova, davvero.»

«Non è divertente» replicò lei evidentemente piccata dalla sua ilarità. «Volevo solo essere corretta. Non è colpa mia se tutto quello che è successo era decisamente fuori dal mio solito... schema.»

«Schema?» il fatto che lei avesse usato quella parola lo fece andare immediatamente su tutte le furie anche se non era ben sicuro del perchè. «Sono proprio curioso, cosa prevede di solito il tuo schema? Porti a casa tua tutti gli uomini che accalappi e poi li cacci via una volta finito? Oppure ti fai portare a casa loro e poi fuggi nel cuore della notte?»

«Normalmente mi limito a guardare il resto del mondo che fa queste cose mentre io, come una cogliona, mi illudo che la persona di cui sono sempre stata innamorata si accorga di me... Quella è stata la mia prima volta, in tutti i sensi.»

La vide mordersi le labbra, come se si fosse lasciata sfuggire più di quanto volesse dire in realtà. Lui era senza parole. Ogni ostilità, forma di irritazione o qualsivoglia fastidio erano improvvisamente scomparsi, sostituiti dalla più totale sorpresa. Non sapeva esattamente come comportarsi o cosa dire. Non si immaginava di certo che a trent'anni sarebbe stato la prima volta di qualcuno, per di più di una ragazza conosciuta quella stessa sera...

«Ay...» fu l'unica cosa che riuscì a dire passandosi una mano tra i capelli e accasciandosi contro lo schienale della sedia.

«Già» fece lei imitandolo.

Rimasero in silenzio per qualche minuto e lui si prese del tempo per osservarla mentre lei lasciava scorrere lo sguardo ovunque tranne che nella sua direzione. Aveva un profilo che in molti avrebbero definito delizioso, con lineamenti delicati e perfettamente cesellati, quasi classici. I capelli scuri, color cioccolato, le ricadevano su una spalla raccolti in una coda bassa e disordinata mentre i bellissimi occhi ambrati erano incorniciati da folte e lunghe ciglia nere come l'ebano. Era davvero bella, bella e giovane... Molto giovane.

«Perché proprio me? Voglio dire, quella sera... perché hai deciso di buttarti proprio con me?»

«Lo fai sembrare come se lo avessi pianificato... Ma ti assicuro che non è così, e quella sera non avevo assolutamente idea di chi fossi, altrimenti non mi sarei mai sognata di provarci con te...»

«Però lo hai fatto, perchè?»

Era sinceramente curioso di sapere cosa l'avesse portata a venire da lui.

«Perchè ti interessa tanto?»

«Perchè sono curioso» rispose sinceramente.

Lei lo guardò esasperata.

«Carlos, ti sei guardato allo specchio?»

Sorrise, un pò per la non risposta di lei, un pò perchè era la prima volta, quel giorno, che lei lo chiamava per nome.

«No, non di recente. Ti spiacerebbe aggiornarmi?» la prese in giro.

Lei roteò gli occhi. Poi il suo cellulare si mise a squillare e la foto di un ragazzo comparve sullo schermo.

«È Nick, il ragazzo che era con me...» gli disse prima di rispondere.

«Nick, mi hai salvato... No, sto scherzando, va tutto bene... Si, davvero. Sì, ci vediamo fuori.»

«Dovrei proprio andare» si rivolse a lui dopo aver agganciato «abbiamo finito di parlare, giusto?»

Rimase in silenzio per un attimo, pensando a cosa risponderle. Ad essere sincero non voleva vederla andare via, voleva parlare ancora con lei, stuzzicarla, farle altre domande, ma sapeva di non poterla trattenere e a giudicare dallo sguardo che gli stava rivolgendo, Francesca sembrava più che desiderosa di andarsene.

«Si, immagino di si. Per ora.»

«Okay, allora... grazie per il caffè.»

«Di niente. Vieni, ti accompagno.»

Aspettò che lei si infilasse il cappotto e prendesse le sue cose, poi le fece strada verso l'uscita, gettando uno sguardo attorno per assicurarsi che nessuno fosse nei dintorni.

«Questo forse è meglio se lo tieni su» le disse alzandole il cappuccio della felpa a coprirle la testa.

In giro non sembrava esserci nessuno pronto a immortalarli con telecamere o cellulari, ma non si poteva mai essere del tutto sicuri.

«Oh, certo.»

Raggiunti i cancelli lei lo salutò rapidamente, ma prima che potesse allontanarsi diretta verso l'amico, lui la chiamò.

«Francesca.»

Lei si voltò a guardarlo, una leggera traccia di sorpresa sul viso.

«Dammi il tuo numero.»

Lei spalancò gli occhi.

«Perchè?»

«Perchè no?»

La vide aprire e chiudere la bocca più volte, cercando una scusa che però non sembrava riuscire a trovare. Sorrise estraendo il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e allungandoglielo. Lei lo prese sospirando, poi digitò rapidamente i numeri sulla tastiera e glielo rese.

«Contento?»

Premette sulla cornetta e lei lo guardò esasperata. Dopo un paio di squilli, il cellulare di lei prese a vibrare, così lui interruppe la chiamata.

«Ora si.»

La osservò allontanarsi a passo svelto, con il presentimento che da lì a non molto le loro strade si sarebbero incrociate di nuovo.

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